Lo spazio del guerrigliero culturale
Estate 2000, la luce in fondo al tunnel
Di Falco
Si comincia ad intravedere la luce in fondo al tunnel; con le elezioni regionali del 16 aprile 2000 che hanno visto una netta affermazione del centrodestra, la speranza di sbarazzarci una buona volta del governo dell’Ulivo che ci affligge da quattro anni, comincia a diventare una possibilità concreta, visto che per di più non manca che un solo anno alla prossima tornata elettorale politica. Occorre però non illudersi che il più sia fatto, né che la strada sia d’ora in poi in discesa. Tanto per cominciare, non ho mai pensato, e non penso proprio che il rispetto della volontà popolare sia in cima alle preoccupazioni dei "compagni". Che il governo D’Alema si sia dimesso in seguito agli esiti di questa consultazione, era doveroso ed inevitabile, ma la sua sostituzione con un governo – fotocopia guidato dall’ineffabile "dottor sottile" Giuliano Amato, non è che non ce l’aspettassimo, sappiamo come la sinistra sia restia ad abbandonare qualsiasi brandello di potere bene o male conseguito, ma significa disattendere una volta di più la volontà popolare. Il problema, infatti, non era la persona del signor D’Alema, ma precisamente il fatto che la maggioranza parlamentare non corrisponde più all’orientamento del Paese, ragion per cui un altro governo espresso da quell’identica maggioranza non risolve assolutamente nulla. Se si fosse voluta rispettare davvero la volontà popolare, il presidente della repubblica avrebbe dovuto sciogliere le Camere ed indire elezioni politiche anticipate.
La sostituzione di un uomo della Quercia con un socialista è un modo fittizio ed ingannevole di venire incontro alla chiara richiesta di cambiamento che questa prova elettorale ha fatto emergere; non cambia assolutamente nulla fino a che la maggioranza che sostiene questo governo è la stessa, e le persone che materialmente compongono l’esecutivo sono in gran parte gli stessi, oppure i vice, i consiglieri ed i capi di stato maggiore di coloro che li hanno preceduti; di più, questo non è un governo ponte inteso a traghettarci verso la conclusione della legislatura. Giuliano Amato non fa mistero di voler essere l’anno prossimo il candidato premier del centrosinistra in contrapposizione a Silvio Berlusconi.
Se le cose stanno in questi termini, occorre non ingannarsi, come non avrebbe dovuto ingannare Prodi nel ’96. Che Amato sia un socialista, così come Prodi è un cattolico, non modifica per nulla il fatto che la vera forza egemone del centrosinistra è la Quercia, vale a dire i sedicenti ex comunisti, e nel nostro sistema di "premierato imperfetto" questi politici moderati possono facilmente essere messi da parte dopo aver conseguito lo scopo per il quale sono stati creati, raccogliere consensi attorno al centrosinistra. Un secolo fa, anche Giovanni Giolitti era uso mettersi temporaneamente da parte e far scontare le buriane politiche a qualche sua controfigura, per poi riprendere le cose in mano quando le acque si erano calmate, e certo D’Alema e soci non sono più scrupolosi di Giolitti.
Il centrosinistra mira a rendersi eterno, irreversibile, insostituibile. Se nel ’94, dopo l’affondamento del governo Berlusconi e lo stravolgimento della maggioranza uscita dalle urne, si fosse arrivati allo scioglimento delle Camere e si fosse andati a votare, tutti i sondaggi lo dicevano, il risultato sarebbe stato una schiacciante vittoria del centrodestra; invece, due anni dopo l’indignazione per la maniera infame con cui la volontà popolare era stata aggirata ed annullata, era sbollita, sostituita dalla persuasione che tanto, in qualunque modo si esprima la volontà popolare, governano sempre "i soliti". Oggi con Amato si tenta un’operazione del medesimo genere: se si andasse a votare oggi o fra qualche mese, non ci sono dubbi che il centrosinistra guidato dalla Quercia andrebbe incontro ad una sonora disfatta, ma fra un anno chissà, la gente potrebbe tornare a rassegnarsi ad un potere che appare immarcescibile.
Questo spirito è l’esatto contrario della democrazia, la cui essenza è data dal fatto che la delega dei cittadini ai governanti è sempre revocabile, che sono sempre presenti alternative praticabili senza sconvolgimenti violenti al potere esistente, ed è questa l’unica ragione che costringe i politici a comportarsi almeno decentemente con la cosa pubblica. Occorre, e la cosa non è facile, che la tensione e la voglia di cambiamento non calino, che Giuliano Amato sia messo nella condizione di non essere nulla più che l’esecutore testamentario del centrosinistra.
La nascita del governo Amato ha portato al rientro nella maggioranza dei socialisti di Boselli e dei repubblicani di La Malfa, mentre l’altro petalo del cosiddetto "trifoglio", il gruppo dell’ex presidente della repubblica Francesco Cossiga è rimasto fuori. Perché mai occuparsene, ci si potrebbe chiedere, dal momento che queste forze storiche del centrosinistra hanno oggi una rappresentanza parlamentare esigua?
Perché a suo tempo il "trifoglio" lasciò la maggioranza sollevando una questione morale tutt’altro che irrilevante, in polemica con la legge sulla sedicente "par condicio" nella propaganda elettorale, riconoscendola per quella che è, una legge liberticida volta a tappare la bocca all’opposizione, e se si è sinceri democratici non si può collaborare con chi vuole sopprimere la libertà. Oggi il problema non sembra porsi più. Forse che La Malfa e Boselli non capiscono che anche se c’è Amato alla guida della compagine governativa, sono sempre i DS, i comunisti presunti ex la forza egemone della maggioranza? O forse è venuto dalla maggioranza, dall’Ulivo qualche segnale di resipiscenza, di pentimento, di disponibilità a rivedere questa legge liberticida?
Nulla di tutto ciò! Tra l’amore per la libertà e la promessa di una poltrona di sottosegretario, è quest’ultima ad averla vinta: è questa la tempra morale degli uomini del centrosinistra!
L’unico leader politico di centro che ha dimostrato di possedere un po’ di spina dorsale rimane Francesco Cossiga.
Riacquistati Boselli e La Malfa, la maggioranza di governo ha dovuto invece registrare l’uscita dai suoi ranghi di Antonio Di Pietro, che ha abbandonato la coalizione governativa affermando che essa ha dato origine ad un governo di "colonnelli di Craxi". Non è certo il caso di dispiacersi di qualsiasi cosa contribuisca ad indebolire questa maggioranza che continua a sussistere in spregio alla volontà popolare, ma il comportamento e le motivazioni dell’ex PM più famoso d’Italia, oltre all’esprimersi in un linguaggio nel quale è arduo ravvisare qualche parentela con la lingua italiana, sono una cosa che sfida l’umana comprensione, a meno che non abbia la memoria davvero molto corta e selettiva. L’anno scorso, Di Pietro rivolse un appello a Silvio Berlusconi per evitare il definitivo insabbiamento di "mani pulite", l’inchiesta giudiziaria sulla corruzione della Prima Repubblica, che si era arrestata di fronte all’impossibilità di far luce sui conti e gli affari sporchi dell’ex PCI, ed allora c’è davvero da chiedersi quale differenza possa fare fra i colonnelli di Craxi ed i colonnelli di Occhetto e D’Alema con i quali finora il Tonino nazionale non si è schifato di collaborare.
Il prossimo "impegno" (si fa per dire, perché non sembra che nessuno, ad eccezione dei Radicali, si stia dando molto da fare) dello scadenzario politico è rappresentato dai referendum del 21 maggio. Dei sette quesiti proposti, alcuni dei quali effettivamente troppo tecnici (da qui la disaffezione della gente; ad esempio, cosa ne può sapere chi non sia "addentro alle secrete cose", se la separazione delle carriere fra magistratura inquirente e giudicante servirà a snellire la macchinosa ed inefficiente giustizia italiana, o non otterrà l’effetto contrario? Davvero si pretende troppo da noi, e poi questo costoso parlamento cosa ci sta a fare?), quelli che hanno calamitato maggior interesse o minore disattenzione sono il referendum elettorale e quello sul diritto del giudice di imporre la riassunzione del lavoratore licenziato senza giusta causa.
Riguardo a quest’ultimo, possiamo proprio dire che l’abbiamo scampata bella! Per il Polo delle Libertà il divorzio dai radicali è stata forse la cosa migliore che ci potesse accadere; ammettiamo che questa separazione non fosse avvenuta, ed adesso ci trovassimo a sostenere questo referendum per lealtà verso l’alleato. La sinistra avrebbe gioco facile nel far dimenticare che i promotori di questo referendum sono stati Pannella e soci, ed a crocifiggerci come destra antioperaia, antisindacale, serva dei padroni e quant’altro, ricorrendo a tutti gli slogan più beceri del marxismo vecchia maniera. Che i radicali vadano pure ad impiccarsi all’albero che preferiscono, ma che non coinvolgano noi!
L’Italia, si sa, è uno strano Paese dove chi grida più forte ha ragione, ed i radicali sono dei veri professionisti nell’arte dello strillo, così soltanto facendo chiasso sono riusciti ad ottenere in breve tempo un decreto del governo per "pulire" le liste elettorali dai deceduti, gli scomparsi, gli emigrati che sicuramente non andranno a votare ma contribuiscono ad alzare il quorum. Vogliamo essere sinceri? Questo non sposterà le cose se non in misura minima, le liste elettorali sono già sottoposte per legge a revisione semestrale, e l’abbassamento del quorum derivante da questo decreto non potrà certo nascondere la disaffezione dell’elettorato per i referendum, disaffezione della quale i radicali, con le loro frequenti campagne referendarie dai toni isterici, hanno non poca responsabilità.
La cosa peggiore in termini di occasioni sprecate, è che su questo decreto pulisci – liste, il governo Amato ha rischiato di cadere all’indomani della sua costituzione, stante la contrarietà ad esso delle componenti cattoliche della maggioranza, ma è stato salvato dal provvidenziale intervento di AN. I calcoli politici che hanno portato l’erede del Movimento Sociale a fare da spalla al centrosinistra saranno difficili da spiegare alla base del partito, sono veramente troppo Fini.
La cosa è grave non solo perché si è persa una splendida occasione per far fare un bel capitombolo al governo Amato all’indomani stesso della sua costituzione, ma perché la compattezza dell’opposizione di centrodestra che la maggioranza di sinistra ha cercato di far venire meno in tutti i modi in questi difficili quattro anni, e che è stata la migliore garanzia della libertà nel nostro Paese, sembra iniziare a sgretolarsi proprio adesso che si comincia a scorgere la luce in fondo al tunnel.
Ovviamente AN ha buttato al governo questa ciambella di salvataggio in ragione del referendum elettorale. Avevo già esaminato quest’atteggiamento nel mio precedente articolo Una primavera poco lieta; ripensandoci, bisogna dire che, pur continuando a ritenerlo non condivisibile, è possibile che abbia motivazioni di fondo meno opportunistiche di quelle che ho indicato. C’è di mezzo l’intesa con il patto Segni, concretizzatasi in una coalizione elettorale alle scorse amministrative, quando le due formazioni si presentarono sotto il simbolo comune dell’elefante (volendo fornire un contraltare all’asinello dei Democratici. Personalmente, non apprezzo molto il fatto di introdurre nella nostra vita politica, che già è complicata, una simbologia mutuata direttamente dagli Stati Uniti, ma tralasciamo questo punto).
Certamente Mario Segni che ebbe la sua ora di popolarità nel ’92 come promotore del referendum che portò all’attuale legge elettorale, non intendeva porre in essere il pasticcio che ne è venuto fuori, ma al contrario, una semplificazione del quadro politico che ponesse i cittadini di fronte a scelte chiare, non ho motivo di ritenere che non sia una persona per bene, non è la sua probità personale che è in discussione, ma mi sembra che non abbia una statura da leader, il suo problema mi pare sia lo stesso di Giorgio La Malfa, ed altri proiettati nell’empireo della politica non tanto da qualità personali, ma dalla loro condizione di figli d’arte. In ogni caso, il patto Segni oggi è una briciola nel panorama politico.
Esiste, ed è forse un fenomeno più grave e profondo, una certa disponibilità di AN ad accettare transazioni di qualsiasi specie non solo per distinguersi dall’alleato Berlusconi, ma per vedersi definitivamente abbuonato il passato "fascista", per ricevere una patente di legittimità democratica non importa da chi. Ricordo alcune imbarazzanti manifestazioni di feeling alcuni anni fa tra Gianfranco Fini ed il presidente della Camera, Luciano Violante. Che uomo sia Violante, e come abbia costruito la sua carriera politica sull’indegna montatura giudiziaria del caso Edgardo Sogno, su questo ho espresso la mia opinione più di una volta, ma soprattutto, quello che fu il Movimento Sociale la sua patente di legittimità (senza aggettivi) ce l’ha già, e non si discute. L’ha conseguita in mezzo secolo di civilissima ma ferma opposizione al sistema dei partiti, contando i suoi caduti negli anni "caldi" della contestazione, quando c’era sempre qualche delinquente pronto a dare attuazione pratica al vergognoso slogan "uccidere i fascisti non è reato", l’ha conseguita con la vigilanza continua e la difesa intransigente dell’italianità delle nostre terre di frontiera.
La vicenda del decreto pulisci – liste ha perlomeno un risvolto umoristico: quest’ancora di salvezza gettata dal governo Amato ai radicali, e dunque l’appoggio ai referendum, ha coinvolto tutta la parte non cattolica della maggioranza, compresi i Comunisti Italiani, il partitino di Cossutta, che ha quindi appoggiato indirettamente anche il referendum radicale sui licenziamenti ed assunto – se due più due fa ancora quattro – una posizione anti – operaia.
Il fatto è che Armando Cossutta è prigioniero della maggioranza di governo, sa benissimo di essere alla testa di un partitino artificiale ritagliato da una costola di Rifondazione, che con ogni probabilità si scioglierà come neve al sole alla prossima tornata elettorale. Una conclusione amara per il grande vecchio del comunismo. Il comunismo è stato un grande protagonista del XX secolo, un drago che ha sputato fuoco e fatto scorrere fiumi di sangue come nient’altro su questo pianeta, meritava di finire in bellezza, con il ruggito di un vecchio leone, invece almeno in Italia, ed almeno quella parte del comunismo che continua ad insistere a dichiararsi tale, rischia di chiudere la sua storia con il pigolio di un vecchio cappone.
La tornata referendaria del 21 maggio si è conclusa nella maniera più prevedibile ed ovvia: tutti e sette i referendum sono naufragati per il mancato raggiungimento del quorum, quella che semmai colpisce, è l’entità dell’astensionismo, che è giunto a comprendere i due terzi del corpo elettorale.
Di fronte al verdetto inequivocabile dell’elettorato, si è ricomposta senza strascichi la frattura nel Polo. Gianfranco Fini ha fatto una scelta tatticamente sbagliata nel sostenere il referendum elettorale, ma rimane un politico responsabile, non un fanatico come Pannella. La necessità di riformare la legge elettorale appare evidente, ma c’è sempre la via parlamentare.
Uno dei pretesti che sono serviti per giustificare la creazione di questo ennesimo centrosinistra, sapendo bene che la maggioranza parlamentare che lo sostiene è netta minoranza nel Paese, era la necessità, così si è sostenuto, di garantire lo svolgimento dei referendum. Adesso che non soltanto la tornata referendaria si è conclusa, ma è emerso in modo che non potrebbe essere più chiaro il disinteresse per essa dell’opinione pubblica, quale altra foglia di fico s’inventeranno per nascondere le loro vergogne? Le vergogne di una sinistra che mentre si dichiara democratica, non fa altro che disattendere la volontà popolare.
Sabato 13 maggio il centro di Bologna è stato teatro di quello che si può definire un episodio di guerriglia urbana come non se ne vedevano dagli anni ’70. I giovinastri, per usare il termine esatto, i teppisti, dei cosiddetti centri sociali provenienti da tutta Italia ed anche dall’estero (perché, sia chiaro, neppure a Bologna questi rottami del ’68 riescono ormai a mobilitare in loco forze sufficienti per controllare la piazza) hanno tentato d’interrompere con la violenza una manifestazione del movimento di destra Forza Nuova, ed hanno brutalmente caricato i cordoni di polizia che controllavano la manifestazione. La cosa era in una certa misura prevedibile, la teppaglia di sinistra ultrà non si rassegna alla perdita del dominio su quella che fu un tempo la capitale rossa d’Italia. Forse in fatto più rilevante è che alla testa del corteo degli orfani della Contestazione c’era un sacerdote.
Non spetterebbe dirlo a me, che sono un laico inveterato, ma mi chiedo come una persona che si ritiene in diritto di privare della libertà di espressione chi la pensa in maniera differente da lui possa, senza contraddizione e senza vergogna, indossare un simile abito. Pagherei qualcosa per avere una risposta da quella persona o da qualche altro cappellano dell’ultrasinistra: come pretendono queste persone di conciliare la democrazia ed il cristianesimo con la violenza e soprattutto con la pretesa arrogante di tappare la bocca a chi la pensa in maniera diversa da loro? Come fanno costoro a conciliare il vangelo con i rottami del marxismo, dell’ideologia non solo più ostile al cristianesimo, ma più illiberale, sanguinaria e liberticida che sia mai esistita? Cosa diavolo insegnano costoro ai ragazzini a catechismo?
Da laico quale sono, posso osservare solo che non riesco ad immaginare una visione più distorta della realtà, che il catto-marxista è la peggiore specie di mentecatto che esista.
A volte si ha l’impressione che questa nostra Italia sia condannata a vivere in un perenne incubo, gli "anni di piombo", le stagioni del terrorismo, sono in molti Paesi un brutto ricordo, ma in Italia sembrano non dover finire mai. Ultimamente si è ricominciato a parlare di Brigate Rosse. Poco tempo addietro, l’arresto di un giovane, Alessandro Geri, coinvolto nell’omicidio del sindacalista D’Antona, ha dato il via ad una salva di polemiche, sembra, infatti, che qualcuno abbia dato la notizia degli esiti delle indagini alla stampa in maniera troppo prematura, consentendo così ai membri del commando brigatista (quelli veri, perché Geri è poi risultato estraneo alla vicenda) di riparare all’estero. Pare si tratti di sette persone.
Ci coglie un sospetto davvero bizzarro, che tutto ciò non sia riducibile ad una "svista" di qualche funzionario, ma faccia parte di un disegno preciso. Guarda caso, fino all’anno scorso ed al delitto D’Antona, per un pezzo non si era più sentito parlare di lotta armata, e la cosa non fa meraviglia: negli anni scorsi la sinistra ha compiuto una scalata legalitaria al potere che aveva tutta l’aria di essere una conquista definitiva. Stranamente, nel momento il cui il popolo italiano dà chiari segni di non volersi rassegnare al governo della sinistra, ecco rispuntare non solo i vecchi arnesi del terrorismo rosso, ma qualcosa che ha tutta l’apparenza di una complicità con questi assassini all’interno degli organi dello stato.
Sarà che amare esperienze del passato lontano e recente ci hanno abituati ad essere sospettosi, ma sembra quasi che nel momento in cui la presa, l’occupazione legale della sinistra sull’Italia vacilla, qualcuno riscopre la lotta armata, come a voler mandare un messaggio del tipo "resteremo al potere con le buone o con le cattive".
Resta da vedere se il popolo italiano è disposto a lasciarsi intimidire da simili tentativi che non aprono di certo nessuna prospettiva rivoluzionaria, ma sono soltanto l’ultimo rifugio di disperati che ricorrono alla "critica delle armi" perché "le armi della critica" sono ormai tutte rivolte contro di loro.
La magistratura sta continuando ad indagare in quel pozzo senza fondo di orrori che si è dimostrata essere Villa Gina, la clinica degli orrori dei fratelli Spallone, personaggi di primo piano dell’ex PCI romano e figli del medico personale di Togliatti, un pozzo senza fondo dove, più si scava, più orrori si trovano. A carico di questi baroni rossi non c’è solo l’aborto clandestino. Costoro si sono resi quanto meno responsabili anche di truffa ai danni dello stato, poiché intascavano onorari miliardari per operazioni per le quali, come clinica convenzionata erano già stati rimborsati dal SSN, ma questo è ancora nulla, è stata ipotizzata l’estorsione, poiché costoro hanno costretto donne che non sono risultate incinte a pagare ugualmente l’aborto non praticato, ma soprattutto Villa Gina era un luogo d’intimidazione e di violenza dove alle donne, una volta entrate, non era più consentito di cambiare idea, ma erano costrette, volenti o nolenti ad immolare il loro bambino sull’altare del miliardario Moloc rosso. Faceva notare Nestore che lo slogan "I comunisti mangiano i bambini" era stato inventato negli anni ’50 dai comunisti stessi per mettere in caricatura la presunta faziosità ed esagerazione dei loro avversari. Bene, in questo slogan non vi era nulla di esagerato, non era altro che la verità. I comunisti hanno mangiato i bambini, hanno continuato a mangiarli fino a ieri, non solo, ma hanno costruito un impero miliardario sul commercio di carne di bambino.
Diciamo la verità, gli Italiani hanno talvolta il vizio di considerare poco rilevante quello che accade a quel restante 99% della razza umana che non vive nell’italica penisola, è un peccato, perché in tal modo ci priviamo della possibilità di apprendere lezioni che sarebbero molto utili per decidere del nostro futuro con cognizione di causa. E’ della metà di giugno la notizia che la Corea del nord, uno degli ultimi bastioni del comunismo asiatico, ha avviato una cauta apertura verso la Corea del sud, consentendo ai membri delle famiglie divise da mezzo secolo da un’innaturale linea di armistizio, di reincontrarsi. La realtà che sta dietro questa concessione è molto chiara: la Corea del nord è un Paese ridotto allo stremo, e spera nell’aiuto dei fratelli meridionali che nel frattempo sono divenuti uno dei Paesi più progrediti dell’Asia sotto l’egida del bieco e vituperato capitalismo, per risollevare le proprie sorti. Una cosa dovrebbe essere evidente a chiunque non abbia gli occhi foderati di prosciutto, dovunque, ed in tutte le forme e le varianti in cui è stato applicato, il comunismo ha prodotto sempre e solo un identico risultato: oppressione e miseria, miseria ed oppressione.
Noi Italiani abbiamo messo dal 1996 il nostro destino nelle mani dei comunisti che oggi si proclamano non più tali. Se anche costoro fossero in buona fede, se anche la loro conversione alla democrazia occidentale ed all’economia di mercato fosse sincera, proprio il fatto di provenire da quella scuola li renderebbe i meno adatti a governare i destini di un’avanzata democrazia industriale del XXI secolo senza provocare irreparabili danni. Se anche fossero in buona fede, ma nulla prova che lo siano.
Falco
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