Lo spazio del guerrigliero culturale
politicamente scorretto
di Falco
Walter Veltroni è un personaggio che sembra uscito dalla penna di un fine umorista, potrebbe averlo inventato Guareschi, a tal punto si presenta come la perfetta incarnazione del diessino che per non voler essere comunista si è scoperto radical-chic.
Una delle cattive abitudini che Veltroni ha contribuito a diffondere nella sinistra ed un po’ in tutto il panorama politico italiano, è quella di straziare la nostra povera lingua nazionale che già per conto suo avrebbe assai poco bisogno di un simile trattamento, con un massiccio uso di neologismi e di anglicismi, è probabilmente in questo, in un’americanofilia almeno linguistica che sembra voler fare da contrappasso alla russofilia di un tempo, che si esprime il famoso kennedismo di Veltroni, non certo in termini politici, poiché fino a prova contraria, come ho già spiegato altre volte, John Kennedy fu forse uno dei presidenti degli Stati Uniti più determinati nell’opporsi al comunismo mondiale ed all’espansione planetaria dell’Unione Sovietica.
Uno degli ultimi anglicismi diffusi da Veltroni, quasi che "l’idioma gentil, sonante e puro" fosse inidoneo ad esprimere i concetti della politica moderna, è stato all’ultimo congresso dei DS quell’ "I CARE" che ha lasciato sbalorditi i delegati, che si sono chiesti se non vi fosse un errore di stampa, e si dovesse leggere I CARI oppure LE CARE (ovviamente senza sapere i cari o le care che cosa).
In realtà, in inglese "I care" significa "Ne ho cura", "Mi preoccupo".
Di motivi di preoccuparsi, dopo le ultime elezioni europee e le ultime amministrative, i DS ne hanno parecchi, e speriamo in futuro di dargliene sempre di più.
Un altro anglicismo che negli ultimi tempi, per opera non solo di Veltroni, ha avuto una grande diffusione, è politically correct, ed è una cosa imbarazzante, perché i molti che lo usano - dato che è un vizio diffuso non solo dei politici, quello di parlare facendo finta che vi sia un contenuto dietro le parole - nutrono un vago sospetto che esso debba significare qualcosa di più specifico della sua traduzione letterale italiana, "politicamente corretto", ma che cosa, Dio solo lo sa!
Negli Stati Uniti, l’essere politically correct significava in origine il non manifestare intolleranza o pregiudizi nei confronti delle numerose minoranze razziali, etniche, religiose che formano il cocktail americano. Con l’andare del tempo, il politically correct è diventato una vera ossessione, non si può girare un film, uno spot pubblicitario od un video-clip senza che fra gli interpreti vi sia la debita quota di afroamericani, israeliti, omosessuali e via dicendo.
Tra i grandi maestri dell’utopia negativa, si nominano di solito George Orwell, Aldous Huxley, Karel Capec, Evgenij Zamyatin, è raro che ci si ricordi di menzionare Ray Bradbury, eppure la sua previsione in Fahrenheit 451, romanzo portato sullo schermo da François Truffaut, è probabilmente la più azzeccata e profetica, già parecchi anni fa egli aveva intuito l’attuale tendenza al politically correct e le sue conseguenze. In una società in cui si moltiplicano le minoranze etniche, religiose, culturali, politiche, diventa sempre più difficile scrivere due righe senza offendere qualcuno. Alla fine, la "tollerante" democrazia americana si trasforma in una feroce tirannide nella quale l’alfabetismo è illegale ed i libri vengono bruciati (451 gradi fahrenheit è appunto la temperatura alla quale brucia un libro).
Un paradosso atroce per i sostenitori del politically correct, ma singolarmente profetico; oltre tutto, il problema dell’analfabetismo di ritorno, di quanti una volta terminate le scuole, in questo mondo di invadenti programmi televisivi e di massicce comunicazioni telefoniche, oggi anche sotto forma di proliferanti telefonini cellulari, perdono ogni familiarità con la parola scritta, è un problema sempre più grave in America ma anche in Europa.
Qui da noi, tutto quanto arriva dagli Stati Uniti è enfatizzato, esagerato e deformato dal fatto stesso di venire a piovere su di una cultura parzialmente omologata.
Consideriamo soltanto che cosa significa nel nostro contesto il diluvio di modelli politically correct che ci viene riversato addosso quotidianamente dai mass-media nella moda, nello spettacolo, nello sport, nella musica, nei film, negli spot pubblicitari e quant’altro, che pare quasi che ci sia da vergognarsi ad avere la pelle bianca.
Negli Stati Uniti non si tratta che di prendere atto di una situazione esistente, gli Stati Uniti sono una terra d’immigrazione fin dalle loro origini, non esiste una cultura nativa da preservare se non limitatamente a quelli che chiamiamo impropriamente pellirosse, e che oggi giustamente rivendicano il nome di Americani nativi (1).
Se non altro, se gli Stati Uniti hanno il problema della minoranza afroamericana, è perché questo problema se lo sono andato a cercare, gli antenati degli afroamericani non sono immigrati negli Stati Uniti di loro spontanea volontà, ma vi sono giunti in catene nelle stive delle navi negriere.
Molto diversa è la cosa per l’Italia e per l’Europa, dove semmai il politically correct è il tentativo di presentarci come un dato di fatto o di prospettarci come un avvenire desiderabile quella che è invece una possibilità in divenire, ma in sostanza un pericolo, una minaccia. In sostanza ci si vorrebbe far digerire anticipatamente la pillola amara di una società multietnica che stravolgerebbe l’assetto etnico e culturale delle nazioni europee in conseguenza di un’immigrazione extracomunitaria incontrollata perché non la si vuole controllare.
In uno dei miei precedenti interventi avevo riferito il giudizio di un mio conoscente, una persona di sinistra con la quale l’antipatia per la Chiesa cattolica rappresenta praticamente l’unico argomento su cui ci troviamo d’accordo, secondo cui la Chiesa avrebbe un atteggiamento favorevole all’immigrazione extracomunitaria perché solo fra persone provenienti dalle regioni culturalmente più arretrate del nostro pianeta può ancora trovare di che riempire i seminari.
Onestamente, sono convinto che le ragioni della Chiesa cattolica siano più profonde e meno opportunistiche di queste, o semmai opportunistiche ad un livello meno grossolano. Io credo che probabilmente qui si tocchi una delle grandi contraddizioni della religione cristiana, della civiltà europea, del rapporto dell’uomo con quel qualcosa d’indefinibile che si può chiamare sacro.
Per un credente di qualsiasi religione non può esistere un’autorità superiore a quella di Dio e per traslato, di coloro che egli ritiene Lo rappresentino su questa terra, ma dal punto di vista della società civile la religione è un’opinione a cui se ne possono affiancare cento altre, le altre religioni od anche l’assenza di questo tipo di convinzioni. Si stabiliscono due ordini di fedeltà, sovente in equilibrio ma spesso in conflitto: uno verticale ma coscienziale ed interiore, l’altro orizzontale ma pubblico, civile. Il cristianesimo è molto netto da questo punto di vista, la dimensione pubblica, sociale dell’eticità, i legami di sangue, di cultura, di tradizione che congiungono le persone le une alle altre nel momento storico ed attraverso le generazioni, la tradizione, la , la civitas, la nazione, tutta la realtà umana nella quale la religione classica era profondamente radicata, per il cristianesimo sono il mondo a cui il cristianesimo si oppone e che dichiara follia.
Il conflitto fra il mondo romano ed il cristianesimo fu il conflitto fra due mondi e due modi di concepire l’uomo inconciliabili. La politica della Chiesa cattolica è sempre stata quella d’indebolire le realtà nazionali. In un mondo indifferenziato in cui nazioni etnie e culture fossero dissolte in una poltiglia multietnica, essa avrebbe buon gioco, poiché solo nella dimensione interiore, coscienziale, nel rapporto con Dio ed i suoi mediatori autorizzati, l’individuo potrebbe ancora trovare i puntelli del suo essere e del suo agire; è già successo nella tarda antichità con le conseguenze che tutti conosciamo.
Il cristianesimo è da due millenni per l’Europa una sorta d’infezione cronicizzata che oggi torna ad essere virulenta.
Chiarito che l’immigrazione extracomunitaria rappresenta un fenomeno estremamente pericoloso per la sopravvivenza delle etnie e delle culture europee, che l’Europa deve scoraggiare con tutti i mezzi, in ogni stato europeo e segnatamente in Italia esistono minoranze etniche, linguistiche, culturali che hanno una presenza secolare, non dovremmo essere politicamente corretti nei loro confronti?
Io credo che l’unità politica dell’Europa si dovrebbe realizzare nei tempi più rapidi possibile, anche perché soltanto facendo fronte comune gli Europei hanno una speranza di resistere alla valanga mondialista, ma credo anche che all'unità europea l’Italia debba arrivare in condizioni di pari dignità, non d’inferiorità, con le altre nazioni europee, che la nostra identità nazionale vada tutelata, non sperperata, in attesa di conferirla nel comune patrimonio europeo.
In Italia le minoranze etniche e linguistiche godono di abbondanti forme di tutela, ed in alcuni casi si può parlare addirittura di un ingiusto privilegio ai danni della maggioranza italiana, due esempi sono lampanti in questo senso: i Tedeschi dell’Alto Adige e gli Sloveni del Friuli Venezia Giulia.
In Alto Adige la minoranza di lingua tedesca è riuscita ad imporre una legislazione che fa a pugni con quella italiana, a cominciare dalla famigerata dichiarazione di appartenenza etnica che è in stridente contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, ad imporre una sorta di apartheid nei confronti degli Italiani della provincia di Bolzano, un apartheid tanto più inaccettabile e vergognoso, quanto più, appunto, ci s’incammina verso un’integrazione anche politica del nostro continente. Nel Friuli Venezia Giulia la minoranza slovena non fa che sollecitare nuove leggi di tutela e nuove provvidenze a getto continuo, con l’obiettivo mica tanto mascherato di accaparrarsi tutto il pubblico impiego della regione, nel contempo continua a rifiutare qualsiasi ipotesi di censimento che non potrebbe che metterne in luce l’inconsistenza numerica.
Come si è arrivati a questa situazione, non è certo un mistero, queste minoranze etniche sono divenute delle lobby importanti nel sistema di finta democrazia creato nel dopoguerra dalla Democrazia Cristiana, ed oggi tenuto in vita ed utilizzato dai sedicenti ex comunisti. Quelli che oggi si chiamano i DS hanno fatto parte fino ad ieri di un’organizzazione sovranazionale, l’Internazionale Comunista, tendente per sua natura, esattamente come la Chiesa cattolica, ad umiliare e mortificare il principio di nazionalità.
Non so e non m’interessa sapere se questo sia politicamente corretto o scorretto, ma io continuo e non mi stancherò di difendere l’italianità, con la parola se non ho altre armi.
In quest’anno di grazia 2000, che vede la città di Roma ospitare in sorprendente sintonia con il giubileo la manifestazione internazionale del Gay pride, "l’orgoglio omosessuale", diventa quasi impossibile non menzionare un’altra specie di minoranza, la minoranza sessuale che del pari reclama "correttezza politica" e visibilità.
L’omosessualità è sempre stata presente in tutti i tempi e in tutte le culture, è indubbiamente un modo di manifestarsi dell’eros umano, e sarebbe ridicolo pensare a repressioni o discriminazioni, ma è ancor più assurda la propaganda e l’esaltazione di questo fenomeno in un’Europa ed ancora di più in un’Italia disperatamente a corto di figli, così come è assurdo estendere alle coppie omosessuali quelle forme di riconoscimento giuridico e di provvidenze sociali (dalle detrazioni fiscali all’edilizia popolare) che la società accorda alle famiglie eterosessuali in ragione della tutela della prole (2).
Sembra che in Italia abbiamo davvero il dono di stravolgere tutto, e così politically correct ha assunto nel gergo dei nostri politici un significato completamente diverso da quello dei rapporti con le minoranze ed ugualmente più specifico del generico concetto di correttezza politica che risulterebbe da una sua traduzione letterale, in questo caso, più che di un anglicismo si tratta di un d’Alemismo. Secondo il pensiero più volte manifestato dal Massimo nazionale, che non ha mai perso l’occasione di accusare di scorrettezza l’opposizione di centrodestra, esso significherebbe che maggioranza ed opposizione dovrebbero litigare su tutto ma andare d’amore e d’accordo nello stabilire le regole del confronto, a cominciare dalla legge elettorale.
Sarebbe un discorso accettabile SE (ed è un se grosso come un macigno) la maggioranza non mostrasse ad ogni piè sospinto di voler togliere all’opposizione ogni spazio per esprimersi, come si è visto chiaramente con quella mostruosità che è la legge sulla par condicio. Con quale faccia ci possono pugnalare e poi venire a chiedere la nostra collaborazione? E’ un’ipocrisia tanto più meschina in quanto non inganna nessuno.
E’ un gioco assurdo, ma che si spiega sulla base di un precedente: la Costituzione varata nel 1948 è in ogni sua riga il frutto di un faticoso compromesso fra comunisti e democristiani, ad esempio l’art. 1, "L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro", nasce dall’edulcorazione della formula proposta dal PCI, "L’Italia è una repubblica dei lavoratori", e sappiamo bene cosa significasse "stato dei lavoratori" nel gergo comunista di allora. Stesso discorso per lo stemma dello stato: perché mai esso debba essere una stella a cinque punte bordata di rosso sovrapposta ad una ruota dentata (più le immancabili e profetiche fronde di quercia e di ulivo), lo si capisce considerando che i comunisti avevano proposto una stella rossa piena e due simboli del lavoro molto più connotati ideologicamente della ruota dentata, la falce e il martello, e penso che tutto ciò sia molto rivelatore di quali auspici hanno presieduto alla nascita della repubblica italiana. E’ ovvio che i comunisti sapessero bene di non avere quella maggioranza dei due terzi che gli avrebbe consentito di imporre la loro volontà in materia costituzionale, ma la loro filosofia al riguardo era: "intanto, ci provo", così come ci provano oggi.
Un concetto oggi indiscutibile a meno di non voler compiere proprio un’enorme scorrettezza politica, è quello di democrazia, tuttavia occorre osservare che questa parola, come è usata oggi in Italia, presenta un fortissimo margine di ambiguità.
In quasi tutto il mondo occidentale, "democrazia" significa governo rappresentativo, sovranità popolare, libertà di espressione, rispetto per i diritti umani, è il pensiero della scuola liberale. Secondo un’altra scuola ancora oggi prevalente in Italia, quella di sinistra, "democratico" sarebbe (guarda un po’) una specie di sinonimo di "di sinistra", vale a dire che questa parola è impiegata come una sorta di autolegittimazione. Questo è un autentico abuso, un abuso doppio perché permette alla sinistra di accaparrarsi senza alcuna corrispondenza con la situazione reale, le connotazioni positive, i sentimenti di approvazione che suscitano il rispetto dei diritti umani e la libertà di espressione.
Questo è un inganno spudorato e vergognoso. Qual è stata nel XX secolo la maggiore fonte di oppressione, di violazione dei diritti umani, di persecuzione e sterminio fisico dei dissidenti, di deportazioni e di genocidi? Qual è stata la fonte quasi esclusiva di questi orrori a partire dal 1945? Il comunismo, la tirannide con la bandiera rossa, e di che colore sono le superstiti tirannidi che ancora affliggono questo pianeta, come la cubana e la cinese?
Il filosofo Karl Popper ha dato nel saggio La società aperta e i suoi nemici una definizione della democrazia che mi sembra ineccepibile: "La democrazia è quel regime che consente ai cittadini di cambiare le forze politiche al governo con mezzi non violenti e previsti dal sistema".
Rifletteteci un momento. Vi sembra che questa definizione corrisponda, sia pure parzialmente, alla situazione italiana? Non è forse vero che siamo afflitti ormai da mezzo secolo di centrosinistra? Non è forse vero che gli Italiani hanno già chiaramente sconfessato questo regime nel ’93, dando luogo ad una breve esperienza di centrodestra subito ribaltata da un vergognoso "golpe parlamentare"? Non è vero che lo sconfessano oggi e che la "maggioranza" su cui si regge il governo non ha totalizzato più di un terzo dei consensi nel Paese alle recenti elezioni amministrative? E non è forse vero che queste chiare manifestazioni di volontà popolare non hanno minimamente modificato il sinistro regime che ci opprime, e che è solo una finzione di democrazia?
Accanto alle parole di Popper si potrebbero mettere quelle di J. G. Fichte: "Il regime più radicalmente ingiusto è quello che rifiuta per principio di modificarsi". E non è forse vero che secondo il pensiero liberale, la libertà di opinione è uno dei capisaldi, una delle condizioni di base per un’effettiva democrazia, e che il nostro ordinamento sedicente democratico contempla il reato di opinione attraverso una serie di leggi liberticide via via inasprite negli anni, le leggi Scelba, Reale, Mancino?
Oltre a ciò, la nostra sedicente democrazia ha mantenuto in vigore ed applicato un codice penale concepito in età fascista ma che ormai ha una "anzianità di servizio" più che doppia sotto la repubblica cosiddetta democratica che sotto il regime fascista, il codice Rocco, che prevede varie fattispecie di reati di opinione e di associazione. Anni fa, sulla base di questa normativa, fu sciolto d’autorità il movimento Ordine Nuovo di Clemente Graziani, colpevole del reato di "cospirazione mediante associazione". Uno stato sedicente democratico che fa questo, si presta ad un giudizio morale peggiore di quello che si può dare di una dittatura dichiarata, perché ciò significa che esistono due categorie di cittadini, quelli "con l’etichetta rossa" e quelli "con l’etichetta nera" ai quali si applicano leggi differenti.
Riassumendo e concludendo il nostro discorso, se essere politicamente scorretto significa:
mantenere la propria indipendenza di giudizio,
opporsi alla valanga multietnica che minaccia di travolgere l’Europa, i suoi popoli, la sua cultura,
difendere l’italianità sempre e comunque,
difendere la libertà contro la falsa democrazia della sinistra,
allora, io rivendico il diritto di essere politicamente scorretto.
NOTE
Come sia avvenuto che i Nativi americani siano divenuti una minoranza nella loro terra, questo lo sappiamo tutti, anche se è raro che ci si soffermi sul fatto che i cinque milioni di Amerindi massacrati dagli yankee nel corso del XIX secolo rappresentano una cifra dello stesso ordine di grandezza nella brutalità dei sei milioni di ebrei che si ritiene siano stati vittime del nazismo, senza contare che oggi esiste una scuola di storici "revisionisti" che mettono in dubbio l’entità, le modalità od addirittura l’esistenza stessa dell’"olocausto" attribuito al regime hitleriano. Al contrario, un dato che nessuno contesta, è che agli inizi del XIX secolo vivevano delle Grandi Pianure di quelli che oggi sono gli Stati Uniti cinque milioni di Americani nativi e che alla fine dello stesso secolo, poco più di tre generazioni più tardi, i loro discendenti erano ridotti a non più di duecentomila superstiti rinchiusi nelle riserve che erano dei veri e propri campi di sterminio, concepiti per dare al popolo amerindio una morte lenta, silenziosa ed "indolore" attraverso la malnutrizione e le malattie. I Nativi americani sono stati brutalmente perseguitati e massacrati, e si è fatto ogni tentativo possibile per cancellare ogni traccia della loro cultura e della loro esistenza. E’ documentato che nel corso di tutte le cosiddette "guerre indiane" e che più propriamente si dovrebbero chiamare cacce all’uomo, la valorosa cavalleria degli Stati Uniti, nonostante i fucili a ripetizione, era assai poco incline ad accettare lo scontro con i guerrieri, ma preferiva assalire gli accampamenti e massacrare donne e bambini inermi. Basta andare a rileggere le cronache allucinanti di eccidi come quelli di Wounded Knee o del fiume Sand Creek per rendersi conto che la ferocia delle "giacche blu" non aveva proprio nulla da invidiare a quella che si è soliti attribuire alle SS.
Cosa dire della lunga serie di trattati sottoscritti dal governo degli Stati Uniti con le tribù native al solo scopo di poterli violare, dell’inganno, della malafede, dell’ipocrisia con cui poco per volta si tolse ai nativi d’America la loro terra da sotto i loro piedi?
Coloro che oggi pretendono di insegnare al mondo la democrazia, la libertà, il rispetto dei diritti umani, che si arrogano addirittura arrogantemente il diritto di porsi alla guida del pianeta, se guardano alla loro storia non possono trovare altro che motivi di vergogna.
(2) Nei giorni immediatamente precedenti la conclusiva manifestazione romana del Gay pride dell’otto luglio, si è diffusa la notizia che la più grande "democrazia popolare" del mondo, la Cina, ha deciso di festeggiare la ricorrenza a modo suo, arrestando trentasei omosessuali cinesi che saranno verosimilmente condannati a lunghe pene detentive (In Cina l’omosessualità è considerata un reato). Si fosse levata una sola voce di protesta dai rappresentanti di una sola delle organizzazioni gay, tutte rigidamente di sinistra, le stesse che non ci hanno risparmiato fiumi di esternazioni indignate per un’uscita poco felice del Vaticano! Essere di sinistra significa essere solidali con chi sabota tutte le cause che si proclama di voler sostenere, dalla tolleranza delle diversità, alla tutela dell’ambiente (chi fa finta di non ricordare che il peggiore dei disastri ecologici in grande stile che hanno afflitto questo pianeta, l’incidente nucleare di Chernobyl, ce l’ha regalato l’Unione Sovietica come dono d’addio giusto prima di scomparire?) alla non proliferazione nucleare (Senz’altro ricorderete, qualche anno fa, mentre la sinistra mondiale si accaniva contro la Francia per un test nucleare (il collaudo peraltro di una testata nucleare tattica) nell’atollo di Mururoa, contemporaneamente, nulla essa trovava da ridire sull’ennesima, e di ben maggiore portata, esplosione nucleare compiuta dai Cinesi nella già devastata regione del Lop Nor). Per nulla dire della più "classica" causa della sinistra, quella delle classi lavoratrici. In quale altra società industriale moderna i lavoratori sono stati trattati peggio che nei Paesi cosiddetti socialisti? Dove altro hanno vissuto nelle stesse condizioni di miseria, e del tutto privi di diritti vuoi politici vuoi sindacali?
Diciamolo fuori dai denti una volta per tutte: dichiararsi di sinistra è esattamente la stessa cosa che proclamarsi imbecille!
Falco
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