Politéia
Il seguente lavoro è il prodotto letterario inedito di uno
scrittore-operaio. Si tratta di poche e brevi pagine che si presentano come
quadretti e che sono il risultato di riflessioni scaturite dopo alcuni anni
di lavoro in fabbrica, con turni irregolari in un ambiente pericoloso.
Il testo si legge scorrendo col puntatore le pagine, che si susseguono come
le ore che scandiscono un tempo notturno da incubo, ma inesorabilmente
reale.
Dopo la lettura, è possibile esprimere le proprie considerazioni facendo
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Turno di notte Marzo Sabato. Oggi alle 5 mentre prendevo il tè a casa con le bimbe un mio compagno di lavoro si faceva aprire il polso dal lembo tagliente di uno scarto di rame laminato. Gesto stupido il mettere le mani dove non dovrebbero andare, eppure ripetuto per abitudine e risparmio di tempo da alcuni di noi nelle ore di lavoro. |
Sonno buio rumore, fuori sono le tre del mattino il buio avvolge i boschi che ci circondano mentre sotto il tetto alto e bombato di questo capannone il tempo non esiste. Le lancette dell'orologio sono solo delle lancette che indicano dei numeri nello spazio nero. |
Siamo in una astronave che percorre viaggi di un turno prima di fermarsi per cambiare tutto l'equipaggio. Il mondo esterno è un ricordo lontano, mogli figli amici, immagini lontane e quasi immobili. |
Le macchine potenti rumorose ben piantate in terra ci avvolgono prepotenti con onde sonore e vibrazioni terrene. |
Conta di più l'operaio o la macchina? Credo, che nonostante ragionamenti superficiali e le convinzioni dei sindacati, la macchina conti più dell'operaio perché è in grado di sostituirne il lavoro mentre l'operaio non può più sostituire la macchina ma solo completarla. Io e Massimo siamo dei complementi umani alla linea continua SK2, ci adeguiamo ai suoi ritmi e ne subiamo i rumori gli odori le bizze e le rotture, dovendola accudire e assecondare in base alle necessità produttive. |
BUM BUM BUM alla linea accanto Mario litiga con la testa dura di un rotolo di ottone che non vuole abbassarsi sotto il primo rullo premitore. |
Il sonno doloroso va e viene mi volteggia intorno aspettando il momento per entrarmi da un orecchio e riempirmi la testa di gommapiuma oppure generarsi dai piedi e salire su su lentamente assopendo tutto ciò che incontra, indebolendo lo spirito. |
Guardo il rotolo che gira sull'aspo, gira gira gira gira gira gira gira gira gira gira gira gira gira gira gira girra gira gira gira gira gira girra e si avvolge il nastro di bel rame due chilometri ogni ora, sedici chilometri ogni turno. Rosso lucente vivo sotto i cilindri da cui esce con ondine graziose regolate dai nostri comandi. |
Quattro e venti del mattino la situazione si è fatta più grave, la sonnolenza domina, vedo il mio corpo ma quasi non lo sento, la testa mi ronza e gli orecchi fischiano nonostante i tappi ben inseriti. Dov'è il mio letto cuccia calda e silenziosa. Gira l'aspo e la macchina è viva illuminata a giorno da fari potenti. E' insensibile a me ed alla mie debolezze. Viva la macchina che per quanto grossa lunga e computerizzata può arrestarsi di colpo, immobile come morta se un circuito elettrico stufo di lavorare si interrompe. Io guardo e penso... la macchina è una macchina e io chi sono? Forse le appartengo per otto ore al giorno. |
3 notti in fabbrica dalle dieci di sera alle sei del mattino e 1 giorno a casa 3 pomeriggi in fabbrica dalle due alle dieci di sera e 1 un giorno a casa 3 mattine in fabbrica dalle sei alle due del pomeriggio e 1 giorno a casa la mia vita cambia ogni 3 giorni, ballo come ubriaco fra il giorno e la notte ondeggiando avanti e indietro come appeso ad un gigantesco pendolo, alcune volte a testa in giù. |
Domenica notte Marzo. Com'è lunga la notte siamo soli noi due in tutto il capannone la macchina va, lenta ma va. Sono le quattro e mezza e fra me e il cappuccino caldo al bar ci sono ancora 100 minuti da aspettare. Ieri notte era freddo e stanotte pure, gli spifferi ci infastidiscono la testa e il collo, i mutandoni cotone dentro lana fuori mi proteggono le gambe. Il raffreddore rallenta i pensieri le luci ed il rumore ci tengono svegli. |
Ma noi operai chi siamo? |
Sabato di Pasqua mattina. La mia macchina, che lavora in ciclo continuo, non può essere abbandonata da me che quindi la completo. Ma se la completo ne faccio parte, le appartengo. Ho letto che la macchina è il capitale e so che è di proprietà dell'azienda. Il ragionamento mi pare troppo semplice, ma sono portato a pensare che anche io sono un capitale uomo-macchina di proprietà della azienda per 8 ore al giorno e notte, 3 giorni ogni 4. Sabati e domeniche sono giorni lavorativi, vanno chiesti come ferie e vengono concessi nel caso ci sia qualcuno disposto a sostituirci, caso molto raro. |
Tu firma un buon contratto e abbi pazienza che la metamorfosi si avvera, da quasi uomo a uomo-macchina. |
Aprile notte. Se fosse provata l'esistenza dell'uomo-macchina sarebbe interessante stabilirne le caratteristiche precise e le rivendicazioni permesse. |
La soluzione migliore credo sarebbe la lobotomia parziale temporanea, addormentare quelle parti del cervello non necessarie durante il turno di lavoro e cioè quelle che trasmettono la pena e fanno sorgere domande inutili seguite da incazzature inevitabili. |
Tre giorni di vacanze pasquali, io a Roma da amici e il mio compagno a casa sua a mangiare. In così breve tempo ci siamo disabituati al nostro ruolo. La notte non finisce più ed il rumore sembra nuovo e più prepotente. Alle 1,30 Massimo ha detto, guardando il rotolo girare, "Vita di merda". Alle 3,20 ha aggiunto, con lo sguardo fisso al fondo del capannone, "Questo è l'inferno". Sono stato contento di non essere l'unico a pensarlo. |
Sono le 5 meno 10 e il mio compagno, seduto, dorme con la bocca aperta e la testa appoggiata ad una mano. |
Non bisognerebbe mai parlare degli aspetti tristi della nostra esistenza se questi non sono risolvibili, perché la conseguenza è l'indebolimento nell'affrontare lo sforzo. |
Se io sono qui per pagare delle colpe quegli altri che ci stanno a fare? E quelli fuori, che vedo vivere alla luce del sole nell'aria della primavera, sono forse innocenti? Patiranno anche loro, ma io non lo vedo e comunque in questo momento dormono nei loro letti morbidi. |
Libertà va cercando, qualcuno l'ha scritto e mi piace il suo suono. |
Massimo ha appoggiato la testa sul tavolino e dormito profondamente 8 minuti. Avrebbe fatto pena alla sua mamma se lo avesse visto. |
Meglio un patire vero e sicuro o uno star bene incerto e libero? Le certezze sono nella sofferenza il resto va e viene. |
Notte Aprile ore 4,20. Io sono qui dentro e i miei pensieri vorrebbero volare fuori dal portone.................ma non ci riesco. |
Mi gira la testa ma la vista è acuta e ferma. Una parte di me è frantumata mentre l'altra è compatta e ferma. |
Come fare per stabilire la misura del troppo.........forse partendo dal meno che gli sta di fronte. |
La mia macchina partorisce 2 chilometri di rame per tetti ogni ora, 48 Km al giorno per 300 giorni all'anno. In un anno 14.400 Km vengono venduti ma nessuno di noi sa veramente dove vadano a finire. Neanche "Tito che ha ritinti i tetti" riuscirebbe a immaginarsene così tanti, un nastro di un metro di rame che partendo da qui e passando da New York arriva in California. |
4,30 è l'ora del sonno di Massimo testa reclinata e braccia conserte. Gli vedo bene il tappo di gomma giallo che spunta come un'appendice dall'orecchio destro. Non fa pena come ieri, sembra un vecchio politico assopito al teatro. |
Producono di più due operai in otto ore che dieci politici italiani in una settimana, e forse più. |
Se mi licenzio non dovrò più prendere sonniferi alle sette del mattino. Se mi licenzio non prenderò più lo stipendio. |
Puzzi sempre di fabbrica, ha detto la moglie ad un mio amico operaio. Quando non sentirai più questa puzza non sentirai più neanche la puzza della cucina ........................La verità, nel frastuono delle macchine, seguita dal silenzio da cui nasce. |
Domenica pomeriggio aprile il sole fuori. Siamo usciti ieri mattina alle sei dopo tre notti di lavoro, dormito tutto il giorno vegliato la notte e rientrati barcollando oggi alle due. Non è un riposo quello che divide le tre notti di lavoro dai tre pomeriggi identici, ma è uno stato confusionale narcotizzante. |
I capannoni sono deserti e le altre macchine ferme, se ne stanno assopite circondate da lievi soffi e fischi che provengono dalle condutture dell'aria compressa, sembrano innocue. Alcune, sulla loro sommità a quattro metri di altezza, hanno una luce a intermittenza rossa che silenziosa indica chissà che. |
Vedo le finestre della mensa e ripenso allo strano effetto che mi ha fatto il pranzo di Natale. Dieci anni prima ero a New York e alla cena di Natale mi trovavo seduto ad un grande tavolo rotondo a "Le Cirque" ospite di un miliardario e della sua famiglia. Due tavoli più in là, all'angolo, Woody Allen chiacchierava con degli amici, ma io ero interessato a Diane Keaton. Mentre a sinistra seduto ad un piccolo tavolo da due pareva scocciato della sua vita Rod Steiger in compagnia di una donna silenziosa. Ricchi e famosi questi, poveri e sconosciuti i miei compagni alla mensa? |
Per quanta riguarda la notorietà la differenza era ovvia, e anche per il candore delle mani, mentre pur concentrandomi non vedevo differenze in ricchezza. Sapevo che il mio pasto a New York era costato circa mille dollari uguale alla paga dell'operaio seduto davanti a me, eppure non riuscivo a vedere lui povero o meno felice di quelli che a "Le Cirque" pasteggiavano a champagne. In realtà era tutto uguale, le differenze erano dettagli: tute blu macchiate, sedie di ferro e plastica, tavoli di formica e piatti grossi mentre di là giacche a doppio petto, smoking, poltroncine di velluto, tavoli bianchi e morbidi, piatti raffinati. |
Non ricordo cosa mangiai nel piatto raffinato, certamente qualcosa di buono come lo era pure la pasta che avevo ora di fronte a me. Due primi tre secondi formaggi e contorni, vino birra e coca-cola. Credo che un pasto in fabbrica ci costi sulle 800 lire. Le similitudini fra questi uomini e gli altri era evidente, la differenza che riguardava me invece era una distanza nel tempo e nello spazio. |
Ho un coltellino svizzero in tasca, quando sono stufo di veder scorrere il rame mi limo le unghie che sono molto corte. Ne lascio una lunga per le emergenze. |
Notte fine aprile. Ho deciso di licenziarmi fra una settimana. Sono le 2,20 notte fine Aprile, dopo aver lavorato in fabbrica prima due anni e mezzo 12 ore consecutive di giorno e notte i sabati e domeniche e poi quest'ultimo anno con i turni 3-1, sono arrivato alla unica conclusione per il bene mio e della mia famiglia. Speravo di arrivare almeno alla fine di Maggio, ma i miei pensieri incominciano già ad essere liberi, mentre il mio corpo è ancora legato a questo posto. Incomincio ad essere disinteressato e distratto, creando una situazione di pericolo per me stesso e il mio compagno. Le macchine in funzione sono molto potenti e una distrazione può trasformare un dito, una mano o un piedi in poltiglia, senza considerare gli infortuni più gravi, quelli senza ritorno. Mi sento insicuro ora nel trovarmi qua e pensare al futuro che sarà certamente più libero ma accompagnato dall'incertezza del lavoro. |
4 maggio sabato penultima notte............. non ho parole e neppure sonno. |
6 Maggio lunedì fra poco meno di due ore timbrerò il cartellino alle 6 per l'ultima volta prima di consegnarlo nelle mani delle guardie al cancello. Non esisto già più qua dentro, il mio nome e numero di matricola sono stati cancellati dal tabellone dei turni venerdì pomeriggio. Ho fatto un giro solitario nei quattro capannoni per salutare le macchine assopite e buie. Uscendo dal cancello ritroverò lentamente me stesso e la mia famiglia, ma avrò lasciato un pezzettino del mio cuore fra questi muraglioni. |
Mancano 58 minuti e incomincio a sentire un lieve malessere. Andrò nello spogliatoio, prima che si affolli, per raccogliere la mia roba dall'armadietto, lentamente, ora che il tempo mi pare incominci a correre. |
Fuori mi aspetta l'aria nitida e fresca. |