I fervorini di Scalfari Eugenio
Nel fondo di Repubblica di oggi, addì domenica 30 novembre 1997,
il Lìder Maximo dei giornalisti italiani, Eugenio Scalfari, esordisce
autodefinendosi un "vecchio liberale".
Quando negli anni 60 si candidò a deputato del PSI (non era
ancora l'era di Craxi) pensò bene di spiegarsi autodefinendosi un
"vecchio socialista" di famiglia, e raccontando che c'era una cosa che
aveva imparato da suo padre, anche lui "vecchio socialista", e quella cosa
era di "non disperare mai della rivoluzione".
Ci piacerebe sapere quando esattamente si è verificata questa
mutazione, con validità retroattiva, da vecchio socialista rivoluzionario
a vecchio liberale. Ma la nostra domanda (plurale maiestatis, concesso
solo a pochi: me, Scalfari e, dimenticavo, il Papa) non è che una
curiosità, s'intende. Forse Scalfari è solo, di volta in
volta, un "vecchio quel-che-va-di-moda": negli anni 60, la "rivoluzione",
oggi il "liberalismo". L'importante, da buon italiano, è avere la
memoria corta, e confidare sulla altrui cortezza.
Come liberale fa' però acqua, oltre che come giornalista.
Nella sua ansia di accreditarsi come liberale antico, ci ammannisce
il solito luogo della memoria sui bobby inglesi, alle prese con i vocianti
e aggressivi barboni sessantottini (che all'epoca lui però guardava
con simpatia, mentre oggi gli sono diventati retroattivamente antipatici).
Nel riferire del pacifico disperdimento della manifestazione da parte
dei rispettati bobby, il Nostro omette però di precisare alcune
cosucce, che fanno però anch'esse parte dell'immaginario liberale
a proposito della liberale inghilterra: i bobbies erano e sono disarmati.
I bobbies non bastonano i giornalisti e le telecamere. I bobbies non estraggono
la pistola puntandola sui manifestanti senza un motivo di difesa. I bobbies,
infine, non sfilano con destrezza i portafogli ai manifestanti per "identificarli".
L'avere trascurato questi dettagliucci non sarebbe grave in un fondo,
se non si trattasse di un giornale che si è tappato gli occhi di
fronte all'emergenza di un antico e conosciuto problema italiano: la inaffidabilità
delle forze di polizia, il loro carattere - direbbe Scalfari - "illiberale",
i loro comportamenti al di fuori della legge.
Si tratta di un fatto pericoloso, di una zavorra grave per le istituzioni
di un paese scosso periodicamente da conati di rinnovamento. Cosa sarebbe
successo se fosse partita una revolverata, e se questa avesse ucciso un
manifestante? L'Italia avrebbe conosciuto una nuova stagione di instabilità
politica.
Abbiamo detto "un giornale che si è tappato gli occhi", ma abbiamo
sbagliato - ammettiamolo pure. Avremmo dovuto dire: "ha tentato di tappare
gli occhi ai suoi lettori", il che è francamente più grave.
E così ci dovremmo sorbettare, da giorni e giorni, un giornale
il quale, invece di raccontarci come vanno le cose, cerca i convincerci
che la polizia ha ragione, e che i lattieri hanno passato la misura. Badate
bene, qui non si tratta della enunciazione di una opionione del giornale,
cosa che andrebbe bene a chiunque, anche a noi, ma di quello che è
diventato un vero "scopo" del giornale. I fondi, anziché l'applicazione
di capacità critiche al momento presente, diventano fervorini nei
quali il pupo (noi e voi) viene ammannito.
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Per rendere antipatici i lattieri ai lettori, non esita a ricorrere
anche ad alcuni mezzucci, come quello di lasciar cadere lì, en passant,
che sono "piccoli imprenditori", gente antipatica alla sinistra, si sa
(ma questa la dobbiamo al pistolotto di Valentini del giorno prima), né
a ricorrere al quadretto Deamicisiano del povero poliziotto che si deve
pagare la tintoria da solo.
(E perché mai, perché mai lo Stato, così splendido
e sprecone in tante circostanze, non paga la lavanderia delle divise sozzate
per ragioni di servizio? Che roba è mai questa?)
Così facendo, Repubblica si comporta come un giornale di partito,
che vuole "orientare" i lettori, "guidarne" l'interpretazione dei fatti
e nelle notizie in modo da creare consenso attorno all'azione del partito
di cui è l'organo.
Si dirà che Repubblica ha sempre fatto così, si è
sempre comportata come l'organo di un partito che non c'è. Vero.
Vero è anche che quando ha esagerato (e ora sta esagerando) ha perso
il consenso dei suoi lettori.
Ma c'è dell'altro. Il partito virtuale che Repubblica vorrebbe
rappresentare, tende a essere, in queste circostanze, pericolosamente coincidente
con il governo, un governo che di tutto ha bisogno fuorché di mentori.
Nel comportarsi nel suo solito modo, Repubblica non solo ci annoia
con i suoi tentativi di renderci "antipatici" i lattieri, ma accredita
anche una immagine di sé da "velina governativa" veramente detestabile
(ma al governo, siamo poi sicuri serva tutto ciò?).
E così, disquisendo sul valore provocatorio della merda, omette
un paio di questioni politicamente assai più importanti. Le faccio
notare qui al Lider Maximo, perché ne faccia oggetto se possibile
di qualcuno dei suoi prossimi "discorsi al popolo dei lettori". Oltre al
modo con il quale viene gestita la forza pubblica, che non è poca
cosa, perché ci dice che idea di paese ha di fatto un governo, c'è
l'altra questione, quella delle quote latte. Non facciamo finta di con
capire, per favore. Ci può essere una posizione ultraliberale che
vuole l'eliminazione di ogni norma per lasciare libero di agire il mercato.
Ma anche se si acconsente ad una norma e a una pratica di limitazione dei
quantitativi per evitare il crollo dei prezzi (cioè, per poteggere
i produttori stessi da dissennati e non remunerativi investimenti in aumenti
della produzione non assorbibili), qualcuno ci deve spiegare perché
ad un paese (l'Italia) deve essere imposto di importare latte, e ad un
altro (l'Olanda) deve essere consentito di esportarne. Perché non
imporre ad ogni paese di non eccedere la quota consumata.
Non è molto che in sede Europea si è assistito al tentativo
di imporre una normativa in materia di produzione casearia tagliata sulla
misura dell'industria del formaggio - se così vogliamo chiamarlo
- olandese. Se quelle norme fossero passate, in Europa si sarebbe potuto
produrre solo formaggio di plastica.
Ci sono voluti i produttori di formaggio francesi (che sarebbe finiti
tutti fuori legge) a impedire la malefatta.
Eh già, l'europa non è tutta rose e fiori. C'è
anche chi fa il furbo, senza per questo essere italiano.
Ma boja se i nostri giornali qualche volta ci mettano in guardia! Per
loro (e forse anche per il governo) gli italiani devono essere condotti
all'Europa come un gregge di pecore inconsapevoli.
Allora, di che stupirsi se un settore economico ingiustamente colpito
pianta una grana? Sono questi, i problemi, o il letame? |