MARIO GRANBASSI
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La Guerra Civile Spagnola
L'esperienza di un volontario fascista raccontata in un diario di guerra inedito*
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Presentazione
Dopo aver assistito alle lezioni sulla guerra civile spagnola, siamo rimasti colpiti dal film "Terra e libertà", e ci è particolarmente piaciuto il modo in cui il regista ha saputo presentare questo evento, avvicinandolo a noi attraverso il personaggio della nipote del protagonista, nostra coetanea, la quale scopre e "rivive" gli eventi della guerra tramite le lettere, le fotografie e i cimeli salvati dal nonno.
Io mi sono spontaneamente immedesimata in tale personaggio, per il fatto di aver anch'io avuto la possibilità di conoscere questo periodo storico, non solo dai libri, ma anche dai ricordi e dai discorsi di famiglia. Il fratello di mio nonno infatti ha partecipato come volontario alla guerra spagnola dalla parte franchista, e la sua famiglia ha conservato moltissimo materiale, che può diventare naturalmente un utile documento storico.
Particolarmente interessante, tra le altre cose, è il diario che Granbassi ha scritto durante il periodo trascorso in Spagna: diario che, già pronto in bozze, non venne mai pubblicato a causa degli eventi della seconda guerra mondiale.
Oltre ad essere una testimonianza di un avvenimento storico, questo diario è un documento umano, che ci permette di conoscere intimamente non solo la personalità di un giovane inserito idealmente e ideologicamente nel regime fascista, ma anche la vita di molti soldati al fronte spagnolo, neri o rossi che fossero.
Oggi i regimi fascista e comunista sono crollati, il primo nel 1945 travolto dalla sconfitta nella seconda guerra mondiale, il secondo nel 1989, con la caduta del muro di Berlino.
Noi dunque dobbiamo avvicinarci a quel periodo e ai suoi protagonisti con un atteggiamento storico, cercando contemporaneamente di immedesimarci nello stato d'animo di persone coinvolte in una lotta politica e militare, che a loro appariva decisiva per l'avvenire.
Prima di passare all'analisi del diario, abbiamo ritenuto opportuno presentare a grandi linee la vita dell'autore, per poter così meglio comprendere la sua personalità e la sua scelta.
*il testo seguente è stato tratto integralmente da i "Quaderni Giuliani di Storia", XVIII, 1, 1997, pp. 87-106
La vita di Mario Granbassi
Mario nasce a Trieste nel 1907 da genitori istriani e vive a Pisino d'Istria fino al compimento degli studi liceali; pur essendo figlio di un simpatizzante socialista-democratico alla Filippo Turati, egli aderisce al fascismo in giovane età, quando il movimento politico creato da Mussolini ha già preso il potere in seguito alla marcia su Roma. Appartiene a una generazione nuova, per la quale fascismo ed Italia sono intesi come sinonimi, e per la quale, in fondo, non esiste realtà diversa.
Non ancora ventenne, egli torna nella sua città natale per lavorare a "Il Piccolo" come cronista, e contemporaneamente si iscrive alla facoltà di Economia e commercio. In poco tempo diviene capo cronista e, continuando a lavorare al giornale, collabora a Radio Trieste fin dal suo sorgere, con altrettanta passione, rivelando doti particolarmente apprezzate.
Oltre ad occuparsi delle radiocronache di alcuni eventi di rilevanza nazionale, fra i quali diversi vari di navi, Granbassi diventa protagonista di una trasmissione dedicata ai ragazzi: la sua rubrica "Mastro Remo : i giochetti alla radio" è un successo fin dalla prima trasmissione; egli diviene in brevissimo tempo l'amico dei ragazzi, con i quali conversa, divertendoli e spronandoli con giochi e concorsi. Contemporaneamente crea un settimanale a colori, "Mastro Remo", in cui, precorrendo i tempi, dà vita anche ad una sorta di Totocalcio.
Pur avendo un'esistenza già ricca di soddisfazioni ed impegni, nonché di affetti (una giovane moglie, Fernanda, e due figli ancora in tenera età), vuole partecipare ad ogni costo alla guerra di Spagna, per aderire sempre più completamente all'ideale fascista. Ecco perché, in questo senso, la vita di Granbassi si mostra completa e coerente in ogni sua parte, aderente al proprio ideale fino alla morte in terra spagnola. Questo senso del dovere, insieme ad un rigoroso metro di giudizio morale, ci permettono di capire il motivo della sua scelta; così, giunto il momento "lascia la penna, imbraccia il moschetto".
Parte il 9 luglio 1938, imbarcandosi a Civitavecchia per Cadice e da questa data in poi, fino al 3 gennaio 1939 -giorno della sua morte al fronte- annota e ferma sulla carta pensieri, emozioni, speranze.
Diario di guerra
A bordo dello Stelvio Domine, in navigazione verso la Spagna, avevo iniziato gli appunti di diario. Il giorno dopo li ho stracciati: un po' per prudenza, un po' perché mi sembravano una debolezza da sentimentale. Ma ora ci sono troppe cose interessanti, troppe impressioni e sensazioni nuove, il cui ricordo svanirebbe certamente o si offuscherebbe con il tempo. Meglio fissarle ora, così come mi tornano alla mente.
Riassumere il diario dunque, sarebbe molto difficile. Abbiamo scelto perciò di riferire alcuni brani descrittivi ed altri che, sparsi un po' per tutto il diario, mettono in luce la figura umana, morale e politica del protagonista. Si è cercato così di avvicinare fra loro dei passi magari cronologicamente distanti, ma che riguardano argomenti e considerazioni che erano evidentemente vicini alla mente ed al cuore di Mario Granbassi.
I primi contatti con la Spagna distrutta dalla guerra avvengono già durante il viaggio di trasferimento da Cadice a Teruel: sono scene di totale distruzione, di morti e di feriti, che fanno passare in secondo piano sia l'atteso debutto in guerra, sia la volontà di combattere:
...me ne ha distolto la vista dei treni ospedale carichi di feriti, dei treni di prigionieri e poi, da Teruel in avanti, la visione dei paesi distrutti, delle opere in rovina, dei camminamenti e delle trincee abbandonate. Tali immagini mi hanno tolto ogni emozione in questo mio debutto di guerra: serenità inattesa e impreveduta? Alle volte mi pare quasi uno stato di incoscienza alimentato dall'entusiasmo. Solo il ricordo e il pensiero di Fernanda e dei miei cari hanno il potere di richiamarmi alla realtà.
A Teruel si continuano a susseguire immagini di distruzione:
Non c'è una sola casa che non sia ferita. Strade riparate alla meglio, mucchi di macerie ovunque. In qualche parte, più che la guerra, pare sia passato il terremoto: interi quartieri ridotti a un ammasso di rovine. Qualche autocarro militare, qualche soldato. Nessun altro segno di vita. Mi ricorda una pellicola sulla distruzione di Gorizia, vista al Rossetti da ragazzo durante la guerra.
(...) Diamo un'occhiata alla Plaza de Toros: dalla strada principale si vede, attraverso l'arco grandioso di un ponte, stroncato a metà, il panorama del centro cittadino e della cattedrale ferita. Intorno, alla periferia, molte ciminiere, quasi tutte crollate. Dev'essere stata una bella città, industre e ridente, questa "martire" della guerra di Spagna
Ma forse ancora più toccanti e significative sono le parole che descrivono il ferimento o la morte di qualche compagno:
un soldato era steso a terra vicino alla feritoia della mitragliatrice. Gli avevano già strappato la camicia e stavano fasciandolo alla meglio. Il sangue gli usciva a fiotti da una ferita alta al petto. Aveva gli occhi voltati e più che un gemito, quasi un rantolo gli usciva dalla gola. Non si è potuto salvare. E' spirato alle 16 alla Sezione di Sanità. Mi ha fatto impressione. Forse più che impressione, tristezza. Tristezza della morte così, dietro una feritoia, senza l'ebbrezza e la fierezza del combattimento, per una pallottola traditrice. Quando ho visto quegli occhi già spenti che guardavano senza più vedere eppure pareva cercassero uno sguardo conosciuto, uno sguardo caro di mamma o di sposa, mi ha preso una profonda malinconia. Anche questa volta forse ho pensato a me.
Già da queste parole si può capire quale sia il suo atteggiamento nei confronti della morte, soprattutto di quella morte triste, senza la fierezza del combattimento, quasi ironica...
Non è preferibile la bella morte? L'idea della sofferenza, della menomazione, della morte non mi fanno e forse non mi hanno mai fatto paura. Ora meno che mai. Ma quando penso a mia madre che non sopravviverebbe a questa nuova ferita; a Fernanda (le lettere, i pensieri, i sentimenti di questi mesi!...) che finirebbe di vivere e cui forse neanche la missione di mamma, che pure è tanto profonda in lei, riuscirebbe a consolare; i miei piccoli che crescerebbero con la tristezza dell'orfananza (Gianfranco non mi ha quasi conosciuto); ai miei fratelli che sento tanto legati a me; il mio cuore e il mio spirito si ribellano; e sale più fervida la mia preghiera a Dio; e penso che sono un egoista a non temere la morte solo perché non fa paura a me!
Per Granbassi forse, il sentimento più amaro che accompagna l'idea della morte è quello della solitudine:
Nel reparto Frecce nomi italiani e spagnoli. Ogni tanto la dicitura ignoto. Mi fermo davanti a una croce: sottotenente...(non ricordo il nome). Un mucchio di terra, una croce dalla quale il nome potrà scomparire. A migliaia di chilometri dalla Patria e dai suoi cari. Nessuno forse si fermerà mai davanti a questa croce, proprio per questa croce e per questo nome. Forse la mamma e i fratelli o la sposa non potranno venire fin qui. O se verranno, non riusciranno a trovare più questa croce. Povero sottotenente, quanta solitudine, quanta tristezza, quanta lontananza. Ho avuto un momento di profonda malinconia e di stringimento al cuore. Forse pensavo a me...
In altri scrittori franchisti o fascisti, la morte o la distruzione sono sempre collegate ai "rossi" ed alle loro azioni: qui invece é descritta solo la morte, senza alcun attributo, senza alcun campo di appartenenza: l'attenzione é concentrata su conseguenze, sofferenza, lutti e dolori, non importa di che colore.
Ma la guerra non è solo morte: per il combattente è soprattutto azione e prima linea: ed è questa la guerra che Granbassi è venuto a combattere. L'ansia e l'attesa del soldato trovano così impatto nel primo bombardamento:
"Stasera alle 19,45 bombardamento arrabbiato dei rossi contro il nostro caposaldo. Una ventina di colpi aggiustati per bene. Una bella scheggia nella mia tenda. Per la prima volta l'ho sentita da vicino questa brutta signora... Erano tutti nervosi e...un po' sbiancati, anche i vecchi combattenti provati. E' il fenomeno nervoso - mi hanno detto - che si prova sempre: l'ansia di non sapere dove arriva il prossimo colpo. Baldovino e il capitano mi hanno detto che la faccia bianca ce l'avevo anch'io. Ma ho continuato - non volutamente ma naturalmente - a fare lo strafottente e a scherzare finché é terminata la musica. Meglio così. Come battesimo grosso ne sono soddisfatto".
Le emozioni sono ancora più intense quando Granbassi riceve il primo ordine d'azione, e in questa occasione compare in lui il conflitto tra il senso del dovere e l'amore familiare:
"Domani notte. Trenta uomini volontari, audaci. Quando cala la luna -diceva l'ordine- andate là, su quello sperone avanzato. Se c'è qualcuno fate una buona scarica di bombe a mano. Noi di qua vi accompagnamo con un po' di artiglieria e mitragliatrici. E se il colpo va bene tenete la posizione, mi mandate un portaordini e io mando una compagnia a sistemarsi laggiù. Va bene ?"
Altro che articolo! Così va bene! E' quello che ci voleva, così gli articoli potrò farli con cognizione di causa. Il mio primo pensiero al ricevere l'ordine? I miei cari. Fernanda, i miei piccoli, mamma, i miei fratelli.
Ma nonostante l'apprensione per i propri cari, Granbassi é in Spagna per combattere; ecco perché lo infastidisce che il suo reparto non sia in prima linea:
O in prima linea o a Saragozza, a riposare sul serio, a lavarsi un po' e a lavorare per il giornale. Ma qui, a mezza strada, su questa pietraia piena di sporco e di resti di ogni sorta degli accampamenti che ci hanno preceduti, é demoralizzante. Ufficiali e truppa fanno di tutto per tirare la fiacca. A pochi chilometri da noi cantano i cannoni, le mitragliatrici e le bombe a mano, di giorno e di notte. E io sono qui a...riposo, senza poter riposare e senza poter scrivere due righe. Per poter fare una lettera a casa devo imboscarmi nelle ore di libertà, oltre la quota, nei ricoveri abbandonati dai rossi.
Finalmente, con il mese di novembre, il reggimento cambia posizione, raggiungendo il settore Toras-Bejis:
Vent'anni da Vittorio Veneto. Abbiamo celebrato l'annuale tornando in prima linea: assai meglio che sfilando in piazza con decorazioni. Sento tutta la gioia e la fierezza di questo privilegio.
Decorazioni e medaglie: argomento dedicato e controverso. Granbassi ne parla con molta semplicità e franchezza, e non senza spunti critici:
In questi giorni gran lavoro di fureria per le proposte di ricompense al valore sul campo per l'azione del 19 luglio, alla quale -per pochi giorni di differenza- non ho partecipato. Parecchie proposte di medaglie di argento e di bronzo. Qualche promozione. Molti malumori, gelosie, maldicenze. Brutto argomento questo delle ricompense, da quando guerra è guerra, credo. Benedetti i giapponesi, per i quali l'unica medaglia è la soddisfazione di aver compiuto il proprio dovere.
E non manca il commento ironico:
Massime di guerra: le medaglie al valore sono come le bombe d'aeroplano: cadono nelle retrovie e colpiscono gli innocenti
Così ne parla Granbassi, senza ipocrisia, anche quando la questione riguarda se stesso, precisamente in occasione di quel primo ordine d'azione ricevuto, cui noi abbiamo già accennato in precedenza:
Ho pensato anche al bronzino. E' male? Oppure sono io che qui ho troppi scrupoli con la mia coscienza? Tra poco sentirò parlarmi all'orecchio della promessa di una medaglia di argento e della licenza a Saragozza. Anche quelli che faranno il tiro d'accompagnamento si ripromettono per questo colpo di mano la medaglia di bronzo. Testuale!
Dal diario emergono dunque molte notazioni interessanti riguardo alla vita militare; ma un fatto ci è sembrato particolarmente degno di nota, e precisamente quello della stretta collaborazione tra soldati italiani e spagnoli nei medesimi reparti. A noi potrebbe sembrare un fatto normale, oggi che l'O.N.U. e la NATO ci hanno abituato alla collaborazione di contingenti militari di nazionalità diverse, nonché di diverso colore. Per quell'epoca invece era un fatto abbastanza inconsueto.
Il caso porta Granbassi in una grande unità, e precisamente nella "Brigata Mista Frecce Azzurre", in cui spagnoli e italiani combattono gomito a gomito fino nei più piccoli reparti, cioè il plotone e la squadra.
All' esercito franchista mancano i "quadri", cioè gli ufficiali, che mentre la guerra civile prosegue vengono formati dall'Accademia Militare. Perciò nelle unità miste gli ufficiali generali, colonnelli, maggiori e capitani sono soltanto italiani; i tenenti, i sottufficiali e i soldati sono italiani e spagnoli, e tra i soldati gli spagnoli sono preponderanti. Come si può facilmente immaginare è una situazione difficile da gestire, anche dal punto di vista psicologico.
Nel diario il primo episodio di "convivenza" è sul treno militare che porta da Saragozza a Teruel, tra gli altri, anche il gruppo di ufficiali partito da Civitavecchia:
Si va a lumi spenti. Cantiamo e fumiamo con i soldati italiani e spagnoli che tornano al fronte; li ho chiamati ad adunata per fraternizzare un po': canzoni italo-spagnole, canti alpini.
Le prime istruzioni vengono date all'arrivo al reparto:
Ieri alle 17 rapporto del comandante di Battaglione agli ufficiali italiani, particolarmente delicato ai nuovi arrivati : le solite raccomandazioni e delucidazioni sul carattere degli spagnoli, sulle abitudini, sul modo del combattimento.
Ed ecco come Granbassi descrive la figura dell' "attendente" spagnolo del suo collega Valentini:
Quando qualcuno non gli va a genio, lo qualifica "mucho porco". Ce l'ha in particolare con i sergenti che "fanno lavativi tutto iorno e cobrano quinienta cuarenta y tres". Dice che si sente più italiano che spagnolo. E' vecchio falangista, ma quando gli domandiamo chi è il suo capo, mostra il ritratto del Duce. "Perché è più bravo e fa più presto!..." Dice a Valentini: "mi teniente, scriva usted a Mussolini che venga aqui a dar una grande "cagada" a los rojos, che si no no se termina nunca". "Cagada" per lui è bombardamento, attacco, sconfitta, disfatta.
La convivenza italo-spagnola e la lotta di contrapposizione ideologica tra i due fronti danno origine a degli episodi paradossali, che a noi sono apparsi come dei "comizi politici" fatti tra le due trincee opposte, se non addirittura come dei colloqui tra nemici; un cappellano spagnolo si pianta al parapetto e chiama a gran voce:
Ascoltate, republicanos! Voglio parlare con voi poiché il mio comandante me ne ha dato il permesso. Se c'è il vostro commissario politico ditegli che venga a rispondermi. Non tirate che noi non tireremo. Mi ascoltate? Risponde qualche poco convinto "sì, parla!" dalla trincea nemica.
Quando il cappellano contesta le diffamazioni pronunciate il giorno prima dal commissario politico,
una raffica di mitraglia arriva diretta al parapetto. Il cappellano fa appena in tempo a buttarsi a terra. Poi si rialza e grida: "Oye, que no vale! No tirar: no hay derecho!" Riprende a parlare. Parla dell'idealità dei combattenti nazionali, della nuova Spagna che deve sorgere, dell'amicizia dell'Italia. "Noi di questa amicizia e dell'aiuto che ci viene dai combattenti e dalla nazione Fascista siamo fieri e non ne facciamo mistero. Combattiamo tutti per una causa di civiltà e di patriottismo. Con noi ci sono i combattenti italiani..." A questo punto, poiché la nostra presenza è ... svelata (altre volte mi avevano detto che era meglio non svelarci per un riguardo ai camerati spagnoli), non posso trattenermi dal prendermi una soddisfazione. Mi alzo e grido verso la trincea rossa con quanto fiato ho nei polmoni: "Evviva il Duce!" Era un desiderio che tenevo da tanto tempo in petto. Quasi un voto.
L'emozione dunque strappa a Granbassi questo grido, segno di una fiducia illimitata e di orgoglio nazionale:
La sento tanto profondamente come una guerra fascista questa che sono venuto a combattere, sacrificando i miei affetti più cari e abbandonando il mio posto di lavoro! Gridare il nome del Duce, in faccia a questa trincea comunista, in questa notte di guerra, tanto lontano dalla Patria, è per me una soddisfazione che mi dà un'emozione profonda. Con quanto maggior diritto, con quanto orgoglio e fierezza, potrò gridarlo ora il nome del Duce, nelle piazze d'Italia se il destino mi farà tornare al miei dopo aver compiuto anche con le armi il mio dovere di fascista. Un "evviva" dei nostri soldati ha risposto al mio grido. (...) In breve tutta la nostra linea canta a gran voce. Dall'altra parte, per non essere da meno, i rossi intonano il loro inno. Cantano ufficiali, sentinelle e mitraglieri... Le armi tacciono. La notte è piena di stelle. Siamo proprio in guerra?
Avvengono in una guerra civile anche piccoli armistizi "privati":
Iersera da qui si erano messi d'accordo nei colloqui serali con i rossi, per incontrarsi oggi nella "vaguada". Infatti alle 15 sulla loro posizione, però poco fuori dalle trincee, un gruppetto di miliziani ha fatto il segnale convenuto sventolando un fazzoletto bianco. Dalla nostra trincea sono scesi due sergenti e un legionario -spagnoli- in maniche di camicia per non far vedere i galloni: quattro bombe in tasca per ciascuno, giornali nostri e una bottiglia di anice. I rossi erano quattro, il commissario politico e tre miliziani. Li abbiamo visti incontrarsi presso un oliveto. Si son messi a sedere tranquillamente; ma dalle nostre e dalle loro trincee uomini ed armi vigilavano. Si sono scambiati liquori, giornali, idee e indirizzi paesani. Sono rimasti là più di un'ora. Quando sono tornati, sulla nostra trincea c'era un assembramento di uomini allo scoperto, per vedere i giornali, per sapere cosa avevan detto: è arrivata una...cavalleresca raffica a farci buttare nel camminamento. Dalla loro parte al rientro dei miliziani erano usciti come le formiche da ogni intorno, con la stessa curiosità. Ma noi non abbiamo tirato un colpo.
Qualche armistizio però può finire tragicamente:
Il "medicuccio" spagnolo mi ha raccontato che su un altro fronte i rossi hanno mandato una volta ad incontrarsi coi nostri alcuni miliziani in odore di antimarxismo e quando il gruppo è stato riunito hanno falciato tutti proditoriamente -rossi e nazionali- con alcune raffiche di mitragliatrice.
Ma non c'è odio verso il nemico e qualche volta sembra prevalere un'umana comprensione:
Oggi nel pomeriggio ho passato un'oretta all'osservatorio avanzato di artiglieria. E' un gusto osservare le posizioni nemiche con il potente "anteojos" a periscopio. Si vede ogni particolare delle loro trincee e dei centri di fuoco, si distingue il fuoco di ogni "chavola", si vedono passeggiare e lavorare nei camminamenti e per i sentieri. Si vive la loro vita che è tanto simile alla nostra.
Ma se questo è un modo per vedere e conoscere la vita del nemico, c'è un mezzo forse meno "tecnico" ma comunque molto efficace, per scoprire addirittura i suoi segreti militari:
Boldetti mi ha confidato stasera che si aspetta un attacco rosso per il trentuno ottobre. "Radiomarmitta" comunica che due disertori rossi hanno assicurato che se l'attacco non riesce, i reparti sono decisi a piantare bandiera bianca su Morredondo e sulla "Caponiera". "Radiomarmitta" è il "si dice" dei fanti: le notizie riferite dai cucinieri quando portano in linea dai "centri arretrati ben informati" le marmitte con il rancio...
Abbiamo riportato per esteso, in precedenza, l'episodio del "colloquio" tra il cappellano militare spagnolo e il commissario politico in trincea. Ma di fatti analoghi ne accadono diversi, e da uno di questi il giornalista ricava poi l'articolo "Intervista dal parapetto"; ma in quali condizioni lo scrive?
Il servizio al caposaldo è stato intensivo: prima lavoro per rinforzare i reticolati con una squadra di artiglieri presi a prestito, poi i soliti giri di ispezione fino alla mezzanotte (un sorgere di luna dai monti di Sagunto, indimenticabile). Tre ore di sonno, in tenda con Pantoja e l'alferez De Arriba. Poi mi son messo, a lume di candela, nel "grottino", e tra una "vuolta" e l'altra ho ripreso l'articolo "Intervista dal parapetto". Prima dell'albeggiare ultimo giro per controllare il ritiro delle vedette ai reticolati. Solito sparacchiamento mattutino alle prime luci del giorno e richiamo dalle trincee. Arrivano le marmitte del caffè. Sveglia, lavaggi, canti, vociare. Addio quiete! Sono presto le otto. Notte quasi bianca, ma ho finito l'articolo. Mi ricordo -un po' differenti, eh?- le mie notti bianche di Trieste, a tavolino o a macchina, in redazione, in via Sette Fontane per il "Mastro Remo", in via Fabio Severo, nello studio con le vetrate aperte al sorger del sole sul Carso e sul verde di Cologna... Mi chiamano dalla tenda. Stanno prendendo il caffè. Vogliono sentire l'articolo. Lettura. Coro di approvazioni. -Està muy bien- afferma Pantoja -Ostrega, che l'è proprio cussì par de vèder e de sentir el commissario politico, le bombe... E tuto un po'...- conferma il sergente padovano, che ha sulla groppa venti mesi di Spagna. Ne sono soddisfatto anch'io. Forse perché l'ho scritto di getto. Vedremo al limarlo e al ricopiarlo, domani.
L' articolo, intitolato dunque "Intervista dal parapetto", appare poi il 29 settembre su "Il Piccolo" di Trieste.
Come vediamo, Granbassi invia numerosi articoli al suo giornale, ma senza mai abbandonare il posto di combattente. Ecco come era stata svelata la sua professione di giornalista al momento dell' arrivo in linea, in un torrido pomeriggio di agosto, al "Comando Brigata Mista Frecce Azzurre":
Presentazioni. (...) Il generale ci intrattiene affabilmente, ci fa brevemente la storia della Brigata e delle abitudini: reparti provatissimi in tutte le operazioni e sacrificati, un albo glorioso e sanguinoso di Caduti e feriti italiani e spagnoli; mai a riposo; e un po' troppo silenzio da parte della stampa sul loro eroico contributo alla guerra. Interviene il capitano Trevisan e mi svela. Il generale appare vivamente interessato. Conosce bene Trieste. -Sta bene- mi dice -al momento opportuno vi metterò in linea anche con la penna. Io protesto: -Ai vostri ordini, signor Generale, ma io sono venuto qui per combattere.
Alcuni giorni dopo, a sole due settimane dal suo arrivo in prima linea, Granbassi annota nel diario:
Bisognerà preparare qualche cosa per i giornali. Me ne ha richiesto di nuovo anche il Comandante del Reggimento. Mi sono interessato per avere delle foto. Si dice che il dieci avremo il cambio e si andrà a riposo. Allora potrò mettermi al lavoro. Ho già tutto pronto in testa. Ma dover scrivere senza aver partecipato ad un'azione sul serio? Sono da due settimane in linea, ma questi battesimi a distanza sono troppo poco per avere diritto di scrivere.
(...) Devo proprio riprenderlo il "mestieraccio" anche qui, mio malgrado? "Mio malgrado"? In fondo ne ho una gran voglia, anche se cerco di convincermi del contrario.
Talvolta lo stile degli articoli inviati al giornale è diverso da quello del diario: ciò che è destinato alla pubblicazione infatti, può risentire di quel modo di esprimersi tipico dell'epoca, definito appunto "retorica fascista". Ma, se obiettivamente il tono può essere ritenuto più altisonante, credo non lo si possa -almeno in questi casi- considerare retorico, in quanto sincero, sentito e personalmente vissuto.
Per sottolineare maggiormente differenze e somiglianze tra i due stili, quello personale e quello destinato al grande pubblico, vi proponiamo un episodio descritto sia nel diario, che in un articolo di giornale: l'incontro con la medaglia d'oro Aldo Vidussoni.
Nel diario Granbassi scrive:
Al Comando conosco un altro triestino, di eccezione: la Medaglia d'Oro di Santander Aldo Vidussoni, mutilato di un occhio e della mano destra e tornato qui dopo la licenza in Italia. Ha ventiquattro anni. Che meraviglioso e modesto ragazzo. Resto per un'ora a parlare con lui e raccolgo il materiale per un articolo. In Italia e nella stessa Trieste non si conosce nemmeno il suo nome!
L'articolo, intitolato: "Sul fronte di Valencia - nella tenda triestina con una nostra medaglia d'oro" appare su "Il Piccolo" del 27 settembre '38:
In due anni di guerra sui fronti di Spagna l'albo italiano della gloria si è coperto di cento e cento nomi, umili ed eroici. Quando si scriverà la storia del nostro contributo di sangue a questa decisiva crociata antibolscevica, ogni pagina sarà segnata da un episodio di valore e di sacrificio. Non vi è reparto -per quanto modesto- che non abbia i suoi fieri ricordi. Negli attendamenti e nelle trincee voi incontrate oggi, dopo venti mesi di guerra combattuta, il legionario pronto, con lo stesso entusiasmo della prima ora, allo slancio finale verso la vittoria. Sulla sahariana, in prima linea, non si portano nastrini. Ma un occhio spento, una cicatrice, un bastone che aiuta una gamba inferma, vi rivelano l' assaltatore d'Estremadura, il mutilato di Santander, il superdecorato dell'Ebro. Quattro o cinque ferite in azioni diverse, altrettante medaglie al valore. La rivelazione può venire da un vecchio maggiore reduce del Carso o dell'Africa, un sottotenente appena maggiorenne o un modesto caporale, che si è guadagnato i galloni di sergente per merito di guerra.
In fatto di rivelazioni la più bella -quella che ora vi racconto- è di marca triestina. (...) Fra gli amici triestini ce n'è uno che non conosco: Aldo Vidussoni. Un giovane bruno, nervoso, che parla poco. E' sottocapomanipolo. Quando ci siamo presentati, mi ha teso la sinistra. Ora mi accorgo che tiene la destra costantemente in tasca. C'è -osservandolo meglio- anche un occhio che guarda con una strana fissità. La mia curiosità è presto appagata: Aldo Vidussoni, mutilato di una mano e di un occhio alla battaglia di Santander, è quindi con Stuparich e Guido Slataper -il terzo triestino vivente decorato di medaglia d'oro. Arrossisco della mia ignoranza. Ma quanti dovrebbero arrossire con me?
In questo stesso articolo c'è un forte richiamo, quasi nostalgico, alla propria città:
(...) il comandante mi concede una passeggiata verso il comando d'Artiglieria delle Frecce Azzure. Ho sentito odore di Trieste. Il sole infuoca le pietre e gli arbusti dell'altopiano valenciano. La passeggiata mi ricorda il nostro Carso.
Anche nel diario i richiami a Trieste e all'Istria sono numerosi e sinceramente sentiti:
uno spettacolo che mi ha dato una commozione profonda: iersera, dal caposaldo 15 mi si è svelata all'improvviso e inaspettata la visione del mare: una ampia fascia di azzurro intenso, dietro alla linea dei monti. E' il mare di Sagunto. Non lo vedevo da più di due mesi e non pensavo quasi di esserci tanto vicino. Di là da questo mare c'è l'Italia, ci sono i miei cari! Ho sentito il cuore battermi forte forte. Avevo un nodo alla gola.
In un altro punto Granbassi ci racconta un simpatico episodio , in cui il protagonista è sempre il mare:
Ho aspettato il sorger del sole e ho fatto vedere a Juanito la linea del mare all'orizzonte. Non ha mai visto il mare e quando glie ne parlo mi ascolta quasi incredulo. Mi dà sempre una gran commozione vedere il mare, sia pur così da lontano, e una malinconica nostalgia... Mi pare un nastro ideale che mi leghi ai miei cari.
Ma il legame può esser dato anche da una semplice radio:
Al Comando di Raggruppamento , in una casetta bianca e pulita che mi pare una villetta dopo le stamberghe di Monleon, mi aspetta un'emozione dolcissima: c'è un apparecchio radio alimentato con condensatori d'auto. Una voce che mi pare tanto cara e gentile, perché è la voce d'Italia. Forse la mia Fernanda e la mia Cici stanno ascoltando in questo momento questa stessa voce e questa stessa musica e il mio Gianfranchino le fa ridere con i suoi balletti davanti all'apparecchio...
Quello della famiglia dunque appare il pensiero più presente nella mente e nel cuore di Granbassi; ogni cosa, ogni episodio viene ed essa collegato, a volte con gioia ed orgoglio, altre con malinconica nostalgia. La costante della famiglia si accompagna e si compenetra con insistenza al senso del dovere verso la Patria, legato all'idealità fascista. Questi due sentimenti si valorizzano l'un l'altro determinando così la personalità di Mario Granbassi.
Credo che l'aspirazione di riuscire nelle cose militari sia da qualche anno a questa parte l'unica mia ambizione dopo quella di papà felice.
I sentimenti più forti sono forse contenuti in questi tre brani, relativi a situazioni molto diverse e staccate nel tempo, eppure così vicine per le emozioni che suscitano: una lettera ricevuta da casa, un attacco improvviso, un sereno esame di coscienza.
Iersera ho ricevuto, con una lettera un po' affrettata di Fernanda (è di nuovo sola con i bambini), una letterina della Cici. La deve aver scritta con "zio Guido": "torna presto, papaci..." Ho sentito il bisogno di restare un po' solo, sotto le stelle, a pensare ai miei cari. Le parole della mia Cici mi hanno commosso fino alle lagrime (ogni tanto fa bene) e mi hanno fatto vedere sotto un altro aspetto il mio prossimo ritorno in prima linea... Piccoli miei, Fernanda mia, povera mamma, come ho potuto lasciarvi? Ma la fede è più viva che mai!
Improvvisamente alle 5 di notte lo scoppio vicinissimo di una bomba. Altre subito dietro. E' una musica infernale. Balzo in piedi. Il parapetto della trincea è tutto un incendio. Vampate luminosissime accompagnano gli scoppi illuminando le sagome dei soldati intabarrati. Sono bombe nostre o lanciate dai rossi? La mia impressione immediata è di essere di fronte ad un attacco o ad un colpo di mano. Penso che abbiano raggiunto già il parapetto. -Ci siamo!- grido a Baldovino. E mi getto con lui verso il parapetto con una bomba in mano. Il mio pensiero ha il tempo di rivolgersi a Dio e ai miei cari che vedo tutti come sospesi, in ispirito, sopra di me. E' la prima prova e forse è la decisiva -penso.
Penso tante volte al giorno del mio ritorno: il progettato "viaggetto" con Fernanda e poi qualche settimana di pace e di riposo con i miei più cari. Vorrei riprendere la mia vita ed il mio lavoro senza che nessuno s' accorgesse della parentesi. Ho fatto degli esami di coscienza profondi e sono ormai sicuro di non mentire a me stesso: l'intima soddisfazione di aver compiuto duramente questo mio dovere è una ricompensa che supera ogni altra. La pace del mio nido e l'affetto dei miei cari saranno il coronamento e il premio più bello. Non ho cercato e non cercherò altro: non ne avevo bisogno. Certo più d'uno penserà di vedermi tornare con arie e pretese: come si ingannano! La mia coscienza mi ripete: Qui non sei venuto a cercare nulla che non sia ideale, perché di altro non avevi bisogno! Quello che hai avuto, te lo sei guadagnato sempre col tuo lavoro e con la tua fede!
Le ultime pagine di questo diario riguardano le giornate sul fronte della Catalogna; pur essendo meno ricche di dettagli e di impressioni, sono molto espressive e riescono a rendere l'idea del rapido e imprevedibile movimento militare di quei giorni, ormai verso la conclusione del conflitto.
martedì 20 dicembre 1938
In vista della prossima azione sull'Ebro, avevo chiesto al Comandante di Battaglione di affidarmi il comando del plotone esploratori. La sua proposta è stata accolta dal Comando di Reggimento, che l'ha notificata nel suo ordine del giorno del 14 corrente. Stamattina alla 10 sono stato presentato al plotone esploratori e ne ho assunto il comando.
mercoledì 21 dicembre
Ho ricevuto una lunga lettera di Fernanda. Quello che mi dice in ogni sua dei nostri cari cicioni è detto con tanta verità da trasportarmi proprio in mezzo a loro (ora mi aiutano anche le ultime fotografie). Qualche volta ripeto ad alta voce le uscite di Gian e della Cici, cercando di imitare le loro vocette per aver l'illusione di sentirmeli vicini, cari i miei piccoli d'oro. Quanto pagherei, per sentire solo per un istante le loro braccine intorno al collo dopo tanto tempo! Ma il mio cuore attende e spera con tanta fiducia...
giovedì 22 dicembre
Stamane è arrivato l'ordine per il trasferimento e si iniziano subito i preparativi. Io credevo ormai di passare il Natale qui, ma invece il tempo s'è rimesso e pare si incominci: meglio così: torneremo più presto a casa. Noi andiamo a Fraga e più precisamente dietro ad Aytona. Punteremo su Tarragona. Saremo, purtroppo, nientemeno che di terza schiera. domenica 25 dicembre
Natale di guerra. Stiamo...correndo dal giorno 23 dietro ai rossi verso Tarragona. Abbiamo passato il Segre ad Aytona ieri notte. Morale altissimo. martedì 27 dicembre
Tutto benissimo.
mercoledì 28 dicembre Sempre bene, anzi sempre meglio.
giovedì 29 dicembre
Mi è impossibile ricostruire il diario di questi giorni. Giornate magnifiche! Lunedì è stata per noi la prima giornata di contatto con il nemico, al km. 17 della "carretera" Sudanell-Sarroca, dove il nostro battaglione doveva prendere posizione. Nel suo rapporto scritto sull'azione, il colonnello ha segnalato il "brillante comportamento" mio e del plotone esploratori. Sono contento. Oggi il battaglione è fermo un po' indietro per scavlcamento. L'avanzata procede molto bene. Non ho trovato ancora il tempo di scrivere due appunti per il giornale: spero oggi. venerdì 30 dicembre
Siccome siamo fermi da due giorni, ho fatto un salto a Sarroca per impostare i due primi articoli per il "Piccolo", diretti alla redazione di Roma. Il tempo è ottimo. Il resto pure. Quando ci rimuoveremo, andremo probabilmente verso Alcanò e oltre.
domenica 1° gennaio 1939-XVII
Un sole meraviglioso rallegra stamane il sorgere dell'anno nuovo in un paesaggio di ulivi che mi ricorda la parte più bella della mia Istria.
Ed è venuto anche a rallegrarmi e a rendermi meno dura la lontananza il ghiotto pacco di Fernanda. Proprio stamane mi sono giunti anche i calendarietti... che hanno ottenuto un grande successo. Un augurio mi sale dal cuore: di poter riabbracciare al più presto i miei cari e di rivivere con loro questi sei mesi meravigliosi, che sono stati i più avventurosi e i più dinamici della mia vita.
lunedì 2 gennaio
Oltre Cogull."Battaglione corri e stroppa, piglia e corri a stroppare da un'altra parte" siamo in corsa continua da una parte all'altra del fronte. Oggi abbiamo fatto un bagno di italianità dando il cambio all'eroica "Littorio".
martedì 3 gennaio Monte Fosca.
Qui si interrompe il diario.
Appendice #1
Nel 1940 vennero decretate alla memoria di Mario Granbassi le due massime ricompense al valore militare dallo Stato italiano e da quello spagnolo. Questa la motivazione della medaglia d'oro italiana:
"Comandante del plotone arditi di battaglione, si lanciava audacemente contro una munitissima posizione nemica che, con nutrito fuoco, causava forti perdite al suo battaglione, riuscendo, dopo aspro combattimento a corpo a corpo, a scacciarne l'avversario. Ferito, si faceva medicare sommariamente. Ripreso il comando dei suoi arditi, si gettava ancora, con suprema audacia, nella lotta finché, investito da una raffica di mitragliatrice, cadeva colpito a morte. Prima di spirare inneggiava all'Italia, incitando i suoi uomini a continuare la lotta e a non preoccuparsi della sua persona."
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, per una felice iniziativa di un ambasciatore d'Italia a Madrid, nel tempio ossario di Saragozza (che era stato a suo tempo donato da Franco a Mussolini) vennero raccolte le salme dei volontari italiani caduti, sia di parte franchista che di parte repubblicana; a somiglianza, crediamo, di quanto la Spagna aveva fatto nella Valle de los Caidos.
Avviandoci alla conclusione, facciamo notare che il diario di Mario Granbassi, dopo quasi sessant'anni, viene ora per la prima volta fatto conoscere in pubblico, con l'intento di fare una ricerca storica.
La presentazione di un documento come questo non dev'essere dunque considerata l'esaltazione di una singola persona o di una determinata parte politica.
Essa è piuttosto l'intenzione di dar voce a tutti coloro che hanno offerto, o addirittura sacrificato, la propria vita con la stessa onestà e profonda convinzione di Granbassi: molte persone infatti, sia da una parte che dall'altra, hanno -secondo noi- vissuto stati d'animo e vicende simili, ma non avendone lasciata testimonianza diretta, sarebbero rimasti "senza voce" in questo capitolo della storia.
Bibiliografia
Ringraziamento
Si ringrazia il dottor Guido Granbassi, fratello di Mario, per le preziose testimonianze.
Appendice #2
La decorazione al valor militare di Mario Granbassi è stata coinvolta, al pari di altre, conferite a combattenti di parte franchista, in una strana vicenda.
Da un servizio pubblicato su "Il Piccolo" dell'11 novembre 1991 risulta che nell' immediato dopoguerra, e precisamente nell' agosto 1945, l' allora ministro della giustizia Palmiro Togliatti aveva decretato la "degradazione" degli appartenenti alla milizia fascista. A trentadue caduti venne ritirata la medaglia.
Il provvedimento però fu applicato soltanto in campo amministrativo: le medaglie d'oro furono cancellate sulla carta, ma rimasero intatte sulle tombe del mausoleo di Saragozza le relative indicazioni.
Tuttavia la burocrazia era in agguato: nel 1982, dopo 37 anni, qualcuno al Ministero della Difesa si accorse che il decreto del '45 non era stato applicato al sacrario di Saragozza. Un maresciallo dell'esercito fu mandato, in via riservata, a Saragozza per completare l'applicazione del decreto, in quel mausoleo dove ormai riposavano insieme i caduti italiani, di parte franchista e di parte repubblicana.
Le associazioni d'arma protestarono, ma nessuno in Italia prestò loro ascolto. Nel novembre del 1991 due ex-combattenti ottantenni decorati al valor militare decisero di rendere giustizia ai loro commilitoni ripristinando nel mausoleo di Saragozza le targhe affisse ai loculi. Non è stato un atto ufficiale, ma i vertici del Ministero della Difesa erano informati e non hanno frapposto ostacoli.
Secondo noi, il conferimento delle decorazioni di guerra dovrebbe avere sempre un valore simbolico, visto che premia alcuni combattenti in riconoscimento di tutti quelli che si sono sacrificati: tutti, compresi i moltissimi ignoti.