QUANTI GIORNI ALL'ALBA?
Un digiuno pubblico e comunitario per chiedere al governo italiano il ritiro delle truppe dall'Iraq; per chiedere la liberazione di Giuliana Sgrena, Florence Aubenas, Hussein Hanoun, delle altre persone sequestrate e di tutto il popolo iracheno; per chiedere la fine di una guerra spaventosa, essa stessa generatrice di terrorismo.
Con questo appello lanciamo l'iniziativa "Quanti giorni all'alba?", un digiuno pubblico e comunitario che rappresenta un grido sofferto, pagato sulla nostra pelle, per chiedere al governo italiano il ritiro delle truppe del nostro paese dall'Iraq; per chiedere la liberazione di Giuliana Sgrena, Florence Aubenas, Hussein Hanoun, delle altre persone sequestrate; per chiedere la fine dei bombardamenti su Ramadi e l'apertura di un corridoio umanitario; per chiedere la fine dell'utilizzo delle bombe a grappolo o cluster bombs e la liberazione e di tutto il popolo iracheno. Ma soprattutto con questo digiuno intendiamo chiedere con estrema decisione la fine di una guerra spaventosa, essa stessa generatrice di terrorismo.
Si tratta di un digiuno pubblico, interreligioso e comunitario perché chiediamo che a viverlo siano gruppi e comunità religiose e non. In questo frangente è importante metterci insieme, digiunare insieme nel rispetto delle singole tradizioni e culture di appartenenza. Per questo chiediamo la partecipazione al digiuno a tutte le realtà, organizzate e non, che si oppongono ad un sistema di violenza, che fa della guerra lo strumento per mantenere l'oppressione dei popoli.
A tutti i gruppi coinvolti chiediamo che questo digiuno comunitario sia praticato a staffetta per 24 ore, da mezzanotte a mezzanotte. Dato che le comunità digiunanti saranno sparse in tutta Italia, una persona, o un gruppo, sarà ogni giorno davanti a Palazzo Chigi, la sede del governo italiano. Ogni giorno sarà segnato dal nome delle comunità che digiunano. Ad ogni persona che digiuna chiediamo di mettere una fascia bianca al braccio. È un digiuno pubblico fatto davanti alla nazione.
La gravità della situazione irachena è frutto di una guerra ingiusta e immorale. Questo senso di impotenza, che tutti sperimentiamo, ci ha portato a lanciare questo digiuno come gesto di protesta contro la guerra in Iraq. In tutte le religioni monoteiste il digiuno è un aspetto importante della pratica religiosa, nell'Islam ne è addirittura uno dei pilastri. In tutte le religioni, i grandi maestri della nonviolenza attiva da Abdul-Ghaffar Khan a Martin Luther King, dal Mahatma Gandhi a Desmond Tutu, da Lanza del Vasto a Perez Esquivel, ci hanno insegnato con il loro esempio che il digiuno è uno degli strumenti privilegiati della nonviolenza, per protestare contro regimi e leggi oppressive, inique e discriminatorie.
Testimoniare il bene, la giustizia, la pace è un imperativo etico assoluto. La testimonianza non passa solo attraverso rituali, ma anche attraverso azioni concrete e positive. Il digiuno è certamente una di queste pratiche in quanto si realizza attraverso uno sforzo personale, una privazione. Per tutti il digiuno è diventato uno dei metodi nonviolenti di protesta sociale più apprezzato. Il digiuno non è semplicemente un sacrificio, ma è un mezzo che ci permette di sentire sulla nostra pelle la sofferenza dell'altro - il grido angosciato del popolo iracheno, di Giuliana e di tutti gli altri - come nostra.
La sofferenza del digiuno che ci apprestiamo ad iniziare affinerà il nostro spirito. Faremo così nostro non solo il grido lancinante del popolo iracheno e la solitudine dei rapiti, ma anche il grido di sofferenza di tutte le vittime di questo sistema di morte, soprattutto il grande grido dei poveri.
Allora, quanti giorni all'alba?
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