MINICORSO EQUIPMENT

(a cura dell'Istructor Trainer IDEA Europe N° 1152-I Nicola Colangiuli)

Quello che stai per leggere non è un vero e proprio corso Equipment, la sua struttura infatti è più vicina ad una raccolta di appunti frutto della mia esperienza diretta. Noterai che ogni elemento dell'equipaggiamento è stato trattato in maniera facile e diretta, inoltre ho inserito alcuni riferimenti e date in modo da rendere possibile un confronto fra il pionieristico equipaggiamento di ieri e quello ultratecnologico odierno, in modo da permetterti di comprendere che anche le più avanzate attrezzature tra qualche tempo saranno considerate alla stessa stregua.

Perchè un minicorso Equipment:

La nostra attrezzatura subacquea è soggetta durante l'uso ad un logorio e a condizioni di agggressione fisica e chimica. Anche se di ottima qualità e trattata con le dovute attenzioni, necessita sia di manutenzione ordinaria che straordinaria. Il problema è dato dal sapere fin dove puoi spingerti per evitare di danneggiare o peggio di riassemblare in modo errato qualche componente. Scopo di questo minicorso è quindi quello di spiegarti il funzionamento, le caratteristiche di ogni attrezzatura e come eseguire una corretta manutenzione operando in prima persona, in funzione della tua competenza ed abilità, della disponibilità di attrezzature idonee e delle necessarie parti di ricambio, rimandando ai centri di assistenza specializzati ogni altro tipo d'intervento.

Naturalmente tutto ciò che troverai scritto andrebbe integrato dalla spiegazione di un Istruttore Equipment, perciò se hai dei dubbi  non esitare a contattarmi tramite e-mail

                                      

Principi per la scelta dell'attrezzatura subacquea

 

Quando acquisti un componente del tuo equipaggiamento subacqueo, devi considerare i tre requisiti fondamentali che ogni attrezzatura deve possedere:

- la sicurezza, deve essere costruita in modo che sia funzionale, con ottimi materiali, e  deve essere sicura nell'utilizzo.

- la comodità, attrezzature troppo strette, troppo larghe o scomode da usare producono stress e possono risultare pericolose.

- l'assistenza, ricorda: anche la migliore attrezzatura può necessitare di riparazioni e/o parti di ricambio.

Menù dei vari argomenti

(clicca sull'attrezzatura che  interessa per accedervi direttamente)

Maschera

Snorkel

Pinne

Muta

Guanti e Calzari

Zavorra

Bombole e Rubinetteria

Il Gav

L'erogatore

La strumentazione

Attrezzature Speciali

Accessori

Attrezzature Specifiche

Il computer Subacqueo

L'aro

 

 

 

 

LA MASCHERA

 

La maschera è stato il primo necessario oggetto che ha permesso all’uomo la conoscenza del mondo sottomarino.

La capostipite delle maschere moderne, la famosa “Pinocchio” fece la sua comparsa nel 1954.

Nei cataloghi dell’epoca veniva chiamata monogoggle perchè era il connubio tra la maschera a cristallo unico e gli occhiali binoculari, (il modello più famoso di occhiali subacquei si chiamava Argo ed era prodotto dalla Pirelli).

L’innovazione tecnica era quella di possedere una speciale sagomatura che racchiudeva il naso pur lasciandolo all’esterno, in modo da poter stringere con le dita le narici in caso necessitasse compensare.

 

Oggi tutte le maschere posseggono questa particolarità, ma a quel tempo per maschere si intendeva quella a facciale con cristallo rotondo, il modello più famoso era l’Atlantic ed era dotata di un tubo respiratore munito di valvola incorporata alla maschera in modo da poter respirare dal naso anzichè dalla bocca (che tutti toglievano applicando per chiudere il foro un bel tappo di sughero).

Fortunatamente l’evoluzione della maschera è andata in tutt’altra direzione ed oggi abbiamo a disposizione modelli molto validi sia dal punto tecnico che estetico.

Caratteristiche

 

La maschera è composta dal facciale che deve garantire una perfetta aderenza al viso, dalla parte rigida (carrozzeria) deve essere ergonomica ed avere una elevata resistenza meccanica, dalla testiera (comunemente chiamata cinghiolo) deve essere elastica ed avere le fibbie regolabili e dalla parte ottica (vetro), il mercato offre un’ampia scelta tra maschere ad uno e due vetri; quelle ad un vetro hanno un migliore campo visivo, quelle a due vetri hanno un volume interno più ridotto e possono montare lenti ottiche.

Ma tutto ciò viene già spiegato nei corsi base, quello che forse pochi sanno è che i vetri temperati devono superare duri collaudi prima di essere montati sulle maschere.

La prova più importante è quella di resistenza all’urto, le severe norme ANSI prescrivono che siano sottoposte all’urto di una sfera d’acciaio del diametro di 25 mm lasciata cadere da un’altezza di 127 cm.

Dopo la collisione il vetro deve rimanere integro.

Infine le lenti ottiche devono essere temprate tecnicamente e non chimicamente (quella chimica viene comunemente usata per gli occhiali).

 

 

Tipi

 

Le maschere vengono classificate per volume di aria interno, in maschere a volume ridotto, normale e grande volume d’aria.

Inoltre possono essere monovetro o a più vetri

Nelle maschere a più vetri è possibile montare lenti correttive.

 

 

Materiali

 

 

I materiali che compongono una maschera sono:

vetro per i visori,

metallo o plastica per l’alloggiamento del/dei vetri

mescola siliconica per il corpo della maschera

Scelta

Le maschere a volume ridotto sono studiate in maniera specifica per l’apnea, perchè facilitano la compensazione della maschera durante la discesa; quelle a grande volume sono particolarmente indicate per lo snorkeling perchè hanno un maggiore campo visivo, quelle a volume medio oltre ad essere indicate per l’immersione con l’Ara possono essere utilizzate anche negli altri casi.

Cura e manutenzione

 

La maschera va sempre risciacquata dopo l’uso; inoltre deve sempre essere riposta nel suo contenitore originale o in mancanza in un panno bianco, per proteggerla dagli urti e per preservarne la pigmentazione originale.

Questo perchè il silicone si comporta come una spugna assorbendo i colori e se rimane a contatto con oggetti colorati perde la sua trasparenza.

Le maschere nuove presentano il problema dell’appannamento del / dei vetri, ciò è dovuto alle particelle di silicone che durante la lavorazione ed il montaggio si depositano sul/ sui vetri.

Se la maschera tende ad appannarsi, occorre lavarla in acqua calda e sapone neutro in modo da togliere l’unto che è la causa di questo fastidioso fenomeno, alcuni consigliano di strofinare i vetri col dentifricio.

Se il fenomeno persiste smontare il/i visori e passarli per pochi istanti sulla fiamma di un accendino in modo da bruciare il sottilissimo velo di unto dalle superfici del vetro.

Se nonostante tutto tende ancora ad appannarsi la causa risiede nella cattiva qualità della mescola siliconica con cui è stato realizzato il facciale o nell’uso durante la lavorazione di un eccessiva quantità di solvente, a causa di ciò, la mescola non è perfettamente asciutta e continua a cedere particelle di silicone, le quali migrano depositandosi sui vetri.

Se la maschera viene lasciata per lungo tempo inoperosa questo fenomeno può talvolta ripresentarsi pertanto prima di riutilizzarla agire come se fosse una maschera nuova.

 

Ricambi

 

L’unico ricambio di cui necessita la maschera è la testiera (cinghiolo), in quanto fibbie e visori oltre a essere di non facile reperibilità costerebbero quasi come una maschera nuova.

In commercio si trovano delle testiere in neoprene che rendono più agevole indossare la maschera.

Le pinne

 

 

Dopo la maschera l’attrezzo più importante e che maggiormente identifica il subacqueo sono le pinne.

I primi modelli somigliavano alle pinne caudali dei pesci ed erano rigorosamente in gomma nera o blu; ricordo che il colore comportava una particolarità, quelle nere affondavano, mentre quelle blu galleggiavano.

L’antenata delle moderne pinne fu la “Rondine” della Cressi Sub.

Successivamente sono comparse le pinne a calzata aperta e cinghiolo.

Questo particolare tipo di pinne venivano usate inizialmente solo dai professionisti, in seguito sono state usate da tutti i sub, che ne hanno apprezzato gli innegabili vantaggi.

Le moderne pinne oltre ad essere idrodinamiche, sono strutturate in modo da ottimizzare la spinta utile minimizzando le perdite per resistenza.

In pratica esse permettono di sfruttare nella pinneggiata i muscoli più potenti della gamba e dei glutei ( i quadricipiti), riducendo al minimo lo sforzo dei muscoli addutori in fase di recupero della pinneggiata.

Per ottenere il massimo dell’efficienza da queste pinne occorre effettuare una corretta pinneggiata, essa deve essere ampia e lenta e deve avere come fulcro il bacino e non le ginocchia.

 

Caratteristiche

 

Caratteristica principale delle pinne sono la lunghezza e la rigidità della pala, che determinano la resilienza lo scatto e la potenza.

Una pinna più rigida richiede gambe ben allenate, in compenso ha una spinta maggiore.

Le pinne troppo lunghe sono concepite per l’uso esclusivo degli apneisti.

 

Tipi

 

Le pinne possono essere a scarpetta chiusa o a calzata aperta e cinghiolo.

Con le pinne a scarpetta è possibile usare solo calzari morbidi e privi di suola, comunque la scarpetta deve essere più grande rispetto alla calzata del piede di almeno un paio di numeri .

Le pinne a cinghiolo devono essere abbinate ai calzari con suola rigida.

A differenza delle pinne a scarpetta le pinne aperte non hanno una numerazione progressiva ma vengono fornite in cinque misure:

Strette (S), Regolari (R), Larghe (L), Extralarghe (XL), Extra extralarghe. (XXL)

Materiali

Le moderne pinne si avvalgono di una struttura stratificata di materiali diversificati.

Scarpetta e parte morbida della pala sono realizzati con elastometri morbidi per non creare problemi al piede e per proporre un effetto direzionalizzante.

Vi è poi una parte in materiale duro a cui si devono le caratteristiche di resilienza scatto e potenza.

 

Scelta

Tra i due tipi di pinna , scarpetta/cinghiolo, è meglio optare per quelle a cinghiolo in quanto sono più facili da calzare e permettono l’uso dei calzari con suola rigida.

Quando si acquistano le pinne con cinghiolo, è necessario provarle insieme ai calzari.

Il tallone dei calzari deve sporgere dalla pinna per circa 2-3 cm.

 

Cura e manutenzione

Nel riporre le pinne è importante inserire nella scarpetta le sagomature in plastica che solitamente vengono fornite quando si acquistano le pinne (vengono sempre gettate via alla prima immersione) per evitare che si deformi la scarpetta, inoltre si deve sempre evitare di piegarle.

Ricambi

E’ importante avere un cinghiolo di riserva per le pinne

Lo snorkel

 

L’aeratore o snorkel permette la respirazione durante le soste o gli spostamenti che il subacqueo effettua prima e dopo l’immersione.

L’utilizzo dello snorckel aumenta lo spazio morto aereo, cioè quella quantità di aria che non partecipa agli scambi polmonari.

Per questa ragione è necessario che esso risponda a determinate caratteristiche, in modo da avere un giusto compromesso tra la miglior ventilazione ed il minor spazio morto aggiunto.

 

 

 

Caratteristiche

 

I moderni aeratori risultano più ergonomici e pratici dei loro predecessori in gomma e plastica rigida.

Caratteristica importante che ogni aeratore deve possedere è il diametro interno del tubo (25-28 mm) e la lunghezza (30cm.).

Tubi troppo stretti o troppo lunghi non permettono una corretta ventilazione

Il boccaglio deve essere anatomico e realizzato con silicone anallergico.

 

 

 

Tipi

 

Esistono aeratori dalle forme più disparte, alcuni sono anche muniti di valvola di scarico, tuttavia i vantaggi offerti da queste valvole trovano un effettivo riscontro solo per l’utilizzo in apnea.

Per contro può succedere che granelli di sabbia impediscano una corretta chiusura della valvola rendendo inutilizzabile questo attrezzo.

 

 

Materiali

 

I materiali che compongono lo snorkel sono:

Tecnopolimero (plastica semirigida) per il tubo.

Silicone (trasparente o colorato) per il boccaglio.

Plastica per il fermaglio con cui si applica alla maschera.

 

Scelta

 

Quando acquisti uno snorkel controlla che sia della giusta lunghezza, che abbia un diametro adeguato, che possegga un boccaglio in silicone anallergico e il gancio necessario per collegarlo alla maschera.

 

 

Cura e manutenzione

 

Risciacqua lo snorkel dopo l’utilizzo e controlla l’integrità del boccaglio.

 

 

Ricambi

 

E’ consigliabile avere un fermaglio di riserva necessario per fissare l’aeratore alla maschera.

 

 

La muta

 

In acqua la dispersione di calore attraverso la pelle è imponente poichè l’acqua assorbe calore molto più rapidamente dell’aria.

Per limitare questa dispersione termica durante l’immersione è necessario utilizzare la muta.

 

Modelli

Le mute si distinguono essenzialmente in due grandi famiglie:

Muta umida,

Muta stagna.

La differenza consiste nel fatto che nella muta umida tra fodera e pelle si interpone uno strato d’acqua sottilissimo (per questo si chiama umida) in quella stagna invece l’acqua non entra ed è sostituita dall’aria.

Le mute umide possono essere in un solo pezzo “Monopezzo” o in due pezzi con pantalone a saloppette e giacca.

Esse si differenziano anche per lo spessore del neoprene:

Mute con spessore di 3 mm., specifiche per l’apnea e per i mari tropicali.

Mute con spessore di 5 mm, questo è lo spessore più utilizzato e risulta ideale per quasi tutte le immersioni nei nostri mari.

Mute con spessore di 6-7 mm,questo spessore di neoprene è indicato in acque particolarmente fredde.

In passato le mute avevano il cappuccio separato, oggi sono costruite in maniera abbastanza standardizzata ed hanno il cappuccio incorporato, inoltre la giacca viene quasi sempre dotata di cerniera.

Le cerniere che possono essere montate sulle mute umide sono di tre tipi:

Cerniera sino al viso, con questo tipo di cerniera la giacca risulta completamente aperta ed è più facile indossarla.

Cerniera sternale, dal basso fino al petto, questo tipo di cerniera offre un buon compromesso fra vestibilità e quantità d’acqua che passa attraverso la cerniera.

Cerniera stagna, situata sulla spalla, questa cerniera ha la particolarità di non permette all’acqua di passare, solitamente viene montata su una muta monopezzo con spessore di 6-7 mm.; questo tipo di muta si pone a metà strada tra una muta umida ed una muta stagna (semistagna) ed è particolarmente indicata nelle acque molto fredde e nei mesi invernali.

 

 

 

La muta stagna è stata da sempre considerata uno strumento estremamente tecnico.

Ultimamente qualcosa sta cambiando, sicuramente è dovuto al fatto che una muta stagna è molto più calda di una muta umida, ma anche al miglioramento del comfort di queste attrezzature e allo sforzo tecnologico impiegato attualmente in questo settore.

Esistono diversi modelli di muta stagna, la differenza sostanziale sta nel materiale impiegato e nella posizione della cerniera che può essere posteriore da spalla a spalla o posta anteriormente.

 

 

Utilizzo

 

Muta umida

 

Per utilizzare corretamente una muta umida è importante che sia della tua giusta misura.

Nelle moderne mute l’acqua penetra in modesta quantità fra la pelle ed il tessuto della muta e vi resta intrappolato.

Quest’acqua che ristagna all’interno della muta a contatto con il corpo si riscalda e contribuisce a migliorare la coibentazione offerta dalla muta.

Risulta quindi logico che la muta non deve essere troppo larga, altrimenti avrai un’eccessiva quantità d’acqua tra pelle e muta con conseguente perdita di calore corporeo.

La muta però non deve essere neanche troppo stretta altrimenti oltre ad un senso di costrizione, potresti avere problemi di circolazione del sangue.

Una volta indossata, la muta deve risultare aderente senza che il viso o le mani diventino paonazze, a questo punto muovi braccia e gambe, se noti una senzazione di pompaggio tra muta e pelle, vuol dire che è larga.

Quindi dovrai provarne una di taglia più piccola, se il risultato non è soddisfacente opterai per un altro modello.

 

Muta stagna

 

Premetto che, per utilizzare correttamente questa attrezzatura è consigliabile partecipare ad un corso per muta stagna.

Durante l’utilizzo, questo tipo di muta risulta completamente impermeabile e riesce a mantenere un volume costante grazie alla possibilità di immettere aria all’interno per compensare la compressione dovuta all’aumentare della pressione durante la discesa e di scaricarla in risalita tramite una apposita valvola posta sul braccio o sul petto.

Vantaggi e svantaggi della muta stagna

 

L’unico vero vantaggio di una muta stagna è dato dal fatto che è molto più calda di una muta umida, tuttavia ha un costo molto elevato, richiede una cura maggiore, inoltre l’utilizzo è più tecnico, richiede una pesata maggiore, ma se usata in maniera corretta può rivelarsi veramente utile.

 

 

Scelta della muta giusta

 

Particolare attenzione deve essere posta nell’acquisto della muta, sia essa umida o stagna.

Deve essere del giusto spessore (normalmente per i nostri mari lo spessore medio è di 5 mm), deve essere di ottima qualità (controlla le rifiniture), polsini, cavigliere e il contorno del viso devono essere a tenuta stagna, infine deve essere della tua misura (ne stretta ne larga).

 

 

 

Cura e manutenzione

 

 

Per preservare questi capi di abbigliamento subacqueo devi avere l’accortezza di risciacquarli in acqua dolce dopo l’uso e farli asciugare in un luogo ventilato evitando i raggi diretti del sole che provocano l’irrigidimento del neoprene e fa scolorire i colori.

E’ importante non schiacciare in alcun modo la muta (vedi pinze da bucato usate per stendere i panni) altrimenti rischi di rovinare in maniera irreversibile il tessuto neoprenico (vengono schiacciate le micro bolle contenute all’interno).

Periodicamente la muta deve essere trattata con sostanze che evitano l’insorgere di funghi e/o batteri (Euroclorina).

 

 

 

 

Materiali

 

 

 

Muta umida

 

Il materiale usato per la realizzazione della muta umida è il Neoprene .

Questo materiale fu inventato in Germania durante la prima guerra mondiale.

Il neoprene è un particolare tipo di gomma nel cui interno mediante un complesso procedimento chimico vengono inglobate una infinita quantità di micro bolle di gas inerte (azoto).

Questo particolare procedimento, permette di ottenere un materiale molto più morbido della gomma e dall’elevata elasticità e coibenza termica.

Per migliorarne la resistenza allo strappo e all’abrasione unitamente alla vestibilità, il neoprene viene foderato su entrambe le facce con un tessuto elastico, ( Nylon ed Elastom).

Le moderne mute umide hanno la fodera interna realizzata in materiale termoriflettente, che assorbe il calore corporeo per poi cederlo lentamente in modo da diminuire la dispersione termica.

In passato le mute erano foderate solo internamente, oggi questo tipo di muta ha ceduto il posto alle più pratiche e resistenti mute bifoderate, tuttavia il neoprene monofoderato viene ancora impiegato per alcuni inserti della muta bifoderata e per la realizzazione di cannotte (sottomuta) da impiegare in abbinamento con la muta nei mesi invernali.

 

 

 

 

Muta stagna

 

Le mute stagne si dividono in due gruppi di materiali: le mute in neoprene e quelle in tessuto gommato, poliuretanico, trilaminato, ossia tutte quelle costituite da tessuto rigido e non comprimibile.

 

 

 

 

Caratteristiche

Muta umida

Le moderne mute umide sono costruite in più elementi assemblati, ciò conferisce una maggiore aderenza e migliore vestibilità.

Una muta di buona qualità deve essere costruita con almeno 16 elementi per la giacca e 6 per la saloppette, oltre agli inserti stagni.

Gli elementi che contraddistinguono un ottima fattura sono gli spicchi sottoascellari(necessari per evitare punti fragili e di

richiamo d’acqua), la sella inguinale ed una

buona conformazione del corpetto.

I pantaloni devono essere strutturati in

maniera da avere una buona sagomatura del

bacino, la saloppette deve essere ben

innestata sul punto vita e non deve avere

quelle scomode cuciture apicali che lasciano

il segno dopo ogni immersione.

Oltre agli elementi sopramenzionati una buona

muta deve possedere una banda di

guarnizione che contorni il volto,

presagomatura per il mento e guarnizioni

stagne ai polsi ed alle caviglie.

Queste guarnizioni sono realizzate in neoprene

foderato solo esternamente in modo che il

neoprene liscio aderisca alla pelle migliorandone la resistenza all’infiltrazione dell’acqua.

Altri particolari importanti sono la precisione e l’accuratezza delle cuciture, che devono essere del tipo non passante, presenti anche lungo i bordi esterni delle guarnizioni, per evitare usure precoci e distacchi delle fodere.

Muta stagna

Il diverso tipo di materiale con cui viene costruita la muta stagna permette di avere determinate caratteristiche, fondamentalmente però la differenza maggiore si ha tra le mute in neoprene e quelle in tessuto gommato; quelle in neoprene sono positive, quelle in tessuto gommato non lo sono o lo sono in maniera minore; inoltre hanno una diversa coibenza termica, in quanto il neoprene è un materiale altamente coibente, a differenza del tessuto gommato che garantisce l’impermeabilità ma non la ciobenza termica.

 

Controlla sempre le cerniere che non vanno lubrificate con olio o vaselina bensì con la paraffina ( in mancanza si può strofinare la cerniera con una candela) perchè se usi una sostanza untuosa, sabbia salsedine e sporcizia resterebbero incollate alla cerniera precludendone il funzionamento..

In caso di piccoli strappi o lacerazioni, devi provvedere subito alla riparazione usando l’apposito collante per neoprene, agendo nel seguente modo:

Pulisci accuratamente i lembi da incollare con un solvente (trielina o acetone)

Stendi un sottile velo di collante specifico per mute (neoprene liquido) e attendi che asciughi, normalmente occorrono pochi minuti minuti.

Unisci i due lembi esercitando una pressione con le dita.

Rinforza l’incollaggio cucendo la fodera da entrambi i lati, ma evita di forare il neoprene da parte a parte.

 

Conserva la muta, riponendola in un armadio come un qualsiasi indumento

Guanti e calzari

 

Ciò che è stato detto per la muta è valido anche per i guanti ed i calzari.

Infatti servono allo stesso scopo.

 

Tipi

 

Guanti

 

Esistono guanti specifici in base alla temperatura dell’acqua.

Guanti di 2mm di spessore per mari tropicali, hanno la caratteristica di essere in neoprene solo sul palmo e in tessuto nella parte superiore.

Guanti con spessore di 3-5 mm ideali per i nostri mari.

Guanti con spessore di 6-7 mm da usare in acque particolarmente fredde. Questo tipo di guanti a causa del notevole spessore viene realizzato con tre dita (pollice ed indice separati, le altre tre dita insieme).

 

 

Calzari

 

Esistono due tipi di calzari, quelli morbidi tipo calzino, il cui spessore solitamente è di 3 mm, quelli con suola rigida il cui spessore è di 5 mm.

 

Caratteristiche

 

Guanti

 

I guanti come del resto tutta la tua attrezzatura deve essere della tua taglia.

E’ importante che abbiano il palmo rivestito da un materiale che serve a migliorare la presa

 

 

Calzari

 

I calzari morbidi devono essere monofoderati in modo che il neoprene liscio si incolli alla pelle e non faccia entrare l’acqua.

 

I calzari rigidi devono avere una suola robusta e antisdrucciolo.

Inoltre possono essere muniti di cerniera che ne facilita la calzata.

 

Materiali

I materiali impiegati per i guanti ed i calzari sono gli stessi della muta e cioè

neoprene mono o bifoderato, cerniere resistenti alla salsedine e gomma per la suola dei calzari rigidi.

 

Scelta

E’ importante scegliere guanti e calzari della giusta taglia.

Ti consiglio di acquistare calzari rigidi e provvisti di cerniera perchè sono molto più comodi da usare ed indossare.

 

Cura e manutenzione

Usa gli stessi accorgimenti già descritti per la muta.

Asciuga bene i calzari, sia esternamente che internamente.

Zavorra e cintura di zavorra

 

 

 

Un componente essenziale nell’attrezzatura del subacqueo è la zavorra.

Prima dell’avvento del gav, i subacquei si dedicavano in forma maniacale alla ricerca della giusta quantità di zavorra da utilizzare durante l’immersione.

Oggi spesso viene sottovalutano tale aspetto e non è raro vedere il neofita con una eccessiva quantità di pesi alla cintura.

Un sistema empirico per stabilire la giusta quantità di zavorra consiste nel calcolare 1 kg di zavorra per ogni 10 kg di peso corporeo, tuttavia la giusta pesata la puoi calcolare solo praticamente, in quanto essa varia col variare dell’attrezzatura; una muta più spessa o l’aggiunta di un sottomuta comportano un aumento di zavorra; anche l’aumento o la diminuizione della salinità dell’acqua è motivo di aumento o diminuizione della zavorra.

Per calcolare esattamente la giusta quantità di pesi necessaria, agisci nel seguente modo:

In acqua con tutta l’attrezzatura indossata sgonfia completamente il GAV, se la testa fuoriesce completamente dall’acqua sei leggero e devi aggiugere altra zavorra; se affondi rapidamente sei troppo pesante; se galleggi con il livello dell’acqua tra gli occhi e il mento la tua pesata è esatta.

 

 

Funzione

 

La zavorra serve a controbilanciare la spinta positiva del corpo e dell’attrezzatura.

 

 

 

Materiali

 

 

Il materiale con cui si realizzano i pesi è il piombo, esso viene scelto per il suo elevato peso specifico, infatti a parità di volume con altri materiali è molto più pesante.

L’unico neo di questo metallo consiste nel fatto che è altamente inquinante, per questo motivo alcune ditte propongono questi pesi con un rivestimento in gomma.

Modelli

I pesi al naturale sono sopravvissuti inalterati a infiniti tentativi di renderli meno rudi. Solo negli ultimi anni si è cominciato a vedere qualcosa di interessante e le variazioni sul tema proposte da più parti rendono ora disponibili belle zavorre di tipo classico o assolutamente innovativo.

Il modello più semplice é costituito da una cintura con tasche amovibili da infilare dotate di chiusura a velcro nella quale mettere i vecchi pesi.

Un’idea decisamente avanzata è quella dei pallini, la terza soluzione, decisamente valida, é rappresentata da piombi dalla normale e collaudatissima conformazione a traversino e rivestito di morbido materiale termoplastico.

Va notato che la loro origine deriva da una precisa normativa vigente all’estero, ora adottata in ambito CEE e quindi teoricamente obbligatoria anche in Italia, che vieta l’uso nelle piscine di piombi non protetti.

Esistono anche sacchetti in neoprene riempiti di pallini che possono essere legati alle caviglie (cavigliere), il loro uso è stato studiato in abbinamento alla muta stagna.

 

Caratteristiche della cintura di zavorra

 

Caratteristica essenziale di ogni cintura è quella di essere a sgancio rapido, questo significa che deve essere possibile sganciarla facilmente anche in immersione.

Altre caratteristiche positive sono la fibbia in acciaio (più resistente di quella in plastica) e la qualità del nylon di cui si compone la cintura.

 

Preparazione della cintura

 

Quando prepari la cintura della zavorra occorre fare in modo che i pesi siano posizionati nella parte anteriore e sui fianchi del corpo; ciò migliorerà il tuo assetto durante l’immersione.

Una volta indossata con la giusta quantità di zavorra il capo libero deve fuoriuscire dalla fibbia di circa 15 cm.

 

 

Cura e manutenzione

 

La cintura e la zavorra non richiedono una cura particolare tuttavia occorre sempre risciacquarle controllando che la fibbia funzioni bene .

Bombole e rubinetteria

 

 

 

L’attrezzatura subacquea è ormai diventata un concentrato di tecnologia, anche la bombola non fa eccezione, infatti la sua costruzione è molto più complessa e difficile di quanto probabilmente ognuno immagini.

Essa, prima di essere abilitata a contenere l’aria ad alta pressione, deve essere costruita seguendo una particolare normativa emanata dall’ISPESL (Istituto per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro) ed una volta costruita subisce sempre dall’ISPESL un severo collaudo.

Tutto ha inizio con il controllo della composizione chimica del metallo con cui viene effettuata la colata da cui si ottengono delle lamiere il cui spessore viene controllato mediante ultrasuoni, dopo di ché, le lamiere vengono sabbiate e tagliate in dischi di diametro opportuno a seconda del litraggio e della pressione di esercizio che dovrà avere la bombola.

Dopo un processo termico ed uno di fosfatizzazione il disco così ottenuto è pronto per il processo di imbutitura.

Il disco viene inserito in una pressa idraulica, viene colpito da un unico colpo di maglio e si trasforma in una ciotola, quindi subisce un nuovo processo di ricottura, sabbiatura e fosfatizzazione.

Questo ciclo di imbutitura viene ripetuto quattro volte, passando dalla forma di un bicchiere a quella di un cilindro a basa sferica.

Terminate le operazioni di imbutitura è il momento della trafilatura con la quale si otterrà il giusto spessore previsto. Si passa a questo punto alla formazione dell’ogiva, facendo ruotare la bombola e scaldando la parte terminale per ottenere una prelavorazione del bocchino che viene poi forato internamente e tornito esternamente.

Terminata questa fase la bombola subisce un trattamento termico di bonifica, viene temprata a caldo e quindi fatta rinvenire per conferirle il giusto grado di durezza.

Subito dopo si perfeziona la lavorazione del bocchino, filettando la parte interna e ricavando la gola per l’O-Ring.

Infine viene sabbiata pesata e controllata, quindi si punzonano tutti i dati della bombola sull’ogiva.

Prima di essere poste in commercio le bombole così ottenute verranno sottoposte ad una serie di test e alcune bombole del lotto subiranno delle prove di scoppio e schiacciamento.

 

La rubinetteria

La rubinetteria è quel dispositivo che consente di introdurre aria in pressione all’interno della bombola, di chiudervela dentro e di renderla disponibile quando si vuole e finché si vuole.

Come la bombola anch’essa viene costruita in modo che resista alla pressione di carica ed è dotata di particolari meccanismi che consentono di aprire e chiudere il passaggio dell’aria.

E’ da notare che tutti i particolari interni e fori di passaggio devono essere studiati con estrema attenzione in quanto il flusso dell’aria che giunge al 1° stadio dell’erogatore non deve subire un calo di pressione al di sopra di un limite massimo stabilito, altrimenti la bombola e la rubinetteria non possono ottenere la certificazione CE della Comunità Europea.

 

Materiali

 

Il materiale di costruzione della rubinetteria è il bronzo (OT 58 S), lo si scalda fino a renderlo incandescente e con una sola pressata gli si dà la forma esterna. Poi viene lavorata all’interno con filettature, sedi battute, fori passanti e quant’altro serve.

In ultimo viene lucidata e cromata, a parte si provvede a stampare i componenti in plastica, quindi si assembla il tutto.

Il materiale con cui vengono costruite le bombole sono l’acciaio (acciaio 34CrMo4 o 35MnB5F) e l’alluminio HE 30, entrambi i metalli presentano pregi e difetti, le bombole in acciaio sono soggette alla ruggine mentre quelle di alluminio hanno un peso maggiore (anche se l’alluminio ha un peso specifico inferiore, le bombole fatte di questo metallo hanno uno spessore maggiore) inoltre a bombola vuota hanno una maggiore galleggiabilità.

 

Tipi e modelli

 

Fondamentalmente si dividono in bibombola (2 bombole affiancate) e monobombola. Possono essere dotate di rubinetteria monoattacco o biattacco che premette di montare due erogatori muniti di due primi stadi.

Esistono bombole di diverse capacità (10-12-15 e 18 lt); per capacità s’intende la quantità di liquido che essa può contenere, ad esempio una bombola di 18 lt può contenere 18 lt di acqua.

 

 

 

La quantità d’aria che una bombola può contenere viene invece calcolata moltiplicando la pressione a cui è caricata per la capacità in litri.

Quindi una bombola da 15 litri caricata alla pressione di 200 bar ha una quantità d’aria pari a 3000 normalitri (15x200=3000), una bombola da 18 litri alla stessa presiione ne conterrà 3600.

Caratteristiche

 

Ti premetto che le bombole non vengono costruite dalle ditte che propongono attrezzature subacquee (Mares, Scubapro, ecc..), ma da ditte specializzate nel settore siderurgico (Faber, Ponteggi Dalmine, Luxfer ecc..).

Le ditte produttrici di attrezzature subacquee, dopo averle acquistate provvedono al rivestimento della bottiglia con opportune lavorazioni, zincatura e film plastici protettivi, per migliorarne la resistenza all’ossidazione, quindi la differenza di qualità va ricercata nel diverso grado di protezione esterna oltrechè nella rubinetteria.

 

 

 

Prove idrostatiche

 

 

Un volta terminati tutti i processi di lavorazione ogni bombola prima di essere immessa sul mercato viene collaudata attraverso una prova idraulica e contemporaneamente viene compilato il certificato di approvazione da parte dell’ISPESL.

In questo certificato vengono riportati tutti i dati identificativi della bombola, gli stessi che sono riportati sull’ogiva, cioè:

Numero del lotto, numero della bombola, data di costruzione, capacità in lt, peso, pressione massima a cui può essere caricata, pressione di collaudo, nome della ditta che ha costruito la bombola.

Su questo certificato che accompagna la bombola per tutta la sua vita vengono anche riportati tutti i ricollaudi.

Ti ricordo che il primo ricollaudo deve essere effettuato dopo quattro anni, i successivi ogni due anni.

Cura e manutenzione

 

Perchè una bombola duri nel tempo è importante averne cura evitando raschi e scalfitture e proteggendola con una rete a maglia fitta e spessa.

Le bombole in acciaio esternamente non devono avere vernice scrostata o peggio macchie di ruggine, in questo caso provvedi ad asportare la ruggine e a riverniciare prima con del zincante a feddo, poi con vernice epossidica la parte o se necessario tutta la bombola.

Le bombole di alluminio al contrario di quelle in acciaio possono deformarsi assumendo una forma a barilotto.

Per controllarne la cilindricità falla rotolare su un piano perfettamente levigato.

Le bombole devono essere ispezionate anche internamente.

Per ispezionare internamente la bottiglia devi agire nel modo seguente:

Scarica completamente l’aria in pressione della bombola e usando un mazzuolo in gomma ed un pezzo di legno duro (faggio evaporato) percuoti lateralmente in senso antiorario la rubinetteria (due o tre colpi secchi) in modo da svitarla.

Fatto ciò con una lampadina a basso voltaggio (4,5 volt) collegata ad una pila tramite un filo sufficientemente lungo ispeziona l’interno della bombola.

Se si presenta molto arrugginito oppure ha delle camolature ti consiglio di farla controllare da personale qualificato che eventualmente procederà alla barillatura.

Se la bombola ha un cattivo odore occorre sciacquarla con acqua calda e un detersivo sgrassante.

Non usare mai acidi o altri prodotti per pulire l’interno della bombola, una volta sciacquata lasciala in posizione verticale con la filettatura verso il basso per uno-due giorni in modo che si asciughi internamente quindi provvedi a rimontare la rubinetteria avendo cura di sostituire e lubrificare l’O-ring di tenuta.

Nel rimontare la rubinetteria, la stessa va avvitata a mano; quando la filettatura è a fine corsa usando il mazzuolo in gomma serra senza esagerare.

Alcuni subacquei usano mettere nella bombola olio di vasellina per preservare l’interno della bombola.

Tale operazione però è da evitare in quanto questa miscela di idrocarburi paraffinici (che si ottiene dai residui della distillazione del petrolio) in presenza di umidità si emulsiona ad essa e il subacqueo avverte un forte odere di rancido.

E’ opportuno manutenzionare periodicamente anche la rubinetteria sostituendo i relativi O-ring.

Provvedi ad ispezionare internamente la bombola almeno una volta all’anno possibilmente prima e non dopo un eventuale periodo di inattività.

 

Ricambi

L’unico ricambio veramente indispensabile di una bombola è l’O-ring che assicura la tenuta tra rubinetteria ed erogatore.

Il Gav

Nato verso la metà degli anni 70 con una forma anulare, il gav ha subito da allora ad oggi sostanziali modifiche che lo hanno trasformato in un gilè.

Inizialmente non era molto apprezzato anche perchè i primi modelli erano poco pratici e non privi di inconvenienti.

Negli ultimi tempi lo sviluppo tecnologico di questa attrezzatura ha preso due strade ben distinte e opposte tra loro.

la prima ha portato alla massima semplificazione del concetto stesso di gav.

L’altra si è orientata verso un perfezionamento dei modelli esistenti, con l’utilizzo di materiali ad elevata resistenza, monocomandi ergonomici, triple valvole di scarico, fascioni e spallaci muniti di diverse regolazioni ed una quantità di accorgimenti e accessori atti a soddisfare ogni esigenza.

 

 

Caratteristiche

Caratteristica di tutti i GAV è quella di disporre di una combinazione di carico e scarico controllabile attraverso un apposito “inflator” e di uno scarico rapido attraverso valvole di ampia portata poste sulla spalla destra e a volte sul fondo del Jacket.

Queste valvole di sovrapressione hanno il compito di proteggere il sacco da un aumento eccessivo della pressione interna in modo da evitarne la lacerazione e fare in modo che in immersione possa essere svuotato rapidamente.

 

 

Funzione

La funzione del GAV consiste nel variare durante l’immersione il proprio volume in modo da permettere al Sub di avere sempre un assetto neutro.

 

 

Materiali e composizione

I materiali che compongono il GAV sono: la gomma del corrugato, la plastica del Vis delle valvole e dello schienalino, l’acciaio delle molle interne al Vis delle valvole e della fibbia di bloccaggio della bombola, il nylon delle cinture ed il tessuto con cui è composto il sacco del GAV (trevira 420-840 denari, o cordura).

 

 

Modelli

I GAV sono essenzialmente di due tipi:

monosacco (il tessuto è spalmato internamente con della gomma poliuretanica che ne assicura l’impermeabilità

Scelta

 

Nella scelta del Jaket opta per un modello con un buon volume d’aria interno, in modo da avere una buona spinta di galleggiamento.

Seguendo queste istruzioni puoi determinare praticamente la quantità d’aria che può contenere un gav.

Respira profondamente e riversa completamente l’aria dei tuoi polmoni nel gav attraverso l’inflator (ricordati di lasciare il pulsante prima di smettere di soffiare), ripeti l’operazione in modo da gonfiare completamente il gav.

Quindi moltiplica il numero di volte necessarie a gonfiare completamente il gav per la tua capacità polmonare, se ad esempio possiedi una capacità vitale di 4 lt ed hai ripetuto l’operazione per cinque volte, quel gav possiede un volume interno di 20 lt.(4x5=20)

Gav con volume interno inferiore ai 16 lt possono risultare insufficienti.

 

 

Cura e manutenzione

 

 

I moderni equilibratori idrostatici non necessitano di particolare attenzione e se ben manutenzionati manterranno a lungo la loro affidabilità.

Dopo ogni immersione è buona norma risciacquarlo con acqua dolce sia esternamente che internamente, per l’interno fai entrare l’acqua dal Vis, quindi agita il GAV e scarica l’acqua dalla valvola posteriore. Periodicamente, o quando riponi il GAV perché non deve essere utilizzato per lungo tempo, oltre al lavaggio devi asciugarlo internamente svitando la parte apicale del Vis o una valvola di sovrapressione e soffiando aria tramite un phon con flusso di aria fredda.

Controlla frusta, tubo corrugato e fascette di serraggio, ispeziona e sciacqua con acqua dolce le valvole di carico e scarico, controlla attentamente le cinghie e il sistema di bloccaggio della bombola, infine gonfialo alla massima pressione per controllare che i dispositivi di sovrapressione funzionino correttamente e lascialo gonfio per almeno 24h in modo da essere certo che non ci siano perdite.

Nel caso di inutilizzo il GAV deve esser conservato leggermente gonfio appendendolo con una stampella.

Evita di farlo asciugare al sole perché i raggi ultravioletti lo rovinano e lo fanno scolorire.

In caso di perdita o di cattivo funzionamento delle valvole rivolgiti al tuo negozio di fiducia e fallo revisionare.

bisacco, cioè dotati di un involucro esterno studiato per resistere all’abrasione e una vescica interna dove immettere aria.

il gav monosacco risulta più leggero e meno ingombrante, inoltre ha un costo inferiore.

il gav bisacco è più resistente ed possibile ripararlo in caso di foratura.

I gav possono essere dotati di schienalino rigido o morbido.

lo schienalino rigido è un supporto in plastica inserito nella parte interna del gav, dallo schienalino fuoriescono verso la parte posteriore una o due cinghie mediante le quali è possible fissare la bombola al gav.

Lo schienalino morbido è una specie di invasatura solitamente dello stesso materiale del gav ed ha lo stesso compito dello schienalino rigido.

Quello con schienalino rigido risulta ovviamente più pesante ed ingombrante, però assicura una migliore rigidità del complesso bombola/gav.

I gav infine sono dotati di cinghiaggi regolabili in modo da farlo aderire perfettamente al corpo.

Utilizzo

Nel posizionare il gav sulla bombola, la parte superiore dello schienalino del gav deve trovarsi all’altezza dell’O ring posto sulla valvola della rubinetteria.

 

 

Ricambi

Piuttosto che procurarti delle parti di ricambio che potrebbero risultare costose e magari non servire, ti consiglio di acquistare un gav di cui sia possibile reperire con una certa facilità eventuali ricambi.

PARLIAMO DI EROGATORI

 

Molti aspetti del nostro erogatore hanno a che fare con le leggi fisiche che definiscono il comportamento di un gas e ciò ci interessa in maniera particolare quando deve fluire attraverso una valvola o lungo un condotto.

Per meglio comprendere il funzionamento di un erogatore occorre chiarire alcuni concetti.

L’errore che viene fatto comunemente è il confondere la “Sensibilità” di una valvola con le sue capacità in termini di “Portata”.

Si tratta di due caratteristiche altrettanto importanti che interagiscono nel determinare le prestazioni di un erogatore, ma l’una non implica necessariamente l’altra.

In pratica la sensibilità di una valvola viene definita dallo sforzo necessario ad aprirla e mantenerla aperta, quindi un erogatore molto sensibile necessita di un piccolo sforzo inspiratorio per aprire la valvola del secondo stadio.

Questa sua proprietà positiva però non garantisce che una volta aperta, la valvola fornisca tutta la portata d’aria richiesta.

E’ quindi chiaro ora che l’effetto “Venturi” o quello a “Iniezione” servono ad aumentare la sensibilità del secondo stadio non la sua portata, la depressione che essi creano aiuta a mantenere abbassata la membrana e quindi la valvola aperta ma non ha l’effetto di aumentare la portata d’aria.

Per lo stesso motivo quindi se si regola il secondo stadio dell’erogatore comprimendo più o meno la molla di contrasto tramite il pomello esterno (per quelli che ne sono muniti) non si varia la portata ottenibile, come spesso si sente dire, ma la sensibilità.

Un altro concetto da chiarire riguarda il termine “bilanciato” e “compensato”.

Perchè le prestazioni dell’erogatore rimangano costanti durante l’immersione indipendentemente dalla pressione della bombola occorre che il 1° stadio fornisca una pressione intermedia sempre uguale, deve cioè essere bilanciato, ciò si ottiene con una molla di bilanciamento (tarata in funzione della pressione intermedia) e di un cilindretto di media pressione posto nella camera pilota (o di bilanciamento).

L’erogatore inoltre è anche compensato, cioè possiede una camera di compensazione, questa camera serve ad aumentare la spinta della molla di bilanciamento all’aumentare della pressione idrostatica.

In pratica quindi è compensato per poter fornire aria sempre alla pressione ambiente, ed è bilanciato per non far aumentare lo sforzo inspiratorio al diminuire della pressione all’interno della bombola.

 

 

 

 

SCELTA DEL GIUSTO EROGATORE

 

 

L’erogatore è certamente lo strumento più affascinante e misterioso per il subacqueo.

Alla persona poco esperta questi prodotti possono sembrare tutti uguali, a parte l’estetica, ma così non è, vi sono infatti erogatori con prestazioni e prezzi molto diversi fra loro.

Come fare allora ad orientarsi in questa selva di articoli messi a disposizione dal mercato?

Innanzitutto indirizzeremo la scelta in base alle prestazioni che richiediamo e, ovviamente al prezzo che intendiamo spendere, inoltre prediligeremo erogatori che godono di un’adeguata assistenza tecnica e che siano del tipo bilanciato.

 

 

Cura e manutenzione

 

 

Prima di addentrarci nella disamina degli erogatori è importante parlare della cura e della manutenzione a cui sottoporli.

Innanzitutto occorre sempre sciacquarli in acqua dolce dopo ogni immersione, nel compiere questa operazione bisogna accertarsi che il tappo di protezione del 1° stadio sia perfettamente inserito (inoltre non si deve mai premere il pulsante dell’autoerogazione) per evitare infiltrazione d’acqua all’interno.

Dopo averlo sciacquato ed asciugato, occorre collegarlo ad una bombola e far fluire un po’ d’aria in modo che eventuali goccioline di acqua possano essere espulse.

Infine particolare cura va posta nel riporre gli erogatori e le relativa fruste.

 

 

 

N.B.

Almeno una volta l’anno far revisionare i propri erogatori presso un centro specializzato.

1° Stadio

 

I moderni erogatori sono composti da due stadi con compiti ben distinti, il 1° stadio ha il compito di ridurre la pressione della bombola ad un valore ben preciso e costante, rispetto alla pressione dell’ambiente nel quale si trova.

Questa pressione prende il nome di pressione intermedia, tale valore viene definito in fase di progettazione e solitamente è compreso tra 6 e 10,5 bar.

Negli erogatori a membrana è possibile regolare dall’esterno questa pressione, in quelli a pistone tale operazione è molto più complessa in quanto occorre smontare il 1° stadio ed inserire degli spessori tra molla e pistone oppure sostituire la molla che spinge il pistone con un’altra tarata diversamente.

Il primo stadio, sia esso a pistone o a membrana, possiede un dispositivo che aggiunge sempre alla pressione intermedia la pressione ambiente (camera di compensazione).

Se quindi un 1° stadio è tarato per fornire una pressione intermedia (all’uscita del 1° stadio) di 10 bar in superficie, i valori saliranno a 11 bar a 10 metri di profondità, a 12 bar a 20 metri e così via.

Perchè la pressione intermedia rimanga costante durante l’immersione indipendentemente dalla pressione della bombola occorre che il 1° stadio sia bilanciato, ciò si ottiene con una molla di bilanciamento tarata in funzione della pressione intermedia e di un cilindretto di media pressione posto nella camera pilota.

In pratica quindi è compensato per fornire aria sempre alla pressione ambiente, ed è bilanciato per non fare aumentare lo sforzo inspiratorio al diminuire della pressione all’interno della bombola.

La portata d’aria del 1° stadio non è un indice assoluto poichè in fase di inspirazione si verifica generalmente una caduta della pressione intermedia, tale caduta di pressione si ripercuote negativamente sulle prestazioni del 2° stadio.

Per diminuire tale fenomeno sono stati recentemente realizzati primi stadi nei quali, grazie ad un attento studio dei flussi d’aria, si è riusciti a limitare questa caduta di pressione.

 

 

2° Stadio

Attualmente i fabbricanti stanno dedicando particolare attenzione allo studio e alla progettazione del 2° stadio.

La maggior parte di essi oggi possiedono dei sistemi di convogliamento dell’aria che aiuta a diminuire lo sforzo inspiratorio.

Il sistema più usato è basato sul così detto “Effetto Venturi”, con questo sistema l’aria passa attraverso un foro e viene indirizzata con vari accorgimenti (convogliatori, deflettori, o fori opportunamente inclinati) verso il boccaglio.

Ne deriva una depressione nella scatola del 2° stadio che tende a mantenere abbassata la membrana di erogazione.

Il vantaggio del sistema Venturi è la sua semplicità costruttiva, mentre lo svantaggio consiste nella difficoltà di mantenere costanti le prestazioni nella produzione di serie.

Gli erogatori con sistemi servo-assistiti o con valvole-pilota si avvalgono di soluzioni meccaniche più complesse e richiedono tolleranze di lavorazione molto accurate.

L’ultimo sistema, quello a “vortice”, permette elevate prestazioni grazie al fatto che l’aria viene inviata all’ingresso del boccaglio tramite un tubetto by-pass opportunamente sagomato che ne provoca un movimento circolare.

 

 

La frusta di collegamento

 

IL collegamento tra il 1° e il 2° stadio si ottiene con un tubo in grado di resistere alla pressione intermedia del 1° stadio, questo tubo prende il nome di frusta.

Le fruste si dividono in fruste a bassa pressione (BP) e ad alta pressione, (HP) quelle ad alta pressione resistono ad una pressione di almeno 300 atmosfere, quelle a bassa pressione ad una pressione di circa 30 atmosfere, la pressione che sono in grado di sopportare è stampigliata sulla frusta stessa, così come è stampigliata la data di fabbricazione.

Le fruste di alta e bassa pressione hanno filettature diverse tra loro in modo da non poterle invertire.

Sono fruste ad alta pressione quelle dei manometri e di travaso, sono a bassa pressione tutte le altre.

Le fruste sono solitamente di colore nero, tuttavia la frusta della fonte d’aria alternativa può avere una colorazione diversa in modo da renderla facilmente visibile in caso di necessità.

le fruste degli erogatori hanno di solito due lunghezze, 72 cm per l’erogatore principale e 90 per quella della fonte d’aria alternativa.

Octopus e altri sistemi

 

Proseguendo nella disamina dell’erogatore occorre parlare anche dell’octopus, il suo nome deriva dall’aspetto che è simile ai tentacoli di un polpo.

L’octopus si compone di un 1° stadio a cui viene collegato un 2° stadio primario (quello che normalmente usi), un secondo stadio secondario, che prende il nome di “fonte d’aria alternativa”, una frusta di collegamento con il dispositivo di gonfiaggio del GAV ed un manometro.

Anzichè usare l’octopus alcuni subacquei preferiscono usare due erogatori distinti, cioè due primi stadi, altri invece possiedono la fonte d’aria alternativa incorporata al corrugato del GAV, altri ancora, utilizzano un bombolino di scorta provvisto di un proprio erogatore.

Tutti questi sistemi hanno dei lati positivi e dei lati negativi, infatti il doppio erogatore pur essendo più sicuro perchè dotato di due primi stadi, necessita di una doppia rubinetteria che non sempre è disponibile ed ha un costo maggiore.

Il secondo stadio collegato al GAV invece risulta scomodo da usare.

Infine il bombolino di emergenza è ingombrante e la quantità d’aria in esso contenuta è troppo modesta.

Personalmente ritengo che la giusta scelta sia legata al tipo di immersione che s’intende effettuare e che la qualità debba avere il spravvento su tutto il resto in modo da ridurre le probabilità di cattivo funzionamento.

 

 

Materiali

 

Il materiale con il quale viene costruito il 1° stadio è l’ottone cromato, la cromatura serve a preservarlo dall’ossidazione, alcuni erogatori sono realizzati in lega di titanio in modo da risultare più leggeri e resistere meglio alla corrosione.

I

Il 2° stadio che si compone solitamente di due semigusci, può essere realizzato in ottone cromato o con speciali tecnopolimeri, le versioni in metallo sono più pesanti, però permettono uno scambio termico con l’esterno, che è utile per riscaldare l’aria che proviene dal 1° stadio evitando durante le immersioni nei periodi invernali la formazione di ghiaccio.

Alcune ditte hanno realizzzato delle versioni ibride del 2° stadio, cioè in tecnopolimero con delle placche metalliche per favorire lo scambio termico.

 

Cura e manutenzione

 

La manutenzione dell’erogatore deve sempre essere effettuata da un centro specializzato in grado di effettuare tutte le operazioni di revisione e taratura.

Per accertarti del suo corretto funzionamento puoi effettuare queste prove:

Installa l’erogatore sulla bombola e prima di dare pressione all’impianto (bombola chiusa) prova ad inspirare normalmente se riesci a respirare controlla il boccaglio, la membrana e la valvola di scarico del 2° stadio.

Uno di questi componenti potrebbe infatti avere un piccolo taglio che lascia passare l’aria.

Naturalmente devi sostituire il componente inefficiente e ripetere il controllo accertandoti che non si riesca ad inspirare.

A questo punto apri il volantino della bombola tenendo per qualche istante premuto il pulsante dell’erogazione continua (serve ad attenuare il colpo d’ariete causato dall’aumento istantaneo della pressione) e verifica il correto funzionamento dell’erogatore respirando più volte.

 

Nell’effettuare questa verifica, se ti accorgi di avere un erogatore troppo “duro” non esitare a farlo revisionare.

Solitamente questo inconveniente è uno spazio morto tra la superficie inferiore centrale della membrana e la leva della valvola.

Per eliminare questo spazio morto apri la calotta del 2° stadio togli la membrana che è solo appoggiata e con una chiave a forchetta del numero 5.5 avvita il bulloncino posto alla base della leva in modo da sollevarla di 2-3 mm.

Se sollevi troppo la leva, quando lo richiudi il 2° stadio va in autoerogazione, (rismonta la calotta togli la membrana e svita leggermente il bulloncino). Se non mastichi troppo di queste cose, puoi comunque affidarti ad un centro di assistenza.

Perchè gli erogatori siano sempre in perfetta efficienza, devi sempre sciacquarli in acqua dolce dopo ogni immersione, nel compiere questa operazione accertati che il tappo di protezione presente sul primo stadio sia installato correttamente.

Durante l’operazione di risciacquo non devi mai premere il pulsante dell’erogazione continua per evitare infiltrazioni d’acqua all’interno.

Dopo averlo sciacquato ed asciugato, collegalo alla bombola e tramite il pulsante del 2° stadio lascia fluire l’aria per qualche secondo in modo che eventuali gocce d’acqua vengano immediatamente espulse.

Nel riporre gli erogatori fai attenzione a lasciare le fuste distese.

 

Almeno una volta l’anno fai revisionare gli erogatori .

L’erogatore

 

Nel 1943 Paul Cagnan e Jacques Cousteau misero a punto un riduttore di pressione che permetteva di prelevare aria in pressione dalle bombole rendendola disponibile a pressione ambiente.

Questo erogatore era realizzato in un unico corpo e veniva montato sulla rubinetteria della bombola, due tubi corrugati provvedevano a portare l’aria a pressione ambiente alla bocca del subacqueo.

Questa distanza tra il riduttore di pressine ed il boccaglio attraverso il quale il sub respirava causava dei problemi.

Per ovviare a questi problemi diversi anni dopo si pensò per dimunuire lo sforzo inspiratorio di scomporre questo apparecchio in due corpi distinti e separati con compiti diversi, nacque così l’erogatore bistadio.

 

Tipi

 

L’erogatore altro non è che un riduttore di pressione, il suo compito consiste nel ridurre la pressione della bombola a quello della pressione ambiente.

I moderni erogatori a differenza dei loro predecessori sono composti da due unità chiamate 1° e 2° stadio uniti tra loro da un tubo chiamato frusta.

Fondamentalmente essi si dividono in due grandi famiglie:

Quelli con 1° stadio a pistone e quelli con 1° stadio a membrana, particolarità che distingue il tipo di camera di compensazione di cui è dotato il 1° stadio.

La camera di compensazione è in pratica una camera con una parete mobile in modo da poter variare il proprio volume interno al variare della pressione idrostatica.

La parete mobile può essere una membrana (in gomma) e quindi si parla di 1° stadio a membrana, o un disco metallico simile ad un pistone e perciò si chiama 1° stadio a pistone.

Inoltre il 1° stadio può essere bilanciato e non bilanciato , caratteristica di quello bilanciato è di non far aumentare lo sforzo inspiratorio al diminuire della pressione della bombola.

Infine il 1° stadio può essre dotato di attaco Int o din, tale differenza consiste nel collegamento alla bombola mediante brida o utilizzando attacchi filettati per erogatore e rubinetteria.

Per quanto riguarda il secondo stadio, può essere a richiesta o ad offerta d’aria, nel gergo tecnico si intendono ad offerta d’aria quegli apparecchi che sfruttano in un certo modo e secondo particolari tecniche l’effetto Venturi, per una migliore respirazione subacquea intesa come sforzo respiratorio facilitato e quantità d’aria erogata.

Scelta del giusto erogatore

L’erogatore è certamente lo strumento più affascinante e misterioso per il subacqueo.

Alla persona poco esperta questi prodotti possono sembrare tutti uguali a parte l’estetica, ma così non è.

Vi sono infatti erogatori con prestazioni e prezzi molto diversi tra loro.

Come fare ad orientarsi in questa selva di articoli messi a disposizione dal mercato?

Innanzitutto indirizza la scelta in base alle prestazioni che ti servono e, ovviamente al prezzo che intendi spendere, inoltre scegli tra quelli che nella tua zona di residenza godono di un’adeguata assistenza tecnica.

Per quanto riguarda la differenza tra erogatore a membrana o pistone, le loro prestazioni ormai si equivalgono.

Infine opta per un erogatore del tipo bilanciato.

La strumentazione

 

Oltre alle attrezzature base indispensabili per potersi immergere, il subacqueo utilizza degli strumenti altrettanto importanti che servono a rilevare:

profondità,

pressione delle bombole,

direzione,

temperatura dell’acqua,

profondità massima raggiunta,

tempo di immersione,

informazione sui tempi di desaturazione,

decompressione,

intervallo di superficie,

numero delle immersioni effettuate.

 

Questi strumenti possono essere analogici (cioè a lancetta) o digitali (elettronici); solitamente quelli elettronici compiono più funzioni simultaneamente ed alcuni hanno anche la possibilità di effettuare calcoli ed elaborare modelli matematici simili alle tabelle d’immersione.

Tutti questi strumenti possono essere usati tenendoli al polso o su console, possono inoltre essere integrati o separati.

 

Il Manometro subacqueo

 

Il manometro svolge la stessa funzione dell’indicatore di livello di carburante dell’auto, con la differenza che l’indicatore dell’auto segna la quantità in litri e il manometro ci indica la pressione presente nelle bombole.

per poter funzionare il manometro viene collegato tramite una frusta di alta pressione al 1° stadio dell’erogatore.

Controlla frequentemente l’integrità della frusta e lo snodo che permette allo strumento di ruotare, in caso di perdita nel collegamento frusta / manometro, occorre sostituire i due piccoli O-ring che si trovano nel perno interno (SWIVEL) che funge da snodo.

Controlla anche l’integrità del dispositivo antideflagrante che solitamente si trova nel retro dello strumento.

 

 

Profondimetro

I profondimetri si basano su diversi sistemi di rilevazione della profondità, (tubo di Bourdon , Membrana , ecc.) in base al sistema adottato risultano più o meno precisi.

Tra i vari sistemi il meno preciso è quello a capillare e pertanto ne sconsiglio l’uso nelle immersioni con l’Ara, il più preciso è ovviamente quello digitale .

Sia esso analogico o digitale è importante che il profondimetro abbia un sistema di rilevazione della massima profondità raggiunta durante l’immersione.

Nel profondimetro analogico ciò si ottiene con una seconda lancetta che viene trascinata solo in senso orario da quella della profondità e quando questa retrocede la seconda lancetta resta ferma alla massima profondità raggiunta.

Ad ogni immersione questa lancetta di massima deve essere azzerata.

Timer

 

Durante l’immersione è indispensabile possedere anche un sistema di rilevazione del tempo d’immersione che può essere un orologio subacqueo o un timer digitale.

Solitamente il Timer oltre ad indicare il tempo trascorso dall’inizio dell’immersione, fornisce altri dati tipo l’intervallo di superficie, la temperatura dell’acqua, il numero delle immersioni effettuate, però non elabora nessun calcolo.

 

Bussola

 

La bussola è uno strumento molto utile al subacqueo, il suo uso corretto permette di eseguire rotte di andata e ritorno, di sapere sempre da che parte è la riva e, con un minimo di manualità, di calcolare semplici rotte in modo da non essere costretti a riemergere per sapere la propria posizione.

Per usare la bussola nel migliore dei modi è necessario partecipare ad un corso di specialità.

 

Computer

 

Questi strumenti elaborano dei modelli matematici simili alle tabelle fornendo al subacqueo una serie di informazioni molto utili durante l’immersione.

I computer subacquei sono estremamente più comodi delle tabelle d’immersione e sono disponibili in diversi modelli.

Cura e manutenzione della strumentazione

E’ importante evitare che queste attrezzature prendano urti o rimangano esposte ai raggi solari per lungo tempo.

La bussola non deve mai essere riposta vicina a campi magnetici (torce, computer, ecc..), inoltre deve essere completamente piena di liquido.

Naturalmente dopo ogni immersione tutto deve essere risciacquato in acqua dolce.

 

 

Il coltello subacqueo

Oltre agli strumenti già menzionati, esistono altri attrezzi utili per l’immersione, tra i più importanti occorre menzionare il coltello subacqueo.

Il coltello fa parte di quelle attrezzature che ogni subacqueo deve avere quando si immerge.

Confesso che certe scimitarre dalla lama intarsiata non mancano di un certo fascino, peccato che sott’acqua siano inutili.

Il coltello che fa al caso tuo deve invece abbinare la perfetta efficacia della lama a dimensioni contenute che permettano di fissarne il fodero al polpaccio o eventualmente al Gav.

Deve avere una lama tagliente a doppio filo e seghettata da una parte, un buon manico anatomico, possibilmente di un colore visibile in acqua.

Infine il fodero deve possedere un fermo robusto e funzionale.

Alcuni subacquei portano il coltello allacciato all’esterno della gamba.

Tale posizione sicuramente d’effetto può però causare alcuni problemi.

Infatti rasentando una parete o un ammasso di scogli può capitare di ritrovarsi agganciati a una lenza o a una rete abbandonata, proprio a causa dell’impugnatura sporgente dal fodero.

Un altro potenziale rischio derivante dalla suddetta posizione del coltello si può individuare nella possibilità che la cintura di zavorra sganciata per presunta o vera emergenza, si vada a bloccare tra la gamba ed il pomolo del coltello.

Allora è meglio portare il coltello all’interno del polpaccio o attaccato al Gav badando in ogni caso che sia sempre raggiungibile con entrambe le mani ciò che non avviene se lo si fissa all’avambraccio come qualcuno ama fare.

Cura e manutenzione del coltello subacqueo

Anche se di acciaio inossidabile, la lama è soggetta alla formazione di ruggine, perciò è indispensabile sciacquare sempre questo attrezzo in acqua dolce, asciugarlo e passare un leggerissimo velo di vaselina a protezione della lama.

Per togliere eventuali tracce di ruggine, evitate prodotti abrasivi tipo carta vetrata e simili , in caso di necessità usate al massimo una paglietta metallica.

Attrezzature speciali

 

Sistemi subacquei per l’immagine

 

Così come nell’uso terrestre esistono dei sistemi per l’immagine, anche nella subacquea esistono apparecchiature fotografiche e sistemi per la video ripresa.

Queste apparecchiature possono essere scafandrate o anfibie, in pratica la scafandratura consiste in una custodia resistente alla pressione idrostatica in cui viene inserita una macchina fotografica o una telecamera.

Ovviamente queste custodie riportano all’esterno i comandi necessari al funzionamento dell’apparecchiatura inserita all’interno della custodia stessa e possono essere del tipo dedicato ad un determinato modello oppure del tipo universale.

Nel campo della fotografia esistono anche apparecchiature anfibie, in sostanza non necessitano di nessun tipo di custodia, la più famosa delle macchine fotografiche anfibie è la Nikonos nelle versioni tre, quattro e cinque.

 

Attrezzi per la ricerca e recupero

 

Le ditte che producono attrezzature per la subacquea hanno nei loro cataloghi alcuni modelli di palloni di sollevamento utili per recuperare oggetti dal fondo.

Questi palloni di sollevamento molto simili nella forma a dei “paracadute”, danno la possibilità di sollevare pesi da dieci ad oltre mille chilogrammi, naturalmente non tutti i palloni sono uguali ed un pallone costruito per sollevare 100 Kg non riesce a sollevare un peso maggiore; il peso che ogni pallone può sollevare è stampigliato sul pallone.

Per l’utilizzo di queste attrezzature è consigliabile partecipare prima ad un corso di specialità in modo da usarle nella maniera migliore.

 

Attrezzature subacquee speciali

 

Negli ultimi anni si è avuto un notevole incremento di attrezzature speciali, alcune importate dal campo professionale ed altre espressamente studiate per l’utilizzo sportivo.

Miscele speciali (Trimix-Nitrox) ed erogatori dedicati, apparecchiature che permettono di comunicare in immersione, scooter subacquei, ne sono un esempio.

 

Accessori

 

 

Loogbook

 

Nel corredo di ogni subacqueo non mancano un certo numero di accessori, tra quelli maggiormente utili vi è il libretto di immersione (loogbook), questo libretto serve a trascrivere i dati più importanti di ogni immersione.

Ogni subacqueo, anche quelli iper esperti e con centinaia di immersioni sulle spalle dovrebbero averne uno.

Se tenuto aggiornato e ben compilato esso può risultare un valido aiuto in molte occasioni.

 

Lavagnetta

 

Un altro accessorio utile è la lavagnetta subacquea costituita generalmente da un rettangolino di plastica bianca, una matita ed una gomma (matita e gomma funzionano anche in immersione) con cui è possibile comunicare sott’acqua con il proprio compagno.

 

Pallone segna sub

 

Un accessorio utile ed obbligatorio per legge è il pallone segnasub. Esso serve a segnalare alle imbarcazioni che nel raggio di 50 mt vi è uno o più subacquei; è importante sottolineare che ad essere obbligatoria è la bandiera e non il pallone e che un pallone può essere usato da più subacquei purché rimangano in un raggio di 50 mt dalla boa segnasub.

 

Borsone

 

Continuando la disamina degli accessori non bisogna dimenticare le borse necessarie a contenere la nostra attrezzatura e che debbono rispondere a determinati requisiti.

Devono essere robuste ed in grado di contenere tutta l’ attrezzatura, le cerniere devono resistere alla salsedine, devono possedere diverse tasche e poter contenere attrezzature bagnate.

Attualmente in commercio è possibile reperire borse, carrellini e zaini dalle forme e grandezze più disparate per rispondere meglio alle esigenze di ogni subacqueo.

 

 

Kit per riparazioni di emergenza

Continuando la carrellata degli accessori utili al subacqueo non si può non menzionare il kit di riparazione.

La stragrande maggioranza dei subacquei pur conoscendo il significato della parola “Kit” raramente ne possiede uno e se lo possiede quasi sicuramente sembra un’officina ambulante o manca degli elementi indispensabili.

Il kit che devi portare con te deve servire per riparazioni di emergenza che possono presentarsi alcuni istanti prima dell’immersione, perciò deve contenere gli attrezzi ed i ricambi di rapido utilizzo.

E’ inutile portare durante immersioni tutti gli attrezzi necessari a smontare un erogatore perchè potresti non riuscire, nella concitazione del momento ad effettuare una riparazione valida, sicura e affidabile.

Il tuo Kit deve risolvere solo ed esclusivamente quei piccoli interventi di facile risoluzione come può essere la sostituzione del cinghiolo di una pinna o la sostituzione dell’O-ring della rubinetteria.

Esempio di kit di per riparazioni di emergenza

Attrezzo multiuso contenente chiavi a forchetta e a brugola (ne esistono in commercio di specifici) o, in sostituzione, una chiave a rullino e alcune chiavi a brugola.

2 cacciaviti medi (taglio/croce) e uno piccolo di precisione.

Pinzetta in acciaio inox.

Tubetto di grasso al silicone.

2 tappi di bassa pressione ed 1 di alta pressione del 1° stadio dell’erogatore.

tappo di chiusura per la brida del 1° stadio dell’erogatore (potreste perderlo durante l’immersione )

O-ring di varie misure per fruste e rubinetteria, i più pignoli potranno aggiungere una membrana del 2° stadio dell’erogatore.

Cinghiolo per le pinne

Cinghiolo per il coltello

Testiera per la maschera

liquido antiappannate per la maschera

2 mt. di sagolino del tipo per fucili subacquei, (se si rompe la fibbia della maschera o delle pinne, puoi legare il cinghiolo con un pezzo di sagolino).

Naturalmente in caso di escursioni o di viaggi è opportuno incrementare la dotazione del Kit, aggiungendo attrezzi e parti di ricambio.

Tavole per l’immersione

 

 

 

Concludendo la carrellata di accessori non dobbiamo dimenticare le tavole per immersione, (tabelle) esse servono a calcolare correttamente il massimo tempo di non decompressione in rapporto alla profondità.

Esistono anche tavole per immersioni ripetitive e per immersioni con decompressione.

Le prime tavole furono ideate da Haldane ed elaborate dalla U.S. Navi (la Marina Militare Americana).

Le nostre moderne tabelle utilizzano il metodo “IDEA-DOPPLER” , che è una rielaborazione delle U.S. Navy e si adattano meglio al subacqueo sportivo.

Attrezzature specifiche

 

Tra le attrezzature specifiche le più importanti sono certamente le luci subacquee.

Esse si dividono, in base al tipo di illuminazione e alla potenza, in torce primarie e di riserva, inoltre esistono delle luci chimiche che emettono una luminescenza non particolarmente intensa, ma utile durante le immersioni notturne.

Torce ed illuminatori fanno parte di quelle attrezzature che devono essere manutenzionate con una certa frequenza.

Al termine di ogni immersione sciacqua lampade, fari ed illuminatori in acqua dolce in modo da prevenire incrostazioni saline, quindi estrai le pile e se del tipo ricaricabile provvedi alla ricarica seguendo attentamente le istruzioni della ditta costruttrice.

Le batterie ricaricabili vanno sempre conservate cariche.

Le batterie ricaricabili si dividono in batterie al piombo che non devono mai essere scaricate totalmente e batterie al nichel cadmio che necessitano di una scarica completa prima di essere ricaricate.

Evita di utilizzare le torce subacquee fuori dall’acqua perchè sono state studiate per funzionare in ambiente liquido e non gassoso.

Alcune lampadine (alogene, xeno, ecc.) non possono essere toccate con le mani altrimenti si rischia di rovinarle in modo irreversibile, se accade prima di utilizzarle ripuliscile con ovatta imbevuta di acetone.

Una volta aperte controlla gli O-ring di tenuta e sostituiscili senza esitare se appaiono usurati, periodicamente devi toglierli dalle loro sedi senza usare oggetti metallici che potrebbero rovinarli; pulisci bene le sedi, lubrificali con vasellina e rimetteli in sede.

Evita di serrare completamente le torce ricaricabili se non devono essere usate perchè le batterie sviluppano gas che fanno aumentare la pressione all’interno della torcia (per questo motivo non si riesce a svitarle).

Se i contatti sono ossidati evita di raschiarli con lime o carta vetrata, ma usa una comune gomma per cancellare a grana dura (tipo macchina da scrivere).

In caso di allagamento (anche poche gocce) estrai subito il pacco batterie e provvedi a pulire ed asciugarne l’interno, sono sufficienti poche gocce per innescare una reazione chimica che rovina irrimediabilmente la parabola.

Infine evita, dopo l’uso, urti e scossoni perchè la lampadina è ancora incandescente e si rompe facilmente.

 

Per comprendere meglio le torce subacquee le ho scomposte nei loro elementi base:

Corpo, oblò, lampadina, parabola, interruttore ed alimentazione.

 

Il corpo lampada

 

Il materiale usato per la composizione di una lampada subacquea è solitamente plastica eventualmente con alcune parti in gomma e/o alluminio, indipendentemente dal materiale usato la sua forma è basata su esigenze di ergonomicità (impugnatura, facilità di accesso all’interruttore, ecc..) e sui diversi impieghi a cui è destinata; infatti una lampada d’emergenza avrà un minimo ingombro per poter stare nella tasca dl GAV, quella per immersione notturna avrà più potenza ed autonomia a scapito dell’ingombro, ovviamente si cerca di realizzare torce il più possibile potenti compatibilmente con le dimensioni.

 

L’oblò

 

Può essere realizzato in materiale plastico o in cristallo; entrambi i materiali possiedono pregi e difetti:

L’oblò in plastica è più leggero ed infrangibile, purtroppo si riga facilmente.

Quello in vetro è più resistente all’abrasione e la sua trasparenza resta inalterata nel tempo; tuttavia è molto delicato ed ha costi molto alti perchè il cristallo, per resistere ai vari sbalzi di temperatura, deve essere del tipo temperato.

Negli ultimi tempi si sta affermando l’uso di alcuni tipi di polimeri termoplastici, ma per potenze superiori ai 50 Watt è ancora indispensabile l’uso di oblò in vetro.

 

La lampadina

 

Il filamento delle lampadine è realizzato in Wolframio (un tempo era in Tungsteno), al passaggio della corrente elettrica diviene incandescente ed essendo racchiuso in una bolla di vetro priva di ossigeno anzichè bruciare raggiunge una colorazione bianca quindi emette luce.

Durante l’utilizzo, un po’ di Wolframio si volatilizza (ciò costituisce il motivo dell’usura) andando a depositarsi sulle pareti della lampadina, annerendole e facendone diminuire l’efficienza.

 

Per ridurre questo inconveniente, il bulbo della lampadina può essere riempito con miscele di gas alogeni che si legano al Wolframio volatilizzato e che a contatto con il filamento incandescente si separano nuovamente, così il Wolframio si rinsalda al filamento e non annerisce le pareti interne della lampadina, ciò rende pressoché nulla l’usura della lampadina nel tempo.

Altri gas come il Cripton e lo Xenon, invece vengono utilizzati perchè migliorano il raffreddamento del filamento in conseguenza del loro maggior peso molecolare; lo Xenon è quello che assicura una maggior refrigerazione.

A seconda dei tipi di gas utilizzati si ottengono prestazioni diverse in termini di durata e luminosità.

Le lampade alogene è preferibile che siano survolate (max 20 %) per cui se sono state progettate per funzionare a 6 volt è possibile farle funzionare a 7-7,2 Volt in modo da ottenere una luce molto più bianca e luminosa.

Per non ridurne la durata non bisogna toccarle con le dita, perchè il grasso della pelle brucia con le alte temperature.

 

 

 

La parabola

 

Le parabole sono realizzate in plastica se accoppiate a lampade di bassa potenza e quindi con basse temperature, in metallo per potenze maggiori.

Entrambi i tipi devono subire trattamenti di metallizzazione o di cromatura che ne rendono riflettente la superficie.

La metallizzazione è la più efficiente in termini di resa ma è costosa e delicata e si danneggia se toccata con le dita, la cromatura ha un rendimento inferiore del 10% rispetto alla metallizzazione, però è robusta tanto che in caso di allagamento è recuperabile sciacquandola in acqua distillata e lasciandola asciugare.

Negli ultimi anni si sono affermate le parabole “Multimirror”a superfici sfaccettate, studiate per rendere la luce del fascio più omogenea, compatta ed uniformemente distribuita, teoricamente però se la lampadina è posta esattamente al centro del punto di fuoco della parabola, le multimirror sono meno efficaci di quelle lisce.

 

 

 

L’interruttore

Gli interruttori adottati per le lampade subacquee sono essenzialmente di quattro tipi.

1) Ad avvitamento, realizzato solo su piccole torce;

2) Magnetico, utilizza un contatto “RED” le cui lamelle vengono unite fra di loro quando si avvicina ad esse un magnete (calamita), ha il vantaggio di non necessitare di fori passanti, ma questo tipo di interruttore può essere usato solo per potenze fino a 10 watt;

3) meccanico utilizza un interruttore stagno;

4) elettromagnetico, simile a quello meccanico con l’aggiunta di un relè che ne permette l’utilizzo con potenze molto elevate.

 

L’alimentazione

 

Quella più comune consiste nelle pile usa e getta, che possono essere del tipo “zinco-carbone” o “alcaline” dalla durata tre volte maggiore alle zinco-carbone.

Esistono anche batterie ricaricabili, queste si dividono in accumulatori al “piombo” o al “nichel-cadmio”.

Quelle al piombo hanno un peso maggiore e non possono essere scaricate completamente (per evitarlo si usa un circuito elettronico), quelle al nichel.cadmio invece prima di essere ricaricate devono essere completamente scariche (effetto memoria).

Infine è importante sapere che le batterie ricaricabili hanno una differenza di potenziale di 1,2 volt contro 1,5 volt delle pile monouso.

 

Calcolo dell’autonomia di una torcia

 

Per poter effettuare questo calcolo occorre sapere i volt e i watt della lampadina e la capacità degli accumulatori, se ad esempio utilizziamo una lampadina da 10 w e 6 volt con accumulatori da 4,5 Ah, si determina l’autonomia dividendo la capacità per l’assorbimento.

 

Es: 10 w : 6 volt = 1,6

4,5 : 1,66 = 2,7 ore di autonomia

Il Computer

 

Il primo di questi strumenti, il Deco-Brain, nasce in svizzera nel 1982 dalla collaborazione tra Hass e Hahn, mentre in America quasi contemporaneamente nasce l’Edge della Orca.

Negli anni successivi al 1987 vedono la luce il Datamax della Oceanic (Usa), lo Sme-Ml della Sunto (Finlandia), e l’Aladin della Uwatec (Svizzera).

Nel 1990 sono presenti sul mercato ben 17 modelli diversi con una produzione annua di circa 80.000 computer.

Nel 1992 la produzione si attesta oltre le 400.000 unità.

Le ragioni di questo successo stanno nella grande versatilità di questi strumenti che hanno reso le immersioni più semplici e sicure.

 

A cosa serve il computer

 

Il computer subacqueo serve (o dovrebbe servire) per massimizzare i tempi di permanenza sul fondo senza che siano richieste tappe di decompressione.

Naturalmente deve essere in grado di calcolare eventuali soste di decompressione perché per errore può accadere che la curva di sicurezza venga superata ed in questo caso saresti costretto ad effettuare delle soste.

Vista in quest’ottica potresti pensare che questo sia un aggeggio inutile, invece è vero il contrario, specialmente per quelli dell’ultima generazione.

 

Come è fatto il computer

 

Ogni computer di qualsiasi marca e modello a prescindere dal programma che lo caratterizza, è costituito fondamentalmente da un hardware (display) e da un software (il programma) in cui interagiscono i sensori di pressione e temperatura, il tempo ed un determinato algoritmo di decompressione.

Le memorie utilizzate dal computer subacqueo sono di due tipi, una permanente che contiene l’algoritmo con tutti i valori delle costanti (tempi di emisaturazione, valori medi ecc.) ed una volatile che serve a visualizzare i dati e i risultati dei calcoli che vengono effettuati durante l’immersione.

Tutti i computer sono dotati di batteria interna.

L’accensione è in genere automatica al contatto con l’acqua, ma, anche all’asciutto, è possibile ottenere alcune informazioni inumidendo con la punta delle dita i sensori esterni.

 

Gli algoritmi

I computer attualmente in commercio si differenziano tra loro, oltre che per l’aspetto estetico, per il tipo di algoritmo in base al quale vengono elaborati i dati da essi forniti.

In pratica l’algoritmo è un modello matematico che simula la saturazione e desaturazione dei tessuti.

I principali programmi sono derivati dalle tabelle di Haldane e della U.S. Navy,

oppure si basano su algoritmi ideati da Roger, Powell, Hahn e soprattutto da Buhlman.

Gli algoritmi si differenziano fra loro anche per i tempi di emisaturazione che possono variare da 2,5 a 6 minuti per il più veloce e da 320 a 640 per i tessuti più lenti.

Alcuni tra i più recenti modelli sono predisposti per modificare il programma in funzione dell’altitudine, della temperatura dell’acqua o di eventuali discese effettuate in precedenza, in modo da calcolare i tempi in maniera più cautelativa.

La manutenzione

La manutenzione di questa apparecchiatura è molto semplice, basta sciacquarla in acqua dolce, asciugarla e riporla in un luogo asciutto in modo da non scaricare le batteria.

Per alcuni modelli è prevista la sostituzione della pila direttamente dal subacqueo, mentre per altri è necessario l’invio all’azienda distributrice o presso officine specializzate.

Periodicamente dovresti far controllare il tuo computer da un centro specializzato, la revisione riguarderà la precisione dei sensori di tempo e profondità.

Il computer subacqueo in aereo va portato in cabina per evitare che l’elevato sbalzo pressorio presente nel vano bagagli possa danneggiarlo.

Infine mai usare liquidi sgrassanti o spray sullo strumento perchè potrebbe danneggiarsi

 

L’Aro

 

 

L’auto-respiratore ad ossigeno è la più vecchia tra le apparecchiature per la respirazione subacquea.

nato come mezzo di emergenza per abbandonare i sommergibili in avaria è stato poi largamente usato durante l’ultima guerra mondiale dagli Incursori della marina Italiana ed Inglese.

Solo al termine di quel conflitto l’Aro è divenuto anche sportivo ed ha permesso ai primi pionieri di andare alla scoperta del mare.

A differenza dell’Ara (auto-respiratore ad aria) questo è un apparecchio a circuito chiuso, infatti il principio su cui si basa è il recupero della miscela respirata.

Ne esistono diversi tipi ma sostanzialmente i modi di funzionamento sono due.

Il tipo più comune è detto pendolare, in quanto l’ossigeno richiamato manualmente dalla bombola nel sacco polmone tramite una valvola by-passa, viene inspirato ed espirato attraverso un unico tubo corrugato.

L’altro sistema è definito ciclico perché l’ossigeno viaggia a senso unico attraverso un tubo di inspirazione e un altro di espirazione, il sistema funziona per mezzo di due valvole unidirezionali che ne garantiscono il corretto ciclo dei flussi.

 

Composizione dell’Aro

 

schematicamente, le parti principali che lo compongono sono:

Bombola di ossigeno della capacità di 2 litri.

Sacco polmone in tessuto gommato con capacità di circa 6 litri.

Tubo corrugato con boccaglio e valvola a due vie (esterno/sacco).

Filtro della calce sodata.

 

 

Principio di funzionamento

 

L’ossigeno immesso nel sacco polmone attraverso il by-passa assume la pressione ambiente e può essere respirato tramite il tubo corrugato munito di boccaglio.

In fase di espirazione l’ossigeno viene filtrato dalla calce sodata e torna nel sacco ripulito dall’anidride carbonica, quindi è pronto per essere nuovamente inspirato.

 

 

Quello consumato viene ripristinato periodicamente richiamando la quantità necessaria dalla bombola.

prima di iniziare a respirare dall’Aro occorre provvedere ad eliminare l’azoto presente nel sacco e nei polmoni del subacqueo.

Questo è il procedimento noto come lavaggio del sacco e dei polmoni ed è reso possibile dalla valvola a due vie posta sul corrugato.

Tecnica e utilizzo

L’immersione con l’Aro è esente dalla problematica relativa all’assorbimento di azoto, per contro però la respirazione di ossigeno puro impone un limite massimo di 12 metri di profondità, per non incorrere nell’iperossia.

L’utilizzo dell'Aro è molto tecnico, semplici errori di preparazione o di gestione possono generare incidenti da ipercapnia e anossimia.

Per tali motivi richiede un apposito corso di specializzazione e parecchia cautela.

Cura e manutenzione

Le operazioni di ricarica e manutenzione non sono semplicissime.

Periodicamente è necessario sostituire il filtro con la calce sodata perché si satura di anidride carbonica.

Per sapere quando la calce sodata è da sostituire Viene aggiunta ad essa un colorante, quando questo colorante cambia colore è tempo di sostituire il filtro.