Novembre 1993
L’arte di Domenico Fiorentino
La Rosa Magra di Sorrento festeggia i settant'anni di Domenico Fiorentino, una vita dedicata all'arte
Da Santa Fe a Napoli
P
uò ancora la pittura rendere felice chi la pratica e chi la osserva, in un mondo che ha negato la felicità di Dio negando anche l'arte?Ho la risposta da quando, nel '91, ho incontrato la pittura di Domenico Fiorentino. Fu in un albergo di Sorrento: un paesaggio, uno scorcio di strada e mare ebbe l'immediato potere di riscattarmi da un ozio tedioso, comunicandomi quella particolare gioia che procede dal piacere e dalla conoscenza visiva.
Era colore acceso e sapiente, steso anzi con tale sensuosità elaborata da trarre a sé non solo gli occhi, ma finanche il gusto e il tatto, mentre l'impaginazione primitiveggiante della scena esercitava d'altra parte l'intelletto a riconoscervi una feconda attenzione alla Scuola Romana, che non era andata a discapito dell'autenticità dell'emozione. Ho vissuto per alcuni giorni col conforto, che mi confermavo tornando a rivedere il quadro, di aver incontrato un pittore vero.
Quando, frugando tra i pezzi di una bottega d'arte, la settimana successiva individuai un quadro che mi pareva davvero buono, ancora mi ritrovai, con piacevole sorpresa, davanti ad un’opera di Fiorentino, che stavolta discorreva di paesaggio con severità di equilibrio compositivo e di toni bruni e verdi. E avvertii a quel punto l'irrinunciabilità della conoscenza diretta dell'artista, avendo saputo che per di più viveva poco lontano.
Ho avuto così la fortuna di incontrare l'uomo, il suo entusiasmo giovanile, un caloroso trasporto col quale mi introdusse agli affascinanti segreti di quel piccolo museo, anzi di quella Wunderkammer pittorica che è la sua casa, su una collina prospiciente Sorrento. Li, mentre assaporavo, replicato, il calore umano e l'accoglienza anche di colei che ben a ragione è sua compagna e moglie, cominciai un rapinoso trasvolo sulle fitte pagine, che gremiscono letteralmente ogni angolo dell'abitazione, ogni recesso del suo mobilio, di un diario di pittura pulsante come un inno alla vita. Le coordinate stilistiche non sono inutilmente complicate, non mascherano povertà di sostanza dietro il trucco intellettuale. Poiché Domenico Fiorentino ha il dono del vero artista, la sorgività. Il che non esclude che il suo innato istinto di colorista, di forte colorista, non abbia ricercato e ricerchi tuttora l'affinamento nel confronto con la pittura altrui. I modelli sono lì, ben riconoscibili, né nascosti, né rinnegati: l'alunnato con Crisconio e Viti, la cultura francese impressionista e postimpressionista - spaziante dalle finezze di Sisley al racconto dimesso di Utrillo, dalla lezione cezanniana al segno incisivo di Van Gogh -, una particolare congenialità per l'accensione cromatica fauvista, che in più casi è quella costruttiva di Derain, e, in Italia, per le ricerche della Scuola Romana (da Mafai a Mazzacurati, Stradone).
Né avremmo esaurito tutti i riferimenti, a testimonianza di una cultura visiva ampia e strutturatasi empiricamente sull'onda di una passione sempre viva e sensibile, che sospinge Fiorentino a interrogare maestri dei secoli passati come quelli del '900. Sicché, ad esempio, non viene a meravigliarci il riconoscere una reminiscenza di Andrea Del Sarto in uno splendido ritratto giovanile della moglie a sanguigna, e invece il rigore tagliente di certo espressionismo mitteleuropeo in alcuni grandi acquerelli.
Paesaggio soprattutto, ma anche nature morte, e una serie - che a noi pare particolarmente rimarchevole - di ritratti e autoritratti in cui l'umanità dei sentimento penetra con vigore il soggetto.
Rare qualità costruttive attraverso il colore, con pregevolezza di accordi, innato equilibrio compositivo, che ha il rigore dei grandi artisti, e - al principio e a suggello dell'opera - quella schiettezza umana, quell'approccio amoroso all'arte e alla vita, che porta Fiorentino realmente a ri-vivere i suoi modelli stilistici, e riscatta pure, tra le centinaia di suoi pezzi, quella giustificabile percentuale eseguita per un più facile esito mercantile.
Perché la storia è quella antica , che sarà sempre, anche durante i tempi di
"morte dell'arte" millantati con pezzi di gabinetto anatomico o ferramenteria, cascami di una moralità degradata: si ha cuore o non si ha cuore, si ha talento pittorico o non si ha, e da questo nasce la commozione e la resa sincera di ciò che circonda, da dentro e dall'estemo, l'uomo.
Nella cosiddetta "provincia" il fiume dell'Arte perpetua frattanto il suo corso eterno, la vicenda che mai può morire della semplicità, del sentimento e della bellezza. Nella quale c'è posto per la paziente attesa della "Scolaretta" del '53 di un' adeguata collocazione in museo e considerazione storico-critica; e per la tenera e triste fiaba di una dolcissima ragazza, artista brava quanto il padre, portata molto presto nel Cielo a contemplare quella Madonna che aveva più volte dipinto.
Sicché se vedrete girare per Sorrento un uomo con in mano una borsa e lo sguardo di chi segue un pensiero, non ignoratelo; non fermatelo, ma seguitelo: a un tratto si fermerà, estrarrà i pennelli e vi insegnerà a vedere in maniera antica e sempre nuova la Vita.
Da "La Voce della Campania",
N.12, Dicembre 1993
PAOLO MAMONE CAPRIA