Nello sterminato tabulato del
Possibile Linguistico i veri compagni di strada non sono quelli che
battono gli stessi tracciati. Non hanno i marker banali dell'orda:
non si somigliano per le modalità espressive, ma solo per le
metodologie, non per le direzioni ma per la costruzione di un orizzonte
comune ad apertura illimitata. Quando si tratti di artefici del linguaggio
che mettono radicalmente in gioco consuetudini e logiche accreditate
dall'accettazione generalizzata rischiando con leggerezza un capitale
di consenso e, starei per dire, di pubblica utilità, li connota
un'audacia intelligente, almeno pari alla diversità dei profili,
e la loro riconoscibilità - reciproca o globale - si afferma
solo in rapporto alla zona di orizzonte utopico da essi aperto. Ecco,
sì, è unicamente entro la necessità dell'utopia
che la loro ricerca prende senso, dal momento che le premesse rassicuranti
del verosimile vengono assunte nell'affermazione di un'altra formalizzazione,
che comprende in sé l'intero peso delle apparenze del mondo,
abolendone i preliminari e assumendolo come sostanza espressiva autonoma.
E' il lavoro di cui nella modernità si sono resi responsabili
tutti quegli artisti che non hanno accarezzato la Bestia Aggressiva
ma l'hanno liberata in linguaggio. La fragilità delle difese
costituite dall'assetto delle Sacre Convenzioni ha ben presto mostrato
la sua natura demagogica. La vera democraticità estetica era
altrove: nell'azzardo, nella ricerca relativamente disancorata, e
soprattutto, nella coscienza autocritica del proprio fare rispetto
alla storia in atto, che non poteva essere rappresentata ma con la
quale era sempre più impellente interloquire, rompendo i nessi
narrativi che ne costituivano l'alibi alquanto sporco. Dopo le esperienze
dell'Informale, questi artisti hanno maturato l'esigenza urgentissima
di lavorare per una Forma che contenesse in sé la propria teoria,
e magari ne mostrasse i risvolti e le ragioni alternative. In questo
senso, potrebbero essere definiti - sulla traccia di certi essenziali
suggerimenti del Benjamin "barocco" - artisti allegorici.
Due di loro, e di primissima fila in quella brigata di guastatori
ormai classica, due "compagnons de route" come suona il
titolo di questa mostra, sono Luigi Boille e Achille Perilli: personalità
di spicco capitale, assai diversi quanto ad esiti espressivi, ma certamente
accomunati da un'ansia febbrile di rimettersi senza tregua in gioco,
di sottoporre a tagliente autoverifica i risultati raggiunti, considerando
come irrinunciabile la complessità dei moti del linguaggio
a petto delle perenni oscillazioni, contraddizioni, cadute e resurrezioni
del reale. Che restano, ineluttabilmente, a seconda dell'ottica che
si adotti (dottrinaria o problematica), ideologiche o misteriose.
Bene, i due "compagnons" in esame hanno costantemente puntato
sulla seconda opzione, contrapponendo a questa misteriosità
il mistero irrefrenabile dell'invenzione, per servirci di un termine
che Lucio Fontana, ad entrambi assai caro, amava usare per la definizione
delle proprie opere. Per questo, Boille e Perilli sono due indagatori
propositivi, due artefici che alterano la lingua della tribù
e costruiscono un altro alfabeto e un'altra sintassi.
Boille ha conquistato il proprio territorio secondo un'incessante
strategia di agglutinazione fantasmatica che procede in tutte le direzioni,
a ondate cellulari, in proliferazioni metastatiche. La sua è
tuttavia un'anarchia delle pulsioni, non un'anarchia della struttura
spaziale. Nel suo caos, insomma, affiorano senza tregua, come dentro
uno shaker in moto, le componenti base di norme che sono disciplina
e sono metodo: affermazione lampante nelle splendide Centralità
degli anni Ottanta, in cui il nucleo, e si direbbe la noce atomica
dell'immagine autorizza la disseminazione materica del pulviscolo
in dispersione. Nel suo dérèglement permane comunque foltissima
una griglia di resistenza e di autogoverno stilistico. Nelle fasi
più prossime del suo itinerario l'affollamento del binomio
segno-colore ha ceduto a una rastremazione crudele degli elementi.
Permangono, di tanto frenetico scialo, di tanto esplosiva espansività
bio-visiva, niente più che una serie di tracce galleggianti
sulla superficie cromatica di fondo: ombre e memorie, magari memorie
di ombre. Ma Boille non è un neocrepuscolare, né semplicemente
un lirico che vagheggia un vuoto in cui perdersi dolcemente. Le sue Interactions
restano "antagoniste" a forza di interna fisicità
e incisività.
Mordono la superficie, non vi si addormentano. Qui sta la loro forza,
e - mi si passi l'azzardo - la loro minaccia salutare.
Letterato e amico fraterno della buona letteratura, il
soi disant
"architetto" Achille Perilli resta un perentorio, lucidissimo
regista di strutture spettacolari. E' ovvio che la dimensione geometrica
e la distorsione anamorfìca si accampano nelle sue scene all'interno
di un carattere visionario che non concede nessuna promessa al riguardante,
nessuna quiete, ma al contrario ne eccita fin quasi a una provocazione
seccamente intellettuale l'orizzonte di attesa. E' in questa sorta
di vuoto che la bellezza cromatico-organizzativa dei manufatti di
questo straordinario artista dedito al sabotaggio delle certezze acquisite
si dipana in liquide perversioni di senso o in Sregolamenti proposti
come momenti di rischio, come alee di grande avventurosità
vissuta sotto la luce radente della ragione. In Perilli, si direbbe,
non si danno ripensamenti. La sua perenne dubbiosità, la sua
insoddisfatta inquietudine si nutrono di una capacità di mira
nei confronti della preda visiva semplicemente eccezionale. In lui
il mondo si spezza in una continua frantumazione, ma questi frammenti,
questi frantumi tornano a ricomporsi, sotto lo sguardo implacabile
eppure dolcissimo dell'artista, in nuovi effetti formali, in nuove
misure, in nuovi, inauditi modi di disposizione nelle anse di numerosissimi
oceani mentali. E' dall'azzeramento di ogni bava lirica e di ogni
tentazione elegiaca che proviene al lavoro di Perilli un'intensità
di energia dinamica tanto profonda e tanto matematica, cosi rigorosa
e cosi inafferrabilmente volante.
Mario Lunetta