Lo spazio del guerrigliero culturale
Un inverno raggelante
Prima di esporre una valutazione politica sugli ultimi eventi di quest’inverno che segna il trapasso fra un millennio e l’altro, sarà forse opportuno non perdere l’occasione per una nota di costume. Onestamente non è difficile percepire la grande kermesse di fine millennio da cui sembra che un po’ tutti si siano lasciati contagiare, come qualcosa di fondamentalmente estraneo al nostro modo di sentire. Per la maggior parte dei nostri contemporanei sembra che la storia sia qualcosa che non li riguardi, un ninnolo del passato da lasciare a ricoprirsi di polvere in un armadio o nel fondo di un cassetto, da tirare fuori solo in certe occasioni speciali spolverato e lucidato, possibilmente in coincidenza con date con tanti zeri, e di solito ritmate secondo la logica mediatica, spettacolare e consumistica che ormai caratterizza in senso negativo la nostra cultura sempre più americanizzata.
La storia non è questo, la storia è continuità nel tempo, il passato che continua nel presente e si prolunga verso il futuro, del quale noi stessi facciamo parte, e che dobbiamo conoscere per comprendere il senso delle nostre vite.
Doppiata, per così dire, tra il festaiolo e l’apocalittico la boa del duemila senza che nessuna delle apocalissi annunciate si sia verificata, nemmeno il temuto millennium bug, il grande avvenimento di questo trapasso di millennio è piuttosto il grande giubileo, per il quale è stato previsto l’arrivo a Roma di sedici pellegrini per metro quadrato. Non toccherebbe a me dirlo, ma mi chiedo quale significato possa mai avere una religiosità che assume forme così mediatiche e spettacolari, così lontana da quel soliloquio interiore raccomandato ad esempio da sant’Agostino come mezzo per raggiungere la verità.
In termini strettamente economici, c’è da chiedersi se il giubileo con il relativo afflusso di pellegrini (fingiamo che possano chiamarsi così, come quelli che nel Medio Evo affrontavano fatiche e rischi, e viaggi allora interminabili, questi moderni turisti dello spirito avvezzi a muoversi e ad alloggiare con il massimo comfort) compenseranno le spese monumentali fatte nel frattempo, o se si ripeterà l’esperienza di Italia ’90, i campionati mondiali di calcio che dieci anni fa non ripagarono i costi dei lavori faraonici e spesso inutili allora intrapresi per ospitarli, e si risolsero con una perdita secca ed ingente per le nostre finanze.
In questo scorcio del nuovo anno, la politica registra due novità: il rimpastino che ha portato il governo D’Alema a trasformarsi in D’Alema – bis ed il primo congresso dei DS.
La crisi, sfortunatamente di breve durata, è stata determinata dall’uscita dalla maggioranza del cosiddetto trifoglio – il gruppo comprendente Cossiga, i socialisti di Boselli ed i repubblicani di La Malfa – che ha abbandonato la coalizione di governo per protesta contro il cosiddetto decreto sulla par condicio, riconoscendolo per quello che è, una legge liberticida volta a tappare la bocca all’opposizione, vietando in pratica che si parli di politica dalle reti Mediaset.
Il modo in cui la crisi si è risolta con l’ingresso nella compagine governativa dell’UDEUR di Mastella è di per sé una vergogna scandalosa che dimostra quale concetto gli eredi del comunismo abbiano della sovranità popolare.
Per prima cosa, notiamo che dopo la sua seconda metamorfosi, il governo delle sinistre ha una maggioranza sempre più risicata e sempre più difforme dal mandato conferitogli dal corpo elettorale.
E’ probabile che molti nemmeno sappiano cosa diavolo sia quest’UDEUR che ha fatto da sponda (striminzita) alla coalizione di sinistra.
Rientrato nella politica attiva dopo la conclusione del suo mandato presidenziale, Francesco Cossiga diede vita ad una formazione politica, l’UDR (Unione Democratica Repubblicana) arruolando una piccola pattuglia di ex democristiani, ex leghisti, ex Polo. Fra questi, Clemente Mastella, staccatosi dal CCD cui aveva dato vita assieme a Pier Ferdinando Casini, e dal Polo, divenne il segretario della nuova formazione. In seguito, in contrasto con Mastella, l’ex presidente della repubblica abbandonò la sua creatura assieme ad un piccolo manipolo di "cossighiani puri", e Mastella mutò il nome del partitino che aveva ereditato in UDEUR (Unione Democratica Europea), non male i cambiamenti di quest’uomo, dalla DC al Polo, a vice di Cossiga, a scheggia democristiana riassorbita dall’Ulivo.
Ma la cosa veramente scandalosa è la maniera con la quale Mastella ed i suoi hanno rimpolpato i loro ranghi, ed è solo questo che ha permesso loro di dare un contributo determinante alla comunque risicatissima maggioranza parlamentare, una vera e propria campagna acquisti tra i deputati ex leghisti a suon di milioni. Pare che il prezzo di un deputato per passare all’UDEUR sia di 200 milioni (Immagino che per un senatore esso sia più alto). La coscienza degli uomini che Bossi ha portato a sedere nel parlamento nazionale vale meno di un appartamento, e Clemente Mastella ed i suoi soci fra i quali nel lavoro di procacciatore di voti si è distinto Claudio Bagliani, che sembra aver ereditato il ruolo di politico-discotecaro che già fu di Gianni De Michelis, ed il cui unico merito politico sembra essere quello di essere quasi omonimo, tranne che per una vocale nel cognome, di un noto cantante: una pratica vergognosa di trasformismo da fare schifo alla memoria di Agostino Depretis, ed in una qualsiasi democrazia normale un governo come il D’Alema bis, già consapevole che la maggioranza parlamentare che lo sorregge non trova riscontro nel paese, di fronte alla divulgazione di una simile prassi scandalosa, sarebbe stato costretto a dimettersi prima ancora di essere stato costituito.
Ma al di là dello spaventoso livello di degenerazione morale che questa situazione dimostra, sarebbe il caso di cominciare ad impostare un discorso in termini politici. Otto anni fa, nel 1992, l’introduzione del sistema elettorale maggioritario in luogo del proporzionale fu salutata da quasi tutte le forze politiche come un toccasana che avrebbe risolto tutti i problemi.
Fra le poche voci fuori dal coro che avversarono questo provvedimento, vi fu quella del Movimento Sociale – Fiamma Tricolore. Oggi bisogna ammettere che il Movimento Sociale aveva ragione e gli altri, perlomeno quelli che hanno sostenuto il sistema maggioritario in buona fede, torto.
In tutta Europa dove nei diversi stati sono presenti l’uno e l’altro sistema o combinazioni variabili di entrambi, è risaputo che il maggioritario non è un sistema equo, che spesso produce situazioni parlamentari distorte rispetto al pronunciamento popolare. I vantaggi dovrebbero essere la chiarezza del quadro politico con lo sfoltimento delle formazioni minori, la possibilità per il cittadino di scegliere chiaramente tra destra e sinistra, la stabilità delle maggioranze parlamentari e dei governi.
E’ palese che la riforma elettorale del ’92 non ha portato all’Italia nessuno di questi vantaggi, in più ci sono degli effetti negativi evidenti ma finora, mi sembra, non adeguatamente considerati. Il mancato utilizzo dei resti comporta che chi è forte in un determinato collegio e magari sconosciuto altrove, si trovi avvantaggiato rispetto ad una personalità di rilievo, nota a livello nazionale ma che non ha un radicamento di consensi in una determinata area; in poche parole, il capetto, il piccolo ras locale la vince facilmente sul politologo e l’uomo di cultura. E’ giudizio comune che la nostra attuale classe politica sia più provinciale e più incompetente rispetto a un decennio fa.
Lo stesso discorso che vale per i singoli, vale per i partiti, anche qui il radicamento locale la vince su di una presenza minoritaria ma diffusa a livello nazionale. Siamo certi che più Lega Nord, più Union Valdotaine, più Sudtiroler Volkspartei, più Unione Slovena siano ciò di cui l’Italia ha bisogno? Io credo che l’Italia potrebbe solo beneficiare di una riduzione del peso di queste formazioni politiche.
Si potrebbe fare un passo più in là, azzardando un’ipotesi forse ardita ma non infondata, che alla base dell’introduzione del sistema elettorale maggioritario vi fosse un disegno più complesso di quanto può sembrare a prima vista, che avrebbe dovuto portare ad un ridisegnamento degli equilibri italiani funzionale agli interessi dell’allora PDS: ad una sinistra dominata dagli ex comunisti, avrebbe dovuto fare da contraltare una "destra" addomesticata o addomesticabile che avrebbe garantito, in caso di vittoria della sinistra un’opposizione "morbida" e in caso di sua vittoria la prosecuzione di quel rapporto di "democrazia consociativa" già instaurato con la vecchia DC.
I leader di questa "destra" sarebbero dovuti essere probabilmente Mario Segni cui il patto referendario aveva attribuito un consenso consistente ma rivelatosi meteorico, e Francesco Cossiga. Mario Segni, come molti altri "figli d’arte" in politica e altrove, è probabilmente un uomo che si è trovato a recitare un ruolo più grande di lui, e Francesco Cossiga si è dimostrato una sorta di variabile incontrollabile le cui mosse nessuno riesce a prevedere. Ciò di cui in definitiva questo piano non teneva conto, era l’esordio sulla scena politica di Silvio Berlusconi e di Forza Italia, e che Alleanza Nazionale si sarebbe allargata ben oltre il bacino elettorale del vecchio MSI, in altre parole la nascita del Polo delle Libertà, una destra reale e non di comodo.
Che vi fosse almeno un’intenzione in questa direzione, è testimoniato da alcuni articoli apparsi sull’Espresso nel periodo ‘92-’93 nei quali si distingue fra la destra "rispettabile" di Segni e Cossiga e la destra "non rispettabile" di Berlusconi e Fini.
A parte il fatto che questa abortita "destra rispettabile" era costituita per intero da avanzi riciclati della vecchia DC, tutto ciò dimostra il persistere della mentalità leninista nella sinistra che, mentre si proclama democratica per autodefinizione, dimostra un sovrano disprezzo per l’effettiva volontà popolare.
La passione per il maggioritario è stata per così dire inoculata nel Polo soprattutto dai radicali. Ora, per quanto riguarda Pannella ed i radicali, bisogna essere cauti: contrasti fra quanti si oppongono alla marea montante dell’Ulivo, è l’ultima cosa che possiamo augurarci per il bene dell’Italia, ma i radicali, diciamolo senza vis polemica come una semplice constatazione; mondialisti, abortisti, antimilitaristi, favorevoli alla legalizzazione degli stupefacenti, il loro DNA politico non è quello della destra.
Gli avvenimenti che hanno portato al D’Alema bis a cominciare dalla compravendita dei deputati, possono nausearci ma non possono sorprenderci. L’altra grande novità di questo primo scorcio di millennio è stata il primo congresso dei DS, il primo – s’intende – dopo la perdita della "P", dato che questa formazione nata dalle ceneri del PCI esiste ormai da un decennio .
"La cosa", "La cosa 2", "PDS" poi "DS" senza la "P", "I democratici", "L’Ulivo", "L’Ulivo 2", "L’asinello". Questa fioritura di sigle, simboli e definizioni testimonia la difficoltà persistente degli ex comunisti a darsi un’identità credibile, ma anche la volontà di annettersi surrettiziamente quanto più spazio possibile dell’area moderata.
La star di questo congresso è stato certamente il segretario dei DS Walter Veltroni che dal palco se n’è uscito con dichiarazioni che hanno destato una certa sorpresa, come l’affermazione esplicita che il comunismo era incompatibile con la democrazia.
Considerato da quale pulpito viene la predica, il dubbio che viene è se Veltroni via un ingenuo che ha sbagliato partito oppure un furbo di tre cotte che vuole dare ad intendere che quelli che oggi si definiscono democratici di sinistra si siano del tutto liberati dall’eredità comunista, ma non credo che un ingenuo sia potuto diventare segretario del primo partito della sinistra italiana, sia pure come proconsole di D’Alema.
Veltroni si è più volte definito "un kennediano". Fosse vero, cosa ci faceva un kennediano nel PCI? Non è piuttosto un tentativo di appropriazione indebita nei confronti di uno degli uomini politici più stimati ed amati del XX secolo?
La differenza fra Repubblicani e Democratici, fra "destra" e "sinistra" negli Stati Uniti consiste soprattutto nella quota del bilancio federale che l’uno o l’altro schieramento decide di destinare all’assistenza sociale, e ben poco altro. La famiglia Kennedy è sempre stata legata al partito democratico per motivi per così dire etnici, essendo irlandesi e cattolici, mentre tradizionalmente il partito repubblicano è il partito degli anglosassoni protestanti, ma sul terreno della politica estera John Kennedy è stato un fervente anticomunista non meno, casomai più dei presidenti che l’hanno preceduto e seguito.
Ricordiamo il suo orgoglioso "Ich bin ein Berliner", "Io sono un berlinese", che significava il pieno appoggio americano all’autonomia di Berlino ovest contro i tentativi annessionistici da parte della DDR. Ricordiamo l’episodio della Baia dei Porci, l’appoggio dell’amministrazione Kennedy al tentativo, purtroppo fallito, degli esuli cubani di rovesciare la dittatura comunista di Fidel Castro. Ricordiamo la crisi dei missili di Cuba, in cui Kennedy arrivò a rischiare un terzo conflitto mondiale pur d’impedire all’Unione Sovietica di trasformare l’isola caraibica in una piattaforma dalla quale puntare le proprie testate nucleari direttamente contro il cuore degli Stati Uniti. Ricordiamo che fu proprio Kennedy a dare il via all’intervento americano nel Vietnam del sud, ritenendo in maniera pienamente giustificata che un paese alleato non potesse essere lasciato esposto inerme all’aggressione comunista.
La famosa distensione altro non significava che l’Occidente democratico poteva si convivere pacificamente col modo comunista, ma solo dopo aver dimostrato una volontà incrollabile di non cedere neppure un metro alle mire espansionistiche di quest’ultimo, non certo l’arrendevolezza democristiana che, unita alla furbizia infiltratoria del PCI, ci ha alla fine portati al punto in cui siamo oggi.
Avesse avuto la ventura (la disgrazia) di nascere in Italia, John Kennedy sarebbe stato giudicato un uomo di estrema destra per il suo intransigente anticomunismo.
Quelli che oggi si chiamano i DS hanno superato la loro origine comunista tanto quanto Veltroni è un kennediano, cioè nulla affatto. Cambiare etichetta è semplice e comodo, ma ci sono i mille comportamenti quotidiani, gli abusi, le sopraffazioni, le menzogne grandi e piccole, di cui sulle pagine elettroniche di Samisdat abbiamo dato e continueremo a dare ampio resoconto, a dimostrare che costoro comunisti erano e comunisti sono rimasti. C’è un solo modo per superare veramente l’eredità comunista: cacciare dai palazzi del potere quei signori che si sono dichiarati comunisti fino ad ieri ed ancora dimostrano di essere rimasti tali nei comportamenti e nella mentalità, Veltroni compreso.
Oggi Walter Veltroni non sopporta nemmeno che si continuino a chiamare ex comunisti i "democratici di sinistra", questa è arroganza, oltre che mistificazione.
Mezzo secolo di corretta prassi democratica, oltre che di presenza costante nel parlamento nazionale non è bastato a far accettare il Movimento Sociale Italiano come una normale forza parlamentare, mentre è stata presa per buona la conversione nel giro di una notte alla democrazia occidentale dei sedicenti ex comunisti, eppure se per mezzo secolo l’Italia ha goduto di una relativa ed imperfettissima democrazia occidentale, se vi è stata almeno entro certi limiti libertà nel nostro paese, questo lo si deve ad ogni pietra che ha alzato l’argine alla marea rossa dilagante soprattutto negli anni ’70, i tristemente famosi "anni di piombo", e le pietre poste dal Movimento Sociale e dai suoi giovani sono state particolarmente pesanti ed insanguinate, pietre che portano i nomi di Sergio Ramelli, Mikis Mantakas, dei ragazzi vittime della strage di via Acca Larenzia, le prepotenze subite da parte della teppaglia rossa ed anche da parte di un sistema poliziesco e giudiziario indegno di un paese civile che, sempre e solo contro i giovani di destra, ha contemplato e continua a contemplare il reato di opinione in spregio ai più elementari principi della democrazia.
Tutto questo non è bastato e non basta ad accreditare la Destra nazionale come normale forza politica inserita nel quadro di una democrazia parlamentare agli occhi di un paese profondamente plagiato dalla propaganda di sinistra, laddove quelli che fino ad ieri erano i manutengoli dell’imperialismo sovietico e dell’ideologia più lorda di sangue che la storia umana abbia mai conosciuto, si sarebbero di colpo mutati da iene in agnelli, ed all’improvviso sarebbero divenuti fautori dell’Occidente liberale, "kennediani", un miracolo che nemmeno a Lourdes!
Tanto per dimostrare la lontananza delle parole dai fatti, si può segnalare un episodio francamente marginale, ma che è molto indicativo per i sottintesi che rivela. Il 17 gennaio 2000 il quotidiano televisivo Striscia la notizia ha mandato in onda un breve filmato che la magistratura ha tenuto sequestrato per oltre tre anni con l’alibi delle indagini, sequestro utile in questo caso a tutelare la discutibile onorabilità dell’aggressore, non certo l’interesse della vittima, e che Striscia ha prontamente diffuso appena restituito.
In esso si vede l’attuale presidente del Consiglio ed allora assiso sulla poltrona di segretario dei DS che oggi tiene occupata avendovi piazzato Veltroni come un cappello o un giornale, Massimo D’Alema che il 17 novembre 1996 ha aggredito il corrispondente di Striscia, Salvi che tentava d’intervistarlo. Alle domande, e di semplici domande si trattava, sia pure provocatorie, di Salvi, D’Alema non ha nemmeno risposto facendolo aggredire dai suoi guardaspalle secondo la prassi consueta, comunque incivile, arrogante ed inaccettabile della nostra classe politica avvezza a trattare i cittadini come letame, ma spintonandolo in prima persona, aggiungendo alla classica mentalità da signore del feudo dei nostri politici, anche una vertiginosa e vergognosa caduta di stile. Sotto la patina del politico moderno e forbito, s’intravede senza difficoltà il trinariciuto di guareschiana memoria.
Se coloro che oggi non vogliono più essere chiamati comunisti continuano a mostrare un animo di picchiatori, gli ex democristiani continuano a dimostrare una persistente vocazione alla falsità ed al vittimismo.
Mercoledì 26 gennaio, mentre era in corso la discussione del decreto sulla par condicio, alias il decreto anti – Mediaset, e davanti a Montecitorio si stava svolgendo una manifestazione di Forza Italia contro la conversione in legge di questo decreto volto a tappare la bocca all’opposizione, l’on. Castagnetti neo – segretario del PPI, il partito che è oggi l’erede più diretto della Democrazia Cristiana, ha pensato bene di infilarsi nella manifestazione nella speranza, probabilmente di ricevere qualche spintone e quindi, a buon mercato, oltre alla palma del "martirio" un pizzico di quella notorietà presso il grosso pubblico che ancora non possiede, e poter poi denunciare "un’aggressione" che dimostrasse il carattere "fascista" ed "antidemocratico" dei militanti del Polo.
Nulla di tutto ciò è avvenuto, e Castagnetti è stato scortato indenne fuori dal corteo dal servizio d’ordine di Forza Italia, il che non gli ha impedito di denunciare subito dopo alla Camera l’aggressione sperata e mai avvenuta. Per sua sfortuna, però qualcuno aveva filmato la sua "passeggiata" in mezzo al corteo di Forza Italia, e dal filmato che Silvio Berlusconi ha potuto proiettare alla Camera, è visibilissimo che Castagnetti – Pinocchietti ha potuto attraversare la manifestazione assolutamente indenne.
La RAI, la TV "di stato" (La TV della sinistra pagata col canone versato da tutti i cittadini, e visto quanto essa si dimostra di parte, il canone stesso diventa un’estorsione legalizzata) ha presentato con qualche "forse" e "sarebbe" la notizia dell’aggressione mai avvenuta, mentre i telegiornali di Mediaset non hanno avuto difficoltà a raccontare le cose come sono effettivamente andate, mostrando anche il filmato.
Due episodi marginali, forse, nella tragedia italiana, quello di D’Alema picchiatore e di Castagnetti finta vittima, ma che hanno il pregio di mostrare con chiarezza quali sono gli strumenti di governo della sinistra: la prepotenza e la menzogna.
Credevamo che lo strano modo d’intendere la democrazia che consiste nel disprezzo e nella negazione della volontà popolare fosse una specialità italiana, ebbene, ci siamo sbagliati: questo modo singolare, tipico della sinistra, di intendere la democrazia, è più diffuso in Europa di quanto avessimo temuto.
Alle recenti elezioni politiche tenutesi in Austria, il partito di destra guidato dal leader Haider ha riportato una consistente affermazione, tale da renderlo indispensabile per qualsiasi coalizione di governo, e difatti, senza troppo entusiasmo reciproco si è poco dopo formata la coalizione fra i liberali ed il partito di Haider che dovrebbe guidare l’Austria nei prossimi anni.
In questi giorni abbiamo assistito ad una levata di scudi in tutta l’Europa comunitaria contro la destra "razzista" e "xenofoba" cui gli Austriaci hanno dato il loro consenso, abbiamo visto evocare a sproposito il fantasma di Hitler con la consueta, macabra coreografia d’obbligo in queste circostanze, quando tutto ciò che Haider e gli Austriaci richiedono, è un maggior controllo alle frontiere e sull’immigrazione extracomunitaria. Bello spirito democratico sta dimostrando la sinistra non solo italiana, ma europea! La libertà di un popolo come quello austriaco nel compiere le scelte per la propria esistenza ha il diritto di essere rispettata soltanto finché queste scelte avvengono in senso favorevole alla sinistra. Bel concetto della sovranità popolare dimostrano questi signori che non sono mai disposti ad accettare il pronunciamento del popolo quando si risolva in senso contrario ai loro desideri!
Soprattutto noi Italiani, prima di accusare gli Austriaci di xenofobia, dovremmo guardare alle nostre frontiere bucherellate e permeabili, dalle quali ogni giorno penetra una turba di immigrati clandestini di cui molto pochi avranno l’intenzione o del resto la possibilità di venire in Italia per lavorare onestamente, e dovremmo pensare anche all’abilità dei nostri politici di speculare sulla disponibilità della nostra gente ad aiutare le popolazioni derelitte, come è stato mostrato anche dal recente scandalo della missione Arcobaleno che ha visto funzionari della Protezione Civile, tutti ammanigliati ai Democratici di Sinistra e consociati con la mafia albanese speculare con grande disinvoltura sulla generosità dei nostri connazionali.
Intanto, per restare su questo spinoso tema dell’immigrazione extracomunitaria, tanto per dimostrare quanto sono democratici lor signori che ci governano – la cosa sarà passata inosservata ai più – hanno cancellato alla chetichella il referendum proposto con la raccolta di firme del Movimento Sociale Fiamma Tricolore e dalla Lega Nord sulla legge Turco – Napolitano che ha peggiorato la già carente legge Martelli. Tanto perché gli italiani non potessero essere informati adeguatamente di questa ennesima "democratica" negazione del loro diritto di esprimersi su di una materia così importante e rilevante per il nostro futuro, si è mimetizzata questa cancellazione accompagnandola al depennamento di una quindicina di referendum proposti dai Radicali.
A parte il fatto che eminenti giuristi hanno recente sollevato dubbi sul diritto della Corte Costituzionale di pronunciarsi in materia di ammissibilità dei referendum (e la situazione delicata che ciò comporta, la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi sulle proprie attribuzioni, essere giudice e parte in causa), le motivazioni che hanno portato alla cancellazione di questo referendum sono ridicole e pretestuose: esso contrasterebbe con l’accordo di Schengen sulla libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea, accordo che l’Italia peraltro ha sottoscritto ma non applica.
Si tratta di un appiglio grottesco: la sola frontiera comunitaria dell’Italia è quella con la Francia, e non è sicuramente da lì che vengono i flussi migratori che interessano il nostro paese, ma soprattutto la ratio dell’accordo di Schengen è del tutto diversa, consentire la libera circolazione dei cittadini comunitari all’interno dell’Unione Europea.
Con un cavillo, è stato impedito al popolo di esprimersi su di una questione fondamentale per il suo futuro. A parte i prevedibili e già visibili effetti sull’ordine pubblico di questa immigrazione selvaggia ed incontrollata, non possiamo chiederci senza preoccupazione quale sarà il destino degli Italiani per le conseguenze di questa presenza straniera sempre più massiccia combinata con la flessione demografica della nostra gente. Quest’ultima è un fenomeno provocato. Guardiamoci negli occhi ed abbiamo il coraggio di dire le cose come stanno: i giovani non mettono su famiglia perché non trovano lavoro e non trovano casa. Che in un paese che ha l’altissima pressione tributaria che soffoca l’economia italiana, la prima casa di abitazione sia il bene maggiormente tassato, è un paradosso vergognoso, che le aziende non posano disporre di capitali per creare nuova occupazione sempre per la stessa ragione, l’esosità della pressione fiscale che sfiora il 60% del reddito prodotto, è una cosa che non occorre essere geni dell’economia per capire.
Guarda caso, l’unico governo reale espressione della volontà popolare che l’Italia ha avuto in mezzo secolo, il governo Berlusconi, e che la partitocrazia ha liquidato in un clima da Notte dei Lunghi Coltelli, era un governo di coalizione fra liberali e destra come quello oggi insediato in Austria, ed ha creato attraverso la legge Tremonti, la prima abolita dalla partitocrazia quando ha ripreso il potere, trecentomila posti di lavoro in sette mesi, semplicemente detassando i capitali investiti dalle imprese nella creazione di nuova occupazione.
Questi democratici la cui democrazia consiste nel negare al popolo il diritto di esprimersi sono gli stessi che maledicono Haider che da parte sua vuole soltanto impedire che l’Austria possa prendere la triste china che la macina al collo del centrosinistra ha fatto imboccare all’Italia, al termine della quale c’è l’estinzione del popolo italiano, la sua assimilazione in un "melting pot" multietnico.
La Chiesa cattolica è un’aperta fautrice del mondialismo, e ne ha ben donde, soltanto fra gente proveniente dalle aree più arretrate del globo può ancora trovare di che riempire i seminari, e lo stesso dicasi per la sinistra nostrana, interessata soprattutto ad una balcanizzazione del Nord-est, uno stravolgimento etnico che le consentirebbe di trasformare elettoralmente il Triveneto in una replica del super - feudo tosco – umbro – emiliano.
Se uno stato manca al primo dei suoi compiti, tutelare la sopravvivenza della comunità nazionale di cui è espressione, allora è una tirannide contro la quale qualsiasi forma di ribellione è giustificata. Non ci sono termini di mediazione: o gli Italiani si sbarazzano del centro – sinistra, o il centro – sinistra si sbarazzerà degli Italiani.
Occuparsi della nostra situazione politica sarebbe davvero deprimente se ogni tanto essa non prestasse qualche squarcio di umorismo involontario. Gli spettatori che mercoledì 2 febbraio hanno assistito alla telecronaca del dibattito parlamentare sulla legge della cosiddetta par condicio, in realtà legge imbavaglia – opposizione, avranno probabilmente creduto di star vedendo non una diretta parlamentare, bensì uno spettacolo del Bagaglino. Il compito di controbattere alla puntuale, documentata replica del leader dell’opposizione Silvio Berlusconi che ha dimostrato cifre alla mano che questa legge vergognosa avrà l’effetto di tappare la bocca all’opposizione, è stato affidato ad un personaggio che è estremamente difficile mettere in caricatura perché è già di per sé una macchietta: Fabio Mussi. Mussi è quasi l’epitome del grigio apparatcik, dell’uomo di apparato e di potere che, se non avesse dietro di sé la "gioiosa macchina da guerra" dei DS, non sarebbe riuscito a diventare nemmeno consigliere comunale. Mi dicono che in alcuni dialetti del nord – est mussi significherebbe "asini", ma in ogni caso lo si può interpretare come una forma italianizzata del latino mus – muris, cioè topo, cosa che trova pieno riscontro nella fisionomia murina del personaggio, e la coincidenza di tratti onomastici (nomen est omen) fisiognomici e caratteriali, avrebbe fatto di certo la felicità di Lavater.
Difficile, per la verità, immaginare qualcosa di più spassoso (o tragico) delle argomentazioni di Mussi secondo il quale dei liberali, come sono gli esponenti del Polo, dovrebbero apprezzare che la libertà sia sorrette da regole. Mussi e compagni, o sul liberalismo hanno ancora tutto da imparare, oppure giocano sporcamente sull’equivoco. Lungi da noi l’essere sostenitori dell’assenza di regole, dell’anarchia nell’informazione come altrove, ma la libertà può essere supportata solo da regole eque, leggi inique come questa portano solo all’arbitrio e al sopruso. E’ inutile che questi signori si nascondano dietro un dito: la sinistra ha un peso preponderante nella pubblica istruzione, nella magistratura, in tutti gli apparati dello stato, nell’informazione scritta, possiede il monopolio assoluto della RAI, è riuscita a far passare nel ’92 una legge elettorale che attribuisce ai DS il controllo del paese con solo il19% dei consensi. La presenza di una qualche forma di opinione politica sulle reti Mediaset che oggi si vogliono colpire, ha costituito una misura non di equità, dalla quale siamo ben lontani, ma di non totale inconfrontabilità fra questa sedicente maggioranza e l’opposizione. Con questa legge si costituisce definitivamente il regime. Costoro comunisti erano e comunisti sono rimasti, bugiardi e liberticidi, che semplicemente non tollerano che l’opposizione abbia uno spazio qualsiasi per far sentire la sua voce, ma di una cosa siamo certi: continueremo a contrastarli con tutti i mezzi possibili finché ci sarà possibile farlo.
Restituito si fa per dire, in realtà si è trattato di una copia del filmato recapitata all’avvocato di Salvi per consentirgli di difendersi dall’accusa di violazione di domicilio. Un’ulteriore dimostrazione di come funziona un sistema giudiziario profondamente infeudato alla classe politica e che dimostra un totale disprezzo per i cittadini, cosa tanto più grave quando ad essere vittima di questi abusi è un operatore dell’informazione, che esercita quel diritto di cronaca che è considerato sacro nel mondo anglosassone e nei paesi di antica democrazia.
Falco
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