Lo spazio del guerrigliero culturale
Motivi tecnici ci hanno obbligato a ritardare la pubblicazione dell’articolo di Falco che avete ora l’opportunità di leggere, sarà bene tuttavia tenere presente che quel che più interessa non è un discorso di attualità in senso strettamente cronistico, ma la precisa, attenta documentazione degli abusi del governo degli ex comunisti, o presunti ex, che si avvia ogni giorno di più a trasformarsi in regime a tutti gli effetti, dando corpo alla mai spenta vocazione illiberale e dittatoriale della sinistra. In questo senso, l’articolo che è il seguito del precedente
Un’estate agghiacciante, nulla ha perso di attualità e validità, e poiché le menzogne e gli abusi dei "compagni" che ci governano sembrano non avere mai fine, Falco ci informa di aver posto mano ad un prossimo pezzo che si chiamerà Un inverno raggelante.Un autunno da incubo
Di Falco
Qualche volta si sente il bisogno di staccarsi dai temi della cronaca politica, e dedicarsi magari a considerazioni antropologiche di ampio respiro, come ho fatto con Il trionfo della stupidità perché, diciamocelo francamente, fa male, fa male vedere come i sedicenti ex comunisti stiano poco per volta trasformando il loro governo su questa nostra disgraziata Italia in regime, e fa ancora più male notare l’atteggiamento fra il distratto e il rassegnato con cui il popolo italiano sopporta le progressive privazioni di quel po’ di libertà che ancora ci rimane, senza quella salutare esplosione di collera che ancora testimonierebbe della salute morale della nostra gente, ma il silenzio sulle menzogne ed i soprusi sarebbe il regalo migliore che potremmo fare al signor D’Alema ed alla coorte di aspiranti tiranni dei suoi complici.
All’estate agghiacciante di cui ho parlato in un precedente articolo, è succeduto un autunno da incubo che ha visto le manifestazioni di malafede e sopruso che la presa sulle istituzioni consente ormai ai "compagni" moltiplicarsi come una metastasi.
Che costoro abbiano una faccia di bronzo da far invidia ai bronzi di Riace, per la verità lo sapevamo già, ma lo scorso settembre sono riusciti a darne una prova davvero eclatante: è successo che Il Giornale ha iniziato a pubblicare un dossier sulla contabilità in nero dell’ex PCI. Nessun dubbio è possibile, i sedicenti ex comunisti hanno partecipato come gli altri e più degli altri al sistema della corruzione e delle tangenti e se, non solo non ne hanno sopportato il peso politico, ma hanno addirittura potuto ergersi falsamente a paladini dell’Italia onesta, questa è stata una gigantesca, vergognosa truffa architettata ai danni dell’opinione pubblica con la complicità di magistrati e mass media.
A rivelazioni di questa portata, ci sarebbe stato da attendersi una replica, almeno una smentita formale (di quelle, per intendersi, dell’oste che dichiara che il suo vino è buono), invece nulla, solo una cortina di silenzio, un ovattato muro di gomma inteso a far sì che queste rivelazioni non oltrepassassero la cerchia dei lettori del Giornale, una conferma del detto inglese "The power of the press is to suppress", il potere della stampa è di sopprimere le notizie.
A questo punto è scoppiato (si fa per dire, perché ogni cosa è stata straordinariamente ovattata) il caso del dossier Mitrokhin; si tratta di un documento compilato da un ex funzionario del KGB che il disfacimento dell’Unione Sovietica ha portato nelle mani dei servizi segreti inglesi, e che questi hanno girato al governo italiano.
Si tratta di uno scandalo doppio: scandaloso il contenuto del dossier che rivela gran parte del gotha della sinistra italiana, a cominciare dall’immarcescibile Armando Cossutta, nel ruolo di spie dell’Unione Sovietica, scandaloso l’atteggiamento del governo D’Alema, che ne ha tenuta a lungo segreta l’esistenza, ed ha fatto il possibile per non divulgarlo anche dopo che l’opinione pubblica era stata informata della sua esistenza da fonti dell’opposizione. Questa è la censura sull’informazione tipica di un paese dittatoriale.
Si ha motivo di presumere che la versione del dossier Mitrokhin divulgata sia una versione censurata, ma quel che è trapelato è ugualmente clamoroso: tra i nomi delle spie stipendiate dal KGB risalta in primo piano quello di Armando Cossutta. Che Cossutta ricevesse finanziamenti dal PCUS, che avesse – caso unico – addirittura un capitolo di spesa intestato personalmente a suo nome, lo sapevamo da anni, ma qui si tratta di spionaggio a favore di una potenza nemica dell’Italia, qui si tratta di alto tradimento.
In qualsiasi paese civile, in qualsiasi vera democrazia, un governo la cui maggioranza si regge sull’appoggio determinante di un partito come i Comunisti Italiani (denominazione che a me suona come una contraddizione di termini) il cui segretario è sospettato di spionaggio e tradimento, si sarebbe affrettato a dimettersi, invece niente, le solite cariatidi dalla faccia di bronzo non hanno mosso un sopracciglio, ma forse è ancora più grave che la magistratura legata a doppio filo ai comunisti (sedicenti ex, italioti cossuttiani o rifondatori, non fa alcuna differenza), sempre così pronta ad avviare procedimenti bolla di sapone a carico dei leader dell’opposizione, non abbia ritenuto di dover muovere un dito.
In questi frangenti, era difficile decidere se mettersi a ridere o a piangere alla notizia pubblicata poco tempo dopo dall’ineffabile Repubblica di Eugenio Scalfari, che la procura di Venezia ha aperto un’inchiesta sulla morte di alcune decine di persone avvenuta nel comando delle SS della città lagunare tra il 1943 ed il 1945.
Non si sa se mettersi a ridere o a piangere perché nel frattempo l’inchiesta sulle foibe, gli inghiottitoi carsici dove gli assassini slavo – comunisti del maresciallo Tito massacrarono decine di migliaia di italiani, non combattenti ma civili colpevoli soltanto di essere italiani, un genocidio programmato in un piano purtroppo riuscito di slavizzazione delle terre fin allora italiane dell’Istria, della Dalmazia, della Venezia Giulia, è stata bloccata e definitivamente insabbiata.
Ad oltre mezzo secolo di distanza dalla seconda guerra mondiale, lo scopo di simili processi non può essere quello di trascinare alla sbarra vecchi decrepiti od i fantasmi di persone da tempo defunte ma, oltre al doveroso omaggio alla memoria delle vittime, una giustizia che a questo punto importa molto di più che sia storica e politica piuttosto che giudiziaria.
Da questo punto di vista, la parte perdente il secondo conflitto mondiale è stata da gran tempo condannata, mentre il comunismo, che ha continuato a devastare la sfortunata umanità caduta sotto i suoi artigli fino ai tempi recenti, fino alle ferite ancora aperte dell’Afganistan e della Cambogia, ideologia assassina di per sé, se mai ve ne furono, continua ancora a godere di un’immeritata rispettabilità, frutto solo della deliberata ignoranza dei suoi crimini, ma c’è di più: visti nella prospettiva reale di un’epoca violenta in cui non soltanto i comunismo ma anche le cosiddette democrazie occidentali si sono macchiate di delitti atroci (e come definire altrimenti i bombardamenti terroristici ed inutili dal punto di vista militare di Dresda, Colonia, Amburgo, Hiroshima, Nagasaki che hanno fatto milioni di vittime?), i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani commessi dalla parte perdente il secondo conflitto mondiale ne escono drasticamente ridimensionati e la frettolosa condanna storico – politica richiede di essere rivista.
E’ proprio questa verità eretica e scomoda che si vuole nascondere soprattutto ai giovani, è proprio a questo che servono operazioni come il processo ai fantasmi di Venezia od anche finzioni (è la parola più appropriata) cinematografiche come La vita è bella, l’ignobile buffonata che è valsa l’oscar a Roberto Benigni, giullare rosso già innamorato di Berlinguer ed attualmente abbracciatore di D’Alema.
Rimanendo in tema di manipolazioni giudiziarie, in ottobre – novembre di quest’anno di (dis)grazia 1999, ci si è talmente spinti oltre i limiti del grottesco da raggiungere il surreale. L’assoluzione in due distinti processi del senatore a vita Giulio Andreotti, dalle accuse di collusione con la Mafia e di complicità nell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli era certamente scontata da parte di un sistema giudiziario dal quale è lecito aspettarsi tutto meno che giustizia, ma lascia ugualmente l’amaro in bocca.
Circa il famoso bacio fra Andreotti ed il capomafia Totò Riina, non oso pronunciarmi se non per dire che se è realmente avvenuto, allora Riina deve avere uno stomaco di ferro, ma quel poveretto di Mino Pecorelli, non è strano che la sua morte sia avvenuta proprio alla vigilia dell’annunciata pubblicazione sulla sua rivista O.P. Osservatore politico di un dossier sui conti e sui contatti sporchi dell’onorevole Andreotti? E non è strano che, come per un passaparola dietro le quinte, nessuno, né giornalisti né magistrati abbiano cercato di rintracciare questo dossier?
Sembra che molti contino sulla memoria corta della gente. Disgraziatamente io non ho la memoria corta, e ricordo benissimo il tono blando e distaccato, privo di un minimo d’indignazione e di solidarietà umana per la vittima, con cui all’epoca la stampa trattò quest’omicidio, quando si degnò di parlarne, e mai in prima pagina. Il messaggio che si leggeva fra le righe era che Pecorelli fosse un personaggio ambiguo, uno che aveva contatti coi servizi segreti (come se la cosa fosse di per sé infamante), un ricattatore (?) che osava parlare di quello su cui la convenienza politica politically correct imponeva di tacere, e soprattutto che era un uomo di destra, circostanza che da sola bastava a rendere meno pesante il delitto, se non eravamo all’uccidere i fascisti non è reato di triste e vergognosa memoria, poco ci mancava, quanto meno un "fascista" non aveva il diritto di diffamare la democrazia, questa strana democrazia italiana basata sull’omertà, gettando luce sui suoi affari sporchi.
Non meno surreale, anzi decisamente kafkiana la piega assunta in questi ultimi tempi dalla vicenda umana, giudiziaria e politica dell’ex leader socialista Bettino Craxi. Come ho già sostenuto più di una volta, non penso che Bettino Craxi fosse estraneo al sistema delle tangenti, ma non credo che ne fosse l’unico od il principale protagonista.
Tangentopoli è stato lo strumento di cui si è servito l’ex PCI le cui responsabilità sono state coperte da una magistratura compiacente, per distruggere il socialismo craxiano, colpevole in realtà di aver conteso ai comunisti l’egemonia sulla sinistra. Con lo scoppio del caso Tangentopoli, Craxi si rifugiò in Tunisia, paese che non è all’altra estremità del mondo rispetto all’Italia, in una strana latitanza pubblica.
Quegli stessi politici e magistrati che a suo tempo non hanno fatto un bel nulla per ottenere l’estradizione di Craxi, oggi rifiutano la sospensione del mandato di cattura richiesta dall’ex leader socialista in gravi condizioni di salute per potersi operare in Italia.
Il sospetto che se ne ricava è che si ha paura che Craxi parli e faccia delle rivelazioni scomode sul sistema delle tangenti, soprattutto sugli ex confratelli che oggi hanno nascosto la falce e martello dietro la quercia. Di certo, morendo Craxi farebbe un favore a tantissima gente che ha tutto da temere se arrivasse vivo in un’aula di tribunale.
Naturalmente, alla vigilia di un’elezione suppletiva di una certa importanza, arriva il rinvio a giudizio per il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi, l’ennesimo dei molti che sono già arrivati in passato (Clamoroso quello giunto in coincidenza con il vertice dei G7 a Napoli, quando l’on. Berlusconi era presidente del Consiglio) e svaniti nel nulla come bolle di sapone di fronte alla totale inconsistenza degli addebiti; che si tratti di null’altro che l’ennesima sporca manovra politica di magistrati che devono per intero alla Quercia, all’Ulivo, all’ex PCI le loro carriere, è talmente ovvio che non vale nemmeno la pena soffermarvisi. Io non sono solito giurare a priori sull’innocenza di nessuno, ma per Silvio Berlusconi si può fare un’eccezione, tanto gli sciacalli in toga comunisti hanno già inutilmente rimestato nella sua vita privata, nei conti della sua azienda, nella vita dei suoi familiari e collaboratori alla ricerca di qualcosa di poco chiaro.
Naturalmente Silvio Berlusconi ed il Polo delle Libertà hanno reagito denunciando questa faccenda per quello che è, un’ignobile montatura politica.
La cosa più comica in questo squallido affare sono state le controreazioni della sinistra a protezione dei suoi leccapiedi e complici con la toga. Tanto per aprire i balletti, il presidente della Camera Luciano Violante ha dichiarato di essere "dalla parte delle istituzioni" (cioè dei giudici). A parte che abbiamo abbastanza senso dello stato e del bene comune da saper distinguere le istituzioni dagli uomini che le occupano ed abusano dai poteri che ne derivano, Luciano Violante è un uomo che merita, non da oggi, tutto il nostro disprezzo, un ex magistrato che ha interamente costruito la sua carriera politica su di un presunto golpe inventato di sana pianta ed attribuito ad una figura scomoda come Edgardo Sogno, medaglia d’oro della Resistenza ma fervente anticomunista; ma il colmo dell’humor involontario è stato probabilmente raggiunto dal baro dei film western ed attuale presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che ha dichiarato che Silvio Berlusconi è un estremista di destra.
Benvenuto fra noi, onorevole Berlusconi! Se avere il coraggio di dire la verità, di gridarla forte, di reagire al sopruso significa essere estremisti di destra, allora questa è un’etichetta, un distintivo che si può portare senza nessun complesso e con orgoglio, da uomini liberi quali siamo!
Nel frattempo, ciliegina sulla torta, è arrivata anche la pubblicazione di una ben poco incoraggiante statistica dell’Unione Europea che rivela che fra le regioni dell’Europa comunitaria a più alto tasso di disoccupazione, sette sugli undici primi posti di questa sconfortante graduatoria sono tenuti da regioni italiane, a cominciare dalla Calabria con un ben poco invidiabile primato del 33% della forza lavoro.
La prima considerazione che s’impone è che la Spagna, un tempo "buco nero" della Comunità Europea è riuscita decisamente a risollevarsi grazie alla politica liberista del governo di centro destra di José Maria Aznar, così come un analogo decollo economico è stato promosso da un’analoga politica liberista in Argentina dal governo anch’esso di centro destra o nettamente di destra di Carlos Menem. Possibile che il liberismo debba funzionare dappertutto tranne che in Italia? O non sarebbe piuttosto ora di rendersi conto che a fare le spese dei cascami del marxismo che ancora affliggono il nostro paese sono soprattutto le classi lavoratrici?
Ma c’è un’altra ragione che spiega il mancato decollo delle nostre regioni meridionali: l’assenza dello stato che permette alla mafia ed alle altre forme di criminalità organizzata di prosperare, ed in conseguenza di ciò gli imprenditori taglieggiati dal pizzo non riescono a sviluppare la loro attività economica o sono costretti a fuggire verso lidi più tranquilli, e rimane molto improbabile che imprenditori forestieri o stranieri investano nel nostro meridione.
Se lo stato è assente, le cause possono essere molteplici, ma certamente fra di esse vi è il fatto che la magistratura, od una parte consistente di essa, è troppo impegnata negli squallidi maneggi politici che abbiamo visto, per avere anche il tempo di dedicarsi alla lotta contro la criminalità comune od organizzata che sia.
All’estate agghiacciante è succeduto un autunno da incubo. La caduta dei comunismi nell’Est europeo, lo si vede bene alla distanza, non ha impedito ai comunisti nostrani (qualunque etichetta più o meno bugiarda si appiccichino oggi addosso) di continuare a perseguire la logica comunista del mantenimento del potere a qualunque costo e con qualunque mezzo lecito o illecito, e le loro armi principali sono, come sempre, la menzogna e il sopruso, ma noi continueremo a testimoniare fin quando ci sarà possibile in favore della verità e della libertà, e siamo certi che verrà anche per la nostra sfortunata Italia l’ora del riscatto.
Affiancando al nostro tradizionale logo tricolore quello con la croce celtica, intendiamo protestare contro l’assurdo divieto dell’esposizione di striscioni con questo simbolo negli stadi. Questo divieto non è soltanto l’ennesima repressione di una manifestazione di opinione da parte della "strana" sedicente democrazia che ci affligge da oltre mezzo secolo, è il tentativo di demonizzare i ragazzi di destra facendo coincidere la violenza negli stadi tutta e solo con una certa parte politica, di prendere a pretesto episodi isolati e deprecabili di teppismo per screditare un’idea.
Noi siamo sicuri che dopo questo provvedimento la violenza sportiva continuerà a prosperare all’ombra delle bandiere rosse (senza celtica) e dei ritratti di Che Guevara che pure essi sventolano dagli spalti di molti stadi.
Sarà forse scorretto mescolare politica e sport, ma i nostri giovani quali altri spazi hanno per manifestare le loro idee? Non certo, ad esempio, quelli di una scuola oggi gestita da insegnanti in buona parte ex sessantottini e pronta a reprimere ogni manifestazione di pensiero che non si allinei al più rosso conformismo, che ormai da molto tempo non cura la formazione professionale dei giovani, ma piuttosto il loro inquadramento ideologico.
Contrariamente a quanto asserito per ignoranza o malafede da quasi tutti i mass media, la croce celtica non è un simbolo nazista, è comparsa per la prima volta nella simbologia politica proprio in Italia a partire dal 1971, anno della fondazione del Fronte della Gioventù, come simbolo ufficioso della destra giovanile, non è neppure una runa e non appartiene nemmeno, come è facile capire, al mondo simbolico germanico ma a quello celtico dove ancora oggi, soprattutto in Irlanda, continua ad essere diffusa come simbolo religioso.
Il mondo celtico è una radice comune a gran parte della cultura europea, Italia compresa; ricordiamo che in età preromana l’Italia fu Gallia cisalpina dalle Alpi fin quasi alla valle del Tevere, essa è dunque a nostro parere il simbolo più adatto per rappresentare il concetto dell’unità dell’Europa che non sia fondata soltanto sui fattori economici e sugli accordi di Maastricht, ma sulla comunanza spirituale di valori, di cultura, di tradizioni dei popoli europei.
Accanto alla croce celtica abbiamo raffigurato il motto Il mio onore si chiama fedeltà che spesso è accomunato ad essa nella simbologia della destra giovanile. E’ vero che questo motto fu usato anche dalle SS, ma è un motto che viene dalla tradizione cavalleresca, non uno slogan nazista, (alla stessa stregua, la sinistra dovrebbe ammainare per sempre la bandiera rossa, dato che Hitler ha scritto nel Mein Kampf che il campo rosso della bandiera con la croce uncinata "rappresenta l’idea sociale del movimento"), non incita al razzismo né alla violenza, non offende nessuno.
Esso significa un’idea per noi fondamentale, che l’onore ed il valore di un uomo si misurano sulla fedeltà, fedeltà a se stesso, alle proprie origini, coerenza con i propri principi; bisogna davvero aver pervertito in se stessi ogni valore morale per averne paura.
D’altra parte, anche il motto dell’accademia militare di West Point, Dovere, onore e patria, ha un significato molto simile. Dobbiamo dedurne che gli Stati Uniti sono un paese nazista?
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