Ciclo di catechesi sulla Lettera ai Galati
- Sr. Maria
Andreina Alfero, pddm
(appunti
tratti dalle lezioni del prof. Maurizio Teani, S.I. – Cagliari, che ringraziamo
cordialmente)
Centro Culturale Universitario “Paolo VI” – Sant’Ivo alla Sapienza - ROMA
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INDICE
San Paolo apostolo: profilo biografico
Esegesi della lettera ai Galati
San Paolo apostolo: profilo biografico
Non disponiamo di informazioni precise sulla cronologia
della vita e delle opere di Paolo, dal momento che gli scritti neo-testamentari
paolini e lucani non si curano di datare gli avvenimenti che riferiscono. Ma le
indicazioni di cui disponiamo sono sufficientemente approssimative.
v
Saulo nasce a Tarso in Cilicia,
verso l’inizio della nostra era, quale più giovane contemporaneo di Gesù,
stando all’indicazione della lettera a Filemone, scritta tra il 60-63, nella
quale si definisce “vecchio”.
v
Lascia Tarso per Gerusalemme tra
il 25-30 per continuare gli studi e vi rimane diversi anni prima di incontrare
Cristo
v
perché la sua conversione si può
datare verso il 34-35, dopo il martirio di Stefano, l’anno 33.
v
Circa il 37-39 sale a
Gerusalemme una prima volta per prendere contatto con Cefa. Ritornato ad
Antiochia e Tarso, trascorre tra queste due città diversi anni e da qui parte
per il
v
primo viaggio missionario con
Barnaba tra il 44 e il 49 verso Cipro e l’Asia Minore (di cui fa parte la
Galazia).
v
Quattordici anni dopo la prima
visita, Paolo sale di nuovo a Gerusalemme, tra il 49 e il 50, per quello che
viene chiamato il Concilio di Gerusalemme.
v
Tornato ad Antiochia,
probabilmente ha luogo l’incidente con Pietro e Barnaba.
v
Paolo decide di partire per un
secondo viaggio, ma senza Barnaba, e con Sila rivisita le chiese della Siria,
Cilicia e Galazia meridionale. Lo Spirito lo porta in Europa: Samotracia,
Neapoli, Filippi, Tessalonica, Atene e Corinto. Siccome nella sua lunga
permanenza in questa città viene tradotto davanti al proconsole Gallione,
possiamo sapere che Paolo si trova qui tra il 51 e il 52. Torna ad Antiochia
nel 52 e
v
nel 53 riparte per il terzo
grande viaggio missionario. Raggiunge Efeso, via terra e vi rimarrà a lungo, forse conoscendo anche una breve
prigionia. Da lì ritorna in Europa, in Macedonia, Grecia e Illiria meridionale,
fermandosi a Corinto per alcuni mesi. Da qui riparte per la Macedonia e
incontra i delegati della colletta per la Chiesa-madre di Gerusalemme. Salpando
da Asso, si ferma a Mileto, da dove manda a chiamare gli anziani di Efeso. Da
qui passando per Tiro e Tolemaide, giunge a Cesarea e
v
sale a Gerusalemme, dove viene
arrestato e tra
v
il 57-60 si trova prigioniero tra Gerusalemme e
Cesarea Marittima. Il cambio tra il procuratore Felice e Festo deve essere
avvenuto tra il 59 e il 60.
v
Da qui parte per Roma dove
giunge nella primavera del 60-62, rimanendovi due anni. Se la sua morte non
avvenne ora, egli può essersi recato ancora in Spagna e quindi di nuovo a
Efeso, a Creta, in Macedonia e a Nicopoli dell’Epiro.
Verrebbe imprigionato di nuovo a Roma dove morirebbe
decapitato tra il 64 e il 67.
Esegesi della Lettera ai Galati
E’ essenziale per la riflessione che Paolo vi ha condotto. Si tratta di un cantiere in fermento, dove egli elabora le strutture portanti del suo pensiero teologico: è una costruzione fatta con grande passione. Si concentra sul nocciolo dell'evangelo, non sui contorni (2,4-15). E’ diversa da un trattato accademico, in cui si trovano termini ponderati e affermazioni soppesate. E’ scritta di getto, sullo sfondo del periodo cruciale che stava attraversando il giovane movimento cristiano, con la passione di quel momento in cui si andavano definendo nelle sue linee fondamentali. Quest’elaborazione non poteva avvenire in maniera lineare, senza scontri e tensioni. Come appare nel racconto degli Atti, in questo periodo si confrontano due interpretazioni divergenti su ciò che era centrale nel movimento cristiano. La lettera riporta i termini di questa disputa: cos'è essenziale nell' esperienza cristiana?
1,1-5
Paolo
apostolo, non da uomini, né attraverso un uomo, ma attraverso Gesù Cristo e Dio
Padre che ha risuscitato Lui dai morti, e con me tutti i fratelli (co-mittenti),
alle Chiese della Galazia: grazia a voi e pace da parte di Dio, Padre
nostro e dal Signore Gesù, il quale diede se stesso per i nostri peccati, così
che (affinché) strappasse noi dall' eone (mondo) quello presente (che
incombe) malvagio, secondo il volere di Dio e Padre nostro al quale la
gloria per i secoli dei secoli. Amen.
L'intestazione
si chiude con una dossologia anche perché la lettura veniva fatta nell'assemblea
liturgica. Il mittente si presenta con il nome greco, che è la traslitterazione
dal latino Paulos, subito seguito dal titolo"apostolo", che
gli sta particolarmente a cuore e sul quale insiste qui in modo particolare,
come anche nelle altre lettere dove lo usa. Manca in 1Ts - Fil - Fm per i
rapporti di amicizia che lo legano a quelle comunità e persona. Questo termine
della prima tradizione cristiana presenta un certo collegamento con
l’istituzione giuridica giudaica Shalaq. Erano per lo più rabbini*, mandati
dall'autorità centrale (sinedrio) nella diaspora con incarichi di insegnamento
o per risolvere questioni legali, come autentici plenipotenziari. Paolo è
inviato da Gesù Cristo e ha l'autorità di diffondere l'evangelo che gli è stato
affidato: è il Risorto che lo invia, non una struttura umana. Si tratta di una
precisazione negativa, con un carattere polemico, come a respingere voci che
circolavano nei suoi riguardi, circa le sue pretese di essere apostolo.
Apò indica origine:
qual'è l'origine dell'apostolato di Paolo ? Egli nega che si tratti di
un'iniziativa umana. La critica testuale ci supporta sia un plurale che un
singolare: soffermiamoci su entrambe le ipotesi.
Andropon, uomini se accettiamo il plurale (= comunità), potrebbe indicare Antiochia, da cui è partito
per la missione (cfr At 13). Se invece propendiamo per il singolare uomo, si potrebbe riferire a Barnaba che lo ha cercato a Tarso.
L'intento di Paolo è chiaro: (notare l’avversativo allà): “ma per
l'iniziativa di Gesù Cristo e di Dio Padre”. I1 Padre e Gesù risorto lo hanno
scelto e mandato tra i pagani a portare l'Evangelo. La precisazione
dopo "Padre" sottolinea il suo intervento in Gesù risorto sulla via
di Damasco. E' l'unico passo della lettera in cui si parla della risurrezione.
E’ significativo che l’essere apostolo di Paolo sia conseguenza della
risurrezione di Gesù.
Al v.3
ritroviamo il saluto apostolico con i termini caris (= grazia), saluto
ellenistico attestato nella letteratura epistolare; è l’equivalente latino di
"Ave atque vale", che era inteso come uno star bene
materialmente, ma da Paolo e poi, nella letteratura cristiana, è piuttosto
inteso come la partecipazione al dono di Dio. L'altro termine è eirene pace equivalente dell’ebraico shalom, ed indica la
condizione salvifica in cui si trova il credente in Gesù (v. Rom 5, dove è
intesa come pace in senso interiore, intimistico, ma come situazione di vita, di rapporti sociali e
politici);
caris - eirene dicono sostanzialmente la stessa cosa: si
tratta allora di un' endiadi (= dire con due parole una sola idea).
Dopo il saluto, Paolo, si prolunga
volutamente sulla persona di Gesù per indicare fin dall'inizio ciò che ha
significato la sua opera nel mondo. Ricorda subito che la liberazione dal
peccato ( = ciò che ci separa da Dio e dagli altri) avvenne per mezzo della
croce: “affinché fossimo strappati da questo tempo malvagio”. Paolo usa un
linguaggio apocalittico, intendendo sottolineare che con la svolta della croce,
è iniziato l’ eskaton, inteso non come la fine del mondo ma il fine del
mondo e la pienezza della vita, che è quella che Cristo è venuto a inaugurare
con la sua morte e risurrezione. Il verbo exaireo strappare porta l'immagine di uno che è preda di un altro. La croce
per Paolo rientra nel piano di Dio. C'è qui un richiamo alla Scrittura, che lo
contiene. Quindi l'Evangelo che egli predica è in conformità con le Scritture.
La croce è la svolta, ma era già prevista nelle Scritture, da sempre.
1,
6-10
Mi
meraviglio che così in fretta (velocemente) passiate ( =
cambiare campo, passare al nemico) da Colui che vi ha
chiamati nella grazia (di Cristo) verso un altro evangelo; che poi non ce
n'è un altro, ma solo (ei me) ci sono alcuni che vi turbano (sconvolgono)
e vogliono stravolgere l'Evangelo di Cristo. Ma anche se noi o un angelo dal
cielo vi evangelizza (annuncia) un vangelo oltre quello che è stato
evangelizzato a voi (un evangelo diverso), sia scomunicato, come vi dicemmo (predicammo) anche ora di nuovo
dico (ripeto): se uno vi evangelizza oltre quello che avete ricevuto sia
anatema. Ora infatti
cerco di persuadere gli uomini o cerco di persuadere Dio? O cerco di piacere
agli uomini? Se ancora piacessi agli uomini (volessi piacere agli uomini) schiavo di Cristo non
sarei.
Paolo esprime la sua meraviglia: non
si aspettava quello che sta avvenendo nelle comunità: un passaggio di campo
assurdo. metatithesthe passiate, al presente, indica che
siamo di fronte a un'azione ancora in atto, non ancora conclusa, ed egli spera
ancora di poter intervenire. I1 participio presente di questo verbo serve
per indicare il disertore: il tradimento dei Galati è indicato anche dalle
preposizioni apò da – eis verso: si sta tradendo la
vocazione cristiana, come vocazione personale, perché è Dio stesso che ha
chiamato i Galati alla novità dell'evangelo. Questa chiamata è caratterizzata
dall'inciso en cariti nella grazia
considerando Cristou di Cristo,
un'aggiunta posteriore (attestata solo da criteri esterni, ossia i diversi
manoscritti a nostra disposizione), mentre per criteri interni (come il
contesto di questa lettera paolina ma anche delle altre ) si può meglio
supporre che la lezione originaria sia la prima. Questa vocazione è
contrassegnata dalla gratuità: ciò evidenzia bene la contraddizione del
passaggio che sta avvenendo tra i Galati: dalla grazia ai meriti. Altro motivo di stupore è il fatto
che questo cambiamento avvenga in fretta outos tacheos: un cambio
gravido di conseguenze, che avviene così in fretta, senza che gli abbiano dato
il tempo di intervenire con una parola ... La fretta poi, è sempre segno di un
cattivo discernimento.
“… verso un evangelo altro”: questo aggettivo indica un evangelo diverso, è
un’espressione con valore qualitativo, ossia indica che questo presunto vangelo
è in realtà una perversione, uno stravolgimento di quello autentico. Si
tratta di un annuncio che si muove in maniera opposta rispetto alla
chiamata per grazia. E Paolo si premura di aggiungere che non ce n'è un altro, ma (ei me), che corrisponde all'avversativo allà ma e introduce il termine "alcuni", che riceveranno
una specificazione ulteriore nel corso della Lettera, per ora si dice che
creano scompiglio nella comunità. Questo termine veniva usato anche per gli
agitatori sociali: ricordando metastrepsai possiamo pensare a infiltrati
da parte dell'avversario. Con questo scompiglio vogliono raggiungere uno scopo:
stravolgere l'evangelo di Cristo ( si tratta di un genitivo oggettivo ossia l’evangelo
che ha per oggetto Cristo) per cui Egli è la buona
notizia, evangelo che annuncia il Cristo come unica via di
salvezza. Nei vv.8-9 Paolo, in maniera severa pronuncia un anatema contro
chiunque, lui compreso, osasse e osa predicare un evangelo diverso. Anche se si
trattasse di un angelo, ossia di presunte rivelazioni successive, di
visioni, queste non potranno mai essere contro quella rivelazione fondamentale,
che Dio ha dato nel Figlio ed è attestata dai documenti detti
"Vangeli". Al centro di questa rivelazione c'è Cristo morto e
risorto: il resto è contorno, e se uno scansa questo ... Paolo si appella con
un anatema. E’ dunque un fatto grave questo: chi lo compie è fuori dalla
comunione, non riconosce la verità di Cristo. Paolo ricorre all'anatema solo
per questioni in cui è in gioco la persona di Cristo: l'essenziale ! In 1Cor
16,22 per esempio, non fa altro che evidenziare la situazione reale in cui si è
posta una persona che ha stravolto l'evangelo di Cristo.
Al v.10 il
verbo peitho ( = tirare dalla propria parte in modo subdolo, persuadere,
riempire la testa di chiacchiere, plagiare, carpire l'adesione ...): Paolo
chiede se sta cercando questo dagli uomini o addirittura da Dio (ironico!). Il
tono polemico fa pensare che siano espressioni usate dai suoi nemici, come la
seguente espressione: "Cerco di piacere agli uomini". Egli era accusato
di cercare di adattare il Vangelo ai pagani. Non si trattava più del Vangelo di
Gesù ma di una sua furbizia, per attirarsi il favore della gente (basti pensare
alla difficoltà dei pagani ad accettare la Legge mosaica, specialmente la
circoncisione e se lui diceva che non era necessaria…). Paolo rifiuta queste
accuse. L'espressione schiavo, servo doulos è certamente scelta da Paolo per l'uso che se ne fa nelle Scritture della
Prima Alleanza, riferito ai personaggi che Dio sceglie per un incarico
speciale. Egli lo applica a sé in diverse intestazioni di Lettere: Rom.1,1 ;
Fil l,l . In Fil 2,21 anche i suoi collaboratori sono presentati con questo
termine.
Se apostolos indica la missione affidatagli da Cristo, con questo
termine si intende il legame di obbedienza di Paolo verso il Signore e la sua
volontà. Egli è totalmente preso da essa, rivolto, completamente consegnato e
dedicato al progetto di Dio.
Ei eti ancora fa pensare
che una volta, sì cercava la compiacenza umana: ora, alla luce di Cristo, Paolo
rilegge la sua esperienza di fariseo osservante: c'è una specie di auto-critica
della sua vita precedente all'incontro con Cristo che, una volta avvenuto,
getta luce sul passato della sua presunta fedeltà a Dio.
Al v.11
comincia il corpo della Lettera il cui argomento è la novità
dell’evangelo:
una prima
sezione è compresa tra 1,11 - 2,21
ed è definita apologia dell'evangelo si suddivide in 3 punti:
A) 1,11-24 parla
dell'origine dell'evangelo richiamando "Damasco" per mostrare che
l'evangelo non è una sua creazione: non viene dagli uomini ma da Dio.
B) 2,1-10
parla dell'approvazione dell'evangelo da parte degli apostoli a Gerusalemme,
richiamando il "Concilio".
C) 2,11-21
difende pubblicamente l'evangelo richiamando "l'incidente di
Antiochia".
Questa parte
è detta storica perché caratterizzata dalla narrazione.
A) 1,11-24 è il primo passo in questa
difesa, mostrando l'origine da Dio dell’evangelo.
Rendo noto
infatti a voi, fratelli, l'evangelo che fu evangelizzato da me che non è
secondo uomo (= sottolineatura ad effetto dell'evangelo: notiamo in
questo modo irruento di scrivere, quello che veramente sta a cuore a Paolo). Neppure
infatti io da un uomo lo ricevetti né fui catechizzato (istruito), ma
per rivelazione apocalittica di Gesù Cristo (genitivo oggettivo =
rivelazione che ha avuto per oggetto Cristo). Sentiste parlare infatti della
mia condotta di un tempo, nel giudaesimo, che all'eccesso (a dismisura) perseguitavo
(imperfetto) la Chiesa di Dio e la devastavo (imperfetto, verbo questo
usato nel senso di sradicare le malepiante: possibile traduzione sarebbe:
“perseguitavo per sradicarla) e superavo nel giudaesimo molti coetanei della
mia razza, essendo oltremodo zelante per le tradizioni dei miei padri. Ma quando
si compiacque Colui che mi separò (scelse = aforizo) dal seno di mia madre e mi chiamò per la sua grazia (v.6 en cariti), (verbo reggente) si compiacque di rivelare suo
Figlio in me, affinché lo evangelizzassi tra i pagani (genti), subito (immediatamente)
non consultai ( = porre una domanda riguardo a qualcosa a qualcuno) carne
e sangue (semitismo usato per indicare l'uomo in contrapposizione a Dio), né
salii a Gerusalemme da quelli prima di me apostoli (il gruppo storico). Invece
andai in Arabia (regione a sud della Siria) e di nuovo ritornai a
Damasco. Poi dopo tre anni salii a Gerusalemme per incontrare Cefa e rimasi
presso di lui quindici giorni. Un altro degli apostoli non vidi; solo (vidi)
Giacomo, il fratello del Signore. Ciò che scrivo ecco davanti a Dio (sottinteso:
dichiaro) che non mentisco. Poi andai nelle regioni della Siria e della
Cilicia. Ero sconosciuto di volto alle Chiese della Giudea quelle in Cristo.
Soltanto erano ascoltanti (sentivano dire) che colui che ci perseguitava
ora evangelizza la fede che un tempo voleva sradicare (imperfetto) e
lodavano (glorificavano) Dio (in me) a causa mia.
Gnorizo Rendo noto: Paolo vuole subito mettere in chiaro con la preposizione katà
( = secondo, sopra c'era apò) katà indica
la qualità: l’evangelo che lui predica non è di carattere umano, non è
modellato sulla mentalità umana. Dicendo poi "neppure" sottolinea
come neppure lui, come gli apostoli (gruppo storico) lo ha ricevuto da uomini,
ma
Oudè gar né infatti ( = costruzione enfatica) come i dodici non lo ha
ricevuto da un uomo."Né sono stato catechizzato da uomini": Paolo
sottolinea come non ha avuto nessuno per maestro, catechista, uno che lo ha
introdotto nella nuova fede. A prima vista questo affermazione sembra in
contraddizione con altre sue affermazioni. In At 9, ad esempio, si parla di
Anania; in 1Cor 15,1 si parla di tradizione ricevuta e trasmessa ... Ma qui il
discorso è diverso: qui è in gioco l'evangelo che Paolo predica ai pagani: ed è
su questo che egli afferma di non aver ricevuto indottrinamento, sul modo di
impostare la predicazione. I1 modo con cui ha incarnato (inculturato)
l'evangelo tra i pagani (ossia la libertà dalla Legge) è un'intuizione che egli
ha avuto nella vocazione.
Allà dià
Iesou Cristou ma per mezzo, attraverso Gesù Cristo, si tratta
di una rivelazione che ha avuto per oggetto Cristo, la sua identità
profonda (ripreso al v.16). L'oggetto è Cristo e il soggetto (rivelante) è il
Padre. Al v.13 Paolo richiama succintamente la sua vicenda storica, per
mostrare come l'incontro con il Risorto ha operato una trasformazione radicale
nella sua esistenza. Ciò è ben indicato da alcune particelle temporali: pote
una volta, nel
passato egli era una certa persona, caratterizzata da una mentalità; ote de ma quando, ma c'è un momento preciso nella sua vita che segna
un cambiamento; e allora, subito eutheos ... poi epeita. Nei vv.
13-14 il riferimento al passato, la sua appartenenza al giudaesimo, la sua
condotta conforme, addirittura eccellente nella fedeltà alle tradizioni dei
Padri ( = interpretazioni che si erano andate formando attorno alla Legge e che
ne costituivano la "siepe" posta dall'insegnamento dei rabbini:
ricordare le invettive di Gesù nei Sinottici * contro i farisei). Paolo si
presenta come un giudeo zelante: per questo suo zelo, collegato ad esso, sta il
suo passato di persecutore della Chiesa. Egli sottolinea qui la sua opposizione
alla Chiesa nascente. Con il verbo all'imperfetto poi, indica un'azione
prolungata, tutt'altro che momentanea: egli veramente perseguitava la Chiesa
per estirparla: "cercavo con tutte le mie forze di sradicare questa
malapianta". In Fil 3 la sua opposizione al cristianesimo è legata al
fatto che egli vi vedeva un attacco alla legge. Ciò doveva essere ben visibile
nel gruppo degli "ellenisti" di cui faceva parte Stefano, al momento
del cui martirio compare Paolo. Al v.15 egli parla dell'intervento originario
di Dio nella sua vita, facendo riferimento a due testi di vocazione profetica:
Ger 1,5 e Is 49,1. I1 cambiamento avvenuto in lui è dovuto all'azione
originaria di Dio ed egli si scopre il "servo" di Cristo, dedicato
alla causa dell'evangelo: scoprendo l'identità di Cristo, scopre anche la sua
identità profonda. In Rom 1,1 lo stesso verbo indica la chiamata ad essere
apostolo in vista dell'evangelo (che ha Dio per origine e soggetto). AI v.16:
“si compiacque di operare una rivelazione apocalittica di suo Figlio in me”. Si
tratta di un intervento decisivo di Dio nella storia, che sarebbe avvenuto
negli ultimi tempi. Dio sarebbe intervenuto nella storia per salvarla.
L'esperienza di Damasco ha costituito la sua introduzione nell'evento decisivo
della storia operato da Dio e questo evento è Gesù Cristo con la sua morte e
risurrezione. E’ questo l'evento con cui Dio cambia la storia. Nella letteratura
apocalittica si sottolineava che questo evento sarebbe rimasto nascosto: per
Paolo il senso della morte di Gesù era velato fino all'apertura dei suoi occhi
avvenuta sulla via di Damasco. Qui egli scopre l'identità profonda di Gesù: è Lui l'evento decisivo.
En emoi in me (o a me) sottolinea l'intensità di questa
rivelazione, la sua penetrazione fino al centro della persona di Paolo:
l’incontro con Cristo è qualcosa che ti
entra dentro. In 2Cor 3,14 ritorna lo stesso termine, mentre si parla di un
velo che rimane sugli occhi come era prima per Paolo: solo quando questo velo
sarà tolto, gli ebrei comprenderanno come lui ha compreso, che Cristo è lo
sbocco della storia dei Padri.
"Perché
lo evangelizzassi tra i pagani": egli ha scoperto l'identità profonda di
Cristo e lo annuncia (incarna) tra i pagani: questo suo annuncio è collegato
con la rivelazione di Cristo. Al v. 17 Paolo parla di quello che è avvenuto in
seguito. Dio gli ha rivelato qualcosa. Egli non cerca conforto dall'uomo di carne
e di sangue, debole rispetto a Dio. Non ha sentito il bisogno di
cercarla neppure dagli apostoli. Questo non perché si sente autosufficiente, ma
perché non ha avuto il minimo dubbio sulla sua vocazione: semmai i dubbi erano
degli altri ...
Si sofferma poi a parlare di ciò che avvenne dopo il suo incontro sulla via di Damasco. Siccome ha parlato Dio, il Potente, perché cercare conferma dall'uomo debole? "apostoli prima..". Egli si mette sullo stesso piano di quelli del gruppo storico: la distinzione è solo cronologica, non qualitativa. La loro autorità apostolica è dello stesso livello. Questa dignità deriva a Paolo dall'intervento di Dio in Cristo.
Poi andrà a
Gerusalemme per un confronto, ma la sua dignità non dipende dal riconoscimento
degli altri. Paolo va invece nel deserto, forse per assimilare nella solitudine
l'esperienza fatta e poi torna a Damasco. Al v.18 afferma che sale a
Gerusalemme dopo 3 anni. I1 verbo istoreo vedere indica la
visita a città, persone che vale la spesa di conoscere. Usato qui
all'infinito aoristo, è un verbo raro nella Scrittura, forse un apax * .
Potrebbe indicare che Paolo non ci va per una necessità di conferma, ma perché
riconosce nella figura di Pietro qualcosa di non comune.
"Dopo
tre anni" indica che questo incontro è tardivo: non è stata questa la
sua prima preoccupazione. "Rimasi con lui quindici giorni": un tempo
troppo breve per una catechesi ! "Un altro degli apostoli non vidi, se non Giacomo, il fratello
del Signore". Ei me (= soltanto vidi Giacomo). Non è detto che
Giacomo sia tra gli apostoli, ma che è il "fratello del
Signore": questo nome è attestato tra quelli dei fratelli di Gesù di cui
parlano i sinottici; è presente anche nel gruppo in attesa dello Spirito nel
Cenacolo. Giunge ad occupare un posto di primo piano nella Chiesa di
Gerusalemme, come si nota dagli Atti: 12,17 ; 15,13 ; 21,18.
Quest’osservazione
aggiunge un'altra relativizzazione: non si tratta di un incontro formale, dato
che non c'era tutto il collegio... "Non mentisco": questa
preoccupazione non si spiega se non con un intento polemico: non è stato
chiamato per rendere conto del suo evangelo. Notiamo la resistenza
incontrata da Paolo. Andò nelle regioni della Siria e della Cilicia, dove non
era ancora avvenuta l'evangelizzazione: è il suo stile, quello di portare
l'evangelo dove non era ancora arrivato. Studi di Dupont e Feuillet evidenziano richiami tra questo
racconto dell'investitura apostolica di Paolo con quella di Pietro in Mt
16,13-20. Per rispondere ai suoi avversari avrebbe volutamente messo in
parallelo questi due avvenimenti.
Certamente circolavano tradizioni su ciò che riguardava Pietro.
I punti di
contatto tra questi due brani sono:
Paolo assegna un'importanza decisiva a questa chiamata sulla via di Damasco, quando deve difendere Cristo e l'evangelo. Notiamo la sua ricorrenza in vari testi.
1Cor 15,8: ultimo (usato anche qui in senso temporale) come all'aborto (articolo determinativo in greco): "si fece vedere persino a me: io infatti sono l'ultimo degli apostoli, e non sono neppur degno ... " Riconosce qui la totale grazia di Dio: era l'ultimo anche nel senso del merito; "perché ho perseguitato la Chiesa di Dio, ma per grazia di Dio, sono ciò che sono, e la grazia di Lui, quella verso di me, non fu vuota (vana), ma più di tutti gli altri apostoli ho faticato (kopiao, letteralmente faticare è il verbo che indica la fatica apostolica), non io ma la grazia di Dio con me." Questo termine è significativo: Paolo non aveva titoli per diventare apostolo, anzi, umanamente parlando, c'erano motivi contro la sua chiamata, tuttavia, pur attraverso una nascita non normale (aborto) avviene comunque la sua vocazione di apostolo: è stato generato per la gratuità di Dio. Quell'articolo determinativo to il, lo, ha suggerito ad alcuni autori, con un certo fondamento, che questo termine potrebbe indicare che Paolo venisse chiamato con quest’ epiteto dispregiativo dai suoi avversari: un aborto di apostolo! appellativo ingiurioso, che egli riprende. Ciò spiegherebbe anche la digressione: è il minimo degli apostoli, e la grazia di Dio ha agito più abbondantemente.
Confrontiamo
l’esperienza di Paolo come egli la presenta in Fil 3,5-11 siamo ancora
in un contesto polemico, dove "carne" indica sia le
prerogative umane, che quelle sociali, nazionali, che in sé non sono male, ma
se ci si affida esclusivamente a questo realtà, considerandole decisive.. v.7 :
allà “ma quelle cose che erano per me un
guadagno, queste le ho considerate perdita a causa di Cristo Gesù”.
Incomincia qui quella contrapposizione di perdita/guadagno che attraversa tutto
il brano. Paolo lascia quello che costituiva il suo mondo, che considerava
irrinunciabile, un bene da non potersi barattare con niente, e ora a causa di Cristo,
lo considera uno svantaggio: l'incontro con Cristo ha operato in lui un
rovesciamento di valori.
"Ma
anzi considero tutto una perdita a causa della superiorità della conoscenza di
Cristo Gesù, mio Signore ( = Signore della mia vita), a causa del quale (aoristo passivo,
stesso termine zemian – zemiothe immondizia,
escrementi) ho
accettato di subire la perdita di tutto (c'è ancora l'iniziativa di Cristo). E
ora considero tutto questo sterco, affinché io guadagni Lui
"(congiuntivo aoristo: Cristo è il vero guadagno). Si guadagna la
relazione con Lui: non si
perde mai per perdere (Mt 13: perla preziosa ... )."Affinché guadagni
Cristo e sia trovato in Lui (aoristo passivo: ormai la sua vita è tutta in Cristo).
Non avendo una mia giustizia che proviene (= origina, dalla Legge"
ossia, che io mi costruisco) ma dalla fede in Cristo Gesù” ( = che ha per oggetto Lui
e la fiducia in quello che Dio ha fatto in Gesù).
Al v.10
vediamo che la scelta di Cristo si esprime in un cammino progressivo di
identificazione con la sua Pasqua di morte e risurrezione: è un fare
esperienza sempre più profonda di morte/vita, "vivendo in comunione con le sue
sofferenze ... Non che io l'abbia preso, soltanto corro per prenderlo, perché
anch’io sono stato preso (raggiunto e afferrato) da Lui":
ritroviamo la stessa immagine della via di Damasco. Ora Paolo corre dietro a
Cristo, non contro di Lui, come persecutore: la sua corsa è trasformata
dall'incontro con Cristo.
B) 2,1-10
“Dopo 14 anni di nuovo salii a
Gerusalemme con Barnaba, portando insieme anche Tito. Però vi salii a
causa (secondo) un'illuminazione dall'alto (rivelazione) e
sottoposi a loro (le autorità di Gerusalemme) l'evangelo quello che
annuncio tra i pagani, però in privato, ai ragguardevoli (che hanno
importanza), se mai a vuoto corro o abbia corso. Ma nemmeno Tito, il
quale (era) con me (pur) essendo greco, fu obbligato ad
essere circonciso. Ma a causa dei falsi fratelli infiltratisi ( =
introdottisi di soppiatto: questo sarebbe avvenuto a causa di costoro: c'era
qualcuno che premeva in questo senso) per spiare la nostro libertà, quella
che abbiamo in Cristo Gesù, affinché ci facessero tornare in schiavitù. Ad essi
neppure per un'ora cedemmo con sottomissione affinché la verità
dell'evangelo rimanesse da voi. Da parte dei considerati essere qualcosa
(i ragguardevoli)- quali un tempo fossero non mi importa niente. Dio non
riceve il volto dell'uomo (semitismo = non fa preferenza di persone)- a
me infatti i ragguardevoli non imposero niente di più, ma invece, avendo visto che
avevo ricevuto come fiduciario l'evangelo dell' incirconcisione (tra i
pagani), come Pietro della circoncisione - Colui (Dio) infatti, che
operò con forza (efficacemente) nei confronti di Pietro (in lui) in
vista dell'apostolato della circoncisione, operò efficacemente anche in me - e
avendo riconosciuto la grazia, quella che fu data a me, Giacomo e Cefa e
Giovanni, coloro che erano considerati essere le colonne, diedero la (mano)
destra a me e a Barnaba (in segno) di comunione, affinché noi verso i
pagani
(portassimo
l'evangelo) e loro verso i giudei. Soltanto dei poveri affinché ci
ricordassimo (sottinteso:"ci chiesero" ), ciò che sono stato
sollecito proprio di fare. "
Paolo parla di una seconda salita: le autorità di Gerusalemme hanno riconosciuto l'autenticità dell'evangelo che annuncia ai pagani. Il v.1 (v. At 15) informa che Paolo e Barnaba sono inviati ufficiali della Comunità di Antiochia di Siria. Notiamo l'enfasi che da alla presenza di Tito: Paolo vuole mostrare l'opera della grazia in un pagano trasformato da essa sola, nel Battesimo, senza essere diventato giudeo. E' certamente questa una provocazione nei confronti dei giudeo-cristiani. Tito costituisce la contro-argomentazione vivente nei confronti di quei tali "infiltratisi" che sostenevano la necessità della Legge mosaica per chi si convertiva a Cristo.
Al v.2 Paolo precisa che è salito a Gerusalemme, che ha cercato il confronto con la Chiesa-madre, non perché è stato costretto, o perché glielo hanno imposto, ma perché glielo ha suggerito Dio. Paolo ha ritenuto utile, sotto la pressione di questi gruppuscoli, e importante, avere questa conferma. Dio stesso lo ha spinto un giorno a cercare a Gerusalemme l’avvallo ufficiale dell'evangelo che lui predica ai pagani. I1 tempo presente, indica che si tratta dello stesso evangelo che egli continua ad annunciare. Lo scopo è: "se mai corro o ..". Le autorità di Gerusalemme devono pronunciarsi sul suo impegno apostolico. O si è affaticato a vuoto annunciando un falso evangelo. Questo "sottoporre l'evangelo" è avvenuto in privato ai ragguardevoli (i dodici): non lo fa in un'assemblea, con un intento polemico, ma nella calma. "Le colonne" sono una cerchia ristretta di persone che occupa un posto autorevole.
Al v.3
ricorda che a Gerusalemme c'era stata una forte pressione perché Tito, pagano
venisse circonciso e che lui, Paolo, resistette. Al v.4 rileviamo le
espressioni: "ricondurci in schiavitù"-"spiare la libertà"
.
Si tratta
di un termine usato per indicare un nemico che si infiltra nel campo avversario per ottenere
informazioni .... Queste persone, questi infiltrati, propongono un tipo di rapporto con
Dio che rende schiavi. Al v.5 Paolo prende coscienza del fatto che qui è in
gioco la verità dell'evangelo: non vede un problema periferico (di Pastorale),
ma che si sta toccando qualcosa di essenziale, e in questo casi egli diventa
intransigente. Se si tratta del centro ! Il v.6 riporta l'esito del confronto:
da parte dei ragguardevoli non gli fu imposto niente, sottinteso, circa
l'evangelizzazione dei pagani.
Rileviamo pote
una volta (inciso) = nel periodo della vita pubblica di Gesù. Sembra
un altro riferimento alla polemica tra lui e coloro che facevano confronti
tra lui e i dodici, i "veri" apostoli. Non solo, dunque, non
gli hanno imposto nulla, ma hanno concluso un accordo missionario. Frase
fondata su due participi: idontes vedenti (v,7) gnontes conoscenti (v.8). Non c'è stata una presa di posizione affrettata:
hanno visto e riconosciuto ciò che Dio ha operato in Paolo e attraverso di lui.
O energesas l’operante : la chiamata ha avuto frutti notevoli
nell'evangelizzazione sia in Pietro che in lui (v.il racconto degli Atti). C'è dunque
il riconoscimento ufficiale dell'essere apostolo e dell'evangelo che lui
annuncia tra i pagani. Questo riconoscimento è sancito dal fatto che le colonne
danno la destra in segno di comunione. Notiamo che nel parlare di questi tre,
Giacomo è nominato per primo: questo ordine è attestato nei testimoni ( = manoscritti più importanti:
le correzioni sono tardive, come spiega Cullmann nel Gande Lessico del Nuovo
Testamento alla voce Petros) e con ragioni contingenti. Alcuni
sostengono che nel periodo a cui si rifà Paolo, Giacomo aveva sostituito Pietro
nella direzione della Chiesa di Gerusalemme. Ma ciò appare poco
verosimile: se fosse così, perché Paolo insisterebbe nei vv. seguenti nel
paragonarsi a Pietro?
Al v.12 comprendiamo che gli avversari si erano appellati
a Giacomo per sostenere le loro posizioni o erano inviati ufficiali della
Comunità di Gerusalemme, guidata da lui. Contro questi sobillatori Paolo
sostiene che lo stesso Giacomo aveva riconosciuto il suo apostolato. La
divisione di campo, di cui al v.9,che era già praticata prima, adesso è ufficialmente riconosciuta:
si stabilisce per evitare futuri conflitti. Si tratta di un unico
evangelo applicato (inculturato) nel mondo giudaico e in quello pagano:
abbiamo allora due vocazioni missionarie, due impostazioni teologiche, che possono benissimo sussistere
una accanto all’altra come la Chiesa di Giovanni di cui sembra esserci
un’allusione in Gv.21). Al v.10, quel soltanto, all'inizio della frase,
non fa riferimento a quello che precede, come condizione, ma vuole indicare
che, come segno di questa comunione, tra le Chiese si domanda a Paolo di
ricordarsi dei poveri (ricordiamo qui la colletta di cui soprattutto in
2Cor e il valore teologico attribuitole da Paolo).
C)
2,11-14
Ma quando
venne Cefa ad Antiochia, gli resistetti in faccia, poiché era colpevole.
Infatti, prima del venire di alcuni da Giacomo, mangiava insieme con i pagani.
Ma quando vennero, si ritirava e si separava, temendo quelli della circoncisione
(giudeo-cristiani) e simulavano con lui (= furono ipocriti) anche gli
altri giudei (membri della comunità locale), cosicché persino
Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia. Ma quando vidi che non camminavano
correttamente in direzione della verità dell'evangelo dissi a Pietro
davanti a tutti (assemblea) : "Se tu, essendo giudeo, vivi alla
maniera dei pagani e non al modo giudeo, come puoi obbligare i pagani a
giudaizzarsi ?"(si intende qui osservare le norme alimentari).
Da questo
scontro appare come la conferenza di Gerusalemme non risolse del tutto i
problemi di convivenza tra i giudeo-cristiani e i pagano-cristiani. L’ accordo
missionario era chiaro. I problemi sorgevano nelle comunità, dove in nome della
fraternità si erano superate le norme alimentari. L'imperfetto indica che
Pietro mangiava regolarmente con loro, mentre poi indica la gradualità della
presa di distanza, che mette in luce anche un certo travaglio interiore
("un po' alla volta..."). Paolo vede in questo presa di posizione di Pietro ben più di un
problema periferico ... Egli poi, trascina tutti "persino" Barnaba,
il compagno di tante lotte. E' sul principio fondamentale che egli non
transige. "Gli resistetti in faccia", di fronte, senza riguardi né
mezzi termini. Anesthe indica il resistere a un attacco nemico che cerca di conquistare la posizione:
si tratta di un assalto alla verità dell'evangelo e per
questo bisogna resistere. "Ipocrisia" indica il recitare una parte,
il non essere autentico. Se Pietro pensava che ormai le norme alimentari non
avevano più un valore fondamentale e di questo era convinto, ma poi agisce in modo contrario ... e
allora non è coerente ! L’espressione "da Giacomo" al v.12: per
verificare quello che avveniva ad Antiochia ? Non si spiegherebbe la
paura di Pietro di essere denigrato nel mondo giudeo come un non-osservante
della Legge. (autorità di Giacomo o corresponsabilità nel governo della Chiesa
?). L’esempio di Pietro è contagioso."Ma io non lasciai cadere la
cosa".. "Davanti a tutti": la simulazione è stata un atto
pubblico di Pietro e con conseguenze pubbliche, perciò Paolo si vede costretto
a intervenire pubblicamente.
Di quest’
episodio si è olto dibattuto nel tempo: riportiamo alcuni contributi
significativi. S. Tommaso nella Summa Th. IIa IIe Qs 33 a 4 ad 2:
"Paolo non avrebbe ripreso Pietro così, se in qualche modo, non gli
fosse stato pari per quanto riguarda la difesa della fede ... Ma dove incombe
un pericolo della fede, i prelati devono essere ripresi dai sudditi, anche
pubblicamente (un pericolo pubblico richiede un intervento pubblico)".
Riportiamo anche un riferimento all'art. di Ives Congar: S. Paolo e
l'autorità della Chiesa romana secondo la tradizione, SPCIC Il
vol. Roma,1963 481-516 qui 507-508. "Paolo, subordinato a Pietro nell'autorità di
governo, è su un piano di uguaglianza nell'ordine dell'insegnamento, così come
dello zelo e della coscienza apostolica. E'evidente che in un'ecclesiologia in
cui la Chiesa è primariamente vista come "congregatio
fidelium"(=comunione) che è la visione di Tommaso, può valorizzare
meglio il ruolo di S.Paolo, rispetto ad un'ecclesiologia ridotta a non essere
altro che un trattato di diritto pubblico ecclesiastico e
un'affermazione dell'ordine gerarchico." (v. Acerbi: Due
ecclesiologie al Vaticano II ?)
S. Tommaso,
Commento ai Galati cap.secondo lez.terza :" Questo evento è
esemplare per la Chiesa: i prelati ne hanno esempio di umiltà, affinché non
disdegnino di esser corretti dagli inferiori e subordinati. I sudditi ne hanno
esempio di zelo e di libertà, affinché non temano di correggere i prelati,
sopratutto se il peccato è pubblico e rischia di diventare un pericolo
per la comunità" .
Come è
andato a finire questo scontro-confronto. Paolo non ne parla: è probabile che
almeno in parte le proposte dei giudeo-cristiani furono accolte. Questo si può
dedurre dal racconto dell'assemblea di Gerusalemme riportata, nella versione
lucana (tenendo conto dell’irenismo dell’autore) in At 15. Giacomo accetta la
posizione di Pietro e Paolo ma con il correttivo di quattro clausole, che i
cristiani provenienti dal paganesimo devono osservare per salvaguardare i
rapporti tra cristiani nelle comunità
miste. Le riprendiamo da At 15,20-21:
1° comprare
(e mangiare) le carni immolate agli idoli ( cfr Lev 17,8-9)
2° unioni
matrimoniali tra consanguinei (cfr Lev 18,6-18)
3° animali
soffocati (cfr Lev 17,15)
4° (astenersi
dal) sangue (cfr Lev 17,10-12)
Queste
quattro clausole si ispirano alla normativa del Codice di purità del libro del
Levitico, principalmente alle regole alimentari (tranne il secondo): è in gioco
la convivenza fraterna e la condivisione della mensa.
A
conclusione possiamo affermare che queste quattro clausole non furono emanate
nel Concilio di Gerusalemme ("a me non fu imposto nulla di più ..."),
ma più tardi, sotto la pressione del gruppo di Giacomo a causa dei problemi di
convivenza che sorsero nelle comunità miste di cui abbiamo un esempio
nell'incidente di Antiochia. E' Luca che le pone sotto l'autorità del Concilio.
Dunque: Paolo non uscì vincitore da questo scontro.
2,15-20
Noi, per natura giudei e non
peccatori
(provenienti) dai pagani, (avendo saputo) riconoscendo che non è
giustificato un uomo dalle opere della Legge, ma attraverso la fede in Gesù
Cristo, anche noi credemmo in Cristo Gesù, affinché fossimo giustificati dalla
fede in Cristo e non dalle opere della Legge. Poiché dalle opere della Legge
non sarà giustificata nessuna carne. Ma se cercando di essere giustificati in
Cristo,fummo trovati anche noi peccatori, allora Cristo (è) a servizio
del peccato. Non sia mai ! Se infatti a quelle cose che distrussi, proprio queste
di nuovo costruisco (edifico), trasgressore me stesso confermo. Io
infatti, attraverso la Legge alla Legge morii, affinché viva per Dio. Sono
stato con-crocifisso con Cristo, vivo non più io, vive in me Cristo. Quello che
ora vivo nella carne, vivo nella fede quella del Figlio di Dio che mi
ha amato e ha dato (consegnato) se stesso per me. Non respingo la
grazia di Dio. Se infatti, attraverso la legge la giustizia (si ottiene), allora
Cristo morì per niente.
Paolo, dopo
aver riportato il suo confronto con Pietro, continua con una esposizione
dottrinale, che formalmente sembra rivolta a lui, ma è chiaro che egli ha
di mira soprattutto i Galati. Quest’ esposizione dottrinale si può dividere in 2 parti :
la) vv.15-16
Richiama la posizione assunta dagli apostoli
2a) vv.17-21
Mostra come la giustizia derivi unicamente dalla fede.
la) Il v.15
introduce il discorso indicando la necessità per tutti della fede in Cristo, non solo per
i pagani; esprime un punto di vista tipico del giudaesimo: “noi” siamo salvati,
i pagani "perduti". Mentre qui Paolo sostiene che "anche noi
siamo arrivati a questa presa di coscienza"; non si tratta di un sapere
teorico ("sapendo") ma di una conoscenza affettiva, e quindi in
questo contesto, esistenziale, teologica.
v. 16: eidotes oti
A)
ou dikaioutai anqropos non sarà giustificato un uomo
B) ex
ergon nomou dalle opere della legge
C) ean me dià
pisteos Iesou Xristou ma attraverso
la fede in Cristo Gesù
kai emeis
eis Xristou Iesoun episteusamen , ina dikaitomen anche noi verso Cristo Gesù credemmo
ek pisteos
Xristou affinché
fossimo giustificati dalla fede in Cristo
B1) kai ouc ex
ergon nomou e non dalle
opere della legge
A1) ou dikaiotnsetai pasa
sarx perché non
sarà giustificata nessuna carne (dalle opere della legge)
v. 16: “Un uomo non
è giustificato a partire dalle opere (apò da indica
origine, provenienza), ma in forza della fede in Cristo (genitivo
oggettivo = Cristo oggetto della fede). Anche noi verso ( eis ) Cristo
credemmo, affinché fossimo giustificati a partire dalla fede
in Lui e non a partire dalle opere della Legge, perché a partire dalle opere
della Legge non verrà giustificato nessuno”.
Il problema che viene
affrontato qui è quello della giustificazione. Secondo le
Scritture della Prima Alleanza è giusto chi osserva la Legge: (Dt 4,6) chi la
osserva per farla. Per Paolo questa dell'osservanza delle opere della Legge, è
una via senza uscita, arriva a un vicolo cieco, per cui non c'è
giustificazione. Questa si ottiene solo attraverso la fede. Proprio qui sta la presa di coscienza
degli stessi apostoli (= emeis eis
Xristou Iesoun episteusamen noi verso Cristo credemmo). I1 verbo qui è un aoristo ingressivo che supporterebbe la
traduzione: "anche noi incominciammo a credere a Cristo". Avviene un
passaggio dalla "logica" della Prima Alleanza a quella della Nuova,
ossia la
"logica" della fede. Paolo dice che lui e gli altri (eidotes oti, sapendo che) compresero che dovevano scegliere
tra due atteggiamenti religiosi opposti: uno che consisteva nel
presentarsi davanti a Dio con le proprie opere ( = ex ergon nomou dalle
opere della legge),
l’altro che consisteva nell'accogliere l'opera di Dio attuata in
Cristo, ossia la fede come fiducia e affidamento verso quello che Dio ha fatto
in Cristo. Per appoggiare la sua tesi, Paolo richiama il Sl 143,2 con alcune
varianti significative. Già questo Salmo esclude la giustificazione
"nessun vivente sarà giustificato davanti a Te", che nella LXX
*diventa:
oti ou
dikaiothsetai enopion pan zon perché non sarà giustificato davanti a lui nessun vivente
Paolo non lo
cita letteralmente, ma (secondo il nostro modo di ragionare
“occidentale”) in modo tendenzioso, volendo dimostrare che c'è un’impossibilità
di osservare la Legge. Sostituendo zon vivente con sarx carne, termine che rende l’ebraico basar,
ossia l'uomo inteso come
debole, e per Paolo anche chiuso a Dio, è chiaro che nessuno sarà
giustificato ponendo come base la sua osservanza; così non si riesce a fare la
volontà di Dio. Questo stesso testo è citato in Rom 3,20 dove a
conclusione di una lunga dimostrazione arriva a dire che nessuno (giudei
o pagani) può ottenere la giustificazione con le sue forze. Ricordiamo che
la preposizione ek o ex da indica origine, base di partenza, qui, della
giustificazione. Non è in gioco un aspetto marginale della salvezza, ma il suo
fondamento. Nelle due proposizioni negative abbiamo il verbo in una al presente
e nell'altra al futuro, mentre in quella centrale è all'aoristo. Potremmo dire
che partendo (ex), fondandosi sull'osservanza della Legge, la
giustificazione è oggetto di una ricerca continua e assillante, ma votata al
fallimento, sia nel presente che nel futuro. Invece, fondandosi sulla fede in
Gesù, la giustificazione si attua nel credente come evento in un momento
preciso che segna una svolta (=Battesimo). La fede non è una fiducia generica,
ma è collegata indissolubilmente a una persona precisa: Gesù Cristo. Invece
dell'osservanza della Torah, si tratta di aderire a una persona: "anche
noi iniziammo a credere verso Cristo Gesù"; si tratta di entrare in una
relazione personale dinamica, affidandosi a Cristo. La svolta apre una storia
di relazione (dalla fiducia in se stessi si passa all'affidamento a Cristo).
2a)
vv.17-21 Paolo dimostra come la giustificazione derivi unicamente dalla fede, e lo
fa con tre argomentazioni.
1) vv.17-18
Noi,gli
apostoli, abbiamo fatto questa scelta, abbiamo relativizzato la Legge; se
abbiamo sbagliato nello scegliere Cristo, se Lui ci fa andare contro la volontà
di Dio (=ci fa peccare), siamo nell'assurdo ! L'immagine del muro è quella
della separazione tra giudei, puri, e pagani; muro che era stato distrutto in
nome della commensalità nelle comunità miste. Era un modo di abbattere le
differenze. Se adesso si torna all'osservanza della Legge, si ammette di avere
sbagliato,volendo tornare al passato, come Pietro e gli altri.
2) Il v.19
E’ un testo
sibillino che ha fatto discutere: si tratta di un voluto gioco di parole e
per cercare di coglierne la portata facciamo un passo indietro, al Primo
Testamento. Qual è la struttura della Prima Alleanza ?
Nel passato
d’Israele Dio ha posto un dono, l’Alleanza, ma per rimanervi fedele il
popolo “doveva” obbedire alla Legge per ereditare nel futuro la benedizione,
altrimenti sarebbe caduta su di lui la maledizione.
DONO LEGGE BENEDIZIONE
gratuito, è
l'insegnamento che dice MALEDIZIONE
preveniente come
fare per conservare
questo rapporto: le 10 Parole
Il dono è il
presupposto per questo rapporto libero, ma allora il futuro dipende
dall'osservanza. La maledizione viene perché Israele rifà l'Egitto, come
sistema di oppressione e ingiustizia sociale. In questo tipo di relazione il
futuro dipende dai due patners: ma se Dio è fedele, il popolo, no. Allora
l'alternativa è soltanto teorica: l'unico sbocco è la maledizione, significata
dall'esilio.
C'è un
momento in cui si capisce che la Legge scritta fuori, sulle tavole, non
basta.
Ger 17,l
ss: occorre che sia scritta nel cuore (=centro decisionale della persona). Lì
invece è scritto il peccato, in maniera indelebile. Ci sarà bisogno di un nuovo
intervento creatore di Dio, una trasformazione dell'interiorità, come se ne
parla in Ger 31,33. Ma nel brano parallelo il termine usato per indicare questa
trasformazione è "circoncisione": Ez 36,26. L'uomo da solo, è
incapace di salvarsi. Ma Dio interverrà di nuovo: in Dt 9,7b.24 si parla della circoncisione
del cuore: quello che deve essere segnato, ferito, è l'interiorità, dove si
riceve il segno dell’alleanza, non l'esterno (Dt 30,6). Ecco allora che in At
7,51 si parla di "gente incirconcisa nel cuore" e in Rom
2,28 di “circoncisione en pneumati nello spirito”.
La Torah,
come Scrittura, rivelazione profetica arriva ad affermare che Israele e ogni
uomo da solo è incapace di osservare la Legge, intesa come volontà di Dio espressa nella legislazione mosaica
(Legge vista come prescrizioni). Rimanendo nel regime religioso della Prima
Alleanza l'unica prospettiva è la maledizione. "Attraverso la
Legge ( intesa come Torah, parola di Dio) sono morto alla Legge (intesa come
prescrizioni)"; attraverso quello che mi dice la Scrittura, (che
l'uomo è incapace a salvarsi da solo)"sono morto" (= ho
troncato ogni rapporto con la Prima Alleanza). E' la stessa Torah di
Mosè che porta Paolo a quella nuova: questo messaggio è già chiaro in quelli che
sono i vertici delle Scritture della Prima Alleanza. Paolo sembra affermare che
se si legge bene la Scrittura, si è portati a superare la Prima
Alleanza. "Mediante la Legge, come Scrittura, io ho rotto definitivamente con la
legge " (come regime religioso, come sistema salvifico).
Questa "morte" apre a una novità, a una trasformazione dell'esistenza:
"affinché viva per Dio". Si tronca ogni rapporto con questo regime
religioso per entrare in una nuova relazione con Dio. Al cap.4 parlerà della
situazione del figlio, non più dell'osservanza, ma della completa
fiducia, affidamento a Dio.
3) vv.20-21
Paolo precisa quale sia questa relazione nuova con Dio. Qui
"vivere" non riceve un mero significato morale, come un
comportamento, ma una situazione ontologica: la comunione di vita con Cristo.
La propria identità, (io) non si definisce più autonomamente, ma in relazione a
Cristo. E' questa comunione che apre alla realtà dell'esperienza religiosa che
è annunciata alla fine del v.19.
Il v.20b
potrebbe far pensare a un'esperienza paradisiaca, ma questa comunione
personalissima è vissuta nella condizione storica di fragilità, di fatica. Non
si è tolti dalla “carne” per fare esperienza di Cristo.
In questa
condizione la fede è essenziale: "vivo nella fede". Pur vivendo in
comunione con Cristo, non siamo ancora nella visione. Si tratta di fede non
generica, ma "nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso
per me". Sono due aoristi (che indicano un’azione puntuale): si tratta di
un gesto fondamentale, che fa pensare alla consegna di Gesù nella Passione.
Paolo poi, la sente come il gesto d'amore di Cristo lo riguarda in maniera
personalissima. Questa fede/fiducia in Cristo, mi accompagna nel cammino
storico della carne, nasce dalla scoperta inaudita che io sono l’oggetto di un
amore personalissimo; nella mia identità più profonda sono investito
da un gesto di donazione straordinaria (Gal l: "piacque a Lui di rivelare
in me suo Figlio"). Paolo è toccato da vicino, nella dimensione affettiva
e viscerale.
Questa
sottolineatura è importante anche per noi: se non siamo toccati affettivamente,
il rapporto non tiene, negli alti e bassi delle situazioni esterne.
"Sono stato con-crocifisso": quelle con il prefisso sun con: sono espressioni caratteristiche di Paolo, che sottolineano
l'esperienza di comunione. I1 verbo al perfetto, indica un fatto
avvenuto nel passato (forse il Battesimo, v. Rom 6), i cui effetti perdurano
nel presente: è un evento che ha inaugurato una solidarietà che accompagna il
credente (v. Fil 3). C'e una progressiva immersione nel mistero pasquale di
Cristo, come momento iniziale di una relazione che diventa comunione.
Il v.21 è
la conclusione del ragionamento di Paolo: “Non rifiuto la grazia di Dio”.
Questo termine a lui tanto caro, è usato per definire il dono gratuito,
inaudito di Dio in Gesù. E’ quel cambiamento del cuore, che se ritornasse
all’osservanza, rifiuterebbe. Se la giustizia viene dall’osservanza, non c’era
bisogno che Cristo morisse: o la grazia
è essenziale o non ce n’era bisogno. O la Legge o Cristo; o la salvezza nel
regime religioso della Prima Alleanza o quella che è
trasformazione-giustificazione in Cristo, ovvero la Nuova Alleanza. (Attenti a
non riprodurre nel Nuovo Testamento il regime dell’Antico)
Paolo porta l'argomentazione scritturistica, dimostrando le sue
tesi sulla Scrittura come i rabbini usavano fare, per mostrare che l'evangelo
ai pagani è già preannunciato nelle Scritture della Prima Alleanza. Egli dà
ampio spazio a questo momento, perché i suoi avversari,
giudeo-cristiani, si appellavano alla Scrittura per dire che l'evangelo di
Paolo non è affatto conforme ad essa. Anche loro si appellavano ad Abramo, come
fa qui lui, mostrandolo come modello di osservanza della Legge (v. Gv
8). Prima di introdurre la prima argomenta scritturistica, Paolo fa precedere i
vv.1-5 in cui richiama l'esperienza concreta che i Galati hanno fatto quando
sono diventati cristiani.
O stolti (scervellati,
senza testa, persone che non ragionano), chi vi ha ammaliati (vi ha
fatto un sortilegio), agli occhi dei quali Gesù Cristo fu descritto
(presentato) crocifisso. Questo solo desidero imparare (sapere) da
voi: dalle opere della Legge (v.16 = a partire dalle opere della Legge) riceveste lo Spirito o dall'ascolto di fede
(la fede nasce dall'ascolto, non è cosa che si inventa!). Così scervellati
siete. Avendo iniziato in modo spirituale (nella logica dello
Spirito, pneumaticamente, nella direzione dello Spirito) ora volete finire
nella direzione della carne ( carnalmente = nella debolezza...). Tali
cose soffriste invano, seppure invano (spero che non sia in vano). Colui
(il Padre) che dunque vi elargisce abbondantemente lo Spirito e opera
cose potenti in voi (lo fa) a partire dalle opere della Legge o a
partire dall'ascolto di fede (domanda retorica) ?
Questo
brano si può dividere in due parti col termine
anoetoi stolti. Notiamo
anche le due ricorrenze di ex ergon nomou dalle
opere della legge e akoes pisteos dall’ascolto
di fede. Anche il temine pneuma spirito ricorre 2 volte. I1 dono dello Spirito è visto come ciò che
caratterizza la novità cristiana. Ma come
si è ottenuto e si ottiene il dono dello Spirito? Qual'è l'origine (ek o ex) ?
Queste due espressioni stanno ad indicare due
regimi religiosi diversi e opposti: quello della Prima e quello della Nuova (e
definitiva) Alleanza. C’è un riferimento a questo tipo di relazione con Dio, in
cui il patner umano si impegna ad osservare la Legge, con le sue forze, ossia a
fare la volontà di Dio. Il nuovo regime religioso, invece, è fondato
sull’accoglienza fiduciosa di quello che Dio ha fatto per noi in Cristo. C’è
una predicazione di una buona notizia che l’uomo non si sarebbe mai aspettato.
Gli si richiede solo di affidarsi a quest’annuncio… Se nel primo regime valeva
di più l’attività, qui invece la passività. Se si capisce la novità e il dono
gratuito di Dio, allora capirai anche che sono ancora necessari i comandamenti,
ma con questa radicale novità a fondamento: "siete così senza-cervello da
voler tornare indietro ?". Paolo si richiama all'esperienza di
novità e ai segni forti che Dio operò nella comunità (v.5). I1 termine
"potenze" non indica soltanto miracoli, ma anche la profezia e tutti
i doni carismatici (cfr 1Cor ). Sembra voler dire: "Dio ha fatto questo
perchè eravate più buoni o perché avete fatto spazio allo Spirito in voi
?"
3, 6-14
Paolo
introduce la 1a prova scritturistica fondata sulla figura di Abramo,
caratterizzato come "il credente", mentre gli avversari lo
vedevano come il modello dell'osservanza della legge, e mostra come solo nella
fede c'è benedizione. Paolo riprende tutta una terminologia che si rifà alla
relazione di alleanza.
Così Abramo
credette a Dio e fu considerato per lui come giustizia
(espressione che richiama Gen15,6). Riconoscete dunque che quelli dalla fede
(ek o ex) questi sono figli
di Abramo (notare l'enfasi). Avendo previsto la Scrittura che Dio
rende giusti i pagani a partire dalla fede, preevangelizzò (diede
anticipatamente la buona notizia) ad Abramo: "in te saranno benedette tutte
le genti" (Gen 12,3;
18,18). Così che quelli dalla fede sono benedetti in Abramo il credente.
Quanti infatti sono dalle opere della legge, sono sotto la maledizione. Sta scritto infatti: "maledetto
chiunque ( = ognuno che ) non rimane fedele a tutte le cose
scritte nel libro della Legge per farle". Che poi
nella Legge (intesa come regime religioso) nessuno viene giustificato
davanti a Dio, è chiaro,
poiché: "il giusto vivrà
dalla fede"(Ab 2,4). Ma la Legge non è dalla fede, ma "chi
farà queste cose ( = quello che è scritto nella Legge) vivrà in esse (per
esse)". Cristo ci riscattò (libertà dalla schiavitù) della
maledizione della Legge, divenuto per noi maledizione, poiché sta scritto:
"maledetto chiunque (pende) è appeso al legno ( = palo, inteso
come croce), affinché ai pagani la benedizione di Abramo avvenisse (si
attuasse) in Cristo Gesù, affinché la promesse dello Spirito (lo Spirito
promesso) ricevessimo attraverso la fede.
6 Abramo Gen
15,6 credette sarà
giustificato
7 figli di Abramo
scrittura
Gen
12,3
Gen
18,18
8 Abramo dalla fede sanno
giustificati i popoli
in
lui saranno benedetti tutti i popoli quelli dalla
fede saranno
benedetti
Abramo con il
credente
10 quelli dalle opere della
legge sotto la maledizione
è scritto
Dt
27,26 il libro della legge sotto la
maledizione
11 …nella legge giustificati
Ab
2,4 dalla fede
vivrà il giusto
12 quello
dalla legge non è
Lev
18,5 dalla fede
13 Cristo della legge ci riscattò dalla maledizione
è scritto maledizione
Dt
21,23 sotto
la maledizione
14 Abramo attraverso la fede la
benedizione passasse ai popoli
Questo lavoro di riduzione del testo si fa
perché risaltino meglio i termini sinonimi e antonimi. Si tratta di termini che
appartengono alla teologia dell'alleanza. Come si diventa capaci di fare la
volontà di Dio, di operare secondo quello che Egli è (comunione): diventando
operatori di comunione. Quello che Dio ha iniziato con Abramo è qualcosa di
rilevante per tutti. La grazia non si ottiene attraverso la propria osservanza
(= con le proprie forze): di fatto si resta sotto la maledizione. Il v.10
afferma che bisogna osservare tutta la Legge, ma di fatto questo è impossibile.
E' necessario allora accedere a un nuovo rapporto con Dio di cui fece già
esperienza Abramo, ossia affidarsi all'opera di Dio in noi. Abbiamo così nel
nostro testo:
q
vv.6-9 Abramo origine dell'h.S. *
q
vv.10-12 la Legge
Prima Alleanza
q
vv.13-14 Cristo e la sua novità Nuova Alleanza
In Abramo si indica la direzione del cammino, che dovrà essere seguita. Con lui c'è una presa di posizione unilaterale di Dio, senza che si dica che il Patriarca “meritasse” nulla. Ecco allora che si tratta di un gesto gratuito e preveniente di Dio: è un’ annuncio di una benedizione che deve raggiungere tutti: come ?
Il secondo
momento è il regime della Legge, il cui risultato è quello di portare a capire
(v.12) che nessuno è giustificato da essa. Poi Paolo dirà che
la Legge è un pedagogo, ossia una fase di passaggio: la sua funzione era
proprio quella di far capire che non si può cercare da essa la giustificazione.
I1 terzo momento è costituito dalla novità di Cristo. La Prima Alleanza doveva preparare Israele ad accogliere Cristo, ad affidarsi a Lui.
E’ questa
Nuova Alleanza che compie il progetto originario di Dio annunciato ad Abramo e
lo compie attraverso il dono dello Spirito, che è offerto a tutti, giudei e pagani, poiché non
si richiede un'appartenenza a una cultura particolare, ma di accoglile questo
dono, che in definitiva, è ciò che caratterizza il Nuovo Testamento. Questa
posizione di Paolo era contrastata dai suoi avversari. Al v.7 egli
afferma che anche i pagani sono discendenti di Abramo in senso spirituale. Egli
inaugura così la lettura "cristiana" della Scrittura. Rileviamo come
cita al v.11 Ab
2,4. Nel Testo Masoretico è scritto: “il giusto vivrà per mezzo della sua
fede/fedeltà” (‘emunà = fiducia, fermezza irremovibile nei confronti di
Dio). Nella LXX questo versetto trascorre così: "il giusto vivrà grazie
alla mia fede/fedeltà" (di Dio) oppure "il giusto vivrà grazie
alla fede in me". Si tratta di un testo caro a Paolo: lo cita anche in
Rom1,17. Nel v.13 parla di Cristo che ha preso su di sé la maledizione che gravava
su di noi ed è diventato un maledetto. Lui ha condiviso quella storia di
maledizione da cui noi non potevamo uscire. Questa novità di Gesù è indicata al
v.14 con due preposizioni finali (ina); notiamo anche che l'enfasi è sul
termine (e quindi sulla persona di) Gesù. La benedizione originaria che
Dio aveva promesso unilateralmente ad Abramo si realizza in Cristo “affinché ricevessimo noi
(ebrei e pagani) la promessa dello Spirito.” La benedizione altro
non è che il dono dello Spirito. Quest’ idea dello Spirito come dono
escatologico, ossia dei tempi ultimi e decisivi, è già un tema radicato
nell'A.T. che lo vede una promessa da realizzarsi nei "tempi
messianici" come in Is 32,15, dove
la fecondità viene col dono dello Spirito (44,3). Ricordiamo anche Ger 31,
31-36 e Ez 36,24-29. Il racconto delle "ossa aride" in Ez 37,1,14
dove si evidenzia l'azione vivificante dello Spirito, è costruito tenendo
presente l'azione creatrice di Dio descritta in Gen 2,7 e fa da contrappunto
con questo intervento ri-creatore: si usa lo stesso verbo raro in Gen 2,7 e Ez
37,9.14, là all'aoristo qui all'imperativo operando
una scelta chiaramente intenzionale. Anche la tradizione rabbinica aveva riunito questi due testi:
Midras' "Gen Rabbah", 14 : soffiò in –
alitò in.
vv. 15-18 Paolo sviluppa ulteriormente la
relazione Abramo - Cristo.
Parlo
secondo uomo (“alla maniera umana” poiché egli fa riferimento qui a un’
istituzione umana: la disposizione testamentaria): perfino un testamento
validamente redatto di un uomo, nessuno lo annulla (lo può
annullare) o aggiunge qualcosa (altra clausola). Ma ad Abramo furono
dette le promesse e alla sua discendenza: non dice "alle tue
discendenze", come a molti, ma come a uno solo" e al tuo seme ( =
discendenza)", che è Cristo (= Cristo è il vero discendente di
Abramo: attraverso Lui le promesse passano a tutti, ebrei e pagani). Questo
dunque dico: un testamento validamente redatto in
precedenza (pro) da Dio (ad
Abramo), la Legge, divenuta quattrocento trent’ anni dopo (comparsa metà)
non lo invalida così da annullare la promessa. Dio ha fatto grazia
ad Abramo attraverso la promessa."
La promessa della benedizione non può
essere invalidata dalla Legge. Nel suo ragionamento, Paolo rimanda a
un'istituzione particolare contemporanea, quella del diritto testamentario:
"persino tra gli uomini vale questo regola!": egli riporta quest’
esempio per spiegare come alla promessa si è aggiunta la Legge.
Nell’ h.S.
la disposizione testamentaria è vista nella promessa fatta da Dio ad Abramo e
alla sua discendenza: era una disposizione unilaterale, fatta da Dio. Egli ha
disposto che tutti ricevessero la promessa: è un dono che Lui fa. Senza
condizioni ha fatto questa promessa ad Abramo e non l’ha mai revocata: è un
testamento validamente redatto all'inizio (pro). Dio stabilisce, senza
condizioni, che ad Abramo e a tutti i popoli arrivi la benedizione. Ciò che viene
dopo, la Legge, intesa come regime religioso, il patto del Sinai, è invece
bilaterale, si fonda sull'impegno dei due patners e viene meno se uno dei due
viene meno agli impegni. Circa il numero quattrocentotrenta, Paolo segue
l'interpretazione rabbinica del suo tempo, ma quello che ci interessa
qui, aldilà della cifra, è che la Legge è venuta dopo e che quindi non può
invalidare la promessa fatta all'inizio. Nonostante il fallimento
della Prima Alleanza, resta la speranza della benedizione, perché si fonda su
un'iniziativa originaria di Dio. Diventa allora necessario capire qual'è la
funzione della Legge.
vv. 19-20 (perché
allora la Legge)
A causa
della trasgressione fu aggiunta alla promessa, finché non venisse la discendenza
al quale fu fatta la promessa, stabilita (la Legge) attraverso gli
angeli, per mano di un mediatore. Ma il mediatore di uno solo non è (ma è
tra due), ma Dio è uno solo.
Paolo opera
una relativizzazione della Legge, mentre i giudeo-cristiani la vedevano uguale
a Cristo; ma per lui il suo compito è finito. Ribadisce che essa non è originaria,
ma è stata aggiunta per rivelare che l'uomo è incapace di fare la
volontà di Dio. E' aggiunta per aiutare a prendere coscienza del
peccato. E' aggiunta e durerà solo "finché verrà Colui che compie la
promessa"; non è definitiva, mentre tale è la novità di Cristo. Essa
non viene direttamente da Dio, ma da Mosè e dagli angeli (cfr At.7,38.53).
Quest’ ultima è una tradizione diretta a preservare la trascendenza di Dio, ma
a Paolo serve per relativizzare ancora la Legge. Prolunga poi ulteriormente il
ragionamento:
vv. 21-22
Ma allora la
Legge è contro la promessa di Dio (ragiona adesso per assurdo)? Non
sia mai! Se infatti fosse data la Legge che ha il potere di vivificare, davvero
dalla Legge ci sarebbe la giustizia. Ma la Scrittura rinchiuse ogni cosa sotto
il peccato affinché la promessa della fede in Gesù Cristo fosse data a coloro
che credono.
Paolo parla
della duplice funzione della Scrittura: essa rinchiude tutto sotto il peccato e
indica una situazione senza uscita (vicolo cieco), si tratta poi di una
situazione universale (tutti gli esseri), ed è una situazione di schiavitù. Si
tratta di alienazione radicale. Notiamo come egli non parli molto di peccati
ma di peccato al singolare, come di una potenza sovrapersonale, che
domina. La Legge spinge ad abbracciare la fede. Si tratta di operare un
passaggio dalla Legge alla fede, riconoscendo che non si può uscire da questo
situazione se non affidandosi a Cristo. Si sviluppa poi questo idea della
schiavitù come condizione della Prima Alleanza:
v. 23 "Prima (del venire) che
venisse la fede, sotto la legge (il dominio della Legge) eravamo
sorvegliati e rinchiusi in vista della rivelazione della fede futura ".
Afferma qui
un'enormità per un giudeo: il giudaismo non è regime di libertà, ma di
schiavitù nel suo modo di orientare il rapporto con Dio.
v. 24 "Cosicchè
la Legge diviene il nostro pedagogo verso Cristo , affinché fossimo
giustificati a partire dalla fede."
L'idea del
sorvegliare permette a Paolo di parlare della Legge come di un pedagogo, cioè
lo schiavo che conduceva il bambino a scuola. Questa figura presente nella società
a lui contemporanea, esprime la sua visione della Legge intesa come
sorveglianza asfissiante e situazione di costrizione, ma anche nel suo ruolo
di preparazione a Cristo , il Maestro: la Prima Alleanza deve portare a lui.
L'esperienza dello Spirito è per dirti: sei libero dalle prescrizioni, dalle
imposizione esterne, ma hai una libertà interiore che ti guida da dentro per
compiere il bene. E poi fai di più: per il Vangelo si giunge a dare la vita,
come Cristo.
vv. 25-28 "Venuta
però la fede (= questo nuovo rapporto con Dio, il regime religioso della
Nuova Alleanza), non siamo più sotto il pedagogo (sotto il dominio del
peccato). Tutti infatti, siete figli di Dio attraverso la fede in Cristo
Gesù. Quanti infatti, foste battezzati verso (indica un rapporto dinamico) Cristo,
rivestiste Cristo. Non c'è (diverso da "non c'è più"della
traduzione italiana) giudeo né greco, non c'è schiavo né libero, non c'è
maschio né femmina: tutti infatti siete uno in Cristo Gesù. Ma se voi siete di
Cristo ( = gli appartenete), allora siete discendenza di Abramo, secondo
la promessa eredi."
Che cosa
succede alla venuta della fede ( = nuovo regime religioso). I1 participio
aoristo elthouses venuta che si usa qui indica qualcosa di unico, ben determinato. La
fede, dunque, è collegata con l'evento decisivo della morte/Risurrezione di
Cristo, evento che introduce una nuova condizione religiosa. Questa frase:
"non siamo più…" ha addirittura un tono trionfale: esprime
l'esperienza di una liberazione. L'evento-Cristo, che inaugura la Nuova
Alleanza, un nuovo ordinamento religioso, pone fine al regime di sorveglianza e
costrizione proprio della Legge. La libertà è collegata con il dono dello
Spirito, caratteristica della Nuova Alleanza.
Il v.26
annuncia la tematica della figliolanza che verrà sviluppata in 4,1-7, con cui
Paolo indica la condizione del figlio maggiorenne, nella pienezza dei suoi
diritti. Il v.27 mostra come la figliolanza si attua nell'evento del Battesimo,
( “infatti”stabilisce un collegamento col v.26). E' significativo che egli
saldi insieme fede e Battesimo, visto questo ultimo, non tanto come un rito
esteriore, ma un evento che da corpo all'adesione di fede, che se autentica, in
linea con l'incarnazione, investe l'uomo nella sua corporeità. Esso esprime e attua
l'inserimento corporeo del cristiano nel corpo di Cristo. I1 Battesimo, con il
verbo all'aoristo indica un evento preciso che non si ripete, che segna una
svolta. C'è l'indicazione di un'appartenenza, adesione, passaggio di proprietà.
L'aoristo medio del "rivestiste" riprende l'immagine
dell'abito; serve a Paolo per precisare che il Battesimo attua un
cambiamento profondo nell'essere, come una ri-creazione. L'abito, oltre alla
dignità, indica l'essere profondo della persona: questa novità di essere è una
unione dinamica. E' attraverso l'adesione a Cristo che avviene nella fede e nel
Battesimo l'uomo viene trasformato nel suo essere, riceve la figliolanza divina
ed è liberato dal regime della Legge che lo teneva in una condizione di
schiavitù.
Il v.28 aggiunge
un’ulteriore precisazione: si tratta di una diversità che si risolve in unità.
E’ da notare la differenza con Gv 17 dove si usa il neutro en mentre qui c'è il maschile. E in Ef 2,15 "per creare in
se stesso dei due un solo uomo nuovo" (ena kainou anthropon un nuovo uomo) che designa l'essere umano: i battezzati formano un’unità
nuova in Cristo Gesù: non ci si confonde, ognuno rimane nella sua identità, ma
"tutti siete un’umanità nuova in Cristo Gesù".
Questo
versetto richiama 3 distinzioni importanti dell'esistenza umana, che
riguardano il piano religioso, sociale, sessuale, ossia la triplice identità
dell'uomo.
La 1a
distinzione è, per Paolo, la più importante. I1 giudeo, membro del popolo
eletto, si considera privilegiato sul piano religioso rispetto al pagano. In
Rom 2,17-20 è chiara l'auto-coscienza di essere in questo posizione di
vantaggio: ecco perché volevano la giudaizzazione dei pagani, come a voler
estendere ad essi un loro privilegio. Paolo non afferma qui che questa
distinzione non c'è più,
ma che ormai non è determinante di fronte a Cristo, alla proposta che
Dio ci fa in Lui, il giudeo e il pagano sono uguali, perché tutti devono
rispondergli con la fede.
In 6,15
egli afferma che chi crede diventa una nuova creatura. Nella storia
ci sono differenze religiose, ma la possibilità della trasformazione radicale è
offerta a tutti, con l'unica condizione della fede.
La 2a
distinzione è quella sociale, radicata nell'organizzazione della polis
all'interno del mondo greco-romano. Paolo non contesta direttamente la
schiavitù, ma toglie forza e valore decisivo a tale distinzione, esprimendo un
punto di vista radicale: lo stato sociale non ha più importanza, non
costituisce vantaggio perché il libero è salvato come lo schiavo.
La 3a
distinzione all'apparenza sembra negare Gen 1,27, ma vuole affermare che
in Cristo si è attuata una nuova creazione e le differenze sessuali non
costituiscono un motivo di privilegio (pensiamo alla situazione della donna nel
mondo ebraico) nei confronti della salvezza, che raggiunge tutti. Paolo intende
affermare che ciò che divide l'umanità, stabilendo alcuni privilegiati ed altri
svantaggiati, non ha alcun peso nella nuova condizione di vita inaugurata
dall'essere in Cristo. A tutti è offerta questa novità e tutti contano
in forza del nuovo essere acquisito nell'unione a Cristo, per cui le differenze
religiose/sociali/sessuali, che pure permangono all'interno del convivere,
vengono radicalmente ridimensionate e relativizzate.
v. 29 "Se dunque (ripresa) siete
di Cristo, allora siete seme di Abramo, eredi secondo la promessa "
Se siete
una sola realtà con Lui, che è seme ( = discendenza) di Abramo, siete (i galati
e quindi l’umanità intera) figli della promessa ad Abramo.
4, 1-7
Al centro
di tutta la seconda parte, al centro di tutta la lettera, c'è questo
brano che può essere considerato il cuore della stessa. Paolo parla di
come, nella pienezza del tempo, nel momento decisivo di tutta la storia, Dio
Padre mandò suo Figlio e poi lo Spirito del suo Figlio. Questo brano tocca
il punto decisivo del dono dello Spirito, tematica che compare fortemente fin
dall'inizio del terzo capitolo (vv.6-24). Paolo sottolinea l'opposizione tra
fede-promessa di benedizione e legge-maledizione. Egli mostra l'intenzionalità
dell'opera di Cristo: "affinché" la benedizione giunga a tutti, ossia
il dono dello Spirito, vero oggetto della promessa e vero dono di benedizione.
Lo Spirito è il vero oggetto della promessa antica: lo presenta con una forte
connotazione cristologica come "Spirito del Figlio suo",
indicandolo con un apax così significativo. In tutti i passaggi della
lettera l'attenzione dell'autore è sempre cristologica. Lo Spirito poi, è ciò
che connota la nuova condizione, ma esso è ottenuto attraverso Cristo.
Ora io dico: per tutto il tempo che l'erede è
piccolo,in niente differisce da uno schiavo (servo), pur essendo signore di tutto, ma è sotto
tutori e amministratori, fino al termine (scadenza) fissato dal padre.
Così anche noi quando eravamo piccoli, sotto gli elementi del mondo, eravamo (asserviti).
Ma quando ( cfr gli altri testi "capitali" introdotti da questo ote
de ma quando, che segna
una svolta, come in 1,15 ; 2,11) venne la pienezza del tempo, mandò Dio suo
Figlio, nato (divenuto) da donna, nato sotto la Legge(= all'interno
di quel regime religioso), affinché (scopo di quest’ invio) riscattasse
quelli sotto la Legge, affinché l'adozione a figli ricevessimo; che poi siete
figli, lo prova il fatto che Dio mandò lo Spirito del Figlio suo (oti perché, dichiarativo, più che
causativo poiché) nei nostri cuori, gridante "Abbà,
padre". Cosicché non sei più schiavo, ma figlio; se dunque sei figlio sei
anche erede, erede per opera di Dio. "
La
figliolanza è presentata come un dono escatologico. Si parla qui di figliolanza
adottiva (inclusione). C'è poi uno sviluppo sull'eredità, collegata alla
figliolanza. I1 tema dell'eredità compare già alla fine del cap.3. Questo brano
presenta una struttura molto semplice:
• un paragone
: vv.1-4a preso a prestito dalla prassi
giuridica greco-romana del tempo: il passaggio all'età adulta;al termine
stabilito dal padre, corrisponde la "pienezza del tempo" che indica
il passaggio da una condizione di sudditanza alla maggiore età, autonomia,
libertà.
• il suo sviluppo : vv.4b-6 che parla del passaggio all'età adulta che
per noi è avvenuta all'invio del Figlio e del suo Spirito
• la conclusione
: v.7 L'oggetto dell'invio del
Figlio e dello Spirito è unico. La missione dello Spirito è complementare,
ossia di realizzare e sostenere la nostra figliolanza adottiva, vista nel
paragone, come la maggiore età, l'essere davvero figli, il raggiungimento dei
diritti famigliari. Paolo suggerisce in questo testo che i giudei sono eredi,
ma piccoli, nella condizione della Prima Alleanza: in qualche misura
sono già figli, ma è come se fossero schiavi, sotto tutori (= la Legge). La
condizione di Israele nella Prima Alleanza, è la condizione religiosa di chi
non è adulto e responsabile.
Soffermiamoci sulle figure che emergono dal testo.
Dio Padre, perché si
parla del Figlio. In primo piano c'è la sua iniziativa libera: exapestelen mandò è chiaro che il "mandante" di entrambe le missioni
è sempre Lui, nella sua sovrana e gratuita iniziativa.
Il Figlio per due
volte definito "suo" (vv. 4b. 6b.). Gesù è nato da donna, nel senso
di essere figlio dell'uomo, di questa terra, riferendosi quindi alla sua
completa umanità, nella
stessa debolezza della condizione umana (Mt 11,11). Tuttavia Egli è in
un rapporto unico di figliolanza con Dio. Parlando della missione
del Figlio possiamo pensare che ciò che intende Paolo sia la globalità della
sua vita, anche se l'accenno che egli fa al "riscatto" al v.5 con
exagorase comprò, riscattò e accentua
il culmine dalla missione: la passione e morte. Alla missione del Figlio
è legata l'adozione filiale.
Questo
termine nel Nuovo Testamento ricorre solo in Paolo: Rom 8,15 ; 9,14 ; Ef 1,5.
Quest’ istituto sembra sconosciuto in Israele, mentre era molto diffuso nel
mondo greco-romano. Paolo usa questo categoria per distinguere noi da Cristo:
noi possiamo diventare figli per iniziativa gratuita di Dio, senza averne alcun
diritto. Noi per grazia e Cristo per natura. Si tratta di una figliolanza piena
"siamo anche eredi". Questo Dio, che inizia il rapporto in questo
vita,lo continua dopo la morte: l'immortalità è
una chiamata gratuita perché Dio ha deciso così da sempre, perché egli è
l’Eterno e vuole continuare questo rapporto per sempre.
Lo Spirito
del Figlio suo, anch'esso mandato dal Padre. La sede tipica dell'attività
dello Spirito è il cuore: non si tratta di una missione visibile, come quella
del Figlio, pur essendo reale: i frutti si manifestano nell'interiorità. I1
cuore è il luogo invisibile dove maturano le decisioni della vita. E' in
questo luogo interiore, è nel segreto personale, che lo Spirito agisce. Siamo
figli per la missione del Figlio, ma quello che nel corso della storia
sostiene, promuove, attualizza la nostra figliolanza, interiorizzando l'opera
del Figlio è lo Spirito. Se non ci fosse Lui, giorno dopo giorno,
rischieremmo di perdere questo dono. In un mondo violento, segnato dal peccato,
se lo Spirito non sostiene in noi questo grido, quello con cui Gesù si
rivolgeva a Dio come Padre... E' una realtà ( è espresso col tempo presente)
quella di essere figli, è attuale. Lo Spirito ci sostiene nel fare nostra
questa familiarità di Gesù col Padre. Più che tradurre con "papà"
qualcuno suggerisce "Padre caro". Quest’ invocazione del Padre non è
facile (Gesù la pronuncia nel Getsemani) ma ci vuole il coraggio dello Spirito,
allora: "audemus dicere: Pater…", come ci fa pregare la Chiesa nella
liturgia eucaristica.
Grazie
all'opera dello Spirito troviamo il coraggio di rivolgerci a Dio nella stessa
maniera con cui gli si rivolgeva il Figlio suo. "Spirito del Figlio
suo" è una formula originale paolina: si chiarisce guardando il
collegamento tra le due missioni. Quella dello Spirito viene dopo quella del
Figlio e suggerisce come era necessaria l'opera terrena di Gesù, perché potesse
essere inviato lo Spirito. Questa formula indica anche come lo Spirito, oltre
ad essere il frutto dell'opera di Gesù, ne è anche il continuatore e colui che
la porta a compimento. Lo Spirito ha una ineliminabile connotazione
cristologica. E' "del Figlio" non solo perché Gesù ne era ripieno
(come viene sottolineato specialmente nei vangeli sinottici), ma perché ne è
diventato il donatore come si legge in 1Cor15,45 "Cristo è divenuto
spirito datore di vita" (con la risurrezione). E ciò non nel senso che
Cristo e lo Spirito si confondono, ma perché Cristo risorto possiede lo Spirito
e lo trasmette a quelli che credono in Lui. L'origine prima dello Spirito è il
Padre (problema del "Filioque") ma non può essere distaccato dal
Figlio. Esso appare essenzialmente come un'identità dinamica: è inviato da Dio,
è del Figlio suo, opera nei nostri cuori. Lo Spirito, per Paolo si pone a un
livello essenzialmente relazionale, esiste per collegare: è in Dio, e mandato
da lui "esce" , investe il Figlio, è mandato da Lui, entra in noi, si
esprime con il grido che giunge il Padre. E' agente di comunione, come si dice
in 2Cor 13,13: quello che caratterizza lo Spirito è la comunione (S. Agostino).
Digressione sul tema della Legge in
Paolo
Il punto di
partenza della sua riflessione sulla Legge e l’averne compreso il limite, non è
da ricercarsi nel fatto che lui, da giudeo-fariseo, avesse avvertito
l'insufficienza o l'angoscia a cui porta questo regime religioso. Esso
"era per lui un guadagno". L'incontro con Cristo ha scatenato in lui
questa lettura e ha ridisegnato non solo i suoi valori, ma anche sconvolto la
sua sintesi teologica maturata nel giudaesimo. L'incontro di
Damasco ha rivoluzionato la sua maniera di capire Dio. L'iniziativa imprevista
di Cristo, la scoperta di Lui nella sua novità e grandezza, ha rivelato
l'insufficienza (inganno) della condizione precedente sotto la Legge.
Fondamentalmente il cambio di prospettiva e di impostazione religiosa è
consistito nel passare dall'adesione a una norma scritta, all'adesione a una
persona viva e vivificante. Quest’ opposizione di due atteggiamenti religiosi,
di due maniere di rapportarsi con Dio, è espressa in 2Cor 3,1-18 dove
l'apostolo contrappone l'Antica alla Nuova Alleanza. Evidenziamo i termini di
questo brano che meglio mostrano questa contrapposizione:
inchiostro Spirito
del Dio vivente
tavole di pietra tavole
del cuore di carne
antica alleanza nuova
alleanza
(vecchia disposizione)
lettera Spirito
(norma scritta)
uccide da' vita (vivifica)
ministero della morte ministero dello Spirito
ministero della condanna ministero
della giustizia
ciò che scompare ciò
che rimane
Non si capirebbe l'intuizione fondamentale di Paolo, la
sua teologia, se non si capisce che per lui il dato primario e fondamentale è la
libertà come bene escatologico, che costituisce l'uomo nuovo. Nella lettera ai
Galati è proprio l'offerta di questa libertà, con il dono dello Spirito, che
costituisce il nocciolo dell'evangelo. Anzi, è proprio quest’ offerta di
libertà fatta a tutti, senza condizioni, che rende l'annuncio un vero
"evangelo" (= buona notizia). L' evangelo per lui è tale, non perché
richiede ma perché dà la libertà e la capacità di amare. Questa libertà è dono
dello Spirito; non poteva essere raggiunta attraverso la Legge con l'osservanza
(= con le nostre forze). E' significativo che Paolo parli di una "astenia"
(= debolezza) radicale della Legge (cfr anche 4,9 e Rom 8,3 dove si ritrova
lo stesso verbo). Nella Legge gli sbocchi sono due: o la disperazione o la
presunzione, legata all'apparente osservanza. Comunque si snatura sempre il rapporto con Dio. La
novità nasce dalla scoperta di un atto di grazia uguale per tutti, attuatosi
sulla Croce, che raggiunge ogni persona, a prescindere dalle opere della Legge.
Al regime della "mia" osservanza si oppone quello dello Spirito, che
dona la libertà, in un itinerario, in un cammino di crescita nella misura in
cui ti fidi e ti affidi ... ma se non rinunciamo ad essere noi a gestire anche
la nostra conversione... Alla molteplicità delle opere morali, Paolo
contrappone la semplice confessione (riconoscimento) delle proprie
inadempienze, insufficienze e l'accettazione gioiosa dell'intervento gratuito
di Dio in Cristo. Questo affidamento a ciò che Dio ha operato per noi in Gesù è
la fede, che suppone una decisione dell'uomo, ma non come iniziativa autonoma,
bensì come risposta a un' altra inaudita e impensabile. La fede ha bisogno di
un annuncio: non te l'immagineresti mai che Dio è così, mentre il moralismo te
l'immagini. Paolo definisce il passaggio dalla Legge all'evangelo come quello
dalla minore alla maggiore età. Prima uno è già figlio, ma deve prenderne
coscienza, svincolandosi dalla tutela dei precettori. I1 cristiano maturo è
posto nella condizione di camminare senza stampelle, non perché è abbandonato a
se stesso, e neppure perché può fare quello che vuole ...
4, 8-20 è un nuovo appello
all'esperienza dei Galati; con una
specie di digressione in 4, 8-11 :
Ma un
tempo,non conoscendo Dio, foste schiavi di divinità le quali per natura non lo
sono (i Galati hanno un passato da idolatri); ora, invece,
avendo conosciuto Dio (il Dio vero), anzi meglio essendo stati
conosciuti da Dio, come potete ritornare di nuovo verso gli elementi
deboli e poveri, nei confronti dei quali di nuovo, come all'inizio volete
servire. Giorni osservate (ansiosamente) e mesi e tempi e anni (=
calendario religioso). Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro
riguardo.
Paolo
richiama qui ai Galati quello che erano prima del cristianesimo: una condizione
segnata dalla schiavitù (v.9) Il paradosso è che loro, se danno ascolto ai
sobillatori, lasciano la condizione di libertà per ritornare in un regime
schiavizzante (3,1-5). Questo passato pagano è messo in parallelo con la
condizione della Prima Alleanza: è la stessa condizione di schiavitù! Notare il
parallelo con 4,1-7 (3). Se non c'è il passaggio a Gesù Cristo la religiosità
pagana e il giudaismo sono religioni da schiavi, in cui dominano
gli elementi del mondo. Nella cultura del tempo questo termine stoicheia
indicava gli elementi di base di una determinata realtà (lettere dell'alfabeto,
rudimenti di una dottrina) ma anche i quattro elementi che compongono l'universo,
o le potenze cosmiche, come gli astri. Quest’ ultima posizione è tipica
dell'ellenismo. Si pensava che gli astri controllassero il corso degli eventi e
quindi influenzassero la vita delle persone e del mondo. Ecco l'importanza
dell'osservanza di un calendario come forma di venerazione per questo potenze.
Nel mondo giudaico le potenze angeliche erano considerate in un modo
simile: anche la Legge è stata data per le loro mani. Questi elementi del
mondo indicano i fondamenti su cui si riteneva poggiasse la realtà. Il culto ad
essi, che assume diverse forme, ha una stessa logica, che è qualificata dalla
paura come suggerisce il termine paratereisthe osservanza con ansia, ossia lo stato
d'animo tipico dello schiavo che vive nella soggezione a poteri superiori che
(lui pensa) determinino il suo destino. E' la stessa situazione del giudeo
nell'osservanza della Torah.
4,12-20
Siate come me, ve ne prego, poiché anch’io sono stato
come voi, fratelli. Non mi avete offeso in nulla. Sapete che fu a causa di una
malattia del corpo che vi evangelizzai la prima volta; e quella che nella mia
carne era per voi una prova non l’avete disprezzata né respinta, ma al
contrario come un angelo di Dio, mi avete accolto, come Cristo Gesù. Dove sono dunque le vostre
felicitazioni? Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste
cavati anche gli occhi per darmeli. Sono dunque diventato vostro nemico
dicendovi la verità? Costoro si danno premura per voi, ma non onestamente;
vogliono mettervi fuori, perché mostriate zelo per loro.
E’ bello (calos) invece essere circondati di premure nel
bene (en calò) sempre e non solo quando io mi trovo presso di
voi, figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia
formato Cristo in voi! Vorrei essere vicino a voi in questo momento e poter
cambiare il tono della mia voce, perché non so cosa fare a vostro riguardo.
Paolo richiama il suo passato
incontro con i Galati come ulteriore tentativo per evitare che passino a un
"altro evangelo": al v.12 c'è un invito a imitare l'apostolo:
"diventate come me, perché anch'io sono diventato come voi". E’un invito
a imitarlo nella sua scelta dell'evangelo dell'unicità di Cristo. "Come
voi": quando egli ha evangelizzato la grazia, viveva tra i Galati senza
quell'osservanza delle norme (alimentari), come era avvenuto ad Antiochia.
"Voi non vi siete scandalizzati per questo non mi avete diffamato.. ma mi
avete accettato, benché le circostanze fossero tutt'altro che favorevoli. Al
v.13 si parla di "debolezza della carne", una malattia, che non è
stata un'occasione per respingerlo: l’annunciatore dell'evangelo è malato, ma
non per questo è rifiutato, anzi lo accolgono come un "inviato di
Dio", come Cristo stesso v.15: "Dov'è adesso la vostra proclamazione di
beatitudine, quello stato d'animo di felicità per la predicazione dell'evangelo".
Una volta
era diverso: erano disposti a dargli quello che avevano di più caro (occhi). Al
v.16 leggiamo: "sono diventato nemico perché vi ho detto la verità
dell'evangelo". Il v.17 richiama la figura degli avversari e dice che essi
vogliono escludere i Galati: "vi corteggiano,ma non in modo
buono/bello/giusto, bensì con cattiva intenzione: vogliono che vi diate premura
per loro. Vogliono escludervi da me per potervi guadagnare a loro." Il
v.18 ci porta un’ immagine materna (cfr 1Ts 2,7-8: una madre che scalda con
amore i suoi figli). Paolo ha generato i Galati alla fede, facendogli prendere
forma, come una madre il proprio figlio nel grembo: la forma da prendere è Gesù
Cristo. Notare la sottolineatura del dolore, come al v.11 aveva parlato di fatica, sofferenza apostolica.
Adesso che i
Galati stanno per sfigurare quell'immagine, è come se egli dovesse ricominciare
la gestazione, rigenerandoli alla fede nel Crocifisso. Al v.20: "vorrei
farmi sentire direttamente": questa è una umanissima confessione di Paolo.
Col termine aporia
si indica l'idea che egli non sappia più trovare il modo per farli ragionare.
4,21-31
Ditemi, voi che volete essere sotto la legge: non
sentite forse cosa dice la legge? Sta scritto infatti che Abramo ebbe due
figli, uno dalla schiava e uno dalla (donna) libera. Ma quello dalla schiava
secondo la carne è nato; quello dalla (donna) libera, attraverso (dià) la promessa.
Ora, tali cose sono dette per allegoria: le due donne
infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera
verso la schiavitù, rappresentata da Agar - il Sinai è un monte dell’Arabia -;
essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che ora è schiava insieme ai suoi
figli.
Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra
madre. Sta scritto infatti:
Rallègrati,
sterile, che non partorisci, grida nell’allegria
tu che non conosci i dolori del parto, perché
molti sono i figli
dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito .
Ora voi, fratelli, siete figli della promessa, alla
maniera di Isacco. E come allora colui che era nato secondo la carne
perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. Però, che
cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio
della schiava non avrà eredità col figlio della (donna) libera. Così, fratelli,
noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera.
E’ l’altra argomentazione
scritturistica: la prima era in riferimento ad Abramo, qui circa le due
mogli e le due discendenze. Paolo esplicita anche qui la stessa tematica di
contrapposizione delle due Alleanze.
Riprende il
tema della libertà, comparso chiaramente una volta in 2,4 ("spiare le
1ibertà"), mentre il concetto antitetico di schiavitù è stato più volte
richiamato sotto diverse modulazioni.
E’
caratteristico l'uso frequente che egli fa della preposizione upo, sotto con l’accusativo, riferita a maledizione/peccato/Legge/pedagogo/tutori-amministratori/stoikeia.
Frequente anche il verbo (liberare).
I1 concetto
di libertà è già stato esplicitato in 3,13-4,5 con quello di figliolanza e di
maggiore età, con il rilievo dato alla svolta epocale dell'invio del Figlio (ouketi
non più 4,7). Al v.21 si parla della Legge prima come regime
religioso e poi come Parola di Dio da ascoltare: è importante capire bene la
Scrittura.
Quest’
argomentazione scritturistica si basa su una lettura midrashica dei
passi di Genesi che si riferiscono alla nascita di Isacco e Ismaele. Si tratta
di un'interpretazione attualizzante a partire da un contesto inedito: l'evento
Cristo. Si vede la pertinenza per l'oggi degli avvenimenti passati.
Per Paolo
esistono due linee
radicalmente diverse di discendenza da Abramo: la linea della schiavitù e quella
della libertà (v.22): ora gli avvenimenti narrati da Gen sono figura di quelli
degli ultimi tempi. Al v. 24 si parla di allegoria come prefigurazione di ciò
che avverrà in futuro. Le due donne prefigurano le due alleanze: la prima è
incapace di generare un popolo di figli. E’ chiaro che si tratta di una lettura
in chiave cristiana, contraria a quella ebraica, per la quale erano appunto
loro i figli di Abramo.
Paolo poi, contrappone la Gerusalemme
attuale a quella celeste: qui la città indica la comunità. Quella attuale, il
popolo ebraico, fa parte della Prima Alleanza. Il giudaismo è tuttora
sottomesso alla Legge.
E' possibile che egli pensi a
Gerusalemme come al centro spirituale del giudeo-cristianesimo, di coloro che
si richiamavano alla circoncisione: sono ancora schiavi. La Gerusalemme
dall'alto, di cui parla al v. 26, ha Dio come artefice: è una comunione che
scaturisce da Lui. Anche nelle Scritture d’Israele c'era l'idea di una
Gerusalemme nuova, ma in continuità con l'attuale, mentre in Paolo c'è una
contrapposizione.
Qui Gerusalemme è usata in modo
analogo alla locuzione "Regno dei Cieli", usata nei vangeli
sinottici. E’ il mondo nuovo che Dio costruisce, il nuovo ambito di esistenza
inaugurato dal Risorto, che comprende la Chiesa ma non si identifica con essa.
Questa realtà si sta attuando nella storia e di essa fa parte: nella fede essa
sperimenta la vera libertà. (v.23) Come allora così anche oggi: (ridere e
deridere ha la stessa radice in ebraico shq) Ismaele era il primogenito
e derideva Isacco, lo perseguitava: mentre oggi sono i giudeo-cristiani, che si
oppongono. Paolo vede nei Galati una situazione ribaltata. Oggi i figli della
Madre libera sono perseguitati per la loro libertà. Conclusione: i Galati
devono allontanare i predicatori infiltrati: questo germe mina alla radice
l'evangelo.
Qui Paolo mostra le conseguenze
pratiche che l'evangelo riveste nella vita dei Galati. In 5,1-12
troviamo l'appello ai cristiani a rimanere nella condizione di libertà in cui
sono stati introdotti dalla fede e dal Battesimo.
Cristo ci liberò per la libertà (notare l'enfasi), rimanete dunque
saldi (tenete saldamente la posizione) e non di nuovo il giogo della
schiavitù fatevi imporre.
Ecco, io Paolo dico a voi che se vi
fate circoncidere, Cristo a niente vi servirà (vi sarà inutile). Attesto infatti
di nuovo ad ogni uomo (chiunque) che si fa
circoncidere, è necessario fare tutta la Legge. Venite staccati da
Cristo, quanti siete giustificati nella Legge: decadeste dalla grazia. Noi
infatti attendiamo la speranza della giustizia (giustizia sperata) a
partire dalla fede, grazie allo Spirito (per opera dello Spirito). Infatti
in Gesù Cristo né la circoncisione vale qualcosa, né l’ incirconcisione, ma la
fede che opera attraverso l'amore. Correvate bene, chi vi ha bloccati per non
obbedire alla verità. Questa persuasione non viene da Colui che vi ha
chiamati.Un poco di lievito fa fermentare tutta la pasta.Io ho fiducia verso di
voi nel Signore, che non sentirete in maniera diversa (rispetto a quello
che ho detto). Colui che vi mette sottosopra (sconvolge) porterà il
giudizio chiunque egli sia. Ed io fratelli, se ancora annuncio la circoncisione
perché sono ancora perseguitato. Allora (conseguenza) viene annullato lo
scandalo della croce (1Cor 1,20). Magari anche si tagliassero tutto,
quelli che vi turbano.”
Al
v.1 “per la libertà (dativo di fine) Cristo ci liberò”: tutta l'opera di Cristo
appare finalizzata a renderci liberi (notare l’aoristo, che fa
riferimento alla passione-morte-risurrezione). Gesù è visto come il grande
liberatore, che ha conquistato per i suoi questo nuova posizione: adesso i
Galati sono responsabili di difenderla, dopo averla ricevuta in dono. Si tratta
di un atto avvenuto nella storia: di una guerra tra le forze che vogliono
tenere schiave le persone e le forze di vita e libertà che Dio ha introdotto
nella storia stessa. E' la vittoria di Cristo sulle forze avverse, che richiede
di essere difesa perché questo attacco non è cessato, ma queste forze tendono a
rioccupare la posizione che Cristo ha conquistato. Il "giogo" è
quello della schiavitù degli stoikeia, elementi del mondo degli osservanti
della Legge. (v.2-5) : "se fate questo, Cristo non vi servirà a
niente", poiché è
impossibile per l'uomo essere fedele a tutta la Legge. Ma "quanti cercate
giustificazione dalla Legge, vi siete staccati da Cristo". Si parla qui
dell’"essere in" come in 3,26.28. Se non sei più "in
Cristo" sei "en nomou" nella legge . “Decadere dalla
grazia” indica che non sei più sotto la sua azione. L'agente della
trasformazione è lo
Spirito in noi.
Al v.6 ritorna l'espressione "in Cristo"; in Lui queste condizioni particolari, legate all'appartenenza al popolo ebraico non hanno alcun valore. Non c'è vantaggio dell'ebreo sul pagano, perché tutti possono accedere alla fede. Ciò che è decisivo è l'unione a Cristo, che si ottiene attraverso la fede, intesa come disposizione del singolo, come atteggiamento di fiducia, affidamento. E questa fede non può non manifestarsi nell'agape. Parlando di fede non si escludono le opere: l'amore vissuto è il criterio dell'autenticità della fede. Il "correre bene" del v.7 è riferito al periodo precedente la venuta dei sobillatori. "Chi vi ha bloccati in questo corsa", richiama in 3,1: "chi vi ha ammaliati". C'è stato un blocco che ha una conseguenza gravissima: non obbedire alla verità. I1 verbo penthomai significa all'attivo: persuadere, al passivo: lasciarsi persuadere, mentre upakouo contiene il termine "ascolto" acuo indica l’ascolto profondo, che conduce all'assenso ad una parola che mi viene rivolta, e da cui mi sono lasciato persuadere. Qualcuno ha bloccato questo processo di persuasione della verità dell'evangelo. Questa convinzione non viene da Colui che li ha chiamati originariamente. Se non ti lasci persuadere da Cristo crocifisso, altri ti persuaderanno; se distogli gli occhi da Lui, altri ti ammalieranno. La persuasione è qualcosa che si cala dentro di te: simile è il paragone del lievito (Mt 16,6) che, se gli fai spazio, ha un influsso nascosto ma efficace. Ma allora, qual’è il riferimento profondo che ti plasma ? (v.10) La fiducia di Paolo non è fondata sulla sua capacità, ma in Colui che li ha chiamati. Fronein indica una mentalità, un modo di percepire la vita, che abbraccia mente e cuore. E’ la percezione profonda della realtà. Egli ha fiducia che i Galati arriveranno a una sensibilità profonda conforme a quello che lui ha predicato. E' a questo livello che sorgono le decisioni ed è qui che agisce il "lievito". Si tratta di capire e sentire: se non c'è affetto per la via del Vangelo come via della mia vita, allora nei momenti importanti/difficili, mi lascerò persuadere dai valori “mondani”. "Coloro che creano confusione nella comunità": tra questo "sobillatori" c'erano forse figure di rilievo, ma pagheranno lo stesso "chiunque egli (essi) sia". Potremmo parafrasare così il v.11: "se volessi evitare le persecuzioni, basterebbe che accettassi questo pressioni e ponessi la circoncisione come essenziale per far parte del popolo di Dio: allora verrebbe annullato per sempre (e con che conseguenze) lo scandalo della croce". Se non capisci che Dio ti salva unicamente con il dono radicale del suo Figlio, ti metti in una religione "naturale": non c'è più scandalo (= difficoltà) nella fede. E' chiaro che Dio salva i buoni, gli osservanti per ogni religione naturale è così. Ma Dio cambia il mondo attraverso un amore disinteressato, in cui si dona completamente e offre la possibilità di salvezza a tutti: e questo non è facile crederlo, ma sta proprio qui la “novità del Vangelo”.
Quella del v.12 non è un'espressione volgare, un'invettiva gratuita. La circoncisione era il segno di appartenenza all'alleanza: chi non poteva riceverlo, non poteva trasmettere la vita (= la benedizione del Dio d'Israele); l'eunuco era messo fuori dal culto, dalla comunione con Dio, dalla benedizione. Giocando su questo espressione, Paolo afferma che si staccano da Cristo, quelli che si affidano alla carne, escludendosi dal popolo vero di Dio. Visto che pongono la loro fiducia in un piccolo gesto esterno, tanto da volerlo imporre agli altri, perché allora non sottolinearne l’importanza con un gesto ben più radicale. Paolo intende mostrare la contraddizione in cui questi sobillatori sono caduti, scambiando il mezzo per il fine.
vv. 13-15
Voi
infatti, a libertà foste chiamati (passivo teologico = da Dio) fratelli,
soltanto non diventi (la libertà) pretesto (occasione) per la
carne, ma attraverso la carità, siete schiavi gli uni degli altri. Tutta la
Legge infatti, in una sola parola trova compimento, in questo: "amerai il
prossimo tuo come te stesso", ma se vi mordete a vicenda e vi
sbranate (dilaniate), guardate (fate attenzione) di non
distruggervi a vicenda (= divorarvi: immagini del mondo
animale).
Qual’
la preoccupazione di Paolo: che questa condizione di libertà sia fraintesa.
Perciò è bene dare un criterio fondamentale: l'amore, che permette dì valutare
se la libertà viene dallo Spirito o no. Ciò porterebbe a un fraintendimento
dell'annuncio. La
libertà costituisce la condizione del cristiano, il dono escatologico. La
vocazione cristiana è vocazione alla libertà: "purché non diventi
occasione" (= aformen) ossia punto di partenza, pedana di
lancio, appiglio, postazione avanzata per un'operazione militare. La libertà
può diventare l'occasione propizia su cui la carne si appoggia
per potersi di nuovo affermare. Dicendo "carne" si intende l'uomo
auto-centrato. L'annuncio cristiano della libertà deve diventare invece l'occasione
dell'amore. Agape è termine neo-testamentario, poco usato nella
letteratura greca: anche questa rottura terminologica è significativa della nuova
condizione. Si tratta dell'amore rivelato da Gesù: diverso dall' eros,
per cui uno si sente attratto da un oggetto che ha un qualche valore… “ma Cristo
ci ha amati quando eravamo peccatori…” e non avevamo nessuna
attrattiva. Dio si è chinato su di noi in Gesù. Come si capisce che uno
vive la libertà evangelica ? dal tipo di relazione che instaura con gli altri.
Ricorre allelois "gli uni gli altri" per tre volte, anzi
quattro, se contiamo un accenno al "prossimo"): si tratta di un
rapporto di reciprocità. Questa relazione rivela se la libertà è autentica.
Questo amore si qualifica come un divenire schiavi gli uni degli altri: ma se
uno è schiavo, l'altro è padrone, mentre qui si tratta di essere tutti schiavi,
col risultato che non ci sono più padroni, ma siamo tutti uguali.
Si
tratta di un'espressione che indica il decentramento da sé. Questo reciprocità
sovverte alla radice i rapporti sociali. Nella frase: "Tutta la Torah
trova pienezza in una parola", c'è una eco della disputa, che risulta
anche dai Vangeli, in corso tra i rabbini del tempo. C'erano tre Codici in uso
nel popolo di Dio (uno nel libro dell’Esodo e due in quello del Levitico). Moltiplicando
i Codici si moltiplicavano le leggi. Per venire incontro alla gente, si cercava
un principio unificatore, che Paolo individua nell' agape che deve
attraversare qualsiasi osservanza. Qui si compie la Torah, intesa come
espressione della volontà di Dio. L’ agape realizza pienamente
quello che nella Torah veniva indicato. Al v.15 troviamo espressioni
iperboliche: si tratta chiaramente di un artificio letterario, come nella
diatriba stoica, per indicare che punto si arriva, quale lacerazione di rapporti
si attua all'interno di un gruppo umano, se si lascia libero corso alla carne:
si hanno risultati devastanti. C'è un crescendo significativo in questo
versetto, come a dire che o si porta a compimento l'amore o si
porta a compimento la logica della carne.
5,16-25 presenta
una struttura chiastica
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non adempirete il desiderio della carne;
la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito
e lo Spirito alla carne; questi due elementi sono
in opposizione tra loro, in modo che non facciate ciò che volete. Ma se siete
guidati dallo Spirito, non siete più sotto la legge. Del resto le opere
della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio,
idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni,
fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose, vi
preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio.
Il frutto dello Spirito,
invece è amore, gioia pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza,
dominio di sé; nei confronti di chi opera in questo modo, la legge non ha
niente a che fare. Quelli che quelli che appartengono a Cristo Gesù hanno
crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo secondo
lo Spirito, procediamo anche secondo
lo Spirito.
Questo testo è attraversato dalla contrapposizione carne-spirito che
Paolo pone in contrasto, raffigurando il cuore dell’uomo come un campo di
battaglia, conteso tra due forze avverse, caratterizzate da due logiche
opposte. La carne è l’autocentrarsi, l’egoismo; lo Spirito è l’aprirsi a Dio e
all’altro, e danno così vita a due stili di vita contrapposti.
Il desiderio è il motore dell’azione umana: nessuno è senza desideri.
L’uomo è un essere di desiderio e va là dove esso lo porta. Paolo parla di un
desiderio in particolare, che è poi quello di fondo, che orienta la vita di una
persona: tenuto sotto controllo questo, l’azione dell’uomo sarà orientata bene.
Un altro rilievo che possiamo fare è quello del fatto che Paolo pone al
singolare il frutto dello Spirito, contrapposto alle opere della carne, che
sono molte, esprimendo così la dispersione, la disarmonia che c’è nel cuore
dominato dalla carne.
Se si parla di frutto è anche per spiegare che esso non viene dall’uomo
come una sua opera, ma è il risultato
dell’azione dello Spirito in noi, se ci apriamo alla sua azione. Se abbiamo
rotto definitivamente con la carne nel Battesimo, non rispondiamo più alla sua
guida: è un cammino da riscegliere ogni giorno per approfondirlo sempre più.
5, 26 - 6, 5
Non cerchiamo la vanagloria (non diventiamo chenodoxoi),
provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.
Questo brano
è come uno sviluppo del precedente. Si rivolge a "voi, gli
spirituali". La vanagloria, l'affermazione vuota, senza fondamento, che
porta alla rivalità, invidia, provocazione. Se sono guidato dalla carne, il
bene dell'altro sembra un danno per me (Fil 2,3). Si parla spesso nel N.T. di
correggere con mitezza. come 1Cor 4,21: la mitezza qualifica l'azione pastorale
di Paolo. In 5,23 la mitezza è frutto dello Spirito. I1 mite non è il debole,
ma il forte, che non si lascia scoraggiare dal male, che non è implacabile.
Gesù è Maestro mite con un insegnamento esigente, ma che ti accompagna, dandoti
la forza di portare il peso. Ecco l'atteggiamento di colui che è diventato
spirituale.
Ritorna allelois
gli uni gli altri: i pesi
sono le debolezze. Ecco la solidarietà nel farsi carico. Questa è un'altra
maniera di compiere la libertà di Cristo: l’agape, ossia nel
fare quello che ha fatto Lui. Paolo nella sua parenesi insiste sul fatto che la
vanagloria sia il cancro della comunità. Lo Spirito non è retaggio di nessuno.
"Ciascuno porterà il suo peso" in futuro. Ognuno andrà (al giudizio)
con i segni della sua povertà e fatica: se sei stato implacabile con i pesi
degli altri, dimenticando che anche tu hai il tuo peso ... Se anche fai del
bene, è frutto dello Spirito che è in te.
6, 11 - 18 Post scriptum
Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, ora, di mia
mano. Quelli che vogliono fare (euprosopesai) bella figura nella carne, vi
costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa
della croce di Cristo. Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la
legge, ma vogliono la vostra circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne.
Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro
Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io
per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non
circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma (canone)sia
pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi
procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il
vostro spirito, fratelli. Amen.
E' scritto
di suo pugno, secondo l’uso del tempo. Paolo dice come per attirare
l'attenzione:"guardate". Ciò che aggiunge è una specie di
sommario-sintesi di ciò che ha detto precedentemente. Richiama gli avversari e
la loro opera di convinzione, per squalificarla. Ciò che cercano è di evitare
la persecuzione che verrebbe se predicano la Croce. Se i Galati li ascoltano,
essi si vanteranno del frutto della predicazione, la circoncisione dei Galati:
"si vantano nella carne". Paradossalmente, il motivo di gioia di cui
andare fieri è Cristo, il luogo della novità. Ciò che conta è essere
trasformati in una nuova creatura.
L’espressione "per il futuro", al v. 17, richiede che nessuno contesti l'apostolato di Paolo:, il suo corpo porta i contrassegni particolari, dati dalle persecuzioni che testimoniano come egli sia in comunione con Cristo. Egli è nel suo corpo la manifestazione del Cristo sofferente: questi segni sono la prova visibile che indica con chi Paolo si è messo. Questi segni nella carne sono posti in contrapposizione con la circoncisione (segno nella carne): gli avversari traggono vanto da questa cicatrice e lui da questi segni che lo associano non al Popolo eletto, ma alla passione di Cristo stesso. La “nuova creatura” richiama 2Cor 5,17: Cristo conduce a una nuova creazione che avviene nel credente con l’azione dello Spirito.
Dagli
Appunti degli Studenti del Corso di
Esegesi
della Lettera ai Galati
del
Prof. P. Maurizio Teani S.I.
alla
Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, Cagliari , Anno Accademico 19997 –
98
(la
parte iniziale è liberamente riassunta da Paolo, evangelo di Gesù Cristo
di P. Francesco Rossi de Gasperis S.I.)
Proponiamo
di seguito una sintetica spiegazione di alcuni termini non comuni che si
incontrano nel testo, per facilitarne la comprensione. Vengono indicati con un
asterisco, almeno la prima volta che compaiono.
Rabbini,
dall’ebraico rab, grande, usato anche nel senso di anziano, maestro,
specialmente della Legge. Erano gli insegnanti, ma prima gli studiosi e custodi
della tradizione del popolo d’Israele.
Aoristo, è un
tempo del verbo usato nella sintassi greca, con delle peculiarità tali da non
avere un vero e adatto corrispettivo nella nostra lingua italiana. In genere si
traduce con il passato remoto. Esso sta a indicare un’azione compiuta ne
passato, in genere; un’ azione singola e nella teologia biblica, anche
singolare, per importanza e densità. Un fatto ormai passato, ma un’esperienza
unica, come un concentrato di azione.
Sinottici, dal greco,
indica i vangeli di Matteo, Marco e Luca, che si possono affiancare su tre
colonne e leggere con un solo colpo d’occhio (sun – opsis), inquanto i racconti
procedono pressoché assieme o almeno sono piuttosto assimilabili, mentre Giovanni
è più singolare, sia nella terminologia che nella trama.
Apax, è termine
greco che indica un termine che viene usato una sola volta in quel testo. Nella
Scrittura questo indica in genere un’importanza particolare che esso riveste,
come se fosse impossibile trovare un sinonimo e se questo termine avesse ormai
soltanto quel significato preciso, quasi da diventare un nome proprio.
Locuzione, significa
l’unione di due o più termini con un significato preciso, se mantenuti insieme
(es.: Nuova Allenaza…).
Torah, viene
tradotto generalmente con Legge, anche se nell’accezione che ha questo
termine nelle nostre lingue occidentali, risulta piuttosto riduttivo. Abbiamo
della legge un concetto piuttosto esteriore e spesso negativo, mentre per
Israele essa è la strada della vita e della salvezza. Obbedirvi è benedizione e
benessere, non limitazione, ma esperienza di libertà. Indi i primi cinque libri
delle Scritture d’Israele: Genesi, esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio.
Purtroppo le interpretazioni che i rabbini vi hanno aggiunto nei secoli hanno
potuto a volte dare quest’impressione di “soffocamento”, ma “da principio non
era così”.
h.S. , abbreviazione che
sta per historia Salutis, storia della Salvezza, ossia quegli interventi
diversi e diversificati di Dio nella storia dell’umanità dalla creazione, e poi
d’Israele, dalla chiamata di Abram, che culmine nella venuta, passione, morte e
risurrezione del Figlio, la sua Ascensione e la discesa dello Spirito.E’ la
storia di Dio con l’umanità: sempre più vicino, presente, fino ad entrare in
essa e formare un’unica storia con noi.
LXX, questo
numero romano, settanta, indica la più famosa e usata traduzione e raccolta
delle Scritture d’Israele, in lingua greca, composta dal III° sec fino al 50,
circa, a. C. Le traduzioni hanno pregio diverso da libro a libo e inoltre vi
troviamo libri che la Bibbia ebraica non conosce come la Sapienza e il
Siracide, che la tradizione cristiana ha poi accolto nel suo canone.Viene
indicata con questo nome perché la tradizione parla di settanta saggi ebrei che
tradussero in diversi luoghi la Scrittura in greco dall’ebraico, senza
consultarsi e ne risultò un testo identico, come ad alludere alla certezza
dell’ispirazione divina su questo testo. Di certo questa traduzione avvenne per
andare incontro a molti ebrei che, residenti fuori d’Israele non conoscevano
più l’ebraico. Probabilmente è avvenuta ad Alessandria d’Egitto, in buona
parte.
problema del
"Filioque", è quell’ostacolo teologico rimosso, almeno a livello
concettuale, pochi anni fa, che divideva la Chiesa Cattolica da quelle d’Oriente.
In realtà è pressoché soltanto una “questione di parole”, in quanto le nostre
due tradizioni hanno modi diversi per spiegare la comunque misteriosa vita
della Trinità. Nella tradizione cattolica diciamo nella Professione di fede:
Credo lo Spirito Santo … che procede dal Padre e dal Figlio (in latino Filioque);
nella tradizione Orientale dicono “che procede dal Padre attraverso il
Figlio”. Come si vede siamo alle sottigliezze, per di più su un mistero di
cui così poco possiamo dire …
parenesi, è un
termine greco che significa pressoché esortazione, almeno nel contesto
delle strutture delle lettere paoline, dove si riassume sotto questo termine la
seconda parte di ogni lettera, o almeno gli ultimi capitoli, dove Paolo, dopo
aver esposto i fondamenti della fede, esorta, appunto a vivere di
conseguenza ad essi nella vita di ogni giorno.