( autoritratto con tuba, olio su tavoletta)

LUIGI CRISCONIO

(1893-1946)

 

 

Spregiudicato ironico, qualche volta addirittura feroce e cattivo nella satira in certi giudizi fulminanti, egli affermava, in ogni istante, il suo diritto alla libertà e all'indipendenza del giudizio. Paolo Ricci gli chiese di visitare il suo studio, lo guardò esterrefatto e rispose "Cosa vuoi che ti mostri? Allo studio non ho che quadri invenduti, vale a dire i quadri che non valgono nulla". Era un suo modo amaro di scherzare sul gusto del pubblico e degli amatori, i quali pretendevano dai pittori vedutine ottimistiche e quadretti di genere.

La pittura di Crisconio è l'interpretazione più alta e poetica di questo mondo di contraddizioni e d'assurdi: il mondo di una Napoli moderna che accoglie ancora nel suo seno la plebe di Masaniello.

E non è vero che egli - come qualcuno ha detto - dipingesse come un ottocentista, perché un nuovo contenuto non si esprime con vecchie forme, con un linguaggio scaduto e inefficiente. D'altro canto basta confrontare le prime "impressioni" di paesaggio crisconiano con la pittura dei contemporanei, per rendersi conto del gran balzo di qualità che le prime compiono, rispetto al livello generale della produzione napoletana del tempo.

E, si badi, non mi riferisco ai pittori mediocri e convenzionali, per i quali un qualsiasi confronto sarebbe disastroso, ma ad artisti d'indubbia probità e nobiltà d'ispirazione quali, Pratella e Migliaro, tra i rappresentanti della vecchia generazione, come Gatto, Curcio, Viti tra i giovani eredi del Verismo cammaraniano. Questo è quanto Paolo Ricci ha scritto, difendendolo a spada tratta, soprattutto, contro coloro che non avevano ancora ben afferrato le qualità di Crisconio. Nel leggere le recensioni, rivedo il suo sguardo incantato, quasi innamorato, quando ammirava qualche opera di Crisconio in galleria. Paolo era di casa nella nostra galleria, come di casa sono state le opere di "Don Luigi", dedicandogli quattro mostre personali dal 1954 ad oggi.

Questa mostra è forse la più completa e la più selezionata di quelle precedenti, un doveroso omaggio, verso quest'autentico artista e un riconoscimento a Paolo per la sua opera svolta.

Per inquadrare l'opera rinnovatrice di Crisconio a Napoli si deve considerare l'atmosfera degli anni dal '24 al '30-'31 nei quali la sua personalità si

formò e trovò effettivamente la sua strada. Quali furono le voci di rivolta al duplice conformismo modernista - novecentista e verista - folclorista che dominavano in quegli anni? Le voci nuove cominciarono a farsi sentire solo con Scipione e Mafai, verso il '30, appunto, e poi, qualche tempo dopo con il gruppo torinese, Levi, Menzio e Paolucci. Crisconio, anche se la sua azione rinnovatrice si svolge con notevole anticipo sugli artisti del gruppo romano e torinese, va inquadrato appunto nella corrente d'opposizione al novecentismo. Un'influenza dell'opera crisconiana in opposizione i due poli reazionari si fece sentire presto, sugli artisti più sensibili della generazione del nostro secolo, soprattutto nell'ambito partenopeo.

Tratto dal saggio di Paolo Ricci, "Il pittore illegale della Napoli moderna", 1964

 

 (Fanciullo, olio )

Luigi Crisconio nacque a Napoli il 22 agosto dei 1893. Suo padre aveva un negozio di cartoleria in piazza della borsa e li l'artista trascorse la sua prima giovinezza. Contro il volere dei familiari volle frequentare l'Accademia di Belle Arti. Erano gli anni di Cammarano e di Migliaro che, entrambi , insegnavano in quella scuola. Il giovane Crisconio non si lasciò influenzare da questi artisti, che egli pur giudicava eccellenti, manifestò invece fin dal primi saggi, un'assoluta indipendenza di visione. Compiuti gli studi cominciò ad esporre, suscitando reazioni violente da parte degli amatori della cosiddetta "bella pittura", quali gli rimproveravano il nero della sua tavolozza. Vive isolato, aggirandosi la notte tra postriboli e caffè equivoci, senza mai separarsi dalla sua cassetta di colori. Sovente l'accompagnava Francesco Cangiullo. Risalgono a quegli anni (24~28) alcune sue stupende tavolette d'interni. Ma la sua vita non s'arricchisce d'avvenimenti d'eccezione. La sua pittura era la sua unica occupazione e la sua grande e drammatica avventura. Alla ricerca degli angoli più intimi della Campania e dei "motivi" più congeniali alla sua visione del paesaggio viaggiò continuamente, fino a che non scelse Portici come luogo ideale per la sua ispirazione. Sposò Elisa, la sua modella, verso il 1940. Non ebbe mai riconoscimenti ufficiali e premi, non n'ebbe mai cattedre accademiche e incarichi professionali, che, invece piovvero abbondantemente sulle spalle dei più emeritj "pompieri"napoletani. Più che pittori, suoi amici furono scrittori, giornalisti e uomini di teatro. Tra loro Gino Doria, Carlo Bernari, Vasco Pratolini, Alfonso Gatto, Raffaele Viviani, Libero Bovio, Corrado Alvaro, Cangiullo e Peirce. Mori improvvisamente a Portici il 29 gennaio del 1946.

Paolo Ricci, Catalogo Mostra Mediterranea

 

 

 

 

Piano di Sorrento, olio su tavoletta

... Crisconio è una voce di cui va dato conto nella pittura dei primi quarant'anni di questo secolo, una voce più forte delle altre, più pura e più vera, anche se non fu futurista, metafisico o altro, ma solo un vero pittore, legato agli uomini che conosceva, alla terra, alle cose, al paese che conosceva.

Renato Guttuso

 

Calvo,, piccolo, vestito dignitosamente di scuro (grigiopiombo o blu), con la giacca ad un petto interamente chiusa dal primo all'ultimo bottone, le scarpe a stivaletto (come quelle dei collegiali) due occhi neri, sfavillanti, lucidi, e le mani tozze, pelose, fortissime, piene d'ossa, di muscoli, di vene.

Questo era Luigi Crisconio. Il pittore Luigi Crisconio. Aveva questa particolarità: la più lieve carezza sul cranio gli procurava dolori lancinanti. Era costretto a portare sempre il cappello. D'estate portava dei panamini gialletti di gusto parigino, d'inverno doveva comprare feltri sopraffini adatti a quel suo capo dolorante. Mori con una congestione celebrale.. La sua figura era in contrasto netto con la sua pittura, piena d'umori, di colori, di forme. Quanto era vulcanica, istintiva, in ebollizione la sua pittura (come la lava che non ha ancora trovato una forma stabile che ancora non si è gelata), tanto lui di persona era ordinato, lindo, compassato.

Guglielmo Peirce

 

 

LUIGI CRISCONIO

Nacque a Napoli nel 1893 e morì a Portici nel 1946. E' stato pioniere di una rinnovata introduzione modernistica del primo novecento napoletano, ma sicuramente non l'unico, altrimenti si farebbe torto ai suoi valorosi coevi come il Viti, energico e stilistico conduttore di luminosità plastificata; il Villani, istintivo e formato creatore di un grigio peculiare.

Impressionista istintivo ed audace, nella sua genuina costruzione pittorica, il Crisconio schivava il bello formativo di gusto più o meno piacevole, a tal punto da pervenire, talvolta, ad una particolare sgradevolezza oggettiva. Forse egli esagerava nella sua sincerità pittorica, ma è certo che egli si limitava ad istantanee visioni, sintetizzando gli scherni costruttivi in chiave robusta ed impetuosa.

" Bisogna essere sinceri con sé stessi ", lo udimmo profferire durante una sua " personale " alla Galleria De Carolis e De Rinaldi di Napoli qualche mese prima che si spegnesse e, bisogna riconoscere che, forse, nessun pittore dell'epoca crisconiana ha mai raggiunto quella fedeltà autocosciente che, al di sopra di qualsiasi giudizio ed opinione di gusto incerto gli ha permesso di penetrare con scrupolosa ed intima convinzione nelle sfere più concrete dell'arte, se pure limitatamente.

" Che egli abbia toccato, talvolta, quelle altezze ", scrive il Causa, "'Che non è possibile disconoscergli, ed abbia saputo evitare ogni deviazione verso più facili formule di successo, è fatto da incutere rispetto, e da stabilire di per sé la misura dell'artista. Ma proprio dall'ambiente quell'inevitabile condizionamento che fissa il limite della pittura di Crisconio, condizionamento per il quale, nonostante le particolari doti native, l'artista si esaurisce in orbita provinciale se pure in condizioni di eccellenza ".

Di chiara esposizione il concetto del Causa testé menzionato su Luigi Crisconio, su questo artista singolare, la cui pittura sorge da un naturale complesso di immediata capacità intuitiva, mai esitante, priva di convenzione, istintivamente affidata alla sua verve e al suo estro. Luigi Crisconio non è un pittore indagatore, ma è autentico, seppure imprevedibile ed inconscio precursore e suggeritore, nei suoi " messaggi " sulla evoluzione francese e spagnola, di impulsi pittorici sostanziali ed attuali nel cerchio ostinato e tradizionale della pittura napoletana.

E furono appunto le non lievi ostilità ambientali mossegli dai colleghi legati alla tipica tradizione napoletana, alte quali si aggiunse l'emergenza delle sue condizioni economiche tutt'altro che benigne nei suoi confronti a rendergli la vita difficile. " Sono il servitore della pittura ", rispondeva alle polemiche, e, con un triste sorriso, aggiungeva: " e devo obbedire alla mia padrona ".

Soltanto dopo la sua immatura scomparsa il suo talento artistico è emerso in tutto il suo vigore integrale e la genuinità, la limpidezza di un'arte sincera e pura trova oggi l'unanime consenso della critica ed è riconosciuta valida dall'obiettività dei più sinceri maestri contemporanei del colore napoletano e italiano.

" Servitore del colore ", " operaio della pittura " (come si autodefiniva) erano i suoi naturali presupposti di ribellione al gusto raffinato, una specie di rivoluzione interiore ed esteriore insorta con spontanea opposizione all'eleganza e all'estetica, estrinsecata con una massa cromatica prescindente dalla fierezza dei contrasti, ma utile nel linguaggio.

Il Crisconio era un estemporaneo nel più ampio senso della parola. Egli non tornava mai sulla stessa pennellata, anche se sfociata nell'errore. Ed era perfettamente inutile farglielo notare. Se il bottone d'una giacca non combaciava a livello della sua asola, per lui ciò non assumeva nessuna importanza; nulla andava ritoccato, quasi che un destino ne avesse segnato una posizione inevitabile.

Sull'arte del Crisconio abbiamo interpellato Alfredo Schettini davanti a un ritratto del pittore. " Questo è Crisconio! ", ci ha dichiarato lo scrittore, " non certo l'autore di certi nudi sesquipedali visti in qualche mostra "sorrentina", non sufficientemente saturi di quella fluidità policroma indispensabile alla costruzione d'un'armonia anatomica. Il vero Crisconio è questo ", aggiunse indicando il ritratto prima accennato e quello delle piccole inquadrature di certe vecchie fattorie di campagna e dovunque le capacità pittoriche dell'artista possono circoscrivere in tele di piccole dimensioni il suo indiscusso valore ".

E terminò, sorridendo: " Carlo Siviero sosteneva addirittura che Crisconio è un metro di stoffa inglese! ".

Il pensiero espresso dallo Schettini va seriamente considerato perché è evidente che Luigi Crisconio non è stato un artista di vasta dimensione. Non si può, invece, seguire lo scherzoso, ma drastico concetto del Siviero, il quale con la sua frase sentenziosa ha, nella sua esagerazione, ridotto notevolmente il prestigio artistico del Crisconio. Nella raccolta Pagano figura un grande ritratto di " chitarrista " che mostra il vigore e l'efficacia pittorica di un Goya e una forza di colore non comune.

Non bisogna dimenticare che il Crisconio, secondo attendibile affermazione del Ricci, era uso approfondire studi personali sul Greco, suo pittore preferito, ed alcuni impressionisti francesi. Ed è Paolo Ricci, nella presentazione al catalogo di una mostra dedicata al Crisconio, che riferendosi al ritratto della madre di quest'ultimo, fa taluni accostamenti: " E' un'opera del 1924 assolutamente estranea al clima pittorico della Napoli di quegli anni, riferibile, semmai, al Derain post-cubista e a Scipione " (sebbene il ritratto della madre di quest'ultimo sia di dotazione assai posteriore).

" La medesima sobrietà cromatica e la stessa energia di modellato si ritrovano in altri dipinti di quegli anni; ad esempio il " Ritratto di Lina De Veroli ", quasi astratto nel suo assoluto rigore geometrico (Cezanne, ma anche Piero della Francesca); con quel pungente profilo di toscana che si staglia netto ed arguto nello spazio monocromo dell'ambiente ".

" Gli attacchi anatomici (il braccio che s'innesta nella spalla, ricordate il giubetto rosso di Cezanne?) - la bella testa che pianta diritta e fiera sul collo, alto come uno stelo) sono intuiti e resi nella loro più intima strutturazione volumetricatonale e danno all'immagine una curiosa ed inattesa monumentalità ".

Riferendosi, poi, ad uno dei ritratti della moglie del pittore, Elisa, il Ricci scrive ancora: " Questo quadro d'intonazione viola, illuminato da una livida luce tangenziale, rivela l'amore che l'artista ha per il Greco, che fu uno dei suoi amori pittorici più tenaci e convinti, anche se, in pratica, assai di rado quell'ammirazione si tradusse in diretta influenza stilistica, se si escludono alcune opere come il gruppo degli " Scolari " (di ignota collocazione); il ritratto di Bebè Rubinacci del '35 e il ritratto del figlio di Alberto Consiglio, della raccolta Colucci ".

La produzione del Crisconio ha acquisito maggiore risalto artistico dopo la sua morte e, difatti, la critica si è molto interessata a questo artista originale con giudizi, in definitiva, largamente positivi.

Delle opere crisconiane si citano alcune tra le più rappresentative apparse in mostre retrospettive o figuranti in raccolte private: " Chitarrista ", " Pascone ", " Autoritratto controluce ", " Lo zio Luigi ", " Villa comunale ", " Capri ", " Autoritratto di profilo ", " Cortile a Meta ", " Muro e carretto ", . " Asinello ", " Nudo su fondo verde ", " Negozio di frutta ", " Il divano rosso ", " La casa gialla ", <, Fanciullo ", " Granatello ".

 

Meta di Sorrento

 

 

Cenni bio-critici

La personalità di Luigi Crisconio abbraccia un arco ampio nella storia delle arti figurative del Mezzogiorno. Egli, sebbene ufficialmente non sia stato considerato tale, è, di fatto, il principale protagonista della pittura napoletana dal 1920 al 1946, anno in cui, a soli 53 anni, improvvisamente morí.

Crisconio (1893-1946) apparve nel momento forse più sordo e chiuso dell'arte napoletana, il momento degli Irolli, dei tardo-morelliani, dei piú vuoti veristi fine secolo. Ma fin dall'esordio egli seguì il suo istinto sulla strada opposta alla faciloneria o alla sbrodolatura coloristica, orientando la sua ricerca al rigore tonale e alla originalità contenutistica. Le prime opere ripropongono, con un colore più asciutto e sobrio, il tonalismo manciniano. Ma il suo interesse era altrove; egli, infatti, preferiva la problematico ricca e inquieta della ricerca realistica e un confronto illuminante. A una più chiari comprensione della personalità di Crisconio può giovare un richiamo a Viviani. Anche Raffaele Viviani aveva raggiunto, fin dalla prima giovinezza, l'assoluto dominio di un raffinato linguaggio teatrale; ma ciò non poteva bastare a un uomo come il grande commediografo e attore napoletano che intendeva guardare più a fondo e in modo originale nell'animo del popolo. Come Viviani, Crisconio seppe dunque abbandonare ogni facile via di successo per affrontare da solo il problema di un linguaggio popolare che uscisse dalle linee convenzionali e folcloristiche delle scuole regionali. Per raggiungere questo, sia l'attore che il pittore non abbandonarono mai, neppure per un momento, il terreno storico, culturale e umano su cui poggiavano saldamente i piedi. Nella assoluta fedeltà alla coscienza della condizione umana di Napoli risiede la loro singolarità creativa.

A questo punto sarebbe opportuno riprendere il discorso sulla unificazione culturale dei nostro paese, sull'influenza che la realtà delle varie culture regionali ha avuto nella formazione di un linguaggio nazionale. Da noi lo sviluppo allo Stato-Nazione è stato differente rispetto ad altri paesi, ed è di data molto più recente. Fino ai primi decenni del nostro secolo, i nostri artisti, i nostri scrittori, non possono dirsi italiani, nel senso di esprimersi con un linguaggio ugualmente valido da un capo all'altro del paese, dato che la nostra cultura nazionale non appariva come una sintesi, ma piuttosto la somma aritmetica delle varie culture regionali. Nessuno potrà dire ad esempio che Manzoni non sia, prima che scrittore italiano, lombardo, cosí come sono lombardi il Piccio, Ranzoni e Pellizza, avendo essi, alle loro spalle, una realtà sociale che nulla aveva in comune con la società e la tradizione di cultura della Sicilia, della Puglia o della Campania. In Francia sarebbe impossibile concepire nelI' Ottocento la nascita di uno scrittore come Verga. In Francia, inoltre, non vi sono poeti dialettali, il contrario dell'Italia, dove, invece, dopo Leopardi, i più grandi poeti nazionali scrivono e si esprimono in dialetto: Porta, Belli, Di Giacomo, Vìviani, se non si vuole poi tener conto del teatro: da Goldoni a Viviani e a Eduardo De Filippo. Ciò che è vivo, insomma, nella cultura italiana, appariva radicato nelle tradizioni e nelle civiltà regionali, e ancor oggi, negli scrittori di maggior rilievo, da Palazzeschi ad Alvaro, da Bernari a Pratolini, da Pasolini a Gadda, a Pavese, a Rea, a Testori, la caratterizzazione regionale è marcatissima. Il problema critico dell'arte italiana moderna non può pertanto prescindere dalla constatazione di questa realtà Crisconio ha assunto ben presto una posizione autonoma rispetto alle tradizioni del gusto a Napoli.

Pur muovendo i primi passi nel solco della grande civiltà meridionale (Gigante - Palizzi - De Gregorio -Cammarano- Mancini), egli si distaccò nettamente dai contenuti di quella tradizione, per giungere, sia pure attraverso drammatiche e contraddittorie esperienze, alla conquista di un linguaggio attuale valido non soltanto come sintesi di quella illustre storia o tradizione, ma come affermazione di una visione autonoma della realtà obbiettiva e del mondo ispirativo. L'azione di Crisconio ha, per Napoli, un grande valore di rinnovamento, anticipando il momento di riscatto regionalistico dei gruppi romano (Mafai, Scipione), torinese (Levi, Menzio) e toscano (Rosai).

Naturalmente le basi sono diverse e riflettono le differenze strutturali della società e delle tradizioni culturali delle singole regioni. D'altro canto Crisconio non può considerarsi un eroe solitario nella lotta per l'affermazione di un'arte moderna napoletana; la sua azione fu preceduta, ad esempio, dai secessionisti come Edgardo Curcio, Pansini, Gatto e, più tardi, Tizzano. Crisconio non fu evidentemente l'inventore di un linguaggio, come Cézanne o Picasso; ma dove sono in Italia artisti di questa statura ?) Egli è, alla stregua di un Sironi, di un Rosai, di un Mafai, un artista esattamente caratterizzato, espressione di un mondo, di un complesso di immagini che sono napoletani, come sono milanesi le fabbriche e le periferie di Sironi, e fiorentini gli omini e le stradette di Rosai.

La misura di universalità, insita in queste varie immagini, è valutabile proprio in rapporto alla loro tipicità e caratterizzazione, stavo per dire locale, e non ad una generica unità di temi e motivi di ispirazione totale, che in questo caso non esiste.

Crisconio, con un linguaggio che gli è proprio (e che non è, né poteva essere, quello di Sironi, di Mafai, di Scipione), scopre la Napoli dolorosa e povera dei quartieri operai, i paesaggi industriali del Pascone e di S. Giovanni a Teduccio, che non somigliano ai sobborghi industriali delle altre grandi città moderne (dove tutto è coerente e quasi crudele nella sua determinatezza urbana), ma hanno una loro curiosa atmosfera con quella anacronistica ed incredibile mescolanza di strutture lucide e nette di acciaio e di catapecchie cadenti, rurali, di alte ciminiere e tralicci metallici e di teneri orticelli di broccoli, di centri residenziali affollati di operai coscienti e moderni e di sordidi fondaci in cui si annida il piú disperato sottoproletariato europeo. La pittura di Crisconio è l'interpretazione poetica piú alta e commossa della contraddittorietà dei paesaggio moderno, di Napoli.

E non è vero che egli dipinga come un ottocentista - come qualcuno ha detto - perché un nuovo contenuto non si esprime con vecchie forme, con un linguaggio scaduto e inefficiente. D'altro canto, basta confrontare le prime impressioni di paesaggio crisconiano con la pittura degli artisti a lui contemporanei, per rendersi conto dei grande balzo di qualità che le prime compiono rispetto al livello generale della produzione napoletana del tempo.

( continua, Si ringrazia la Galleria Mediterranea ed il Museo di Capodimonte di Napoli )