Ciclo di catechesi sulla Lettera ai Galati

- Sr. Maria Andreina Alfero, pddm

(appunti tratti dalle lezioni del prof. Maurizio Teani, S.I. – Cagliari, che ringraziamo cordialmente)

 

Centro Culturale Universitario “Paolo VI” – Sant’Ivo alla Sapienza - ROMA

 

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INDICE

San Paolo apostolo: profilo biografico

Esegesi della lettera ai Galati

Legenda

 

 

San Paolo apostolo: profilo biografico

 

Non disponiamo di informazioni precise sulla cronologia della vita e delle opere di Paolo, dal momento che gli scritti neo-testamentari paolini e lucani non si curano di datare gli avvenimenti che riferiscono. Ma le indicazioni di cui disponiamo sono sufficientemente approssimative.

v      Saulo nasce a Tarso in Cilicia, verso l’inizio della nostra era, quale più giovane contemporaneo di Gesù, stando all’indicazione della lettera a Filemone, scritta tra il 60-63, nella quale si definisce “vecchio”.

v      Lascia Tarso per Gerusalemme tra il 25-30 per continuare gli studi e vi rimane diversi anni prima di incontrare Cristo

v      perché la sua conversione si può datare verso il 34-35, dopo il martirio di Stefano, l’anno 33.

v      Circa il 37-39 sale a Gerusalemme una prima volta per prendere contatto con Cefa. Ritornato ad Antiochia e Tarso, trascorre tra queste due città diversi anni e da qui parte per il

v      primo viaggio missionario con Barnaba tra il 44 e il 49 verso Cipro e l’Asia Minore (di cui fa parte la Galazia).

v      Quattordici anni dopo la prima visita, Paolo sale di nuovo a Gerusalemme, tra il 49 e il 50, per quello che viene chiamato il Concilio di Gerusalemme.

v      Tornato ad Antiochia, probabilmente ha luogo l’incidente con Pietro e Barnaba.

v      Paolo decide di partire per un secondo viaggio, ma senza Barnaba, e con Sila rivisita le chiese della Siria, Cilicia e Galazia meridionale. Lo Spirito lo porta in Europa: Samotracia, Neapoli, Filippi, Tessalonica, Atene e Corinto. Siccome nella sua lunga permanenza in questa città viene tradotto davanti al proconsole Gallione, possiamo sapere che Paolo si trova qui tra il 51 e il 52. Torna ad Antiochia nel 52 e

v      nel 53 riparte per il terzo grande viaggio missionario. Raggiunge Efeso, via terra e vi rimarrà a  lungo, forse conoscendo anche una breve prigionia. Da lì ritorna in Europa, in Macedonia, Grecia e Illiria meridionale, fermandosi a Corinto per alcuni mesi. Da qui riparte per la Macedonia e incontra i delegati della colletta per la Chiesa-madre di Gerusalemme. Salpando da Asso, si ferma a Mileto, da dove manda a chiamare gli anziani di Efeso. Da qui passando per Tiro e Tolemaide, giunge a Cesarea e

v      sale a Gerusalemme, dove viene arrestato e tra

v      il  57-60 si trova prigioniero tra Gerusalemme e Cesarea Marittima. Il cambio tra il procuratore Felice e Festo deve essere avvenuto tra il 59 e il 60.

v      Da qui parte per Roma dove giunge nella primavera del 60-62, rimanendovi due anni. Se la sua morte non avvenne ora, egli può essersi recato ancora in Spagna e quindi di nuovo a Efeso, a Creta, in Macedonia e a Nicopoli dell’Epiro.

Verrebbe imprigionato di nuovo a Roma dove morirebbe decapitato tra il 64 e il 67.

 

 

Esegesi della Lettera ai Galati

E’ essenziale per la riflessione che Paolo vi ha condotto. Si tratta di un cantiere in fermento, dove egli elabora le strutture portanti del suo pensiero teologico: è una costruzione fatta con grande passione. Si concentra sul nocciolo dell'evangelo, non sui contorni (2,4-15). E’ diversa da un trattato accademico, in cui si trovano termini ponderati e affermazioni soppesate. E’ scritta di getto, sullo sfondo del periodo cruciale che stava attraversando il giovane movimento cristiano, con la passione di quel momento in cui si andavano definendo nelle sue linee fondamentali. Quest’elaborazione non poteva avvenire in maniera lineare, senza scontri e tensioni. Come appare nel racconto degli Atti, in questo periodo si confrontano due interpretazioni divergenti su ciò che era centrale nel movimento cristiano. La lettera riporta i termini di questa disputa: cos'è essenziale nell' esperienza cristiana?

 

1,1-5

Paolo apostolo, non da uomini, né attraverso un uomo, ma attraverso Gesù Cristo e Dio Padre che ha risuscitato Lui dai morti, e con me tutti i fratelli (co-mittenti), alle Chiese della Galazia: grazia a voi e pace da parte di Dio, Padre nostro e dal Signore Gesù, il quale diede se stesso per i nostri peccati, così che (affinché) strappasse noi dall' eone (mondo) quello presente (che incombe) malvagio, secondo il volere di Dio e Padre nostro al quale la gloria per i secoli dei secoli. Amen.

 

L'intestazione si chiude con una dossologia anche perché la lettura veniva fatta nell'assemblea liturgica. Il mittente si presenta con il nome greco, che è la traslitterazione dal latino Paulos, subito seguito dal titolo"apostolo", che gli sta particolarmente a cuore e sul quale insiste qui in modo particolare, come anche nelle altre lettere dove lo usa. Manca in 1Ts - Fil - Fm per i rapporti di amicizia che lo legano a quelle comunità e persona. Questo termine della prima tradizione cristiana presenta un certo collegamento con l’istituzione giuridica giudaica Shalaq. Erano per lo più rabbini*, mandati dall'autorità centrale (sinedrio) nella diaspora con incarichi di insegnamento o per risolvere questioni legali, come autentici plenipotenziari. Paolo è inviato da Gesù Cristo e ha l'autorità di diffondere l'evangelo che gli è stato affidato: è il Risorto che lo invia, non una struttura umana. Si tratta di una precisazione negativa, con un carattere polemico, come a respingere voci che circolavano nei suoi riguardi, circa le sue pretese di essere apostolo.

Apò indica origine: qual'è l'origine dell'apostolato di Paolo ? Egli nega che si tratti di un'iniziativa umana. La critica testuale ci supporta sia un plurale che un singolare: soffermiamoci su entrambe le ipotesi.

Andropon, uomini se accettiamo il plurale (= comunità),  potrebbe indicare Antiochia, da cui è partito per la missione (cfr At 13). Se invece propendiamo per il singolare uomo, si potrebbe riferire a Barnaba che lo ha cercato a Tarso. L'intento di Paolo è chiaro: (notare l’avversativo allà): “ma per l'iniziativa di Gesù Cristo e di Dio Padre”. I1 Padre e Gesù risorto lo hanno scelto e mandato tra i pagani a portare l'Evangelo. La precisazione dopo "Padre" sottolinea il suo intervento in Gesù risorto sulla via di Damasco. E' l'unico passo della lettera in cui si parla della risurrezione. E’ significativo che l’essere apostolo di Paolo sia conseguenza della risurrezione di Gesù.

Al v.3 ritroviamo il saluto apostolico con i termini caris (= grazia), saluto ellenistico attestato nella letteratura epistolare; è l’equivalente latino di "Ave atque vale", che era inteso come uno star bene materialmente, ma da Paolo e poi, nella letteratura cristiana, è piuttosto inteso come la partecipazione al dono di Dio. L'altro termine è eirene pace equivalente dell’ebraico shalom, ed indica la condizione salvifica in cui si trova il credente in Gesù (v. Rom 5, dove è intesa come pace in senso interiore, intimistico, ma come situazione di vita, di rapporti sociali e politici); caris - eirene  dicono sostanzialmente la stessa cosa: si tratta allora di un' endiadi (= dire con due parole una sola idea).

Dopo il saluto, Paolo, si prolunga volutamente sulla persona di Gesù per indicare fin dall'inizio ciò che ha significato la sua opera nel mondo. Ricorda subito che la liberazione dal peccato ( = ciò che ci separa da Dio e dagli altri) avvenne per mezzo della croce: “affinché fossimo strappati da questo tempo malvagio”. Paolo usa un linguaggio apocalittico, intendendo sottolineare che con la svolta della croce, è iniziato l’ eskaton, inteso non come la fine del mondo ma il fine del mondo e la pienezza della vita, che è quella che Cristo è venuto a inaugurare con la sua morte e risurrezione. Il verbo exaireo strappare porta l'immagine di uno che è preda di un altro. La croce per Paolo rientra nel piano di Dio. C'è qui un richiamo alla Scrittura, che lo contiene. Quindi l'Evangelo che egli predica è in conformità con le Scritture. La croce è la svolta, ma era già prevista nelle Scritture, da sempre.

 

1, 6-10    

Mi meraviglio che così in fretta (velocemente) passiate ( = cambiare campo, passare al nemico) da Colui che vi ha chiamati nella grazia (di Cristo) verso un altro evangelo; che poi non ce n'è un altro, ma solo (ei me) ci sono alcuni che vi turbano (sconvolgono) e vogliono stravolgere l'Evangelo di Cristo. Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi evangelizza (annuncia) un vangelo oltre quello che è stato evangelizzato a voi (un evangelo diverso), sia scomunicato, come vi dicemmo (predicammo) anche ora di nuovo dico (ripeto): se uno vi evangelizza oltre quello che avete ricevuto sia anatema. Ora infatti cerco di persuadere gli uomini o cerco di persuadere Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se ancora piacessi agli uomini (volessi piacere agli uomini) schiavo di Cristo non sarei.

Paolo esprime la sua meraviglia: non si aspettava quello che sta avvenendo nelle comunità: un passaggio di campo assurdo. metatithesthe passiate, al presente, indica che siamo di fronte a un'azione ancora in atto, non ancora conclusa, ed egli spera ancora di poter intervenire. I1 participio presente di questo verbo serve per indicare il disertore: il tradimento dei Galati è indicato anche dalle preposizioni apò da eis verso: si sta tradendo la vocazione cristiana, come vocazione personale, perché è Dio stesso che ha chiamato i Galati alla novità dell'evangelo. Questa chiamata è caratterizzata dall'inciso en cariti nella grazia considerando Cristou di Cristo, un'aggiunta posteriore (attestata solo da criteri esterni, ossia i diversi manoscritti a nostra disposizione), mentre per criteri interni (come il contesto di questa lettera paolina ma anche delle altre ) si può meglio supporre che la lezione originaria sia la prima. Questa vocazione è contrassegnata dalla gratuità: ciò evidenzia bene la contraddizione del passaggio che sta avvenendo tra i Galati: dalla grazia ai meriti. Altro motivo di stupore è il fatto che questo cambiamento avvenga in fretta outos tacheos: un cambio gravido di conseguenze, che avviene così in fretta, senza che gli abbiano dato il tempo di intervenire con una parola ... La fretta poi, è sempre segno di un cattivo discernimento. “… verso un evangelo altro”: questo aggettivo indica un evangelo diverso, è un’espressione con valore qualitativo, ossia indica che questo presunto vangelo è in realtà una perversione, uno stravolgimento di quello autentico. Si tratta di un annuncio che si muove in maniera opposta rispetto alla chiamata per grazia. E Paolo si premura di aggiungere che non ce n'è un altro, ma (ei me), che corrisponde all'avversativo allà ma e introduce il termine "alcuni", che riceveranno una specificazione ulteriore nel corso della Lettera, per ora si dice che creano scompiglio nella comunità. Questo termine veniva usato anche per gli agitatori sociali: ricordando metastrepsai possiamo pensare a infiltrati da parte dell'avversario. Con questo scompiglio vogliono raggiungere uno scopo: stravolgere l'evangelo di Cristo ( si tratta di un genitivo oggettivo ossia l’evangelo che ha per oggetto Cristo) per cui Egli è la buona notizia, evangelo che annuncia il Cristo come unica via di salvezza. Nei vv.8-9 Paolo, in maniera severa pronuncia un anatema contro chiunque, lui compreso, osasse e osa predicare un evangelo diverso. Anche se si trattasse di un angelo, ossia di presunte rivelazioni successive, di visioni, queste non potranno mai essere contro quella rivelazione fondamentale, che Dio ha dato nel Figlio ed è attestata dai documenti detti "Vangeli". Al centro di questa rivelazione c'è Cristo morto e risorto: il resto è contorno, e se uno scansa questo ... Paolo si appella con un anatema. E’ dunque un fatto grave questo: chi lo compie è fuori dalla comunione, non riconosce la verità di Cristo. Paolo ricorre all'anatema solo per questioni in cui è in gioco la persona di Cristo: l'essenziale ! In 1Cor 16,22 per esempio, non fa altro che evidenziare la situazione reale in cui si è posta una persona che ha stravolto l'evangelo di Cristo.

Al v.10 il verbo peitho ( = tirare dalla propria parte in modo subdolo, persuadere, riempire la testa di chiacchiere, plagiare, carpire l'adesione ...): Paolo chiede se sta cercando questo dagli uomini o addirittura da Dio (ironico!). Il tono polemico fa pensare che siano espressioni usate dai suoi nemici, come la seguente espressione: "Cerco di piacere agli uomini". Egli era accusato di cercare di adattare il Vangelo ai pagani. Non si trattava più del Vangelo di Gesù ma di una sua furbizia, per attirarsi il favore della gente (basti pensare alla difficoltà dei pagani ad accettare la Legge mosaica, specialmente la circoncisione e se lui diceva che non era necessaria…). Paolo rifiuta queste accuse. L'espressione schiavo, servo doulos è certamente scelta da Paolo per l'uso che se ne fa nelle Scritture della Prima Alleanza, riferito ai personaggi che Dio sceglie per un incarico speciale. Egli lo applica a sé in diverse intestazioni di Lettere: Rom.1,1 ; Fil l,l . In Fil 2,21 anche i suoi collaboratori sono presentati con questo termine.

Se apostolos indica la missione affidatagli da Cristo, con questo termine si intende il legame di obbedienza di Paolo verso il Signore e la sua volontà. Egli è totalmente preso da essa, rivolto, completamente consegnato e dedicato al progetto di Dio.

Ei eti  ancora fa pensare che una volta, sì cercava la compiacenza umana: ora, alla luce di Cristo, Paolo rilegge la sua esperienza di fariseo osservante: c'è una specie di auto-critica della sua vita precedente all'incontro con Cristo che, una volta avvenuto, getta luce sul passato della sua presunta fedeltà a Dio.

 

Al v.11 comincia il corpo della Lettera il cui argomento è la novità dell’evangelo:

una prima sezione è compresa tra  1,11 - 2,21 ed è definita apologia dell'evangelo si suddivide in 3 punti:

A) 1,11-24 parla dell'origine dell'evangelo richiamando "Damasco" per mostrare che l'evangelo non è una sua creazione: non viene dagli uomini ma da Dio.

B) 2,1-10 parla dell'approvazione dell'evangelo da parte degli apostoli a Gerusalemme, richiamando il "Concilio".

C) 2,11-21 difende pubblicamente l'evangelo richiamando "l'incidente di Antiochia".

Questa parte è detta storica perché caratterizzata dalla narrazione.

 A) 1,11-24 è il primo passo in questa difesa, mostrando l'origine da Dio dell’evangelo.

Rendo noto infatti a voi, fratelli, l'evangelo che fu evangelizzato da me che non è secondo uomo (= sottolineatura ad effetto dell'evangelo: notiamo in questo modo irruento di scrivere, quello che veramente sta a cuore a Paolo). Neppure infatti io da un uomo lo ricevetti né fui catechizzato (istruito), ma per rivelazione apocalittica di Gesù Cristo (genitivo oggettivo = rivelazione che ha avuto per oggetto Cristo). Sentiste parlare infatti della mia condotta di un tempo, nel giudaesimo, che all'eccesso (a dismisura) perseguitavo (imperfetto) la Chiesa di Dio e la devastavo (imperfetto, verbo questo usato nel senso di sradicare le malepiante: possibile traduzione sarebbe: “perseguitavo per sradicarla) e superavo nel giudaesimo molti coetanei della mia razza, essendo oltremodo zelante per le tradizioni dei miei padri. Ma quando si compiacque Colui che mi separò (scelse = aforizo) dal seno di mia madre e mi chiamò per la sua grazia (v.6 en cariti), (verbo reggente) si compiacque di rivelare suo Figlio in me, affinché lo evangelizzassi tra i pagani (genti), subito (immediatamente) non consultai ( = porre una domanda riguardo a qualcosa a qualcuno) carne e sangue (semitismo usato per indicare l'uomo in contrapposizione a Dio), né salii a Gerusalemme da quelli prima di me apostoli (il gruppo storico). Invece andai in Arabia (regione a sud della Siria) e di nuovo ritornai a Damasco. Poi dopo tre anni salii a Gerusalemme per incontrare Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni. Un altro degli apostoli non vidi; solo (vidi) Giacomo, il fratello del Signore. Ciò che scrivo ecco davanti a Dio (sottinteso: dichiaro) che non mentisco. Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ero sconosciuto di volto alle Chiese della Giudea quelle in Cristo. Soltanto erano ascoltanti (sentivano dire) che colui che ci perseguitava ora evangelizza la fede che un tempo voleva sradicare (imperfetto) e lodavano (glorificavano) Dio (in me) a causa mia.

 

Gnorizo Rendo noto: Paolo vuole subito mettere in chiaro con la preposizione katà ( = secondo, sopra c'era apò) katà indica la qualità: l’evangelo che lui predica non è di carattere umano, non è modellato sulla mentalità umana. Dicendo poi "neppure" sottolinea come neppure lui, come gli apostoli (gruppo storico) lo ha ricevuto da uomini, ma

Oudè gar né infatti ( = costruzione enfatica) come i dodici non lo ha ricevuto da un uomo."Né sono stato catechizzato da uomini": Paolo sottolinea come non ha avuto nessuno per maestro, catechista, uno che lo ha introdotto nella nuova fede. A prima vista questo affermazione sembra in contraddizione con altre sue affermazioni. In At 9, ad esempio, si parla di Anania; in 1Cor 15,1 si parla di tradizione ricevuta e trasmessa ... Ma qui il discorso è diverso: qui è in gioco l'evangelo che Paolo predica ai pagani: ed è su questo che egli afferma di non aver ricevuto indottrinamento, sul modo di impostare la predicazione. I1 modo con cui ha incarnato (inculturato) l'evangelo tra i pagani (ossia la libertà dalla Legge) è un'intuizione che egli ha avuto nella vocazione.

Allà dià Iesou Cristou ma per mezzo, attraverso Gesù Cristo, si tratta di una rivelazione che ha avuto per oggetto Cristo, la sua identità profonda (ripreso al v.16). L'oggetto è Cristo e il soggetto (rivelante) è il Padre. Al v.13 Paolo richiama succintamente la sua vicenda storica, per mostrare come l'incontro con il Risorto ha operato una trasformazione radicale nella sua esistenza. Ciò è ben indicato da alcune particelle temporali: pote una volta, nel passato egli era una certa persona, caratterizzata da una mentalità; ote de ma quando, ma c'è un momento preciso nella sua vita che segna un cambiamento; e allora, subito eutheos ... poi epeita. Nei vv. 13-14 il riferimento al passato, la sua appartenenza al giudaesimo, la sua condotta conforme, addirittura eccellente nella fedeltà alle tradizioni dei Padri ( = interpretazioni che si erano andate formando attorno alla Legge e che ne costituivano la "siepe" posta dall'insegnamento dei rabbini: ricordare le invettive di Gesù nei Sinottici * contro i farisei). Paolo si presenta come un giudeo zelante: per questo suo zelo, collegato ad esso, sta il suo passato di persecutore della Chiesa. Egli sottolinea qui la sua opposizione alla Chiesa nascente. Con il verbo all'imperfetto poi, indica un'azione prolungata, tutt'altro che momentanea: egli veramente perseguitava la Chiesa per estirparla: "cercavo con tutte le mie forze di sradicare questa malapianta". In Fil 3 la sua opposizione al cristianesimo è legata al fatto che egli vi vedeva un attacco alla legge. Ciò doveva essere ben visibile nel gruppo degli "ellenisti" di cui faceva parte Stefano, al momento del cui martirio compare Paolo. Al v.15 egli parla dell'intervento originario di Dio nella sua vita, facendo riferimento a due testi di vocazione profetica: Ger 1,5 e Is 49,1. I1 cambiamento avvenuto in lui è dovuto all'azione originaria di Dio ed egli si scopre il "servo" di Cristo, dedicato alla causa dell'evangelo: scoprendo l'identità di Cristo, scopre anche la sua identità profonda. In Rom 1,1 lo stesso verbo indica la chiamata ad essere apostolo in vista dell'evangelo (che ha Dio per origine e soggetto). AI v.16: “si compiacque di operare una rivelazione apocalittica di suo Figlio in me”. Si tratta di un intervento decisivo di Dio nella storia, che sarebbe avvenuto negli ultimi tempi. Dio sarebbe intervenuto nella storia per salvarla. L'esperienza di Damasco ha costituito la sua introduzione nell'evento decisivo della storia operato da Dio e questo evento è Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione. E’ questo l'evento con cui Dio cambia la storia. Nella letteratura apocalittica si sottolineava che questo evento sarebbe rimasto nascosto: per Paolo il senso della morte di Gesù era velato fino all'apertura dei suoi occhi avvenuta sulla via di Damasco. Qui egli scopre l'identità profonda di Gesù: è Lui l'evento decisivo.

En emoi in me (o a me) sottolinea l'intensità di questa rivelazione, la sua penetrazione fino al centro della persona di Paolo: l’incontro con Cristo è qualcosa che ti entra dentro. In 2Cor 3,14 ritorna lo stesso termine, mentre si parla di un velo che rimane sugli occhi come era prima per Paolo: solo quando questo velo sarà tolto, gli ebrei comprenderanno come lui ha compreso, che Cristo è lo sbocco della storia dei Padri.

"Perché lo evangelizzassi tra i pagani": egli ha scoperto l'identità profonda di Cristo e lo annuncia (incarna) tra i pagani: questo suo annuncio è collegato con la rivelazione di Cristo. Al v. 17 Paolo parla di quello che è avvenuto in seguito. Dio gli ha rivelato qualcosa. Egli non cerca conforto dall'uomo di carne e di sangue, debole rispetto a Dio. Non ha sentito il bisogno di cercarla neppure dagli apostoli. Questo non perché si sente autosufficiente, ma perché non ha avuto il minimo dubbio sulla sua vocazione: semmai i dubbi erano degli altri ...

Si sofferma poi a parlare di ciò che avvenne dopo il suo incontro sulla via di Damasco. Siccome ha parlato Dio, il Potente, perché cercare conferma dall'uomo debole? "apostoli prima..". Egli si mette sullo stesso piano di quelli del gruppo storico: la distinzione è solo cronologica, non qualitativa. La loro autorità apostolica è dello stesso livello. Questa dignità deriva a Paolo dall'intervento di Dio in Cristo.

Poi andrà a Gerusalemme per un confronto, ma la sua dignità non dipende dal riconoscimento degli altri. Paolo va invece nel deserto, forse per assimilare nella solitudine l'esperienza fatta e poi torna a Damasco. Al v.18 afferma che sale a Gerusalemme dopo 3 anni. I1 verbo istoreo  vedere indica la visita a città, persone che vale la spesa di conoscere. Usato qui all'infinito aoristo, è un verbo raro nella Scrittura, forse un apax * . Potrebbe indicare che Paolo non ci va per una necessità di conferma, ma perché riconosce nella figura di Pietro qualcosa di non comune.

"Dopo tre anni" indica che questo incontro è tardivo: non è stata questa la sua prima preoccupazione. "Rimasi con lui quindici giorni": un tempo troppo breve per una catechesi ! "Un altro degli apostoli non vidi, se non Giacomo, il fratello del Signore". Ei me (= soltanto vidi Giacomo). Non è detto che Giacomo sia tra gli apostoli, ma che è il "fratello del Signore": questo nome è attestato tra quelli dei fratelli di Gesù di cui parlano i sinottici; è presente anche nel gruppo in attesa dello Spirito nel Cenacolo. Giunge ad occupare un posto di primo piano nella Chiesa di Gerusalemme, come si nota dagli Atti: 12,17 ; 15,13 ; 21,18.

Quest’osservazione aggiunge un'altra relativizzazione: non si tratta di un incontro formale, dato che non c'era tutto il collegio... "Non mentisco": questa preoccupazione non si spiega se non con un intento polemico: non è stato chiamato per rendere conto del suo evangelo. Notiamo la resistenza incontrata da Paolo. Andò nelle regioni della Siria e della Cilicia, dove non era ancora avvenuta l'evangelizzazione: è il suo stile, quello di portare l'evangelo dove non era ancora arrivato. Studi di Dupont e Feuillet evidenziano richiami tra questo racconto dell'investitura apostolica di Paolo con quella di Pietro in Mt 16,13-20. Per rispondere ai suoi avversari avrebbe volutamente messo in parallelo questi due avvenimenti. Certamente circolavano tradizioni su ciò che riguardava Pietro.

I punti di contatto tra questi due brani sono:

Paolo assegna un'importanza decisiva a questa chiamata sulla via di Damasco, quando deve difendere Cristo e l'evangelo. Notiamo la sua ricorrenza in vari testi.

1Cor 15,8: ultimo (usato anche qui in senso temporale) come all'aborto (articolo determinativo in greco): "si fece vedere persino a me: io infatti sono l'ultimo degli apostoli, e non sono neppur degno ... " Riconosce qui la totale grazia di Dio: era l'ultimo anche nel senso del merito; "perché ho perseguitato la Chiesa di Dio, ma per grazia di Dio, sono ciò che sono, e la grazia di Lui, quella verso di me, non fu vuota (vana), ma più di tutti gli altri apostoli ho faticato (kopiao, letteralmente faticare è il verbo che indica la fatica apostolica), non io ma la grazia di Dio con me." Questo termine è significativo: Paolo non aveva titoli per diventare apostolo, anzi, umanamente parlando, c'erano motivi contro la sua chiamata, tuttavia, pur attraverso una nascita non normale (aborto) avviene comunque la sua vocazione di apostolo: è stato generato per la gratuità di Dio. Quell'articolo determinativo to il, lo, ha suggerito ad alcuni autori, con un certo fondamento, che questo termine potrebbe indicare che Paolo venisse chiamato con quest’ epiteto dispregiativo dai suoi avversari: un aborto di apostolo! appellativo ingiurioso, che egli riprende. Ciò spiegherebbe anche la digressione: è il minimo degli apostoli, e la grazia di Dio ha agito più abbondantemente.

Confrontiamo l’esperienza di Paolo come egli la presenta in Fil 3,5-11 siamo ancora in un contesto polemico, dove "carne" indica sia le prerogative umane, che quelle sociali, nazionali, che in sé non sono male, ma se ci si affida esclusivamente a questo realtà, considerandole decisive.. v.7 : allàma quelle cose che erano per me un guadagno, queste le ho considerate perdita a causa di Cristo Gesù”. Incomincia qui quella contrapposizione di perdita/guadagno che attraversa tutto il brano. Paolo lascia quello che costituiva il suo mondo, che considerava irrinunciabile, un bene da non potersi barattare con niente, e ora a causa di Cristo, lo considera uno svantaggio: l'incontro con Cristo ha operato in lui un rovesciamento di valori.

"Ma anzi considero tutto una perdita a causa della superiorità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore ( = Signore della mia vita), a causa del quale (aoristo passivo, stesso termine zemian – zemiothe immondizia, escrementi) ho accettato di subire la perdita di tutto (c'è ancora l'iniziativa di Cristo). E ora considero tutto questo sterco, affinché io guadagni Lui "(congiuntivo aoristo: Cristo è il vero guadagno). Si guadagna la relazione con Lui: non si perde mai per perdere (Mt 13: perla preziosa ... )."Affinché guadagni Cristo e sia trovato in Lui (aoristo passivo: ormai la sua vita è tutta in Cristo). Non avendo una mia giustizia che proviene (= origina, dalla Legge" ossia, che io mi costruisco) ma dalla fede in Cristo Gesù” ( = che ha per oggetto Lui e la fiducia in quello che Dio ha fatto in Gesù).

Al v.10 vediamo che la scelta di Cristo si esprime in un cammino progressivo di identificazione con la sua Pasqua di morte e risurrezione: è un fare esperienza sempre più profonda di morte/vita, "vivendo in comunione con le sue sofferenze ... Non che io l'abbia preso, soltanto corro per prenderlo, perché anch’io sono stato preso (raggiunto e afferrato) da Lui": ritroviamo la stessa immagine della via di Damasco. Ora Paolo corre dietro a Cristo, non contro di Lui, come persecutore: la sua corsa è trasformata dall'incontro con Cristo.

B)  2,1-10

“Dopo 14 anni di nuovo salii a Gerusalemme con Barnaba, portando insieme anche Tito. Però vi salii a causa (secondo) un'illuminazione dall'alto (rivelazione) e sottoposi a loro (le autorità di Gerusalemme) l'evangelo quello che annuncio tra i pagani, però in privato, ai ragguardevoli (che hanno importanza), se mai a vuoto corro o abbia corso. Ma nemmeno Tito, il quale (era) con me (pur) essendo greco, fu obbligato ad essere circonciso. Ma a causa dei falsi fratelli infiltratisi ( = introdottisi di soppiatto: questo sarebbe avvenuto a causa di costoro: c'era qualcuno che premeva in questo senso) per spiare la nostro libertà, quella che abbiamo in Cristo Gesù, affinché ci facessero tornare in schiavitù. Ad essi neppure per un'ora cedemmo con sottomissione affinché la verità dell'evangelo rimanesse da voi. Da parte dei considerati essere qualcosa (i ragguardevoli)- quali un tempo fossero non mi importa niente. Dio non riceve il volto dell'uomo (semitismo = non fa preferenza di persone)- a me infatti i ragguardevoli non imposero niente di più, ma invece, avendo visto che avevo ricevuto come fiduciario l'evangelo dell' incirconcisione (tra i pagani), come Pietro della circoncisione - Colui (Dio) infatti, che operò con forza (efficacemente) nei confronti di Pietro (in lui) in vista dell'apostolato della circoncisione, operò efficacemente anche in me - e avendo riconosciuto la grazia, quella che fu data a me, Giacomo e Cefa e Giovanni, coloro che erano considerati essere le colonne, diedero la (mano) destra a me e a Barnaba (in segno) di comunione, affinché noi verso i pagani

(portassimo l'evangelo) e loro verso i giudei. Soltanto dei poveri affinché ci ricordassimo (sottinteso:"ci chiesero" ), ciò che sono stato sollecito proprio di fare. "

 

Paolo parla di una seconda salita: le autorità di Gerusalemme hanno riconosciuto l'autenticità dell'evangelo che annuncia ai pagani. Il v.1 (v. At 15) informa che Paolo e Barnaba sono inviati ufficiali della Comunità di Antiochia di Siria. Notiamo l'enfasi che da alla presenza di Tito: Paolo vuole mostrare l'opera della grazia in un pagano trasformato da essa sola, nel Battesimo, senza essere diventato giudeo. E' certamente questa una provocazione nei confronti dei giudeo-cristiani. Tito costituisce la contro-argomentazione vivente nei confronti di quei tali "infiltratisi" che sostenevano la necessità della Legge mosaica per chi si convertiva a Cristo.

Al v.2 Paolo precisa che è salito a Gerusalemme, che ha cercato il confronto con la Chiesa-madre, non perché è stato costretto, o perché glielo hanno imposto, ma perché glielo ha suggerito Dio. Paolo ha ritenuto utile, sotto la pressione di questi gruppuscoli, e importante, avere questa conferma. Dio stesso lo ha spinto un giorno a cercare a Gerusalemme l’avvallo ufficiale dell'evangelo che lui predica ai pagani. I1 tempo presente, indica che si tratta dello stesso evangelo che egli continua ad annunciare. Lo scopo è: "se mai corro o ..". Le autorità di Gerusalemme devono pronunciarsi sul suo impegno apostolico. O si è affaticato a vuoto annunciando un falso evangelo. Questo "sottoporre l'evangelo" è avvenuto in privato ai ragguardevoli (i dodici): non lo fa in un'assemblea, con un intento polemico, ma nella calma. "Le colonne" sono una cerchia ristretta di persone che occupa un posto autorevole.

Al v.3 ricorda che a Gerusalemme c'era stata una forte pressione perché Tito, pagano venisse circonciso e che lui, Paolo, resistette. Al v.4 rileviamo le espressioni: "ricondurci in schiavitù"-"spiare la libertà" .

Si tratta di un termine usato per indicare un nemico che si infiltra nel campo avversario per ottenere informazioni .... Queste persone, questi infiltrati,  propongono un tipo di rapporto con Dio che rende schiavi. Al v.5 Paolo prende coscienza del fatto che qui è in gioco la verità dell'evangelo: non vede un problema periferico (di Pastorale), ma che si sta toccando qualcosa di essenziale, e in questo casi egli diventa intransigente. Se si tratta del centro ! Il v.6 riporta l'esito del confronto: da parte dei ragguardevoli non gli fu imposto niente, sottinteso, circa l'evangelizzazione dei pagani.

Rileviamo pote una volta (inciso) = nel periodo della vita pubblica di Gesù. Sembra un altro riferimento alla polemica tra lui e coloro che facevano confronti tra lui e i dodici, i "veri" apostoli. Non solo, dunque, non gli hanno imposto nulla, ma hanno concluso un accordo missionario. Frase fondata su due participi: idontes vedenti (v,7) gnontes conoscenti (v.8). Non c'è stata una presa di posizione affrettata: hanno visto e riconosciuto ciò che Dio ha operato in Paolo e attraverso di lui.

O energesas l’operante : la chiamata ha avuto frutti notevoli nell'evangelizzazione sia in Pietro che in lui (v.il racconto degli Atti). C'è dunque il riconoscimento ufficiale dell'essere apostolo e dell'evangelo che lui annuncia tra i pagani. Questo riconoscimento è sancito dal fatto che le colonne danno la destra in segno di comunione. Notiamo che nel parlare di questi tre, Giacomo è nominato per primo: questo ordine è attestato nei testimoni ( = manoscritti p importanti: le correzioni sono tardive, come spiega  Cullmann nel Gande Lessico del Nuovo Testamento alla voce Petros) e con ragioni contingenti. Alcuni sostengono che nel periodo a cui si rifà Paolo, Giacomo aveva sostituito Pietro nella direzione della Chiesa di Gerusalemme. Ma ciò appare poco verosimile: se fosse così, perché Paolo insisterebbe nei vv. seguenti nel paragonarsi a Pietro?

Al v.12 comprendiamo che gli avversari si erano appellati a Giacomo per sostenere le loro posizioni o erano inviati ufficiali della Comunità di Gerusalemme, guidata da lui. Contro questi sobillatori Paolo sostiene che lo stesso Giacomo aveva riconosciuto il suo apostolato. La divisione di campo, di cui al v.9,che era già praticata prima, adesso è ufficialmente riconosciuta: si stabilisce per evitare futuri conflitti. Si tratta di un unico evangelo applicato (inculturato) nel mondo giudaico e in quello pagano: abbiamo allora due vocazioni missionarie, due impostazioni teologiche, che possono benissimo sussistere una accanto all’altra come la Chiesa di Giovanni di cui sembra esserci un’allusione in Gv.21). Al v.10, quel soltanto, all'inizio della frase, non fa riferimento a quello che precede, come condizione, ma vuole indicare che, come segno di questa comunione, tra le Chiese si domanda a Paolo di ricordarsi dei poveri (ricordiamo qui la colletta di cui soprattutto in 2Cor e il valore teologico attribuitole da Paolo).

C)  2,11-14 

Ma quando venne Cefa ad Antiochia, gli resistetti in faccia, poiché era colpevole. Infatti, prima del venire di alcuni da Giacomo, mangiava insieme con i pagani. Ma quando vennero, si ritirava e si separava, temendo quelli della circoncisione (giudeo-cristiani) e simulavano con lui (= furono ipocriti) anche gli altri giudei (membri della comunità locale), cosicché persino Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia. Ma quando vidi che non camminavano correttamente in direzione della verità dell'evangelo dissi a Pietro davanti a tutti (assemblea) : "Se tu, essendo giudeo, vivi alla maniera dei pagani e non al modo giudeo, come puoi obbligare i pagani a giudaizzarsi ?"(si intende qui osservare le norme alimentari).

 

Da questo scontro appare come la conferenza di Gerusalemme non risolse del tutto i problemi di convivenza tra i giudeo-cristiani e i pagano-cristiani. L’ accordo missionario era chiaro. I problemi sorgevano nelle comunità, dove in nome della fraternità si erano superate le norme alimentari. L'imperfetto indica che Pietro mangiava regolarmente con loro, mentre poi indica la gradualità della presa di distanza, che mette in luce anche un certo travaglio interiore ("un po' alla volta..."). Paolo vede in questo presa di posizione di Pietro ben più di un problema periferico ... Egli poi, trascina tutti "persino" Barnaba, il compagno di tante lotte. E' sul principio fondamentale che egli non transige. "Gli resistetti in faccia", di fronte, senza riguardi né mezzi termini. Anesthe  indica il resistere a un attacco nemico che cerca di conquistare la posizione: si tratta di un assalto alla verità dell'evangelo e per questo bisogna resistere. "Ipocrisia" indica il recitare una parte, il non essere autentico. Se Pietro pensava che ormai le norme alimentari non avevano più un valore fondamentale e di questo era convinto, ma poi agisce in modo contrario ... e allora non è coerente ! L’espressione "da Giacomo" al v.12: per verificare quello che avveniva ad Antiochia ? Non si spiegherebbe la paura di Pietro di essere denigrato nel mondo giudeo come un non-osservante della Legge. (autorità di Giacomo o corresponsabilità nel governo della Chiesa ?). L’esempio di Pietro è contagioso."Ma io non lasciai cadere la cosa".. "Davanti a tutti": la simulazione è stata un atto pubblico di Pietro e con conseguenze pubbliche, perciò Paolo si vede costretto a intervenire pubblicamente.

Di quest’ episodio si è olto dibattuto nel tempo: riportiamo alcuni contributi significativi. S. Tommaso nella Summa Th. IIa IIe Qs 33 a 4 ad 2: "Paolo non avrebbe ripreso Pietro così, se in qualche modo, non gli fosse stato pari per quanto riguarda la difesa della fede ... Ma dove incombe un pericolo della fede, i prelati devono essere ripresi dai sudditi, anche pubblicamente (un pericolo pubblico richiede un intervento pubblico)". Riportiamo anche un riferimento all'art. di Ives Congar: S. Paolo e l'autorità della Chiesa romana secondo la tradizione, SPCIC Il vol. Roma,1963 481-516 qui 507-508. "Paolo, subordinato a Pietro nell'autorità di governo, è su un piano di uguaglianza nell'ordine dell'insegnamento, così come dello zelo e della coscienza apostolica. E'evidente che in un'ecclesiologia in cui la Chiesa è primariamente vista come "congregatio fidelium"(=comunione) che è la visione di Tommaso, può valorizzare meglio il ruolo di S.Paolo, rispetto ad un'ecclesiologia ridotta a non essere altro che un trattato di diritto pubblico ecclesiastico e un'affermazione dell'ordine gerarchico." (v. Acerbi: Due ecclesiologie al Vaticano II ?)

S. Tommaso, Commento ai Galati cap.secondo lez.terza :" Questo evento è esemplare per la Chiesa: i prelati ne hanno esempio di umiltà, affinché non disdegnino di esser corretti dagli inferiori e subordinati. I sudditi ne hanno esempio di zelo e di libertà, affinché non temano di correggere i prelati, sopratutto se il peccato è pubblico e rischia di diventare un pericolo per la comunità" .

Come è andato a finire questo scontro-confronto. Paolo non ne parla: è probabile che almeno in parte le proposte dei giudeo-cristiani furono accolte. Questo si può dedurre dal racconto dell'assemblea di Gerusalemme riportata, nella versione lucana (tenendo conto dell’irenismo dell’autore) in At 15. Giacomo accetta la posizione di Pietro e Paolo ma con il correttivo di quattro clausole, che i cristiani provenienti dal paganesimo devono osservare per salvaguardare i rapporti tra cristiani nelle comunità miste. Le riprendiamo da At 15,20-21:

comprare (e mangiare) le carni immolate agli idoli ( cfr Lev 17,8-9)

unioni matrimoniali tra consanguinei (cfr Lev 18,6-18)

animali soffocati (cfr Lev 17,15)

(astenersi dal) sangue (cfr Lev 17,10-12)

Queste quattro clausole si ispirano alla normativa del Codice di purità del libro del Levitico, principalmente alle regole alimentari (tranne il secondo): è in gioco la convivenza fraterna e la condivisione della mensa.

A conclusione possiamo affermare che queste quattro clausole non furono emanate nel Concilio di Gerusalemme ("a me non fu imposto nulla di più ..."), ma più tardi, sotto la pressione del gruppo di Giacomo a causa dei problemi di convivenza che sorsero nelle comunità miste di cui abbiamo un esempio nell'incidente di Antiochia. E' Luca che le pone sotto l'autorità del Concilio. Dunque: Paolo non uscì vincitore da questo scontro.

 

2,15-20

Noi, per natura giudei e non peccatori (provenienti) dai pagani, (avendo saputo) riconoscendo che non è giustificato un uomo dalle opere della Legge, ma attraverso la fede in Gesù Cristo, anche noi credemmo in Cristo Gesù, affinché fossimo giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della Legge. Poiché dalle opere della Legge non sarà giustificata nessuna carne. Ma se cercando di essere giustificati in Cristo,fummo trovati anche noi peccatori, allora Cristo (è) a servizio del peccato. Non sia mai ! Se infatti a quelle cose che distrussi, proprio queste di nuovo costruisco (edifico), trasgressore me stesso confermo. Io infatti, attraverso la Legge alla Legge morii, affinché viva per Dio. Sono stato con-crocifisso con Cristo, vivo non più io, vive in me Cristo. Quello che ora vivo nella carne, vivo nella fede quella del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato (consegnato) se stesso per me. Non respingo la grazia di Dio. Se infatti, attraverso la legge la giustizia (si ottiene), allora Cristo morì per niente.

 

Paolo, dopo aver riportato il suo confronto con Pietro, continua con una esposizione dottrinale, che formalmente sembra rivolta a lui, ma è chiaro che egli ha di mira soprattutto i Galati. Quest’ esposizione dottrinale si può dividere in 2 parti :

la) vv.15-16 Richiama la posizione assunta dagli apostoli

2a) vv.17-21 Mostra come la giustizia derivi unicamente dalla fede.

 

la) Il v.15 introduce il discorso indicando la necessità per tutti della fede in Cristo, non solo per i pagani; esprime un punto di vista tipico del giudaesimo: “noi” siamo salvati, i pagani "perduti". Mentre qui Paolo sostiene che "anche noi siamo arrivati a questa presa di coscienza"; non si tratta di un sapere teorico ("sapendo") ma di una conoscenza affettiva, e quindi in questo contesto, esistenziale, teologica.

v. 16:   eidotes oti

A)                 ou dikaioutai anqropos  non sarà giustificato un uomo

B)        ex ergon nomou   dalle opere della legge

C)    ean me dià pisteos Iesou Xristou      ma attraverso la fede in Cristo Gesù

        kai emeis eis Xristou Iesoun episteusamen , ina dikaitomen    anche noi verso Cristo Gesù credemmo

                                         ek pisteos Xristou          affinché fossimo giustificati dalla fede in Cristo

            B1)        kai ouc ex ergon nomou        e non dalle opere della legge

     A1)       ou dikaiotnsetai pasa sarx                        perché non sarà giustificata nessuna carne (dalle opere della legge)

v. 16: “Un uomo non è giustificato a partire dalle opere (apò  da indica origine, provenienza), ma in forza della fede in Cristo (genitivo oggettivo = Cristo oggetto della fede). Anche noi verso ( eis ) Cristo credemmo, affinché fossimo giustificati a partire dalla fede in Lui e non a partire dalle opere della Legge, perché a partire dalle opere della Legge non verrà giustificato nessuno”.

 

Il problema che viene affrontato qui è quello della giustificazione. Secondo le Scritture della Prima Alleanza è giusto chi osserva la Legge: (Dt 4,6) chi la osserva per farla. Per Paolo questa dell'osservanza delle opere della Legge, è una via senza uscita, arriva a un vicolo cieco, per cui non c'è giustificazione. Questa si ottiene solo attraverso la fede. Proprio qui sta la presa di coscienza degli stessi apostoli  (= emeis eis Xristou Iesoun episteusamen noi verso Cristo credemmo). I1 verbo qui è un aoristo ingressivo che supporterebbe la traduzione: "anche noi incominciammo a credere a Cristo". Avviene un passaggio dalla "logica" della Prima Alleanza a quella della Nuova, ossia la "logica" della fede. Paolo dice che lui e gli altri  (eidotes oti, sapendo che) compresero che dovevano scegliere tra due atteggiamenti religiosi opposti: uno che consisteva nel presentarsi davanti a Dio con le proprie opere ( =  ex ergon nomou dalle opere della legge), l’altro che consisteva nell'accogliere l'opera di Dio attuata in Cristo, ossia la fede come fiducia e affidamento verso quello che Dio ha fatto in Cristo. Per appoggiare la sua tesi, Paolo richiama il Sl 143,2 con alcune varianti significative. Già questo Salmo esclude la giustificazione "nessun vivente sarà giustificato davanti a Te", che nella LXX *diventa:

oti ou dikaiothsetai enopion pan zon    perché non sarà giustificato davanti a lui nessun vivente

Paolo non lo cita letteralmente, ma (secondo il nostro modo di ragionare “occidentale”) in modo tendenzioso, volendo dimostrare che c'è un’impossibilità di osservare la Legge. Sostituendo zon vivente con sarx carne, termine che rende l’ebraico basar, ossia l'uomo inteso come debole, e per Paolo anche chiuso a Dio, è chiaro che nessuno sarà giustificato ponendo come base la sua osservanza; così non si riesce a fare la volontà di Dio. Questo stesso testo è citato in Rom 3,20 dove a conclusione di una lunga dimostrazione arriva a dire che nessuno (giudei o pagani) può ottenere la giustificazione con le sue forze. Ricordiamo che la preposizione ek o ex  da indica origine, base di partenza, qui, della giustificazione. Non è in gioco un aspetto marginale della salvezza, ma il suo fondamento. Nelle due proposizioni negative abbiamo il verbo in una al presente e nell'altra al futuro, mentre in quella centrale è all'aoristo. Potremmo dire che partendo (ex), fondandosi sull'osservanza della Legge, la giustificazione è oggetto di una ricerca continua e assillante, ma votata al fallimento, sia nel presente che nel futuro. Invece, fondandosi sulla fede in Gesù, la giustificazione si attua nel credente come evento in un momento preciso che segna una svolta (=Battesimo). La fede non è una fiducia generica, ma è collegata indissolubilmente a una persona precisa: Gesù Cristo. Invece dell'osservanza della Torah, si tratta di aderire a una persona: "anche noi iniziammo a credere verso Cristo Gesù"; si tratta di entrare in una relazione personale dinamica, affidandosi a Cristo. La svolta apre una storia di relazione (dalla fiducia in se stessi si passa all'affidamento a Cristo).

2a) vv.17-21 Paolo dimostra come la giustificazione derivi unicamente dalla fede, e lo fa con tre argomentazioni.

1) vv.17-18

Noi,gli apostoli, abbiamo fatto questa scelta, abbiamo relativizzato la Legge; se abbiamo sbagliato nello scegliere Cristo, se Lui ci fa andare contro la volontà di Dio (=ci fa peccare), siamo nell'assurdo ! L'immagine del muro è quella della separazione tra giudei, puri, e pagani; muro che era stato distrutto in nome della commensalità nelle comunità miste. Era un modo di abbattere le differenze. Se adesso si torna all'osservanza della Legge, si ammette di avere sbagliato,volendo tornare al passato, come Pietro e gli altri.

2) Il v.19

E’ un testo sibillino che ha fatto discutere: si tratta di un voluto gioco di parole e per cercare di coglierne la portata facciamo un passo indietro, al Primo Testamento. Qual è la struttura della Prima Alleanza ?

Nel passato d’Israele Dio ha posto un dono, l’Alleanza, ma per rimanervi fedele il popolo “doveva” obbedire alla Legge per ereditare nel futuro la benedizione, altrimenti sarebbe caduta su di lui la maledizione.

 

DONO                                    LEGGE                                                          BENEDIZIONE

PASSATO                               PRESENTE                            FUTURO

gratuito,                                   è l'insegnamento che dice                                 MALEDIZIONE

preveniente                               come fare per conservare

questo rapporto: le 10 Parole

 

Il dono è il presupposto per questo rapporto libero, ma allora il futuro dipende dall'osservanza. La maledizione viene perché Israele rifà l'Egitto, come sistema di oppressione e ingiustizia sociale. In questo tipo di relazione il futuro dipende dai due patners: ma se Dio è fedele, il popolo, no. Allora l'alternativa è soltanto teorica: l'unico sbocco è la maledizione, significata dall'esilio.

C'è un momento in cui si capisce che la Legge scritta fuori, sulle tavole, non basta.

Ger 17,l ss: occorre che sia scritta nel cuore (=centro decisionale della persona). Lì invece è scritto il peccato, in maniera indelebile. Ci sarà bisogno di un nuovo intervento creatore di Dio, una trasformazione dell'interiorità, come se ne parla in Ger 31,33. Ma nel brano parallelo il termine usato per indicare questa trasformazione è "circoncisione": Ez 36,26. L'uomo da solo, è incapace di salvarsi. Ma Dio interverrà di nuovo: in Dt 9,7b.24 si parla della circoncisione del cuore: quello che deve essere segnato, ferito, è l'interiorità, dove si riceve il segno dell’alleanza, non l'esterno (Dt 30,6). Ecco allora che in At 7,51 si parla di "gente incirconcisa nel cuore" e in Rom 2,28 di “circoncisione en pneumati nello spirito”.

La Torah, come Scrittura, rivelazione profetica arriva ad affermare che Israele e ogni uomo da solo è incapace di osservare la Legge, intesa come volontà di Dio espressa nella legislazione mosaica (Legge vista come prescrizioni). Rimanendo nel regime religioso della Prima Alleanza l'unica prospettiva è la maledizione. "Attraverso la Legge ( intesa come Torah, parola di Dio) sono morto alla Legge (intesa come prescrizioni)"; attraverso quello che mi dice la Scrittura, (che l'uomo è incapace a salvarsi da solo)"sono morto" (= ho troncato ogni rapporto con la Prima Alleanza). E' la stessa Torah di Mosè che porta Paolo a quella nuova: questo messaggio è già chiaro in quelli che sono i vertici delle Scritture della Prima Alleanza. Paolo sembra affermare che se si legge bene la Scrittura, si è portati a superare la Prima Alleanza. "Mediante la Legge, come Scrittura, io ho rotto definitivamente con la legge " (come regime religioso, come sistema salvifico). Questa "morte" apre a una novità, a una trasformazione dell'esistenza: "affinché viva per Dio". Si tronca ogni rapporto con questo regime religioso per entrare in una nuova relazione con Dio. Al cap.4 parlerà della situazione del figlio, non più dell'osservanza, ma della completa fiducia, affidamento a Dio.

3) vv.20-21 Paolo precisa quale sia questa relazione nuova con Dio. Qui "vivere" non riceve un mero significato morale, come un comportamento, ma una situazione ontologica: la comunione di vita con Cristo. La propria identità, (io) non si definisce più autonomamente, ma in relazione a Cristo. E' questa comunione che apre alla realtà dell'esperienza religiosa che è annunciata alla fine del v.19.

Il v.20b potrebbe far pensare a un'esperienza paradisiaca, ma questa comunione personalissima è vissuta nella condizione storica di fragilità, di fatica. Non si è tolti dalla “carne” per fare esperienza di Cristo.

In questa condizione la fede è essenziale: "vivo nella fede". Pur vivendo in comunione con Cristo, non siamo ancora nella visione. Si tratta di fede non generica, ma "nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me". Sono due aoristi (che indicano un’azione puntuale): si tratta di un gesto fondamentale, che fa pensare alla consegna di Gesù nella Passione. Paolo poi, la sente come il gesto d'amore di Cristo lo riguarda in maniera personalissima. Questa fede/fiducia in Cristo, mi accompagna nel cammino storico della carne, nasce dalla scoperta inaudita che io sono l’oggetto di un amore personalissimo; nella mia identità più profonda sono investito da un gesto di donazione straordinaria (Gal l: "piacque a Lui di rivelare in me suo Figlio"). Paolo è toccato da vicino, nella dimensione affettiva e viscerale.

Questa sottolineatura è importante anche per noi: se non siamo toccati affettivamente, il rapporto non tiene, negli alti e bassi delle situazioni esterne. "Sono stato con-crocifisso": quelle con il prefisso sun con: sono espressioni caratteristiche di Paolo, che sottolineano l'esperienza di comunione. I1 verbo al perfetto, indica un fatto avvenuto nel passato (forse il Battesimo, v. Rom 6), i cui effetti perdurano nel presente: è un evento che ha inaugurato una solidarietà che accompagna il credente (v. Fil 3). C'e una progressiva immersione nel mistero pasquale di Cristo, come momento iniziale di una relazione che diventa comunione.

Il v.21 è la conclusione del ragionamento di Paolo: “Non rifiuto la grazia di Dio”. Questo termine a lui tanto caro, è usato per definire il dono gratuito, inaudito di Dio in Gesù. E’ quel cambiamento del cuore, che se ritornasse all’osservanza, rifiuterebbe. Se la giustizia viene dall’osservanza, non c’era bisogno che Cristo morisse:  o la grazia è essenziale o non ce n’era bisogno. O la Legge o Cristo; o la salvezza nel regime religioso della Prima Alleanza o quella che è trasformazione-giustificazione in Cristo, ovvero la Nuova Alleanza. (Attenti a non riprodurre nel Nuovo Testamento il regime dell’Antico)

 

Capp. 3- 4       Le radici dell’evangelo nelle Scritture d’Israele

 

Paolo porta l'argomentazione scritturistica, dimostrando le sue tesi sulla Scrittura come i rabbini usavano fare, per mostrare che l'evangelo ai pagani è già preannunciato nelle Scritture della Prima Alleanza. Egli dà ampio spazio a questo momento, perché i suoi avversari, giudeo-cristiani, si appellavano alla Scrittura per dire che l'evangelo di Paolo non è affatto conforme ad essa. Anche loro si appellavano ad Abramo, come fa qui lui, mostrandolo come modello di osservanza della Legge (v. Gv 8). Prima di introdurre la prima argomenta scritturistica, Paolo fa precedere i vv.1-5 in cui richiama l'esperienza concreta che i Galati hanno fatto quando sono diventati cristiani.

O stolti (scervellati, senza testa, persone che non ragionano), chi vi ha ammaliati (vi ha fatto un sortilegio), agli occhi dei quali Gesù Cristo fu descritto (presentato) crocifisso. Questo solo desidero imparare (sapere) da voi: dalle opere della Legge (v.16 = a partire dalle opere della Legge) riceveste lo Spirito o dall'ascolto di fede (la fede nasce dall'ascolto, non è cosa che si inventa!). Così scervellati siete. Avendo iniziato in modo spirituale (nella logica dello Spirito, pneumaticamente, nella direzione dello Spirito) ora volete finire nella direzione della carne ( carnalmente = nella debolezza...). Tali cose soffriste invano, seppure invano (spero che non sia in vano). Colui (il Padre) che dunque vi elargisce abbondantemente lo Spirito e opera cose potenti in voi (lo fa) a partire dalle opere della Legge o a partire dall'ascolto di fede (domanda retorica) ?

 

Questo brano si può dividere in due parti col termine  anoetoi stolti. Notiamo anche le due ricorrenze di ex ergon nomou dalle opere della legge e akoes pisteos dall’ascolto di fede. Anche il temine pneuma spirito ricorre 2 volte. I1 dono dello Spirito è visto come ciò che caratterizza la novità cristiana. Ma come si è ottenuto e si ottiene il dono dello Spirito? Qual'è l'origine (ek o ex) ? Queste due  espressioni stanno ad indicare due regimi religiosi diversi e opposti: quello della Prima e quello della Nuova (e definitiva) Alleanza. C’è un riferimento a questo tipo di relazione con Dio, in cui il patner umano si impegna ad osservare la Legge, con le sue forze, ossia a fare la volontà di Dio. Il nuovo regime religioso, invece, è fondato sull’accoglienza fiduciosa di quello che Dio ha fatto per noi in Cristo. C’è una predicazione di una buona notizia che l’uomo non si sarebbe mai aspettato. Gli si richiede solo di affidarsi a quest’annuncio… Se nel primo regime valeva di più l’attività, qui invece la passività. Se si capisce la novità e il dono gratuito di Dio, allora capirai anche che sono ancora necessari i comandamenti, ma con questa radicale novità a fondamento: "siete così senza-cervello da voler tornare indietro ?". Paolo si richiama all'esperienza di novità e ai segni forti che Dio operò nella comunità (v.5). I1 termine "potenze" non indica soltanto miracoli, ma anche la profezia e tutti i doni carismatici (cfr 1Cor ). Sembra voler dire: "Dio ha fatto questo perchè eravate più buoni o perché avete fatto spazio allo Spirito in voi ?"

 

3, 6-14

Paolo introduce la 1a prova scritturistica fondata sulla figura di Abramo, caratterizzato come "il credente", mentre gli avversari lo vedevano come il modello dell'osservanza della legge, e mostra come solo nella fede c'è benedizione. Paolo riprende tutta una terminologia che si rifà alla relazione di alleanza.

Così Abramo credette a Dio e fu considerato per lui come giustizia (espressione che richiama Gen15,6). Riconoscete dunque che quelli dalla fede (ek o ex) questi sono figli di Abramo (notare l'enfasi). Avendo previsto la Scrittura che Dio rende giusti i pagani a partire dalla fede, preevangelizzò (diede anticipatamente la buona notizia) ad Abramo: "in te saranno benedette tutte le genti" (Gen 12,3; 18,18). Così che quelli dalla fede sono benedetti in Abramo il credente. Quanti infatti sono dalle opere della legge, sono sotto la maledizione. Sta scritto infatti: "maledetto chiunque ( = ognuno che ) non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della Legge per farle". Che poi nella Legge (intesa come regime religioso) nessuno viene giustificato davanti a Dio, è chiaro, poiché: "il giusto vivrà dalla fede"(Ab 2,4). Ma la Legge non è dalla fede, ma "chi farà queste cose ( = quello che è scritto nella Legge) vivrà in esse (per esse)". Cristo ci riscattò (libertà dalla schiavitù) della maledizione della Legge, divenuto per noi maledizione, poiché sta scritto: "maledetto chiunque (pende) è appeso al legno ( = palo, inteso come croce), affinché ai pagani la benedizione di Abramo avvenisse (si attuasse) in Cristo Gesù, affinché la promesse dello Spirito (lo Spirito promesso) ricevessimo attraverso la fede.   

 


6         Abramo                  Gen  15,6                credette                                               sarà giustificato

7          figli di Abramo 

                                   scrittura

                                       Gen   12,3

                                       Gen   18,18

8          Abramo                                  dalla fede                                 sanno giustificati i popoli

                                                                                                          in lui saranno benedetti tutti i popoli                                                      quelli dalla fede                        saranno benedetti

            Abramo                                    con il credente

10                                                       quelli dalle opere della legge                  sotto la maledizione

è scritto

                                           Dt  27,26     il libro della legge                               sotto la maledizione

 

11                                                         nella legge                                      giustificati

                                          Ab  2,4      dalla fede vivrà                                    il giusto

12                                                       quello dalla legge non è

                                        Lev   18,5    dalla fede                                

13        Cristo                                      della legge                                           ci riscattò dalla maledizione

                                    è scritto                                                                      maledizione

                                           Dt  21,23                                                             sotto la maledizione

14        Abramo                                   attraverso la fede                     la benedizione passasse ai popoli

Questo lavoro di riduzione del testo si fa perché risaltino meglio i termini sinonimi e antonimi. Si tratta di termini che appartengono alla teologia dell'alleanza. Come si diventa capaci di fare la volontà di Dio, di operare secondo quello che Egli è (comunione): diventando operatori di comunione. Quello che Dio ha iniziato con Abramo è qualcosa di rilevante per tutti. La grazia non si ottiene attraverso la propria osservanza (= con le proprie forze): di fatto si resta sotto la maledizione. Il v.10 afferma che bisogna osservare tutta la Legge, ma di fatto questo è impossibile. E' necessario allora accedere a un nuovo rapporto con Dio di cui fece già esperienza Abramo, ossia affidarsi all'opera di Dio in noi. Abbiamo così nel nostro testo:

q       vv.6-9     Abramo origine dell'h.S. *

q       vv.10-12 la Legge Prima Alleanza

q       vv.13-14   Cristo e la sua novità Nuova Alleanza

In Abramo si indica  la direzione del cammino, che dovrà essere seguita. Con lui c'è una presa di posizione unilaterale di Dio, senza che si dica che il Patriarca “meritasse” nulla. Ecco allora che si tratta di un gesto gratuito e preveniente di Dio: è un’ annuncio di una benedizione che deve raggiungere tutti: come ?

Il secondo momento è il regime della Legge, il cui risultato è quello di portare a capire (v.12) che nessuno è giustificato da essa. Poi Paolo dirà che la Legge è un pedagogo, ossia una fase di passaggio: la sua funzione era proprio quella di far capire che non si può cercare da essa la giustificazione.

I1 terzo momento è costituito dalla novità di Cristo. La Prima Alleanza doveva preparare Israele ad accogliere Cristo, ad affidarsi a Lui.

E’ questa Nuova Alleanza che compie il progetto originario di Dio annunciato ad Abramo e lo compie attraverso il dono dello Spirito, che è offerto a tutti, giudei e pagani, poiché non si richiede un'appartenenza a una cultura particolare, ma di accoglile questo dono, che in definitiva, è ciò che caratterizza il Nuovo Testamento. Questa posizione di Paolo era contrastata dai suoi avversari. Al v.7 egli afferma che anche i pagani sono discendenti di Abramo in senso spirituale. Egli inaugura così la lettura "cristiana" della Scrittura. Rileviamo come cita al v.11 Ab 2,4. Nel Testo Masoretico è scritto: “il giusto vivrà per mezzo della sua fede/fedeltà” (‘emunà = fiducia, fermezza irremovibile nei confronti di Dio). Nella LXX questo versetto trascorre così: "il giusto vivrà grazie alla mia fede/fedeltà" (di Dio) oppure "il giusto vivrà grazie alla fede in me". Si tratta di un testo caro a Paolo: lo cita anche in Rom1,17. Nel v.13 parla di Cristo che ha preso su di sé la maledizione che gravava su di noi ed è diventato un maledetto. Lui ha condiviso quella storia di maledizione da cui noi non potevamo uscire. Questa novità di Gesù è indicata al v.14 con due preposizioni finali (ina); notiamo anche che l'enfasi è sul termine (e quindi sulla persona di) Gesù. La benedizione originaria che Dio aveva promesso unilateralmente ad Abramo si realizza in Cristo “affinché ricevessimo noi (ebrei e pagani) la promessa dello Spirito.” La benedizione altro non è che il dono dello Spirito. Quest’ idea dello Spirito come dono escatologico, ossia dei tempi ultimi e decisivi, è già un tema radicato nell'A.T. che lo vede una promessa da realizzarsi nei "tempi messianici" come in  Is 32,15, dove la fecondità viene col dono dello Spirito (44,3). Ricordiamo anche Ger 31, 31-36 e Ez 36,24-29. Il racconto delle "ossa aride" in Ez 37,1,14 dove si evidenzia l'azione vivificante dello Spirito, è costruito tenendo presente l'azione creatrice di Dio descritta in Gen 2,7 e fa da contrappunto con questo intervento ri-creatore: si usa lo stesso verbo raro in Gen 2,7 e Ez 37,9.14, là  all'aoristo qui all'imperativo operando una scelta chiaramente intenzionale. Anche la tradizione rabbinica aveva riunito questi due testi: Midras' "Gen Rabbah", 14 : soffiò in – alitò in.

vv. 15-18  Paolo sviluppa ulteriormente la relazione Abramo - Cristo.

Parlo secondo uomo (“alla maniera umana” poiché egli fa riferimento qui a un’ istituzione umana: la disposizione testamentaria): perfino un testamento validamente redatto di un uomo, nessuno lo annulla (lo può annullare) o aggiunge qualcosa (altra clausola). Ma ad Abramo furono dette le promesse e alla sua discendenza: non dice "alle tue discendenze", come a molti, ma come a uno solo" e al tuo seme ( = discendenza)", che è Cristo (= Cristo è il vero discendente di Abramo: attraverso Lui le promesse passano a tutti, ebrei e pagani). Questo dunque dico: un testamento validamente redatto in precedenza (pro)  da Dio (ad Abramo), la Legge, divenuta quattrocento trent’ anni dopo (comparsa metà) non lo invalida così da annullare la promessa. Dio ha fatto grazia ad Abramo attraverso la promessa."

 

La promessa della benedizione non può essere invalidata dalla Legge. Nel suo ragionamento, Paolo rimanda a un'istituzione particolare contemporanea, quella del diritto testamentario: "persino tra gli uomini vale questo regola!": egli riporta quest’ esempio per spiegare come alla promessa si è aggiunta la Legge.

Nell’ h.S. la disposizione testamentaria è vista nella promessa fatta da Dio ad Abramo e alla sua discendenza: era una disposizione unilaterale, fatta da Dio. Egli ha disposto che tutti ricevessero la promessa: è un dono che Lui fa. Senza condizioni ha fatto questa promessa ad Abramo e non l’ha mai revocata: è un testamento validamente redatto all'inizio (pro). Dio stabilisce, senza condizioni, che ad Abramo e a tutti i popoli arrivi la benedizione. Ciò che viene dopo, la Legge, intesa come regime religioso, il patto del Sinai, è invece bilaterale, si fonda sull'impegno dei due patners e viene meno se uno dei due viene meno agli impegni. Circa il numero quattrocentotrenta, Paolo segue l'interpretazione rabbinica del suo tempo, ma quello che ci interessa qui, aldilà della cifra, è che la Legge è venuta dopo e che quindi non può invalidare la promessa fatta all'inizio. Nonostante il fallimento della Prima Alleanza, resta la speranza della benedizione, perché si fonda su un'iniziativa originaria di Dio. Diventa allora necessario capire qual'è la funzione della Legge.

 

vv. 19-20 (perché allora la Legge)

A causa della trasgressione fu aggiunta alla promessa, finché non venisse la discendenza al quale fu fatta la promessa, stabilita (la Legge) attraverso gli angeli, per mano di un mediatore. Ma il mediatore di uno solo non è (ma è tra due), ma Dio è uno solo.

 

Paolo opera una relativizzazione della Legge, mentre i giudeo-cristiani la vedevano uguale a Cristo; ma per lui il suo compito è finito. Ribadisce che essa non è originaria, ma è stata aggiunta per rivelare che l'uomo è incapace di fare la volontà di Dio. E' aggiunta per aiutare a prendere coscienza del peccato. E' aggiunta e durerà solo "finché verrà Colui che compie la promessa"; non è definitiva, mentre tale è la novità di Cristo. Essa non viene direttamente da Dio, ma da Mosè e dagli angeli (cfr At.7,38.53). Quest’ ultima è una tradizione diretta a preservare la trascendenza di Dio, ma a Paolo serve per relativizzare ancora la Legge. Prolunga poi ulteriormente il ragionamento:

 

vv. 21-22

 

Ma allora la Legge è contro la promessa di Dio (ragiona adesso per assurdo)? Non sia mai! Se infatti fosse data la Legge che ha il potere di vivificare, davvero dalla Legge ci sarebbe la giustizia. Ma la Scrittura rinchiuse ogni cosa sotto il peccato affinché la promessa della fede in Gesù Cristo fosse data a coloro che credono.

Paolo parla della duplice funzione della Scrittura: essa rinchiude tutto sotto il peccato e indica una situazione senza uscita (vicolo cieco), si tratta poi di una situazione universale (tutti gli esseri), ed è una situazione di schiavitù. Si tratta di alienazione radicale. Notiamo come egli non parli molto di peccati ma di peccato al singolare, come di una potenza sovrapersonale, che domina. La Legge spinge ad abbracciare la fede. Si tratta di operare un passaggio dalla Legge alla fede, riconoscendo che non si può uscire da questo situazione se non affidandosi a Cristo. Si sviluppa poi questo idea della schiavitù come condizione della Prima Alleanza:

 

v. 23   "Prima (del venire) che venisse la fede, sotto la legge (il dominio della Legge) eravamo sorvegliati e rinchiusi in vista della rivelazione della fede futura ".

 

Afferma qui un'enormità per un giudeo: il giudaismo non è regime di libertà, ma di schiavitù nel suo modo di orientare il rapporto con Dio.

 

v. 24 "Cosicchè la Legge diviene il nostro pedagogo verso Cristo , affinché fossimo giustificati a partire dalla fede."

L'idea del sorvegliare permette a Paolo di parlare della Legge come di un pedagogo, cioè lo schiavo che conduceva il bambino a scuola. Questa figura presente nella società a lui contemporanea, esprime la sua visione della Legge intesa come sorveglianza asfissiante e situazione di costrizione, ma anche nel suo ruolo di preparazione a Cristo , il Maestro: la Prima Alleanza deve portare a lui. L'esperienza dello Spirito è per dirti: sei libero dalle prescrizioni, dalle imposizione esterne, ma hai una libertà interiore che ti guida da dentro per compiere il bene. E poi fai di più: per il Vangelo si giunge a dare la vita, come Cristo.

 

vv. 25-28 "Venuta però la fede (= questo nuovo rapporto con Dio, il regime religioso della Nuova Alleanza), non siamo più sotto il pedagogo (sotto il dominio del peccato). Tutti infatti, siete figli di Dio attraverso la fede in Cristo Gesù. Quanti infatti, foste battezzati verso (indica un rapporto dinamico) Cristo, rivestiste Cristo. Non c'è (diverso da "non c'è più"della traduzione italiana) giudeo né greco, non c'è schiavo né libero, non c'è maschio né femmina: tutti infatti siete uno in Cristo Gesù. Ma se voi siete di Cristo ( = gli appartenete), allora siete discendenza di Abramo, secondo la promessa eredi."

Che cosa succede alla venuta della fede ( = nuovo regime religioso). I1 participio aoristo elthouses venuta che si usa qui indica qualcosa di unico, ben determinato. La fede, dunque, è collegata con l'evento decisivo della morte/Risurrezione di Cristo, evento che introduce una nuova condizione religiosa. Questa frase: "non siamo più…" ha addirittura un tono trionfale: esprime l'esperienza di una liberazione. L'evento-Cristo, che inaugura la Nuova Alleanza, un nuovo ordinamento religioso, pone fine al regime di sorveglianza e costrizione proprio della Legge. La libertà è collegata con il dono dello Spirito, caratteristica della Nuova Alleanza.

Il v.26 annuncia la tematica della figliolanza che verrà sviluppata in 4,1-7, con cui Paolo indica la condizione del figlio maggiorenne, nella pienezza dei suoi diritti. Il v.27 mostra come la figliolanza si attua nell'evento del Battesimo, ( “infatti”stabilisce un collegamento col v.26). E' significativo che egli saldi insieme fede e Battesimo, visto questo ultimo, non tanto come un rito esteriore, ma un evento che da corpo all'adesione di fede, che se autentica, in linea con l'incarnazione, investe l'uomo nella sua corporeità. Esso esprime e attua l'inserimento corporeo del cristiano nel corpo di Cristo. I1 Battesimo, con il verbo all'aoristo indica un evento preciso che non si ripete, che segna una svolta. C'è l'indicazione di un'appartenenza, adesione, passaggio di proprietà. L'aoristo medio del "rivestiste" riprende l'immagine dell'abito; serve a Paolo per precisare che il Battesimo attua un cambiamento profondo nell'essere, come una ri-creazione. L'abito, oltre alla dignità, indica l'essere profondo della persona: questa novità di essere è una unione dinamica. E' attraverso l'adesione a Cristo che avviene nella fede e nel Battesimo l'uomo viene trasformato nel suo essere, riceve la figliolanza divina ed è liberato dal regime della Legge che lo teneva in una condizione di schiavitù.

Il v.28 aggiunge un’ulteriore precisazione: si tratta di una diversità che si risolve in unità. E’ da notare la differenza con Gv 17 dove si usa il neutro en mentre qui c'è il maschile. E in Ef 2,15 "per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo" (ena kainou anthropon un nuovo uomo) che designa l'essere umano: i battezzati formano un’unità nuova in Cristo Gesù: non ci si confonde, ognuno rimane nella sua identità, ma "tutti siete un’umanità nuova in Cristo Gesù".

Questo versetto richiama 3 distinzioni importanti dell'esistenza umana, che riguardano il piano religioso, sociale, sessuale, ossia la triplice identità dell'uomo.

La 1a distinzione è, per Paolo, la più importante. I1 giudeo, membro del popolo eletto, si considera privilegiato sul piano religioso rispetto al pagano. In Rom 2,17-20 è chiara l'auto-coscienza di essere in questo posizione di vantaggio: ecco perché volevano la giudaizzazione dei pagani, come a voler estendere ad essi un loro privilegio. Paolo non afferma qui che questa distinzione non c'è più, ma che ormai non è determinante di fronte a Cristo, alla proposta che Dio ci fa in Lui, il giudeo e il pagano sono uguali, perché tutti devono rispondergli con la fede.

In 6,15 egli afferma che chi crede diventa una nuova creatura. Nella storia ci sono differenze religiose, ma la possibilità della trasformazione radicale è offerta a tutti, con l'unica condizione della fede.

La 2a distinzione è quella sociale, radicata nell'organizzazione della polis all'interno del mondo greco-romano. Paolo non contesta direttamente la schiavitù, ma toglie forza e valore decisivo a tale distinzione, esprimendo un punto di vista radicale: lo stato sociale non ha più importanza, non costituisce vantaggio perché il libero è salvato come lo schiavo.

La 3a distinzione all'apparenza sembra negare Gen 1,27, ma vuole affermare che in Cristo si è attuata una nuova creazione e le differenze sessuali non costituiscono un motivo di privilegio (pensiamo alla situazione della donna nel mondo ebraico) nei confronti della salvezza, che raggiunge tutti. Paolo intende affermare che ciò che divide l'umanità, stabilendo alcuni privilegiati ed altri svantaggiati, non ha alcun peso nella nuova condizione di vita inaugurata dall'essere in Cristo. A tutti è offerta questa novità e tutti contano in forza del nuovo essere acquisito nell'unione a Cristo, per cui le differenze religiose/sociali/sessuali, che pure permangono all'interno del convivere, vengono radicalmente ridimensionate e relativizzate.

 

v. 29   "Se dunque (ripresa) siete di Cristo, allora siete seme di Abramo, eredi secondo la promessa "

Se siete una sola realtà con Lui, che è seme ( = discendenza) di Abramo, siete (i galati e quindi l’umanità intera) figli della promessa ad Abramo.

 

4, 1-7

Al centro di tutta la seconda parte, al centro di tutta la lettera, c'è questo brano che può essere considerato il cuore della stessa. Paolo parla di come, nella pienezza del tempo, nel momento decisivo di tutta la storia, Dio Padre mandò suo Figlio e poi lo Spirito del suo Figlio. Questo brano tocca il punto decisivo del dono dello Spirito, tematica che compare fortemente fin dall'inizio del terzo capitolo (vv.6-24). Paolo sottolinea l'opposizione tra fede-promessa di benedizione e legge-maledizione. Egli mostra l'intenzionalità dell'opera di Cristo: "affinché" la benedizione giunga a tutti, ossia il dono dello Spirito, vero oggetto della promessa e vero dono di benedizione. Lo Spirito è il vero oggetto della promessa antica: lo presenta con una forte connotazione cristologica come "Spirito del Figlio suo", indicandolo con un apax così significativo. In tutti i passaggi della lettera l'attenzione dell'autore è sempre cristologica. Lo Spirito poi, è ciò che connota la nuova condizione, ma esso è ottenuto attraverso Cristo.

 

 Ora io dico: per tutto il tempo che l'erede è piccolo,in niente differisce da uno schiavo (servo),  pur essendo signore di tutto, ma è sotto tutori e amministratori, fino al termine (scadenza) fissato dal padre. Così anche noi quando eravamo piccoli, sotto gli elementi del mondo, eravamo (asserviti). Ma quando ( cfr gli altri testi "capitali" introdotti da questo ote de ma quando, che segna una svolta, come in 1,15 ; 2,11) venne la pienezza del tempo, mandò Dio suo Figlio, nato (divenuto) da donna, nato sotto la Legge(= all'interno di quel regime religioso), affinché (scopo di quest’ invio) riscattasse quelli sotto la Legge, affinché l'adozione a figli ricevessimo; che poi siete figli, lo prova il fatto che Dio mandò lo Spirito del Figlio suo (oti perché, dichiarativo, più che causativo poiché) nei nostri cuori, gridante "Abbà, padre". Cosicché non sei più schiavo, ma figlio; se dunque sei figlio sei anche erede, erede per opera di Dio. "

 

La figliolanza è presentata come un dono escatologico. Si parla qui di figliolanza adottiva (inclusione). C'è poi uno sviluppo sull'eredità, collegata alla figliolanza. I1 tema dell'eredità compare già alla fine del cap.3. Questo brano presenta una struttura molto semplice:

• un paragone : vv.1-4a  preso a prestito dalla prassi giuridica greco-romana del tempo: il passaggio all'età adulta;al termine stabilito dal padre, corrisponde la "pienezza del tempo" che indica il passaggio da una condizione di sudditanza alla maggiore età, autonomia, libertà.

  il suo sviluppo : vv.4b-6  che parla del passaggio all'età adulta che per noi è avvenuta all'invio del Figlio e del suo Spirito

• la conclusione : v.7  L'oggetto dell'invio del Figlio e dello Spirito è unico. La missione dello Spirito è complementare, ossia di realizzare e sostenere la nostra figliolanza adottiva, vista nel paragone, come la maggiore età, l'essere davvero figli, il raggiungimento dei diritti famigliari. Paolo suggerisce in questo testo che i giudei sono eredi, ma piccoli, nella condizione della Prima Alleanza: in qualche misura sono già figli, ma è come se fossero schiavi, sotto tutori (= la Legge). La condizione di Israele nella Prima Alleanza, è la condizione religiosa di chi non è adulto e responsabile.

Soffermiamoci sulle figure che emergono dal testo.

 

Dio Padre, perché si parla del Figlio. In primo piano c'è la sua iniziativa libera: exapestelen mandò è chiaro che il "mandante" di entrambe le missioni è sempre Lui, nella sua sovrana e gratuita iniziativa.

 

Il Figlio per due volte definito "suo" (vv. 4b. 6b.). Gesù è nato da donna, nel senso di essere figlio dell'uomo, di questa terra, riferendosi quindi alla sua completa umanità, nella stessa debolezza della condizione umana (Mt 11,11). Tuttavia Egli è in un rapporto unico di figliolanza con Dio. Parlando della missione del Figlio possiamo pensare che ciò che intende Paolo sia la globalità della sua vita, anche se l'accenno che egli fa al "riscatto" al v.5 con exagorase comprò, riscattò e accentua il culmine dalla missione: la passione e morte. Alla missione del Figlio è legata l'adozione filiale.

Questo termine nel Nuovo Testamento ricorre solo in Paolo: Rom 8,15 ; 9,14 ; Ef 1,5. Quest’ istituto sembra sconosciuto in Israele, mentre era molto diffuso nel mondo greco-romano. Paolo usa questo categoria per distinguere noi da Cristo: noi possiamo diventare figli per iniziativa gratuita di Dio, senza averne alcun diritto. Noi per grazia e Cristo per natura. Si tratta di una figliolanza piena "siamo anche eredi". Questo Dio, che inizia il rapporto in questo vita,lo continua dopo la morte: l'immortalità è una chiamata gratuita perché Dio ha deciso così da sempre, perché egli è l’Eterno e vuole continuare questo rapporto per sempre.

 

Lo Spirito del Figlio suo, anch'esso mandato dal Padre. La sede tipica dell'attività dello Spirito è il cuore: non si tratta di una missione visibile, come quella del Figlio, pur essendo reale: i frutti si manifestano nell'interiorità. I1 cuore è il luogo invisibile dove maturano le decisioni della vita. E' in questo luogo interiore, è nel segreto personale, che lo Spirito agisce. Siamo figli per la missione del Figlio, ma quello che nel corso della storia sostiene, promuove, attualizza la nostra figliolanza, interiorizzando l'opera del Figlio è lo Spirito. Se non ci fosse Lui, giorno dopo giorno, rischieremmo di perdere questo dono. In un mondo violento, segnato dal peccato, se lo Spirito non sostiene in noi questo grido, quello con cui Gesù si rivolgeva a Dio come Padre... E' una realtà ( è espresso col tempo presente) quella di essere figli, è attuale. Lo Spirito ci sostiene nel fare nostra questa familiarità di Gesù col Padre. Più che tradurre con "papà" qualcuno suggerisce "Padre caro". Quest’ invocazione del Padre non è facile (Gesù la pronuncia nel Getsemani) ma ci vuole il coraggio dello Spirito, allora: "audemus dicere: Pater…", come ci fa pregare la Chiesa nella liturgia eucaristica.

Grazie all'opera dello Spirito troviamo il coraggio di rivolgerci a Dio nella stessa maniera con cui gli si rivolgeva il Figlio suo. "Spirito del Figlio suo" è una formula originale paolina: si chiarisce guardando il collegamento tra le due missioni. Quella dello Spirito viene dopo quella del Figlio e suggerisce come era necessaria l'opera terrena di Gesù, perché potesse essere inviato lo Spirito. Questa formula indica anche come lo Spirito, oltre ad essere il frutto dell'opera di Gesù, ne è anche il continuatore e colui che la porta a compimento. Lo Spirito ha una ineliminabile connotazione cristologica. E' "del Figlio" non solo perché Gesù ne era ripieno (come viene sottolineato specialmente nei vangeli sinottici), ma perché ne è diventato il donatore come si legge in 1Cor15,45 "Cristo è divenuto spirito datore di vita" (con la risurrezione). E ciò non nel senso che Cristo e lo Spirito si confondono, ma perché Cristo risorto possiede lo Spirito e lo trasmette a quelli che credono in Lui. L'origine prima dello Spirito è il Padre (problema del "Filioque") ma non può essere distaccato dal Figlio. Esso appare essenzialmente come un'identità dinamica: è inviato da Dio, è del Figlio suo, opera nei nostri cuori. Lo Spirito, per Paolo si pone a un livello essenzialmente relazionale, esiste per collegare: è in Dio, e mandato da lui "esce" , investe il Figlio, è mandato da Lui, entra in noi, si esprime con il grido che giunge il Padre. E' agente di comunione, come si dice in 2Cor 13,13: quello che caratterizza lo Spirito è la comunione (S. Agostino).

 

Digressione sul tema della Legge in Paolo

 

Il punto di partenza della sua riflessione sulla Legge e l’averne compreso il limite, non è da ricercarsi nel fatto che lui, da giudeo-fariseo, avesse avvertito l'insufficienza o l'angoscia a cui porta questo regime religioso. Esso "era per lui un guadagno". L'incontro con Cristo ha scatenato in lui questa lettura e ha ridisegnato non solo i suoi valori, ma anche sconvolto la sua sintesi teologica maturata nel giudaesimo. L'incontro di Damasco ha rivoluzionato la sua maniera di capire Dio. L'iniziativa imprevista di Cristo, la scoperta di Lui nella sua novità e grandezza, ha rivelato l'insufficienza (inganno) della condizione precedente sotto la Legge. Fondamentalmente il cambio di prospettiva e di impostazione religiosa è consistito nel passare dall'adesione a una norma scritta, all'adesione a una persona viva e vivificante. Quest’ opposizione di due atteggiamenti religiosi, di due maniere di rapportarsi con Dio, è espressa in 2Cor 3,1-18 dove l'apostolo contrappone l'Antica alla Nuova Alleanza. Evidenziamo i termini di questo brano che meglio mostrano questa contrapposizione:

inchiostro                                                                   Spirito del Dio vivente

 

tavole di pietra                                                        tavole del cuore di carne

 

antica alleanza                                                        nuova alleanza

(vecchia disposizione)

 

lettera                                                                                  Spirito

(norma scritta)

 

uccide                                                                        da' vita (vivifica)

 

ministero della morte                                                 ministero dello Spirito

ministero della condanna                                           ministero della giustizia

 

ciò che scompare                                                      ciò che rimane

 

Non si capirebbe l'intuizione fondamentale di Paolo, la sua teologia, se non si capisce che per lui il dato primario e fondamentale è la libertà come bene escatologico, che costituisce l'uomo nuovo. Nella lettera ai Galati è proprio l'offerta di questa libertà, con il dono dello Spirito, che costituisce il nocciolo dell'evangelo. Anzi, è proprio quest’ offerta di libertà fatta a tutti, senza condizioni, che rende l'annuncio un vero "evangelo" (= buona notizia). L' evangelo per lui è tale, non perché richiede ma perché dà la libertà e la capacità di amare. Questa libertà è dono dello Spirito; non poteva essere raggiunta attraverso la Legge con l'osservanza (= con le nostre forze). E' significativo che Paolo parli di una "astenia" (= debolezza) radicale della Legge (cfr anche 4,9 e Rom 8,3 dove si ritrova lo stesso verbo). Nella Legge gli sbocchi sono due: o la disperazione o la presunzione, legata all'apparente osservanza. Comunque si snatura sempre il rapporto con Dio. La novità nasce dalla scoperta di un atto di grazia uguale per tutti, attuatosi sulla Croce, che raggiunge ogni persona, a prescindere dalle opere della Legge. Al regime della "mia" osservanza si oppone quello dello Spirito, che dona la libertà, in un itinerario, in un cammino di crescita nella misura in cui ti fidi e ti affidi ... ma se non rinunciamo ad essere noi a gestire anche la nostra conversione... Alla molteplicità delle opere morali, Paolo contrappone la semplice confessione (riconoscimento) delle proprie inadempienze, insufficienze e l'accettazione gioiosa dell'intervento gratuito di Dio in Cristo. Questo affidamento a ciò che Dio ha operato per noi in Gesù è la fede, che suppone una decisione dell'uomo, ma non come iniziativa autonoma, bensì come risposta a un' altra inaudita e impensabile. La fede ha bisogno di un annuncio: non te l'immagineresti mai che Dio è così, mentre il moralismo te l'immagini. Paolo definisce il passaggio dalla Legge all'evangelo come quello dalla minore alla maggiore età. Prima uno è già figlio, ma deve prenderne coscienza, svincolandosi dalla tutela dei precettori. I1 cristiano maturo è posto nella condizione di camminare senza stampelle, non perché è abbandonato a se stesso, e neppure perché può fare quello che vuole ...

 

 

4, 8-20  è un nuovo appello all'esperienza dei Galati;  con una specie di digressione in 4, 8-11 :

 

Ma un tempo,non conoscendo Dio, foste schiavi di divinità le quali per natura non lo sono (i Galati hanno un passato da idolatri); ora, invece, avendo conosciuto Dio (il Dio vero), anzi meglio essendo stati conosciuti da Dio, come potete ritornare di nuovo verso gli elementi deboli e poveri, nei confronti dei quali di nuovo, come all'inizio volete servire. Giorni osservate (ansiosamente) e mesi e tempi e anni (= calendario religioso). Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo.

Paolo richiama qui ai Galati quello che erano prima del cristianesimo: una condizione segnata dalla schiavitù (v.9) Il paradosso è che loro, se danno ascolto ai sobillatori, lasciano la condizione di libertà per ritornare in un regime schiavizzante (3,1-5). Questo passato pagano è messo in parallelo con la condizione della Prima Alleanza: è la stessa condizione di schiavitù! Notare il parallelo con 4,1-7 (3). Se non c'è il passaggio a Gesù Cristo la religiosità pagana e il giudaismo sono religioni da schiavi, in cui dominano gli elementi del mondo. Nella cultura del tempo questo termine stoicheia indicava gli elementi di base di una determinata realtà (lettere dell'alfabeto, rudimenti di una dottrina) ma anche i quattro elementi che compongono l'universo, o le potenze cosmiche, come gli astri. Quest’ ultima posizione è tipica dell'ellenismo. Si pensava che gli astri controllassero il corso degli eventi e quindi influenzassero la vita delle persone e del mondo. Ecco l'importanza dell'osservanza di un calendario come forma di venerazione per questo potenze. Nel mondo giudaico le potenze angeliche erano considerate in un modo simile: anche la Legge è stata data per le loro mani. Questi elementi del mondo indicano i fondamenti su cui si riteneva poggiasse la realtà. Il culto ad essi, che assume diverse forme, ha una stessa logica, che è qualificata dalla paura come suggerisce il termine paratereisthe osservanza con ansia, ossia lo stato d'animo tipico dello schiavo che vive nella soggezione a poteri superiori che (lui pensa) determinino il suo destino. E' la stessa situazione del giudeo nell'osservanza della Torah.

4,12-20

Siate come me, ve ne prego, poiché anch’io sono stato come voi, fratelli. Non mi avete offeso in nulla. Sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi evangelizzai la prima volta; e quella che nella mia carne era per voi una prova non l’avete disprezzata né respinta, ma al contrario come un angelo di Dio, mi avete accolto,  come Cristo Gesù. Dove sono dunque le vostre felicitazioni? Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli. Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità? Costoro si danno premura per voi, ma non onestamente; vogliono mettervi fuori, perché mostriate zelo per loro.

E’ bello (calos) invece essere circondati di premure nel bene (en calò) sempre e non solo quando io mi trovo presso di voi, figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi! Vorrei essere vicino a voi in questo momento e poter cambiare il tono della mia voce, perché non so cosa fare a vostro riguardo.

 

Paolo richiama il suo passato incontro con i Galati come ulteriore tentativo per evitare che passino a un "altro evangelo": al v.12 c'è un invito a imitare l'apostolo: "diventate come me, perché anch'io sono diventato come voi". E’un invito a imitarlo nella sua scelta dell'evangelo dell'unicità di Cristo. "Come voi": quando egli ha evangelizzato la grazia, viveva tra i Galati senza quell'osservanza delle norme (alimentari), come era avvenuto ad Antiochia. "Voi non vi siete scandalizzati per questo non mi avete diffamato.. ma mi avete accettato, benché le circostanze fossero tutt'altro che favorevoli. Al v.13 si parla di "debolezza della carne", una malattia, che non è stata un'occasione per respingerlo: l’annunciatore dell'evangelo è malato, ma non per questo è rifiutato, anzi lo accolgono come un "inviato di Dio", come Cristo stesso v.15: "Dov'è adesso la vostra proclamazione di beatitudine, quello stato d'animo di felicità per la predicazione dell'evangelo".

Una volta era diverso: erano disposti a dargli quello che avevano di più caro (occhi). Al v.16 leggiamo: "sono diventato nemico perché vi ho detto la verità dell'evangelo". Il v.17 richiama la figura degli avversari e dice che essi vogliono escludere i Galati: "vi corteggiano,ma non in modo buono/bello/giusto, bensì con cattiva intenzione: vogliono che vi diate premura per loro. Vogliono escludervi da me per potervi guadagnare a loro." Il v.18 ci porta un’ immagine materna (cfr 1Ts 2,7-8: una madre che scalda con amore i suoi figli). Paolo ha generato i Galati alla fede, facendogli prendere forma, come una madre il proprio figlio nel grembo: la forma da prendere è Gesù Cristo. Notare la sottolineatura del dolore, come al v.11 aveva parlato di fatica,  sofferenza apostolica.

Adesso che i Galati stanno per sfigurare quell'immagine, è come se egli dovesse ricominciare la gestazione, rigenerandoli alla fede nel Crocifisso. Al v.20: "vorrei farmi sentire direttamente": questa è una umanissima confessione di Paolo.

Col termine aporia si indica l'idea che egli non sappia più trovare il modo per farli ragionare.

4,21-31

Ditemi, voi che volete essere sotto la legge: non sentite forse cosa dice la legge? Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla (donna) libera. Ma quello dalla schiava secondo la carne è nato; quello dalla (donna) libera, attraverso (dià) la promessa.

Ora, tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera verso la schiavitù, rappresentata da Agar - il Sinai è un monte dell’Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che ora è schiava insieme ai suoi figli.

Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre. Sta scritto infatti:

      Rallègrati, sterile, che non partorisci, grida nell’allegria

     tu che non conosci i dolori del parto, perché

     molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito .

Ora voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco. E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della (donna) libera. Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera.

 

E’ l’altra argomentazione scritturistica: la prima era in riferimento ad Abramo, qui circa le due mogli e le due discendenze. Paolo esplicita anche qui la stessa tematica di contrapposizione delle due Alleanze.

Riprende il tema della libertà, comparso chiaramente una volta in 2,4 ("spiare le 1ibertà"), mentre il concetto antitetico di schiavitù è stato più volte richiamato sotto diverse modulazioni.

E’ caratteristico l'uso frequente che egli fa della preposizione upo, sotto con l’accusativo, riferita a maledizione/peccato/Legge/pedagogo/tutori-amministratori/stoikeia. Frequente anche il verbo (liberare).

I1 concetto di libertà è già stato esplicitato in 3,13-4,5 con quello di figliolanza e di maggiore età, con il rilievo dato alla svolta epocale dell'invio del Figlio (ouketi non più 4,7). Al v.21 si parla della Legge prima come regime religioso e poi come Parola di Dio da ascoltare: è importante capire bene la Scrittura.

Quest’ argomentazione scritturistica si basa su una lettura midrashica dei passi di Genesi che si riferiscono alla nascita di Isacco e Ismaele. Si tratta di un'interpretazione attualizzante a partire da un contesto inedito: l'evento Cristo. Si vede la pertinenza per l'oggi degli avvenimenti passati.

Per Paolo esistono due linee radicalmente diverse di discendenza da Abramo: la linea della schiavitù e quella della libertà (v.22): ora gli avvenimenti narrati da Gen sono figura di quelli degli ultimi tempi. Al v. 24 si parla di allegoria come prefigurazione di ciò che avverrà in futuro. Le due donne prefigurano le due alleanze: la prima è incapace di generare un popolo di figli. E’ chiaro che si tratta di una lettura in chiave cristiana, contraria a quella ebraica, per la quale erano appunto loro i figli di Abramo.

Paolo poi, contrappone la Gerusalemme attuale a quella celeste: qui la città indica la comunità. Quella attuale, il popolo ebraico, fa parte della Prima Alleanza. Il giudaismo è tuttora sottomesso alla Legge.

E' possibile che egli pensi a Gerusalemme come al centro spirituale del giudeo-cristianesimo, di coloro che si richiamavano alla circoncisione: sono ancora schiavi. La Gerusalemme dall'alto, di cui parla al v. 26, ha Dio come artefice: è una comunione che scaturisce da Lui. Anche nelle Scritture d’Israele c'era l'idea di una Gerusalemme nuova, ma in continuità con l'attuale, mentre in Paolo c'è una contrapposizione.

Qui Gerusalemme è usata in modo analogo alla locuzione "Regno dei Cieli", usata nei vangeli sinottici. E’ il mondo nuovo che Dio costruisce, il nuovo ambito di esistenza inaugurato dal Risorto, che comprende la Chiesa ma non si identifica con essa. Questa realtà si sta attuando nella storia e di essa fa parte: nella fede essa sperimenta la vera libertà. (v.23) Come allora così anche oggi: (ridere e deridere ha la stessa radice in ebraico shq) Ismaele era il primogenito e derideva Isacco, lo perseguitava: mentre oggi sono i giudeo-cristiani, che si oppongono. Paolo vede nei Galati una situazione ribaltata. Oggi i figli della Madre libera sono perseguitati per la loro libertà. Conclusione: i Galati devono allontanare i predicatori infiltrati: questo germe mina alla radice l'evangelo.

 

Capitoli  5- 6: Parenesi  *- Conclusione  

 

Qui Paolo mostra le conseguenze pratiche che l'evangelo riveste nella vita dei Galati. In 5,1-12 troviamo l'appello ai cristiani a rimanere nella condizione di libertà in cui sono stati introdotti dalla fede e dal Battesimo.

Cristo ci liberò per la libertà (notare l'enfasi), rimanete dunque saldi (tenete saldamente la posizione) e non di nuovo il giogo della schiavitù  fatevi imporre.

Ecco, io Paolo dico a voi che se vi fate circoncidere, Cristo a niente vi servirà (vi sarà inutile). Attesto infatti di nuovo ad ogni uomo (chiunque) che si fa circoncidere, è necessario fare tutta la Legge. Venite staccati da Cristo, quanti siete giustificati nella Legge: decadeste dalla grazia. Noi infatti attendiamo la speranza della giustizia (giustizia sperata) a partire dalla fede, grazie allo Spirito (per opera dello Spirito). Infatti in Gesù Cristo né la circoncisione vale qualcosa, né l’ incirconcisione, ma la fede che opera attraverso l'amore. Correvate bene, chi vi ha bloccati per non obbedire alla verità. Questa persuasione non viene da Colui che vi ha chiamati.Un poco di lievito fa fermentare tutta la pasta.Io ho fiducia verso di voi nel Signore, che non sentirete in maniera diversa (rispetto a quello che ho detto). Colui che vi mette sottosopra (sconvolge) porterà il giudizio chiunque egli sia. Ed io fratelli, se ancora annuncio la circoncisione perché sono ancora perseguitato. Allora (conseguenza) viene annullato lo scandalo della croce (1Cor 1,20). Magari anche si tagliassero tutto, quelli che vi turbano.”

 

Al v.1 “per la libertà (dativo di fine) Cristo ci liberò”: tutta l'opera di Cristo appare finalizzata a renderci liberi (notare l’aoristo, che fa riferimento alla passione-morte-risurrezione). Gesù è visto come il grande liberatore, che ha conquistato per i suoi questo nuova posizione: adesso i Galati sono responsabili di difenderla, dopo averla ricevuta in dono. Si tratta di un atto avvenuto nella storia: di una guerra tra le forze che vogliono tenere schiave le persone e le forze di vita e libertà che Dio ha introdotto nella storia stessa. E' la vittoria di Cristo sulle forze avverse, che richiede di essere difesa perché questo attacco non è cessato, ma queste forze tendono a rioccupare la posizione che Cristo ha conquistato. Il "giogo" è quello della schiavitù degli stoikeia, elementi del mondo degli osservanti della Legge. (v.2-5) : "se fate questo, Cristo non vi servirà a niente", poiché è impossibile per l'uomo essere fedele a tutta la Legge. Ma "quanti cercate giustificazione dalla Legge, vi siete staccati da Cristo". Si parla qui dell’"essere in" come in 3,26.28. Se non sei più "in Cristo" sei "en nomou" nella legge . “Decadere dalla grazia” indica che non sei più sotto la sua azione. L'agente della trasformazione è lo Spirito in noi.

Al v.6 ritorna l'espressione "in Cristo"; in Lui queste condizioni particolari, legate all'appartenenza al popolo ebraico non hanno alcun valore. Non c'è vantaggio dell'ebreo sul pagano, perché tutti possono accedere alla fede. Ciò che è decisivo è l'unione a Cristo, che si ottiene attraverso la fede, intesa come disposizione del singolo, come atteggiamento di fiducia, affidamento. E questa fede non può non manifestarsi nell'agape. Parlando di fede non si escludono le opere: l'amore vissuto è il criterio dell'autenticità della fede. Il "correre bene" del v.7 è riferito al periodo precedente la venuta dei sobillatori. "Chi vi ha bloccati in questo corsa", richiama in 3,1: "chi vi ha ammaliati". C'è stato un blocco che ha una conseguenza gravissima: non obbedire alla verità. I1 verbo penthomai significa all'attivo: persuadere, al passivo: lasciarsi persuadere, mentre upakouo contiene il termine "ascolto" acuo indica l’ascolto profondo, che conduce all'assenso ad una parola che mi viene rivolta, e da cui mi sono lasciato persuadere. Qualcuno ha bloccato questo processo di persuasione della verità dell'evangelo. Questa convinzione non viene da Colui che li ha chiamati originariamente. Se non ti lasci persuadere da Cristo crocifisso, altri ti persuaderanno; se distogli gli occhi da Lui, altri ti ammalieranno. La persuasione è qualcosa che si cala dentro di te: simile è il paragone del lievito (Mt 16,6) che, se gli fai spazio, ha un influsso nascosto ma efficace. Ma allora, qual’è il riferimento profondo che ti plasma ? (v.10) La fiducia di Paolo non è fondata sulla sua capacità, ma in Colui che li ha chiamati. Fronein indica una mentalità, un modo di percepire la vita, che abbraccia mente e cuore. E’ la percezione profonda della realtà. Egli ha fiducia che i Galati arriveranno a una sensibilità profonda conforme a quello che lui ha predicato. E' a  questo livello che sorgono le decisioni ed è qui che agisce il "lievito". Si tratta di capire e sentire: se non c'è affetto per la via del Vangelo come via della mia vita, allora nei momenti importanti/difficili, mi lascerò persuadere dai valori “mondani”. "Coloro che creano confusione nella comunità": tra questo "sobillatori" c'erano forse figure di rilievo, ma pagheranno lo stesso "chiunque egli (essi) sia". Potremmo parafrasare così il v.11: "se volessi evitare le persecuzioni, basterebbe che accettassi questo pressioni e ponessi la circoncisione come essenziale per far parte del popolo di Dio: allora verrebbe annullato per sempre (e con che conseguenze) lo scandalo della croce". Se non capisci che Dio ti salva unicamente con il  dono radicale del suo Figlio, ti metti in una religione "naturale": non c'è più scandalo (= difficoltà) nella fede. E' chiaro che Dio salva i buoni, gli osservanti per ogni religione naturale è così. Ma Dio cambia il mondo attraverso un amore disinteressato, in cui si dona completamente e offre la possibilità di salvezza a tutti: e questo non è facile crederlo, ma sta proprio qui la “novità del Vangelo”.

Quella del v.12 non è un'espressione volgare, un'invettiva gratuita. La circoncisione era il segno di appartenenza all'alleanza: chi non poteva riceverlo, non poteva trasmettere la vita (= la benedizione del Dio d'Israele);  l'eunuco era messo fuori dal culto, dalla comunione con Dio, dalla benedizione. Giocando su questo espressione, Paolo afferma che si staccano da Cristo, quelli che si affidano alla carne, escludendosi dal popolo vero di Dio. Visto che pongono la loro fiducia in un piccolo gesto esterno, tanto da volerlo imporre agli altri, perché allora non sottolinearne l’importanza con un gesto ben più radicale. Paolo intende mostrare la contraddizione in cui questi sobillatori sono caduti, scambiando il mezzo per il fine.

 

vv. 13-15

Voi infatti, a libertà foste chiamati (passivo teologico = da Dio) fratelli, soltanto non diventi (la libertà) pretesto (occasione) per la carne, ma attraverso la carità, siete schiavi gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti, in una sola parola trova compimento, in questo: "amerai il prossimo tuo come te stesso", ma se vi mordete a vicenda e vi sbranate (dilaniate), guardate (fate attenzione) di non distruggervi a vicenda (= divorarvi: immagini del mondo animale).

Qual’ la preoccupazione di Paolo: che questa condizione di libertà sia fraintesa. Perciò è bene dare un criterio fondamentale: l'amore, che permette dì valutare se la libertà viene dallo Spirito o no. Ciò porterebbe a un fraintendimento dell'annuncio. La libertà costituisce la condizione del cristiano, il dono escatologico. La vocazione cristiana è vocazione alla libertà: "purché non diventi occasione" (= aformen) ossia punto di partenza, pedana di lancio, appiglio, postazione avanzata per un'operazione militare. La libertà può diventare l'occasione propizia su cui la carne si appoggia per potersi di nuovo affermare. Dicendo "carne" si intende l'uomo auto-centrato. L'annuncio cristiano della libertà deve diventare invece l'occasione dell'amore. Agape è termine neo-testamentario, poco usato nella letteratura greca: anche questa rottura terminologica è significativa della nuova condizione. Si tratta dell'amore rivelato da Gesù: diverso dall' eros, per cui uno si sente attratto da un oggetto che ha un qualche valore… “ma Cristo ci ha amati quando eravamo peccatori…” e non avevamo nessuna attrattiva. Dio si è chinato su di noi in Gesù. Come si capisce che uno vive la libertà evangelica ? dal tipo di relazione che instaura con gli altri. Ricorre allelois "gli uni gli altri" per tre volte, anzi quattro, se contiamo un accenno al "prossimo"): si tratta di un rapporto di reciprocità. Questa relazione rivela se la libertà è autentica. Questo amore si qualifica come un divenire schiavi gli uni degli altri: ma se uno è schiavo, l'altro è padrone, mentre qui si tratta di essere tutti schiavi, col risultato che non ci sono più padroni, ma siamo tutti uguali.

Si tratta di un'espressione che indica il decentramento da sé. Questo reciprocità sovverte alla radice i rapporti sociali. Nella frase: "Tutta la Torah trova pienezza in una parola", c'è una eco della disputa, che risulta anche dai Vangeli, in corso tra i rabbini del tempo. C'erano tre Codici in uso nel popolo di Dio (uno nel libro dell’Esodo e due in quello del Levitico). Moltiplicando i Codici si moltiplicavano le leggi. Per venire incontro alla gente, si cercava un principio unificatore, che Paolo individua nell' agape che deve attraversare qualsiasi osservanza. Qui si compie la Torah, intesa come espressione della volontà di Dio. L’ agape realizza pienamente quello che nella Torah veniva indicato. Al v.15 troviamo espressioni iperboliche: si tratta chiaramente di un artificio letterario, come nella diatriba stoica, per indicare che punto si arriva, quale lacerazione di rapporti si attua all'interno di un gruppo umano, se si lascia libero corso alla carne: si hanno risultati devastanti. C'è un crescendo significativo in questo versetto, come a dire che o si porta a compimento l'amore o si porta a compimento la logica della carne.  

 

 5,16-25          presenta una struttura chiastica

Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non adempirete il desiderio della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito alla carne; questi due elementi sono in opposizione tra loro, in modo che non facciate ciò che volete. Ma se siete guidati  dallo Spirito, non siete più sotto la legge. Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose, vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito, invece è amore, gioia pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; nei confronti di chi opera in questo modo, la legge non ha niente a che fare. Quelli che quelli che appartengono a Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo secondo lo Spirito, procediamo anche secondo lo Spirito.

 

Questo testo è attraversato dalla contrapposizione carne-spirito che Paolo pone in contrasto, raffigurando il cuore dell’uomo come un campo di battaglia, conteso tra due forze avverse, caratterizzate da due logiche opposte. La carne è l’autocentrarsi, l’egoismo; lo Spirito è l’aprirsi a Dio e all’altro, e danno così vita a due stili di vita contrapposti.

Il desiderio è il motore dell’azione umana: nessuno è senza desideri. L’uomo è un essere di desiderio e va là dove esso lo porta. Paolo parla di un desiderio in particolare, che è poi quello di fondo, che orienta la vita di una persona: tenuto sotto controllo questo, l’azione dell’uomo sarà orientata bene. Un altro rilievo che possiamo fare è quello del fatto che Paolo pone al singolare il frutto dello Spirito, contrapposto alle opere della carne, che sono molte, esprimendo così la dispersione, la disarmonia che c’è nel cuore dominato dalla carne.

Se si parla di frutto è anche per spiegare che esso non viene dall’uomo come una sua opera, ma  è il risultato dell’azione dello Spirito in noi, se ci apriamo alla sua azione. Se abbiamo rotto definitivamente con la carne nel Battesimo, non rispondiamo più alla sua guida: è un cammino da riscegliere ogni giorno per approfondirlo sempre più.

 

5, 26 - 6, 5

Non cerchiamo la vanagloria (non diventiamo chenodoxoi), provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.

6 1Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi gli spirituali, correggetelo con mitezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora solo in se stesso e non negli altri troverà motivo di vanto: ciascuno infatti porterà il proprio fardello.

 

Questo brano è come uno sviluppo del precedente. Si rivolge a "voi, gli spirituali". La vanagloria, l'affermazione vuota, senza fondamento, che porta alla rivalità, invidia, provocazione. Se sono guidato dalla carne, il bene dell'altro sembra un danno per me (Fil 2,3). Si parla spesso nel N.T. di correggere con mitezza. come 1Cor 4,21: la mitezza qualifica l'azione pastorale di Paolo. In 5,23 la mitezza è frutto dello Spirito. I1 mite non è il debole, ma il forte, che non si lascia scoraggiare dal male, che non è implacabile. Gesù è Maestro mite con un insegnamento esigente, ma che ti accompagna, dandoti la forza di portare il peso. Ecco l'atteggiamento di colui che è diventato spirituale.

Ritorna allelois gli uni gli altri: i pesi sono le debolezze. Ecco la solidarietà nel farsi carico. Questa è un'altra maniera di compiere la libertà di Cristo: l’agape, ossia nel fare quello che ha fatto Lui. Paolo nella sua parenesi insiste sul fatto che la vanagloria sia il cancro della comunità. Lo Spirito non è retaggio di nessuno. "Ciascuno porterà il suo peso" in futuro. Ognuno andrà (al giudizio) con i segni della sua povertà e fatica: se sei stato implacabile con i pesi degli altri, dimenticando che anche tu hai il tuo peso ... Se anche fai del bene, è frutto dello Spirito che è in te.

 

6, 11 - 18        Post scriptum

Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, ora, di mia mano. Quelli che vogliono fare (euprosopesai) bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo. Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la legge, ma vogliono la vostra circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne. Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma (canone)sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

 

E' scritto di suo pugno, secondo l’uso del tempo. Paolo dice come per attirare l'attenzione:"guardate". Ciò che aggiunge è una specie di sommario-sintesi di ciò che ha detto precedentemente. Richiama gli avversari e la loro opera di convinzione, per squalificarla. Ciò che cercano è di evitare la persecuzione che verrebbe se predicano la Croce. Se i Galati li ascoltano, essi si vanteranno del frutto della predicazione, la circoncisione dei Galati: "si vantano nella carne". Paradossalmente, il motivo di gioia di cui andare fieri è Cristo, il luogo della novità. Ciò che conta è essere trasformati in una nuova creatura.

L’espressione "per il futuro", al v. 17, richiede che nessuno contesti l'apostolato di Paolo:, il suo corpo porta i contrassegni particolari, dati dalle persecuzioni che testimoniano come egli sia in comunione con Cristo. Egli è nel suo corpo la manifestazione del Cristo sofferente: questi segni sono la prova visibile che indica con chi Paolo si è messo. Questi segni nella carne sono posti in contrapposizione con la circoncisione (segno nella carne): gli avversari traggono vanto da questa cicatrice e lui da questi segni che lo associano non al Popolo eletto, ma alla passione di Cristo stesso. La “nuova creatura” richiama 2Cor 5,17: Cristo conduce a una nuova creazione che avviene nel credente con l’azione dello Spirito.

 

Dagli Appunti degli Studenti del Corso di

Esegesi della Lettera ai Galati

del Prof. P. Maurizio Teani S.I.

alla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, Cagliari , Anno Accademico 19997 – 98

(la parte iniziale è liberamente riassunta da Paolo, evangelo di Gesù Cristo di P. Francesco Rossi de Gasperis S.I.)

 

 

 

Legenda

 

Proponiamo di seguito una sintetica spiegazione di alcuni termini non comuni che si incontrano nel testo, per facilitarne la comprensione. Vengono indicati con un asterisco, almeno la prima volta che compaiono.

 

Rabbini, dall’ebraico rab, grande, usato anche nel senso di anziano, maestro, specialmente della Legge. Erano gli insegnanti, ma prima gli studiosi e custodi della tradizione del popolo d’Israele.

 

Scritture della Prima Alleanza, indichiamo con questa o simili locuzioni quello che comunemente si chiama Antico Testamento. Si vorrebbe sia per motivi ecumenici di rapporti con gli ebrei, sia perché ci pare più corretto, arrivare almeno nelle nuove generazioni a chiamare in questo modo i testi normativi per Israele, che anche per i credenti in Cristo sono riconosciuti come Parola di Dio. I Vangeli e le Scritture cristiane sono quello che si è soliti chiamare il Nuovo Testamento, e allora le altre sono Scritture d’Israele per antonomasia, che noi accogliamo come rivelazione del nostro Dio, nella sua pedagogia divina.
 

Aoristo, è un tempo del verbo usato nella sintassi greca, con delle peculiarità tali da non avere un vero e adatto corrispettivo nella nostra lingua italiana. In genere si traduce con il passato remoto. Esso sta a indicare un’azione compiuta ne passato, in genere; un’ azione singola e nella teologia biblica, anche singolare, per importanza e densità. Un fatto ormai passato, ma un’esperienza unica, come un concentrato di azione.

 

Sinottici, dal greco, indica i vangeli di Matteo, Marco e Luca, che si possono affiancare su tre colonne e leggere con un solo colpo d’occhio (sun – opsis), inquanto i racconti procedono pressoché assieme o almeno sono piuttosto assimilabili, mentre Giovanni è più singolare, sia nella terminologia che nella trama.

 

Apax, è termine greco che indica un termine che viene usato una sola volta in quel testo. Nella Scrittura questo indica in genere un’importanza particolare che esso riveste, come se fosse impossibile trovare un sinonimo e se questo termine avesse ormai soltanto quel significato preciso, quasi da diventare un nome proprio.

 

Locuzione, significa l’unione di due o più termini con un significato preciso, se mantenuti insieme (es.: Nuova Allenaza…).

 

Torah, viene tradotto generalmente con Legge, anche se nell’accezione che ha questo termine nelle nostre lingue occidentali, risulta piuttosto riduttivo. Abbiamo della legge un concetto piuttosto esteriore e spesso negativo, mentre per Israele essa è la strada della vita e della salvezza. Obbedirvi è benedizione e benessere, non limitazione, ma esperienza di libertà. Indi i primi cinque libri delle Scritture d’Israele: Genesi, esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio. Purtroppo le interpretazioni che i rabbini vi hanno aggiunto nei secoli hanno potuto a volte dare quest’impressione di “soffocamento”, ma “da principio non era così”.

 

h.S. , abbreviazione che sta per historia Salutis, storia della Salvezza, ossia quegli interventi diversi e diversificati di Dio nella storia dell’umanità dalla creazione, e poi d’Israele, dalla chiamata di Abram, che culmine nella venuta, passione, morte e risurrezione del Figlio, la sua Ascensione e la discesa dello Spirito.E’ la storia di Dio con l’umanità: sempre più vicino, presente, fino ad entrare in essa e formare un’unica storia con noi.

 

LXX, questo numero romano, settanta, indica la più famosa e usata traduzione e raccolta delle Scritture d’Israele, in lingua greca, composta dal III° sec fino al 50, circa, a. C. Le traduzioni hanno pregio diverso da libro a libo e inoltre vi troviamo libri che la Bibbia ebraica non conosce come la Sapienza e il Siracide, che la tradizione cristiana ha poi accolto nel suo canone.Viene indicata con questo nome perché la tradizione parla di settanta saggi ebrei che tradussero in diversi luoghi la Scrittura in greco dall’ebraico, senza consultarsi e ne risultò un testo identico, come ad alludere alla certezza dell’ispirazione divina su questo testo. Di certo questa traduzione avvenne per andare incontro a molti ebrei che, residenti fuori d’Israele non conoscevano più l’ebraico. Probabilmente è avvenuta ad Alessandria d’Egitto, in buona parte.

 

Testo Masoretico, comprende i libri delle Scritture d’Israele giunti a noi in diversi manoscritti, che i masoreti (dall’ebraico masora, siepe), manoscritti che datano tra il IX° e il XIV° sec. della nostra era. Si tratta chiaramente di trascrizioni da testi più antichi, anche se gli ultimi ritrovamenti archeologici ci hanno consegnato testi ancora più lontani del tempo con espressioni o brani interi discordanti dal testo che i masoreti codificarono, con l’intento di porre una siepe, una protezione attorno alla Scrittura.

 

Midras' "Gen Rabbah", è una spiegazione in forma di racconto, di aneddoti simpatici e che possono apparire piuttosto fantasiosi, soprattutto a noi occidentali che ragioniamo a idee “chiare e distinte”. Midras’deriva dalla radice “spiegare” e ce ne sono molte di queste “spiegazioni” per ciascun libro della Torah e dei Profeti. Del libro della Genesi una di queste, è detta “Grande”, appunto Rabbah, ed è quella a cui ci si riferisce nel testo.

 

problema del "Filioque", è quell’ostacolo teologico rimosso, almeno a livello concettuale, pochi anni fa, che divideva la Chiesa Cattolica da quelle d’Oriente. In realtà è pressoché soltanto una “questione di parole”, in quanto le nostre due tradizioni hanno modi diversi per spiegare la comunque misteriosa vita della Trinità. Nella tradizione cattolica diciamo nella Professione di fede: Credo lo Spirito Santo … che procede dal Padre e dal Figlio (in latino Filioque); nella tradizione Orientale dicono “che procede dal Padre attraverso il Figlio”. Come si vede siamo alle sottigliezze, per di più su un mistero di cui così poco possiamo dire …

 

parenesi, è un termine greco che significa pressoché esortazione, almeno nel contesto delle strutture delle lettere paoline, dove si riassume sotto questo termine la seconda parte di ogni lettera, o almeno gli ultimi capitoli, dove Paolo, dopo aver esposto i fondamenti della fede, esorta, appunto a vivere di conseguenza ad essi nella vita di ogni giorno.

 

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