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FIGURA E COMPITI
DEL LOGOPEDISTA
I disturbi della voce, della parola e del linguaggio, colpiscono sia il bambino che l'adulto, in molteplici forme morbose la cui eziopatogenesi, a volte, è difficile da individuare.
Il logopedista ha il compito di rieducare tali turbe al fine di portare il soggetto il più vicino possibile alla normalità, utilizzando le metodiche e gli accorgimenti più adatti per ciascun caso; in questa opera egli deve tener conto sia del quadro clinico, sia della problematica che sottende o consegue ai disturbi.
Nei casi più gravi (sordità congenita, lesioni cerebrali, ecc.) il logopedista affianca il paziente per anni lasciando così inevitabilmente un'impronta sensibile nella sua vita.
Il linguaggio permea la vita dell'uomo; esso non è solo infatti espressione verbale, ma anche comprensione, pensiero, messaggio scritto, lettura, comunicazione, condizione imprescindibile nei rapporti umani; il logopedista perciò nello svolgere la sua professione, non può e non deve limitarsi a sviluppare o migliorare un solo versante del linguaggio; la sua opera in questo modo sarebbe incompleta, fredda e solamente tecnica, priva cioè di quella visione globale che è condizione indispensabile per un buon recupero.
È compito del logopedista considerare e valutare quindi il versante espressivo, inquadrando le eventuali alterazioni nel loro contesto eziologico e sintomatologico; accertare similmente il livello della comprensione e saper cogliere tutte le sfumature carenziali che ad un esame grossolano possono sfuggire; valutare il livello cognitivo; esaminare la capacità grafica in relazione alla struttura morfologico-sintattica e semantica; valutare la capacità di leggere e di comprendere un testo scritto; non può infine trascurare problematiche di ordine psicologico che influenzano, a volte in maniera determinante, il linguaggio nella sua evoluzione e nella sua essenziale funzione di comunicazione.
Da quanto detto appare evidente l'importanza che riveste il ruolo del logopedista; e proprio per le conseguenze e le responsabilità che tale importanza determina, è necessario che colui il quale sceglie di dedicarsi a questa professione lo faccia in piena coscienza e consapevolezza delle difficoltà, dei sacrifici e della dedizione che gli verranno richiesti.
Questa specializzazione richiede, oltre ad una scelta oculata, intelligenza, sensibilità, intuito, pazienza, equilibrio, creatività; doti che non vanno disgiunte da una profonda preparazione e da un continuo aggiornamento.
Al logopedista è richiesto, prima di tutto di "saper conoscere" il soggetto da educare o rieducare e per questo è indispensabile che agli inizi cerchi di cogliere tutti quegli elementi diagnostici che potranno risultare utili o determinanti per impostare correttamente il rapporto al fine di un buon esito rieducativo.
Intuire il modo di stabilire il rapporto, di cambiare atteggiamento durante una seduta, di valutarne la durata, sono, fra l'altro, prerogative derivanti dalle doti succitate, come pure saper "inventare" esercizi nuovi per coinvolgere il soggetto e stimolarlo a collaborare.
Per ottenere buoni risultati nella rieducazione è indispensabile che il terapista si ponga costantemente in "ascolto" delle esigenze, delle difficoltà e delle capacità del soggetto; che utilizzi le tecniche apprese in modo sempre diverso, in quanto sempre diverso sarà il caso che si troverà davanti e, infine, che sappia anche rinunciare ad esse inventando quasi la rieducazione per la persona che gli sta davanti. Indubbiamente ciò è molto difficile ed è anche "pericoloso" in quanto può prestarsi ad improvvisazioni errate ed approssimazioni: proprio per questo la preparazione deve essere profonda e l'aggiornamento costante.
Disponibilità e pazienza favoriscono l'acquisizione di una ricca esperienza che diviene bagaglio prezioso per sé e per gli altri, facilitando la maturazione di una giusta "forma mentis" e padronanza professionale che permettono di affrontare il lavoro con tranquillità.
I pazienti attendono da noi calma e serenità poiché solo un clima di distensione permette loro di impegnarsi nello sforzo richiesto.
Un buon logopedista non deve arrestarsi di fronte alle difficoltà che, inevitabilmente, gli si presentano; alcuni mesi di terapia senza risultato non dovranno indurlo al grave errore di interrompere il trattamento, ma spingerlo a prendere altri provvedimenti: riesaminare la situazione da un diverso punto di vista, chiedere aiuto a colleghi con maggior esperienza, sollecitare l'intervento di altri specialisti.
Occorre tener sempre presente che la mancanza di un buon esito può essere imputabile anche ad un errato inquadramento clinico iniziale; da qui la necessità di far praticare o ripetere alcuni esami: neurologico, psicologico, audiologico, ecc.
La decisione dì interrompere la rieducazione può essere giustificata solo se l'indifferenza totale e prolungata della famiglia avrà impedito l'instaurarsi di un buon rapporto con il paziente e quindi il raggiungimento di un benché minimo risultato educativo.
Altro elemento negativo che impedisce un buon recupero è la "noia" che spesso viene ad instaurarsi in una rieducazione male impostata o "distrattamente" condotta. Solo l'impegno, la passione ed il desiderio di sopperire ai deficit del soggetto portano un continuo alimento creativo al rapporto e trasferiscono nel paziente fiducia, entusiasmo, motivazione.
Esiste anche il problema dei "gravi"; il logopedista ovviamente affronta questi casi con tutta la sua competenza (sono proprio questi pazienti che offrono l'opportunità di acquisire una più completa professionalità), ma deve anche saper riconoscere quando la gravità del caso è tale da rendere il suo intervento "non utile" e farsi da parte con umiltà e serietà professionale, per affidare il caso ad altri operatori.
Se è vero che un bravo specialista deve possedere spirito di sacrificio, buon equilibrio interiore, personalità matura, capacità di distaccarsi dai propri eventuali problemi, è altrettanto vero che tutte queste qualità non creano un buon logopedista se mancherà una preparazione approfondita ed un costante aggiornamento. A questo scopo sarà necessario svolgere un lavoro di ricerca e sperimentazione, conoscere altre metodiche e aggiornare la propria.
Gli anni di studio che portano al diploma oltre a dare le conoscenze fondamentali e a rendere padroni delle tecniche di base, devono risvegliare in ogni futuro terapista il desiderio di approfondire gli argomenti trattati e di allargare i propri interessi nei diversi campi che direttamente o indirettamente hanno a che fare con il linguaggio:
audiologia, foniatria, psicologia, neurologia, antropologia, cibernetica, ecc. Conseguire il diploma è solo il primo passo. Sbaglia infatti lo specialista che ritiene di aver completato la sua preparazione poiché sarà rapidamente superato dall'evoluzione dei tempi e delle tecniche.
Il logopedista veramente ben preparato, nel corso dei primi mesi di rieducazione, è in grado di valutare ben spesso la presenza di turbe associate al deficit uditivo e/o a quello linguistico.
Egli pertanto conoscerà le tappe dello sviluppo infantile in tutti i suoi aspetti: neuro-motorio, psicologico, affettivo, linguistico e cognitivo, poiché il linguaggio coinvolge ed è coinvolto da tutte queste funzioni. A sua volta nel linguaggio si possono distinguere quattro aspetti: comprensione, espressione, lettura, scrittura.
Il logopedista quindi non si limiterà a correggere l'articolazione o a stimolare la comprensione ma si occuperà anche dei disturbi della lettura e della scrittura, quali la dislessia e la disortografia, naturalmente sempre in stretta collaborazione con lo specialista psicomotricista.
L'inizio della professione per un logopedista è un momento particolarmente delicato e difficile. Fino a pochi anni orsono, ed in certe sedi ancor oggi, il terapista era una figura completamente ignorata che non aveva nessuna influenza nella decisione riguardante l'indirizzo terapeutico per il recupero del bambino e nelle discussioni di gruppo dove venivano esaminati globalmente i casi.
In molti centri le cose sono oggi cambiate e questo specialista ha acquisito quella giusta fisionomia professionale che gli compete e che gli assegna un ruolo paritario con gli specialisti delle diverse discipline che compongono l'équipe.
L'équipe in effetti è la base indispensabile per svolgere un buon lavoro e per essere completa deve essere composta da più specialisti, quali: il neurologo, il foniatra, l'audiologo, lo psicologo, il logopedista, lo psicomotricista e l'assistente sociale; ha efficacia se tra queste figure esiste un'intesa, se sono reciprocamente disponibili, se discutono con senso critico. Così quando nelle riunioni si discute un caso, tutti gli specialisti devono essere presenti ed in modo particolare i terapisti del bambino in questione. Il logopedista non deve esimersi dall'esporre la sua opinione, magari per tema di essere criticato, ciò rischierebbe di ostacolare la chiarificazione di importanti aspetti del problema in discussione, al contrario si inserirà nella discussione portando i risultati del suo lavoro, ascoltando il parere degli altri specialisti e cercando, in tal modo, di chiarirsi l'inquadramento del bambino sotto i diversi aspetti: neurologico, audiologico, psicologico, ecc.
Nei casi che giungono al nostro Centro il logopedista dà il suo apporto diagnostico che diviene determinante per l'inquadramento e per impostare la terapia di recupero.
Fanno parte dei suoi compiti la sensibilizzazione e la preparazione dell'ambiente scolastico in vista dell'inserimento in scuola normale del piccolo paziente, inserimento che andrà costantemente seguito e sostenuto. Il logopedista è senz'altro la persona che meglio conosce capacità e limiti del bambino, che lo ha preparato, anche didatticamente, se necessario, per l'ingresso in scuola normale; esso è quindi il più idoneo ad appoggiare l'insegnante nelle difficoltà che potrà incontrare durante l'iter scolastico.
Non è raro il caso che la famiglia rimanga in contatto con il terapista anche dopo la conclusione della terapia, vuoi per avere un aiuto scolastico, vuoi perché si instaura una sorta di legame affettivo, vuoi per avere un indirizzo sulla scelta della scuola superiore e del lavoro; è naturalmente dovere dello specialista in questi casi mettere la sua esperienza a disposizione della famiglia prodigandosi in consigli.
Un altro impegno e dovere che il logopedista ha, è quello di organizzare riunioni regolari e corsi per i genitori che hanno lo scopo di informarli sui problemi riguardanti i disturbi del linguaggio e di chiarire eventuali dubbi.
LOGOPEDISTA-BAMBINO-GENITORI
E determinante il modo in cui viene instaurato il rapporto con il bambino: questi va accettato globalmente, con pregi e difetti, dimostrandogli sempre simpatia e affetto, anche se l'aspetto ed il comportamento dovessero essere sgradevoli. Lo scopo iniziale è quello di riuscire ad ottenere la sua fiducia e collaborazione attraverso un rapporto che potrà essere, a seconda dei casi, prevalentemente o ludico o pedagogico o tecnico.
Nelle prime sedute pertanto il logopedista si limiterà ad osservare il bambino nelle diverse situazioni proposte valutando reazioni e manifestazioni ed individuando la miglior strategia di approccio.
Da un punto di vista strettamente tecnico valuterà i diversi aspetti del linguaggio, le condizioni della muscolatura bucco-linguale e la capacità respiratoria; prenderà visione di tutti gli esami praticati e se necessario li farà completare e ripetere.
Come già detto, ma non sarà mai ribadito a sufficienza, è estremamente importante valutare il caso in équipe per poter far luce su ogni aspetto e per poter impostare un programma il più valido ed adeguato possibile anche se, ovviamente, con il passare del tempo verrà comunque modificato ed ampliato.
La collaborazione convinta dei genitori è una delle condizioni indispensabili per una buona riuscita dell'intervento rieducativo; per questo è necessario che il terapista tenga, fin dall'inizio, i contatti con loro e qualora rivelassero problemi di una
certa gravità li consiglierà di rivolgersi allo psicologo che provvederà ad aiutarli e a sostenerli attraverso semplici colloqui o vere e proprie sedute di psicoterapia.
Qualora la figura dello psicologo venisse rifiutata sarà lo stesso logopedista a farsi guidare attraverso una supervisione (vedi capitolo seguente), onde evitare di compiere errori rieducativi.
I contatti diretti con i genitori, i corsi a loro destinati che danno una guida e forniscono suggerimenti sul modo di comportarsi con il bambino, come pure l'eventuale intervento diretto o indiretto dello psicologo, si sono rivelati - alla luce della lunga esperienza - indispensabili per raggiungere risultati lusinghieri. "il rapporto del logopedista con il bambino è un rapporto di tipo psicoterapico" (Paule Aimard). Il lavoro si effettua in un clima proprio a ciascun bambino e la relazione che si viene a stabilire crea una rete di legami e di motivazioni favorevoli estremamente valida.
Il terapista è per il bambino un adulto nuovo, non ancora inserito nel suo sistema relazionale; è differente dai genitori, differente dagli insegnanti: è un adulto investito di un ruolo importante, particolare, che deve conoscere il suo problema e comprenderlo.
Fin dai primi contatti il tono è diverso da quello che il bambino ha potuto sperimentare fino a quel momento: non è né di tolleranza, né di passività rassegnata, come accade in certe famiglie dove tutti parlano in modo infantile, o sgridano aspramente, o reprimono, dimostrando di non tollerare e di non saper affrontare appropriatamente gli errori e le difficoltà del bambino stesso. Il nuovo personaggio non parla a gesti, non si rivolge a lui con un messaggio telegrafico, come pure accade spesso nelle famiglie dove è nato un bambino sordo.
Questa nuova figura prende in considerazione le sue difficoltà ma non le drammatizza; gli propone un modello di identificazione, fornisce schemi nuovi e giusti di forme sonore da imitare. Tutto questo conferisce prestigio al rieducatore e consente al bambino di mobilizzare il suo dinamismo, le sue tendenze, di progredire, soddisfa il suo bisogno di autonomia senza quelle tonalità di seduzione e di ricatto così largamente usate dagli adulti con il fatidico: se ripeti, di do ...
Bisogna riconoscere che la rieducazione impone uno sforzo sensibile (regolari sedute, lavoro a volte faticoso, impiego di tempo, rinuncia a impegni piacevoli ...) del quale il rieducatore è responsabile; ecco perché occorre che la rieducazione procuri un sufficiente piacere di compensazione tale che permetta di non alterare l'economia interna del soggetto stesso. La rieducazione deve saper dosare il binomio: "fatica-piacere" ed il terapista deve saper gratificare il bambino al momento opportuno e farlo divertire. L'equilibrio della rieducazione dipende molto dal clima in cui avviene questa nuova relazione che può e deve cercare di far riprendere la via naturale al-l'evoluzione del linguaggio impedita da intralci ora organici ora funzionali.
Il tono del rapporto non sempre può essere favorevole: alcuni soggetti sono molto difficili e la personalità del rieducatore. a volte, è sola ad affrontare situazioni assai complesse. La rieducazione non può seguire un programma standard: ogni fanciullo ha bisogno di un lavoro personalizzato di giochi, di trovate, di novità, di favole, che lo interessino personalmente. La sua noia è sovente il riflesso della noia del rieducatore, il quale non sempre ha un dinamismo personale che gli permette di rinnovare il suo bagaglio di materiale, di storie, di parole, di oggetti.
Questa mancanza di immaginazione genera insoddisfazione nel logopedista ed il bambino lo sente; se non vuoi fallire nella professione il terapista deve rendersi conto di tutto ciò e rimediare tempestivamente.
Nello svolgere il suo lavoro il rieducatore deve tener costantemente presente il quadro clinico, il contesto ambientale nel quale vive il soggetto, lo scopo da raggiungere, la metodologia da applicare a "quel soggetto", le motivazioni e gli interessi da suscitare in lui per ottenere la sua partecipazione attiva.
Quando ciò non avviene il bambino ritrova, purtroppo, nel terapista un adulto come gli altri che lo rimprovera quando sbaglia, che esige con rigidità, che non sa come affrontare la sua passività o la sua opposizione. Bisogna avere molte idee, molta intuizione, molta immaginazione per portare a buon fine un lavoro efficace con fanciulli tutti diversi. Il logopedista deve essere in grado di avvertire le ambiguità della posizione in cui può venire a trovarsi: in effetti filtra sempre, che si voglia o no, qualcosa a livello inconscio tra lui e il bambino, tuttavia ciò non autorizza il terapista a sconfinare dal suo campo di operatività; non sarebbe di sua competenza e potrebbe rivelarsi dannoso; egli deve saper rifiutare la presa in carico di bambini gravemente nevrotici o psicotici a meno che egli stesso non sia costantemente guidato dallo psicologo.
Per quanto riguarda i genitori, la situazione è semplice quando accettano la menomazione e la rieducazione. In tal caso comprendono i problemi del loro bambino, ma non li drammatizzano né li minimizzano; questi genitori non sono intrusivi, assistono alle sedute e ripetono il lavoro a casa, spesso facilitano il lavoro del rieducatore e permettono, in tal caso, di accelerare i risultati.
Quando, all'opposto, i genitori si lasciano coinvolgere dal disturbo del linguaggio fino ad assumere un comportamento infantile o rigido, e quindi troppo esigente, il logopedista dovrà trattare il soggetto da solo e prima di farsi aiutare dai genitori do-vrà adeguatamente prepararli. In realtà i genitori di questo tipo si attendono molto dall'opera di rieducazione ma, nel loro inconscio, la rifiutano, assumendo un atteggiamento ostile e dannoso; dimenticano l'ora dell'incontro, arrivano (regolarmente) in ritardo e, peggio ancora, si intromettono nella relazione bambino-logopedista perché pensano, sia pur inconsciamente, che nessuno possa essere più capace di loro.
Molti terapisti hanno fatto l'esperienza di queste persone veramente disarmanti le quali vogliono rimanere vicino al bambino che, senza rendersene conto, fa il loro gioco e finisce per non collaborare.
Si determina allora una penosa situazione da cui nasce la certezza che non si approderà mai a nulla. Sono questi i genitori che interrompono la rieducazione adducendo futili motivi: in realtà a loro sembra che questo lavoro di giochi e di giocattoli, di immagini e di storie, non sia utile. Non è possibile ottenere una collaborazione da genitori che vivono la situazione in un modo così conflittuale; è indispensabile guidarli, educarli ed eventualmente, come già detto, inviarli allo psicologo.
Un'altra situazione spiacevole si verifica quando il logopedista instaura un rapporto tale con il bambino da ottenere stima, collaborazione, confidenza, ma in modo tale che la madre, a volte, male interpretando questo rapporto, si sente esautorata dal suo ruolo, teme di aver perso l'affetto del figlio e mette in atto un'azione "di disturbo", a livello più o meno cosciente. Il bambino si disorienta, confonde i ruoli e gli insorgono sensi di colpa che compromettono il buon esito rieducativo. Il logopedista ha il dovere di cogliere sul nascere queste ambiguità, cercando di mettere nella giusta luce la figura materna, di valorizzarne le doti incoraggiandola. In alcuni casi l'aiuto dello psicologo sarà, ancora una volta, indispensabile.
LOGOPEDISTA~ADOLESCENTE
Il rapporto logopedista ~ adolescente è completamente diverso dal precedente; l'adolescente è un soggetto che attraversa una fase delicata della sua vita nella quale non è ancora un uomo ma non è più un bambino; dovrebbe aver superato la fase edipica per cui il logopedista deve rappresentare una figura guida, un modello da imitare che lo aiuta a divenire adulto. L'impostazione del rapporto si basa sulla responsabilizzazione del ragazzo; il logopedista punta sul suo amor proprio, gli parla come si parla ad un adulto, pur tenendo conto della sua età, mostra fiducia nella sua possibilità di riuscire a migliorare, tiene conto del suo livello intellettivo e culturale e si regola di conseguenza. Solo nel caso in cui il livello intellettivo è gravemente compromesso, il terapista chiede l'aiuto dei genitori. L'adolescente deve trovare nella sicurezza del rieducatore tutto l'appoggio che gli occorre, ma deve, al tempo stesso, vivere questo rapporto a due come una relazione impostata sull'amicizia e sulla lealtà.
A volte il ragazzo, dopo un breve periodo, si rifiuta di continuare la rieducazione :il terapista gli spiegherà allora l'utilità di proseguire prospettando i vantaggi che acquisirà soprattutto quando sarà adulto e, senza mostrarsi disgustato o irritato, gli lascerà libertà di scelta.
Occorre avere un grande rispetto per la persona in evoluzione, tenendo presente che attende guida e consiglio e non imposizione o limitazione all'evolversi della sua personalità. Il soggetto va gratificato, ma con equilibrio, non con un atteggiamento simile a quello che si terrebbe con un bambino.
E importante porre l'accento sui genitori che spesso procurano problemi al terapista con atteggiamenti non adeguati; è di facile riscontro il caso in cui la coppia parentale si rifiuta di considerare adolescente il proprio figlio e mantiene con lui un atteggiamento protettivo pari a quello che si instaura con i piccoli.
Il ragazzo non viene mai stimolato a far le cose da solo ed i genitori finiscono per sostituirsi a lui costantemente. Per contro si può verificare il caso che pretendano da lui ciò che, in realtà non può fare, assumendo un atteggiamento rigido che frustra il ragazzo.
Nelle due evenienze l'adolescente non è motivato a migliorare, non collabora con il terapista, il risultato rieducativo è scarso; i genitori dal canto loro dimostrano insoddisfazione al logopedista e spesso l'accusano di essere la causa del mancato successo.
Il terapista, quando dai primi colloqui si accorge di aver a che fare con persone di questo tipo, deve cercare di evitare l'instaurarsi di un rapporto inadeguato: una soluzione può essere quella di escludere i genitori dall'attività rieducativa cercando, nei limiti del possibile, di far frequentare le sedute al ragazzo da solo.
LOGOPEDISTA-ADULTO
Il rapporto tra il logopedista e l'adulto varia sensibilmente in relazione al tipo ed al grado di patologia che il paziente presenta.
Se il disturbo è lieve, e richiede una terapia breve (2-3 mesi), il problema verrà affrontato in termini puramente tecnico-professionali senza affrontare altri aspetti, a meno che non sia il paziente stesso a richiederlo. Può darsi invece il caso che il disturbo della voce, della parola o del linguaggio impedisca al malato di svolgere o continuare la propria attività lavorativa; il problema si presenta allora molto più complesso e difficile da affrontare, sia per ciò che riguarda il paziente, sia in relazione alla sua famiglia.
L'adulto colpito da un'alterazione di questo tipo è generalmente una persona frustrata, insofferente, che si ritiene vittima di una ingiustizia. Molte volte non accetta il suo handicap: diventa taciturno, si chiude in se stesso, non vuole sottostare alla rieducazione, afferma di "non essere più un bambino", spesso odia la vita, dimentico di quanto dalla vita stessa ha già avuto in passato, oppure si ribella perché "dalla vita non ha avuto mai nulla".
Per il rieducatore, il momento dei primi contatti con il malato è molto delicato e difficile. Deve capire quale tipo di rapporto instaurare: se può esigere o se deve portare il soggetto lentamente a collaborare; se il paziente è in grado di parlare, e se lo desidera, deve ascoltare i suoi problemi ed accettare le perplessità che esprime. E comunque necessario spiegargli quanto occorrerà fare per superare le difficoltà e migliorare lo stato di cose.
Generalmente se il logopedista è paziente, disponibile ed abile, riesce a conquistare il soggetto e potrà indurlo a fare tutto ciò che è necessario.
La famiglia ha un ruolo determinante nel rapporto con il terapista. Se il malato è autosufficiente e può recarsi alle sedute da solo, generalmente non esistono gravi problemi, tuttavia il logopedista sensibilizzerà i familiari, attraverso colloqui a svolgere una azione discreta ma costante, fino ad ottenere la loro collaborazione che, peraltro, non richiede, di solito, gravi sacrifici. Quando però l'adulto è leso motoriamente, il logopedista urta spesso, nel suo lavoro, con coniugi, madri, ecc., che non sempre accettano la "nuova situazione" e non vogliono sottoporsi a sacrifici per aiutare il malato. Dovere del terapista è di incoraggiare i parenti, di stimolarli a collaborare, ma soprattutto deve essere chiaro sulle prospettive del recupero. Fare accettare un coniuge compromesso per tutta la vita, nonostante l'opera di recupero, è un compito assai gravoso. Molti di questi malati infatti migliorano sensibilmente, ma non possono tornare "quelli di prima". Da ciò scaturiscono reazioni dannose al buon esito rieducativo: il coniuge, a volte, assume atteggiamenti di rifiuto, che si manifestano in vari modi; il logopedista può diventare la vittima della situazione ed essere trattato duramente, accusato di incapacità, di schiavizzare il malato, di sfruttare la situazione a scopo di guadagno; oppure il malato stesso ne fa le spese, subendo indifferenza, angherie, intolleranza alle quotidiane oggettive difficoltà che da solo, spesso, non può superare.
La terapia prosegue invece in un clima di serenità e di fattiva collaborazione quando il rapporto tra i coniugi ed i familiari era solido ed impostato con equilibrio già prima della malattia.
Per quanto riguarda la patologia a base nevrotica quale è, ad esempio, quasi sempre, la balbuzie, quali sono, spesso, le afonie soprattutto femminili, o le voci in falsetto che colpiscono l'uomo il logopedista può ottenere spesso buoni risultati senza però, in effetti, rimuovere la causa perché ciò richiede l'intervento dello psicologo, per il quale il paziente va preparato nel tempo.