EMIL DUMEA
IL CATTOLICESIMO IN ROMANIA E SPECIALMENTE
NELLA MOLDAVIA DAGLI INIZI AL XVIIIo SECOLO
I. LA VITA SOCIO-POLITICA DELLA MOLDAVIA FINO AL SEC. XVIII
1.1 La formazione e gli inizi dello stato della Moldavia (secolo XIV)
Gli inizi dello stato moldavo li dobbiamo situare al nord, vicino alla Polonia e al passo che porta in Ungheria. Dai territori della corona magiara, dopo il consolidamento di questo stato nei secoli XI-XIII, attraversando i Carpazi nel passo nordico di Dorna, delle colonie ungheresi e sassone si stabiliscono nel nord della futura Moldavia verso la fine del XIIIo secolo. In questo contesto di avanzata magiara e implicitamente, di relazioni pacifiche, ma anche di tensione tra gli ungheresi e gli autoctoni o romeni, si inquadra la nostra introduzione sulla formazione dello stato moldavo. Cercheremo di essere alquanto brevi e sintetici nella presentazione dello stato moldavo dagli inizi fino al XVIIIo secolo, epoca nella quale finisce cronologicamente il nostro lavoro. Questa introduzione storica si divide in due parti; la prima tenta di mostrare i tratti fondamentali della storia civile e religiosa ortodossa della Moldavia; la seconda ci guida, attraverso i fragili vescovati cattolici di Milcov (o dei cumani), di Siret, Baia e Bacau, nella storia del cattolicesimo in Moldavia fino all'inizio del XVIIIo secolo, quando entriamo più in profondità nella presentazione e nell'analisi degli aspetti fondamentali del cattolicesimo all'est dei Carpazi per tutto il XVIIIo secolo.
All'inizio del XIVo secolo, come anche nel secolo precedente, i re ungheresi dovettero combattere parecchie volte contro i tartari entrati in Moldavia e che cercavano di attraversare i Carpazi, per entrare nei territori della corona magiara. Una di queste guerre fu combattuta nel 1343 dall'esercito del re ungherese Lodovico al quale si erano uniti anche romeni di Maramures, guidati da Dragos. All'est dei Carpazi, i tartari vennero sconfitti ed il re polacco Casimiro li costrinse a spostarsi ancora più ad est, così che i romeni di Dragos poterono stabilirsi tranquillamente nella futura Moldavia. Nell'anno 1352 oppure in quello seguente, il re Lodovico decise di fondare una provincia all'est dei Carpazi, sotto la guida di Dragos, ma vassalla da se. Nell'intenzione del re, questa rappresentava uno scudo di difesa contro i tartari. Il centro della nuova provincia fu stabilito a Baia, dove esisteva anche una forte colonia di sassoni, proveniente dalle zone transilvane di Rodna e Bistrita.
Nel tempo di Dragos e del suo figlio, Sas, in Maramures c'era un principe romeno, Bogdan, in conflitto con i re d'Ungheria, perché questi cercavano sempre di soggiogare anche i romeni. Nel 1359, non potendo più sopportare le pretese della corona ungherese, Bogdan e una sua scorta vennero in Moldavia(7). Qui, volendo conquistare il potere, dovette combattere contro i figli di Sas, pretendenti al trono. Malgrado che questi avessero ricevuto l'aiuto ungherese, Bogdan riportò la vittoria. Subito conquistò la simpatia e l'aiuto degli autoctoni, così che nella storiografia romena viene considerato come il fondatore dello stato di Moldavia, nell'anno 1359, quando entrò in questa provincia, che costituiva la Marca dell'est dell'Ungheria.
Oltre agli autoctoni(8), nel sud della Moldavia abitavano ancora pochi cumani, una popolazione venuta dalle zone tra Urali e il Volga nel XIo secolo. Nel 1241, le orde di Gengis-chan avevano inflitto gravi colpi ai russi, ai bizantini e agli ungheresi. Adesso, però, non rappresentavano più un pericolo così grande per queste popolazioni. C'erano poi in questa parte anche altri gruppi di popolazione, i "brodnici" e gli "bolohoveni"(9).
Nel 1330 si era costituito il primo stato al sud dei Carpazi e della Moldavia, e cioè la Valacchia (Tara Româneasca). L'inizio della storia valacca è simile a quella moldava. Il principe autoctono, Basarab, non volle più essere sottomesso al re ungherese Carlo Roberto. In quell'anno le sue truppe vennero sconfitte in uno stretto dei Carpazi meridionali da Basarab, così il 1330 segnò l'inizio dell'indipendenza della Valacchia. La Transilvania, invece, fu occupata dagli ungheresi nel decimo secolo. Dopo la loro cristianizzazione alla fine di questo secolo, sotto il grande re Stefano il Santo, che nel 1001 ricevette dal papa Silvestro II la corona di re, in questa provincia vennero costituiti tre vescovati latini (Oradea, Alba Iulia e Cenad) suffraganei del grande centro di Esztergom. Ai confini con la Moldavia, negli stretti dei Carpazi, nei due secoli successivi, la corona magiara favori la colonizzazione di siculi, sassoni e cavalieri teutoni, con lo scopo preciso di difendere le frontiere dagli attacchi degli tartari e di altre tribù orientali(10). Dopo la sconfitta di Mohács (1526), nel 1541, la zona orientale dell'Ungheria divenne "pasalîc" (provincia dell'impero ottomano) turco e deve pagare il "haraci", cioè il tributo; la parte occidentale toccò a Ferdinando, il fratello di Carlo Quinto, e la Transilvania, come la parte orientale ungherese, pagò anch'essa il "haraci" ai turchi. In quell'anno, la Transilvania si costituì come principato autonomo indipendente dall'Ungheria, ma, come abbiamo detto, sotto il dominio ottomano. Dal punto di vista religioso, i romeni transilvani rimasero ortodossi (già all'arrivo degli ungheresi in Transilvania i romeni erano entrati nella sfera di influenza religiosa bizantina); molti dei sassoni passarono alla confessione di Lutero e una buona parte degli ungheresi diventarono calvinisti. I siculi invece, parenti stretti etnici e linguistici degli ungheresi, rimasero cattolici(11). Così iniziò in Transilvania un lungo periodo di confronto e scontro etnico e religioso. Più tardi, nel 1700, una parte dei romeni transilvani, conservando il rito e le tradizioni orientali, accettarono la comunione di fede con Roma; sono i greco-cattolici. Le altre due nazionalità invece, i tedeschi e gli ungheresi, seguono la politica religiosa dei loro capi di Alba Iulia, secondo il principio cuis regio eius et religio. Fino alla consolidazione della cattolica casa imperiale austro-ungherese, in Transilvania sono più forti i principi calvinisti; dopo, la guida del principato toccò ai cattolici, da adesso in poi più libero dal dominio turco, in quanto sotto le mura viennesi (1683) iniziò il declino inesorabile del impero della mezzaluna.
Tornando alla Moldavia, il successore di Bogdan, Latcu, diventò cattolico e contribuì alla fondazione del vescovato latino di Siret. Dopo la sua morte, i destini del giovane caddero nelle mani della sua figlia Margherita Musat (oppure figlia di Bogdan), pure lei cattolica e protettrice dei cattolici e madre della dinastia dei musatini. Nel 1375, salì al trono il figlio di Margherita, Pietro, che governò per 19 anni, cioè fino al 1391. Le scritte incise sulle monete sono in lingua latina, cosa che ci dice come in quel periodo lo slavismo non aveva ancora prevalso sulla latinità ai vertici del governo moldavo. Durante il suo successore, Roman, il restauratore della città che porta il suo nome, i confini sud-orientali della Moldavia arrivarono al Mar Nero. Nel rafforzare l'organizzazione ecclesiastica locale, il principe volle un metropolita che non sia nominato dalla sede patriarcale costantinopolitana. Però, solo più tardi, all'inizio del governo di Alessandro il Buono, il patriarca riconobbe il metropolita locale, Giuseppe, consacrato dal metropolita di Hali, in Polonia. Dobbiamo precisare che i legami ecclesiastici con Costantinopoli non vennero interrotti e che il primato d'onore di questa sede patriarcale fu sempre riconosciuto in Moldavia, come del resto in tutto il mondo slavo ortodosso(12). Con l'aiuto della Polonia, alla sua morte salì sul trono Stefano, vassallo di questa corona, come anche i suoi antecessori. Le tombe di questi principi si trovano in una chiesa di Radauti.
1.2 Il consolidamento dello stato moldavo (XVo secolo)
Durante gli anni 1400-1431, i destini della Moldavia furono nelle mani del grande principe Alessandro, figlio di Roman, chiamato dal popolo "il Buono". Il paese si estendeva dal fiume Ceremus, ai confini con la Pocutia, occupata dalla Polonia, fino al Nistro, e dal fiume Milcov fino alla città di Hotin. Al sud-est, egli riuscì ad allargare le frontiere fino alle città vicine al Mar Nero, Chilia e Cetatea Alba. Nel 1413, per un certo periodo, anche la Pocutia entrò a far parte della Moldavia. Un ulteriore ingrandimento delle frontiere si avrà solo ai tempi del grande principe Stefano (1457-1504), che riuscirà a conquistare verso il mezzogiorno la città Craciuna, vicino a Focsani, e, in Transilvania, le città di Ciceu e di Cetatea de Balta.
Abbiamo accennato sopra al patriarca di Costantinopoli. Nel primo anno del regno di Alessandro, il patriarcato costantinopolitano riconobbe il metropolita Iosif e così il principe poté dare via libera all'organizzazione ecclesiastica nel suo paese. Egli fondò due vescovati, uno a Radauti per il nord, e l'altro a Roman, per il sud del paese. Più tardi, sotto il principe Geremia Movila (1595-1600) verrà fondato un altro vescovato, quello di Husi. Alessandro fu il fondatore anche di alcuni grandi monasteri, come quelli di Bistrita e Moldovita, e fu il protettore di altri monasteri che vennero da lui dotati di beni, terreni e popolazione. A Suceava, egli fece portare le reliquie di Giovanni il Nuovo, un mercante greco martirizzato circa un secolo prima dai maomettani perché aveva rifiutato di farsi musulmano. Anche per altre religioni, cattolica e armena, il principe fu molto comprensivo e disposto ad aiutarle. Per ciò che riguarda le relazioni tra il mondo ortodosso locale ed il grande centro monastico greco, il Santo Monte Athos, già sono in uso le donazioni che i principi e le grandi autorità ecclesiastiche locali sono soliti a fare verso questo centro di irradiazione spirituale in tutto il mondo ortodosso slavo e greco. Malgrado che sulle monete con lo stemma della Moldavia, le scritte siano ancora in latino, come ricordo quasi inconscio dei legami etnici (e prima anche religiosi) del popolo romeno con l'antica Roma, si constata facilmente l'ingresso della Moldavia nella sfera di influenza religiosa slavo-greca. Per esempio, durante il regime di Alessandro, a Suceava, il monaco di Tîrnovo (Bulgaria), Gregorio Tamblac faceva delle omelie in slavo, la lingua che diventerà ufficiale per i documenti di cancelleria, come anche lingua liturgica della Chiesa ortodossa locale.
Per quanto riguarda i rapporti con i vicini, dobbiamo dire che nel 1402 Alessandro firmò un trattato con il re polacco Vladislav Iagello, nel quale accettò di essere suo vassallo. Il trattato regolava anche una questione finanziaria, cioè il debito che il re polacco doveva pagare al principe moldavo in cambio della regione di Pocutia, che egli deteneva. Come suo vassallo, Alessandro aveva anche il dovere di aiutare il re nelle sue imprese belliche. Dovendo combattere contro i cavalieri teutoni, l'esercito moldavo partecipò con un corpo armato a Marienburg, nel 1422, quando i monaci cavalieri subirono una grave sconfitta. Vladislav, invece, non fu leale con il suo suddito. Nel 1412 firmò a Lublino un trattato con il re ungherese nel quale tra gli altri problemi, in un articolo segreto, fu stipulato che nel caso in cui Alessandro non avesse aiutato il re ungherese nella lotta contro i turchi, la Moldavia sarebbe stata divisa in due, una parte sarebbe andata al re polacco e l'altra a quello ungherese. Solo verso la fine del suo regno, Alessandro seppe di questo articolo segreto del trattato, e per questo motivo interruppe le relazioni con la Polonia. Nell'ultimo anno del suo regno (1431) si coalizzò con i lituani contro i polacchi, ma alla fine Vladislav riuscì a sconfiggere gli alleati. Con gli ungheresi, egli aveva avuto dei buoni rapporti. Facciamo sapere che durante il suo regno, nel 1420, i moldavi dovettero combattere per la prima volta contro i turchi, a Cetatea Alba, che quest'ultimi volevano occupare.
Dopo la sua morte, probabilmente all'inizio del 1432, i suoi figli combatterono tra di loro per conquistare il trono. E non solo loro, ma anche i parenti, e tutto questo perché mancava una legislazione precisa sulla successione al trono, come per esempio quella che stabiliva in Occidente il diritto di successione del primogenito maschio. In questo caso, è facile a capire che tutta la parentela del defunto principe si disputava il potere con tutti i mezzi possibili. Per quasi quattro decenni, in Moldavia regnarono nello stesso tempo due gruppi di fratelli, Ilias e Stefano e poi Roman e Pietro. Bogdan II, il padre del grande principe Stefano, venne catturato e decapitato dal fratello Pietro Arone nel 1451. Quest'ultimo principe, vassallo dei polacchi, fu il primo che pagò un tributo (haraci) ai turchi. Così iniziò una storia multisecolare di dominio ottomano in Moldavia.
Nella primavera del 1457, Stefano, il figlio del principe Bogdan assassinato, riuscì a sconfiggere il fratello Pietro Arone, che si salvò in Polonia. Il popolo acclamò Stefano come principe e il metropolita Teoctist, secondo la tradizione veterotestamentaria e che si protrasse fino al periodo moderno, lo unse con l'olio santo; il nuovo eletto entrò gloriosamente nella capitale che adesso è Suceava. Così iniziò un regno (1457-1504) tra i più brillanti di tutta la storia moldava, fino alla sua unione con la Valacchia (1859). Per consolidarsi il trono, il principe firmò un trattato con i polacchi, e a causa di ciò il fratello dovette lasciare il paese e rifugiarsi nella zona dei siculi di Transilvania. Dopo alcune battaglie tra Stefano e il re d'Ungheria, Matteo Corvinul, figlio del principe di Transilvania Iancu di Hunedoara, nel 1469, il rivale Pietro venne assassinato e così Stefano si liberò di uno dei suoi più temuti nemici.
Rimaneva però il grande nemico turco. Nella sua tattica, Stefano volle allontanare dal trono il servo obbediente dei turchi, il principe della Valacchia, Radu il Bello. Riuscì a sconfiggerlo e mise sul trono Laiota Basarab. Per paura dei turchi, questi però passò dalla loro parte. Nell'autunno del 1474 un imponente esercito ottomano aiutato anche da Laiota entrò in Moldavia, arrivando vicino alla città di Vaslui. Qui, il 10 gennaio 1475, aiutato dalla nebbia che impediva agli ottomani di muoversi su un terreno sconosciuto, l'esercito notevolmente inferiore di Stefano riuscì a sconfiggere il suo nemico, che si ritirò preso dal panico. Fu la vittoria più brillante di tutto il regno di Stefano. Malgrado che era basso di statura, il popolo lo acclamò come il Grande e così passerà alla storia. Dopo, Stefano scrisse ai monarchi europei, chiedendo aiuto armato per la imminente rivincita degli ottomani; però, oltre ad una lettera di congratulazioni da parte del papa, non ricevette altro.
L'anno seguente, i turchi entrarono in Moldavia, sconfiggendo l'esercito di Stefano, ma non riuscirono a catturarlo. Siccome i suoi tentativi di far entrare la Valacchia nella sua zona di influenza, cioè di fare di essa un alleato sicuro nella lotta contro la mezzaluna, si rivelarono inutili, da allora in poi il principe si limitò a rafforzare le frontiere del suo stato. Dato che gli ottomani diventavano sempre più forti, dopo aver conquistato nel 1453 la capitale dell'impero bizantino, le grandi potenze europee, Polonia, Venezia, Ungheria firmarono dei trattati di non aggressione con la Sublime Porta (1476-1483). Nel 1484, l'esercito di Baiazid conquista le due fortezze nel sud della Moldavia, Chilia e Cetatea Alba, molto importanti dal punto di vista strategico per la sicurezza del paese. Da quel momento in poi i turchi potranno osservare e controllare facilmente ogni mossa del esercito moldavo. Per riconquistare le città perdute, il principe chiese l'aiuto della Polonia. In controcambio, il monarca Casimiro gli chiese il giuramento di vassallaggio. A Kolomea, vicino alle sorgenti del fiume Prut, con un atto pubblico di sottomissione, Stefano si umiliò, prestando giuramento di fedeltà, ma senza ottenere il risultato desiderato. La Polonia non aiutò i tentativi del moldavo di contrastare l'avanzata dei turchi. Al contrario, considerandolo più opportuno, nel 1489 firmò un accordo di pace con il sultano. Poco dopo, anche Stefano firmò un simile accordo, però, siccome la Moldavia non rappresentava un paese forte come i grandi paesi occidentali, nel 1492 già pagava un tributo (haraci) annuo alla Sublime Porta. Ai limiti estremi del impero ottomano, vicino alle grandi potenze della Polonia e dell'Ungheria, la Moldavia diventò una zona satellite della Sublime Porta e lo sarà fino alla fine del XIXo secolo, cioè fino al crollo del impero della mezzaluna, i suoi destini saranno controllati e spesso decisi dai sultani e pascia. Avendo perso la Polonia, il principe cercò l'appoggio dell'Ungheria. In cambio della sua promessa di aiuto all'Ungheria e come una compensazione per le due fortezze perse nel sud, il re ungherese Mateias gli offri le città transilvane di Ciceu, con sessanta villaggi, e di Cetatea de Balta. Fino alla morte, Stefano conserverà dei buoni rapporti con il re ungherese.
Non migliorarono però le relazioni con la Polonia, così come erano state agli inizi della Moldavia, quando i principi, essendo ancora deboli, giuravano fedeltà al monarca polacco. L'erede al trono, Giovanni Alberto, venne in Moldavia per mettere sul trono il proprio fratello Sigismund. Nell'assedio della capitale, Suceava, i polacchi non riuscirono ad entrare dentro. Così, cominciando a soffrire la fame, essi accettarono la pace con i moldavi. Sulla via del ritorno in patria, furono attacati e sconfitti nei boschi di Cosmin e poi a Cernauti. L'anno seguente (1498), Stefano si vendicò di nuovo sui polacchi con una campagna militare vittoriosa che arrivò vicino a Cracovia. Come prezzo del suo successo, occupò la Pocutia, la provincia dell'estremo nord-ovest per la quale i polacchi non avevano pagato tutti i debiti. Volendo sposare la figlia del re polacco, il successore di Stefano, il figlio Bogdan il Cieco, restitui Pocutia alla Polonia, ma non ebbe la mano della principessa polacca.
Tornando a casa, la malattia di Stefano, la gotta, peggiorò. Il due luglio 1504, morì e fu sepolto nel monastero di Putna, una delle sue fondazioni. Fino ad oggi egli è rimasto come il modello e l'ideale del principe, anche se non si può dimenticare il fatto che sia stato spesso crudele, vendicativo e immorale (oltre alle sue tre legittime spose, ha avuto non poche amanti e figli illegittimi).
1.3 La Moldavia sotto il dominio ottomano (secoli XVI-XVIII
Il suo successore, Bogdan (1504-1517), non fu all'altezza del padre, così neppure il suo figlio Stefanita (1517-1527). Più importante fu uno dei figli illegittimi di Stefano, Pietro Rares (1527-1538; 1541-1546). Prima di diventare principe era stato un mercante di pesce. Egli aiutò il principe transilvano Giovanni Zapolya ad occupare il trono transilvano dopo la grave sconfitta di Mohács (1526), ricevendo in cambio le città di Bistrita e di Rodna, come anche la fortezza di Ungurasul; in più, gli venne riconosciuto il dominio moldavo sulle città di Ciceu e di Cetatea de Balta. Rares volle riconquistare anche la Pocutia, ma non c'è la fece. L'arrivo degli ottomani in Moldavia lo costrinsero ad andare in esilio in Transilvania. Alcuni anni dopo, riconquista la fiducia della Sublime Porta e venne nominato di nuovo principe. Suo padre, Stefano il Grande non aveva favorito tanto i cattolici; allo stesso modo, fino alla metà del secolo, i principi hanno avuto lo stesso orientamento verso la minoranza cattolica. Più tardi, alcuni di essi (Stefanita Rares, Alessandro Lapusneanu, Ioan Voda cel Cumplit, Iancu Sasul, che regnarono nella seconda metà del secolo XVI) furono contrari ai cattolici e favorirono i protestanti, hussiti o luterani. Però, caso singolare nella storia del protestantesimo, in Moldavia l'insegnamento di Lutero non riuscì a mettere radici. Verso la fine del XVIo secolo, il principe Pietro Schiopul (lo Zoppo) aiutò i cattolici, per motivi politici, ma non è da escludere anche la convinzione personale.
Nel 1595, con l'aiuto dei polacchi, iniziò in Moldavia il regno della famiglia dei "Movila", che durò per mezzo secolo. Per l'anno 1600, il grande principe
Michele Viteazul (il Bravo) riuscì a dominare su tutti gli stati della Romania (Moldavia, Valacchia e Transilvania), ma per pochi mesi, perché nell'estate del
anno seguente fu assassinato nel nord della Transilvania. Fino al 1918 è stato l'unico che sia riuscito a realizzare l'unità della Romania. Per tutto il periodo dei
Movilesti si costatano dei tentativi della Polonia e della Sublime Porta di mettere sul trono i loro uomini. La Polonia era vicina e poteva così giocare le sue carte
in tempo breve. Però, padroni erano i turchi, e quando un principe era sospettato di collaborare con i polacchi, veniva subito punito. Per esempio, il principe
Miron Barnovski (1626-1629) venne decapitato dagli ottomani perché sospettato amico dei polacchi. Però, più che di un orientamento dei principi moldavi
verso la Polonia, si deve parlare di un "dilemma" in cui i principi si trovavano: per restare al trono dovevano essere obbedienti ai turchi; però, non potevano
ignorare i voleri della vicina corona polacca; in altri termini, principi che non sapevano o non riuscivano sempre ad imboccare la strada giusta e il sultano non
perdonava: gli sbagli si pagavano con la testa. Un altro principe importante per la prima metà del XVIIo secolo fu Basilio Lupu (1634-1653), di origine
albanese, istruito e promotore della cultura laica e religiosa, come pure della lingua del paese, ma anche orgoglioso e amante del lusso. È da notare come fino
agli estremi confini dell'Europa si sentisse l'influsso dell'umanesimo e del rinascimento occidentale dove, tra altre realtà, non è da ignorare lo sfarzo di tanti re,
duchi e principi. Oltre all'influenza occidentale c'era anche il ricordo della gloria dei basilei che influiva sulla moda dei principi moldavi (e anche valacchi), sui
loro pranzi opulenti, sulle loro feste e cerimonie di corte. Durante il regno di Lupu, in Moldavia arrivò dalla zona del Nipro un popolo nuovo per queste parti, i
cazari, in un certo modo sudditi dei polacchi. Il hatman cazaro vuole sposare il suo figlio Timus con la figlia di Lupu, la bella Ruxandra. Siccome il principe
rifiutò, i cazari insieme con i tartari invasero e devastarono la Moldavia. Per fare pace con loro, il principe moldavo fu costretto a dare la mano della sua figlia a
Timus in un matrimonio che si celebrò con tanto splendore a Iasi nel 1652. I cazari rimasero fedeli all'alleanza firmata con Lupu, e quando questo deve
difendere il trono contro i principi vicini, Matteo Basarab della Valacchia e Giorgio Rákoczy II della Transilvania, i cazari non lo abbandonano. Timus morì a
Suceava nel difendere la città, mentre il suo padre si salvò andando verso Istanbul, dove morì. In campo religioso, anche lui fu un fondatore di chiese e
monasteri. La più bella fondazione di Lupu è la chiesa monastica di Iasi, Trei Ierarhi (Tre Santi). Dopo di lui, in Moldavia seguono dei regni brevi e senza
grande importanza. Per tre brevi periodi il trono è occupato da un amico dei turchi, Giorgio Duca, di origini balcaniche, partecipante all'assedio di Vienna.
Dopo di lui il trono venne disputato al di più tra i pretendenti di due famiglie, la Cantacuzino e la Cantemir, avendo come arbitro principale, come al solito, il
sultano, che favoriva quello che gli era più fedele. Però, qualche volta i principi tentavano delle alleanze con gli occidentali, soprattutto dopo la sconfitta
ottomana a Vienna. Così, alla fine del XVIIo secolo la Moldavia, per contrastare il potere ottomano preparò un'alleanza con il re polacco Jan Sobieski, il
vincitore a Vienna nel 1683. Ma, presto si accorse che Sobieski cercava piuttosto di conquistare la Moldavia e non di aiutarla ad alleggerire il giogo ottomano.
Poi vennero firmati due trattati con Vienna (nel 1691 e 1694), anche questi senza risultati. Nel 1699, il 26 gennaio, si concluse la guerra tra la Lega Santa (la
Prussia, la Polonia e la repubblica di Venezia) e la Turchia, quando quest'ultima venne vinta. Con questa pace venne riconosciuta all'Austria la Transilvania e
l'Ungheria (tranne il Banato di Temeswar). La Polonia fu obbligata a ritirare le guarnigioni dai monasteri moldavi e la Turchia dovette rispettare e garantire la
libertà di culto nei Principati di Valacchia e Moldavia.
Il trattato di Luck, firmato dai rappresentanti di Demetrio Cantemir (1710-1711)(13) e lo zar Pietro il Grande garantiva l'autonomia della Moldavia entro i confini stabiliti al tempo di Stefano il Grande. Il trattato prevedeva anche la continuità della dinastia dei Cantemir e l'aiuto militare della Russia. Ma tutto fu rovesciato dopo la vittoria delle truppe ottomane su quelle moldave e russe a Stanilesti (distretto di Vaslui) nel 1711.
1.4 L'organizzazione socio-politica e religiosa della Moldavia
In Moldavia non esisteva ancora un diritto scritto e vigeva la legislazione orale degli antenati. Il regime sociale era quello feudale; i boiari erano i grandi padroni della terra e spesso contribuivano alla salita sul trono di un principe, come pure alla sua caduta dal potere. Accanto ai boiari stava la gerarchia ecclesiastica con il metropolita in testa, che occupava un posto di rilievo nella corte del principe. Il clero usava per la Messa i libri slavi (così come i cattolici quelli latini), malgrado che il popolo parlasse il romeno, e si curava dei suoi grandi possedimenti terrieri lavorati dai servi della gleba. Le traduzioni in romeno (scritti religiosi e con carattere cronistico) iniziano nella seconda metà del XVIo secolo, sotto l'influsso del protestantesimo che insisteva molto sull'uso della lingua volgare. Oltre all'alto clero, ricchissimi erano i monasteri; accanto ad alcuni di questi esistevano scuole per la formazione basilare di una parte del clero. Molti chierici imparavano a memoria le funzioni liturgiche (il tipic) e le preghiere.
La Moldavia aveva un'organizzazione politica e amministrativa tipicamente medioevale che nelle sue grandi linee vige (pur con i normali sviluppi e cambiamenti non fondamentali) fino al periodo moderno della storia moldava e cioè fino alla seconda metà del XIXo secolo.
Il paese veniva governato dal principe ("domn"=signore), e fino al 1711 i principi erano degli autoctoni, normalmente figli legittimi o no dei loro padri principi, oppure di parenti. Dal 1716 fino al 1821, i principi della Moldavia e Valacchia venivano scelti dal sultano tra i nobili e i ricchi commercianti greci e di remote origini bizantine, stabilitisi nel ricco quartiere Fanar di Istanbul. Qui si trova anche il centro patriarcale ortodosso. In questo modo, la Sublime Porta aveva un controllo totale sulla situazione politica e sull'alto clero di questi paesi. Come abbiamo già detto, non esisteva una legislazione precisa per la successione al trono. In genere, il principe prima di morire stabiliva la persona del successore. Ma per conquistarsi e conservare il trono, questi, non di rado, doveva combattere e allearsi con le potenze vicine, oppure doveva conquistarsi la fiducia dei boiari, la cui forza e influenza era sempre crescente. Egli era il giudice supremo e il capo dell'esercito; aveva le sue proprietà e poteva decidere sulla proprietà altrui in tre casi: quando il proprietario veniva condannato per alto tradimento, qualora non avesse eredi oppure quando non pagava le tasse. In Transilvania non esisteva un "domn" come in Moldavia e Valacchia, perché questa provincia apparteneva all'Ungheria fin dai tempi di Stefano il Santo. Fino al 1540 i rappresentanti della corona ungherese si chiamavano "voievozi" e poi principi, come pure la Transilvania da quell'anno in poi si chiamerà principato e non più "voevodat".
Nel governo del paese, il principe veniva aiutato dai "dregatori", simili ai ministri di oggi, e nei distretti dai "pîrcalabi". Una seconda serie di "dregatori", di grado inferiore, si trovava tanto alla corte, quanto nei distretti del paese. Alla guida delle città si trovavano due categorie di persone: i rappresentanti del principe ("vornicul", "pîrcalabul" e altri rappresentanti amministrativi e fiscali), e quelli del popolo ("soltuzul" e i "pîrgari"). Tra i grandi "dregatori", si trovava il "vornic", cioè il giudice supremo e il comandante dell'esercito nell'assenza del principe; dal secolo XVI in poi, il comandante dell'esercito si chiamerà hatman (per un influsso tedesco: Hauptmann). Seguiva il "logofat", cioè il capo della cancelleria, sotto la cui custodia si trovava anche il grande sigillo del paese; poi il "vistierul", cioè il ministro delle finanze. Tra di "dregatori" di grado superiore c'erano poi il "paharnicul", che si curava delle bevande del principe e prima di servirlo, le assaggiava per assicurarsi che non fossero avvelenate; lo "stolnicul" che assaggiava per lo stesso scopo i cibi del principe; il "postelnicul" che aveva in cura la residenza del principe e faceva entrare le persone che venivano in udienza; il "comisul" che si curava della sua stalla e, infine, lo "spatar", che portava la spada del principe.
Agli inizi dello stato, nell'esercito erano obbligati ad entrare solo i proprietari della terra. Non esisteva un esercito stabile; questi veniva costituito solo in caso di guerra, quando il principe convocava tutti i proprietari validi a combattere. In casi eccezionali venivano convocati sotto le armi tutti, proprietari o no. Quelli che rifiutavano di partecipare erano condannati per "hiclenie", cioè per alto tradimento, e per loro c'era la pena capitale. Aggiungiamo qui che la polvere viene utilizzata in Moldavia solo verso la metà del XVo secolo.
Il paese era diviso in distretti avendo come centro una delle principali città, sotto la guida di un "pîrcalab". Accanto alle città, tutte circondate da mura di difesa, c'erano i villaggi. Nel nord, come anche nella vicinanza dei Carpazi, nelle città e nelle fortezze, all'inizio (cioè verso la metà del XIIIo secolo) era determinante l'influsso delle colonie dei sassoni, degli armeni e degli ungheresi. Verso est, cioè sul fiume Nistru, c'erano le gradi fortezze Hotin, Soroca, Orhei, Tighina, Cetatea Alba e vicino al Mar Nero, Chilia. Al centro della Moldavia, dal nord al sud, c'erano le città Siret, Radauti, Suceava, la capitale, Baia, Tîrgu Neamt, con una fortezza costruita ai tempi dei cavalieri teutoni, Roman, Piatra lui Craciun (Piatra Neamt), Bacau, Husi, Iasi, Vaslui, Bîrlad, Adjud, Focsani; oltre a queste città, c'era un grande numero di paesi. Dobbiamo dire che la maggioranza delle città e molti dei villaggi esistevano già prima della fondazione del principato moldavo, come conseguenza dell'organizzazione antica daco-romana, poi romeno-slava, e come continuazione dell'attività commerciale dal nord verso il Mar Nero, e dall'est e dall'centro verso la Transilvania. Si crede che nel primo periodo dello stato moldavo, il numero delle comunità (città, fortezze, villaggi) fossero circa mille(14). Però, la maggioranza delle comunità erano in piccoli villaggi, per cui non possiamo pensare ad una popolazione totale di più milioni. Quando nel 1475, il principe Stefano il Grande chiamò per la guerra contro i turchi tutti gli uomini che potevano combattere, il suo esercito contava circa 40.000 soldati. Forse che la popolazione totale della Moldavia si aggirava attorno al mezzo milione. Esistevano poi i pastori e i grandi proprietari di pecore e bestiame che spesso non avevano un'abitazione stabile, accompagnando i loro greggi dalle pianure verso le montagne, e viceversa. I paesi o villaggi erano divisi in tre categorie: principeschi, situati sulle proprietà del principe; dei boiari e dei monasteri, e in terzo luogo, i paesi dei "razesi", formati attorno ad un antenato comune e che si amministravano in un modo quasi autonomo(15).
I boiari, che erano i grandi proprietari della terra, all'inizio del XVIo secolo, cominciano ad arricchirsi come mai nel passato, a causa del progressivo impoverimento dei "razesi". Questi non riuscivano a far fronte a tutte le tasse locali e a quelle imposte dai turchi. Per pagare i debiti, erano costretti a vendere i loro pezzi di terra ai boiari. Così rimanevano senza nessun mezzo di sussistenza e per forza dovevano "vendersi" anche loro ai boiari, con le famiglie e i bestiami che avevano. Da quel momento, lavoravano le stesse terre, però, non erano più proprietari, ma "rumîni" o "vecini", cioè servi dei boiari. Uno dei boiari, per esempio, Iordache Rossetti, aveva 213 poderi e 112 villaggi, e un simile arricchimento era motivo anche di tensione e conflitto con i principi, che vedevano diminuire il loro potere; inoltre, i turchi sapevano approfittare di questi dissensi per poter meglio controllare il paese e far aumentare le loro tasse ed imposte.
In un sistema economico tipicamente feudale, malgrado nelle città si osservasse già il distacco dei manifatturieri, degli artigiani e commercianti, cioè dei piccoli imprenditori, la vita e l'attività della gente era legata alla terra e veniva regolata dal ciclo delle stagioni. Poi, per quanto riguarda il benessere generale, si deve tener conto anche delle guerre e guerriglie, che non erano rare, degli anni di siccità e non ultimo la generosità o l'avarizia dei principi, dei boiari e dei monaci, dai quali dipendeva la maggioranza dei contadini. Ai loro padroni, i servi della gleba erano debitori con "dijme" (prodotti agricoli e animali), "bir", cioè tasse, e "slujbe", cioè vari lavori che si prestavano per il padrone, la sua casa e la sua corte. Totalmente dipendenti dai loro padroni sono i "robi", cioè gli schiavi, gli zingari e i tartari catturati nelle guerre. Gli zingari (i paria dell'India) sono arrivati in Moldavia insieme ai tartari, come loro schiavi; l'unico loro diritto è quello di lavorare e obbedire al padrone. Parzialmente o totalmente esenti da questi aggravi e tasse erano i boiari e la maggioranza dei monasteri; però, questi avevano i loro doveri verso il principe, la sua casa e la sua cassa (in quel periodo, cioè fino ai tempi moderni, la cassa del principe si confondeva con quella dello stato). In più, i principi percepivano le tasse delle miniere e delle dogane; tasse doganali esistevano all'entrata delle città e dei centri commerciali (tîrguri), come anche ai confini del paese.
Verso la fine del XVIIo secolo e in quello seguente, la dominazione ottomana in Moldavia è già ben stabilita nei suoi mezzi e metodi per imporsi sui principi, boiari, clero e popolo. Sempre si doveva pagare con soldi, animali e generi alimentari. C'erano il "haraci" (tributo), i contributi straordinari, i doni annui ("peschesurile"), "zahereaua" (alimenti) donata in occasione del "ramadan" e del "bairam", "plocoanele" (regali) offerte ai vari pascià limitrofi (di Dîrstor, Belgrado), i doni mandati al khan tartaro di Crimea, alla sua madre, ai suoi principali collaboratori, regali fatti ai vari dignitari ottomani in varie occasioni, ecc. Dobbiamo aggiungere i soldi che un principe regnante doveva mandare alla Porta all'inizio del suo incarico, i doni di "mucarer" (la conferma annuale e triennale del suo principato), le prestazioni in vari beni e in lavoro. Anche il commercio viene dominato dai turchi, che diventano i concorrenti principali. Comprano grano, pecore, miele, cera, burro, lana, ecc., e tutto questo ad un prezzo ridotto. Il loro potere permetteva di non rispettare le giuste regole del commercio(16).
Per quanto riguarda l'organizzazione ecclesiastica, abbiamo già presentato il centro metropolitano di Suceava, dove era il principe. Quando, all'inizio del XVIIo secolo, la capitale si trovava a Iasi, il metropolita con il suo seguito si stabilì in questa città, dove si trova fino ad oggi. Erano poi i vescovati di Radauti, Roman e Husi, dipendenti dal centro metropolitano. Il clero delle parrocchie doveva pagare in soldi, prodotti agricoli o alimentari il suo contributo al vescovo o al metropolita. In più, in varie occasioni e circostanze, era debitore con delle "plocoane", cioè regali, per acquistare o conservare la grazia del superiore, oppure come segno di ringraziamento per i benefici ricevuti. I monasteri erano i più ricchi. Con le loro donazioni, esenzioni di tasse e privilegi erano diventati ricchissimi. Costruiti in posti meno abitati, ma vicino alle città, hanno ancora l'aspetto di una fortezza, con le loro mura e i loro baluardi. Avevano i loro immensi terreni, villaggi e popolazione che lavorava e pagava per loro. In caso di necessità, dovevano pagare una certa somma alla cassa del principe. I loro legami spirituali, culturali ed economici con i grandi centri monastici greci e slavi (il Santo Monte Athos, Lwów, Kiev, ecc.) fanno parte di una, chiamiamola così, "communio orthodoxiae".
II. IL CATTOLICESIMO IN MOLDAVIA FINO AL SEC. XVIII
1.5 L'influsso politico-religioso di Costantinopoli e dei bulgari
(secoli I-XIV)
Pensiamo che alcune brevi informazioni sulla continuità del cristianesimo (dal periodo antico fino al XIVo secolo) in Romania, implicitamente anche in Moldavia, soprattutto nella sua parte meridionale, possono servire di orientamento generale e di necessaria introduzione al nostro tema che, geograficamente e cronologicamente, si limita al cattolicesimo nella Moldavia del XVIIIo secolo.
Gli inizi del cristianesimo nell'antica Dacia, la futura Romania(17), li dobbiamo rintracciare nei primi secoli, contemporaneamente con la conquista della Dacia da parte delle armate di Traiano, durante le due guerre del 101 e 106. Dopo la ritirata delle truppe romane al sud del Danubio, nel 276, quando l'imperatore Aureliano, sotto la pressione dei barbari, decise di mutare il "limes" dell'impero sulla sponda destra del Danubio, la Dacia non rimase deserta e possiamo parlare già di una popolazione daco-romana. Malgrado le migrazioni dei goti, dei sarmati, dei gepizi, degli unni e degli avari, specialmente gli imperatori Costantino il Grande e più tardi Giustiniano estesero di nuovo il loro dominio su una buona parte della Dacia, la "Dacia restituta"(18).
Per quanto riguarda la diffusione della fede cristiana, di prove certe e incontestabili ne abbiamo solo partendo dalla fine del terzo secolo e sono più numerose per la parte a sud-est della Dacia, e cioè la Scythia Minor, l'attuale Dobrogea. Qui si sviluppò una forte organizzazione ecclesiastica, che durò fino al VIIo secolo, quando crollò a causa degli avari e dell'indebolimento del potere dei basilei(19).
All'inizio del settimo secolo, i cristiani presenti sul lato sinistro del Danubio (al sud della Romania) cominciarono a subire l'influsso dei loro vicini, da poco arrivati, gli slavi. Nel nono secolo, per gli slavi bulgari suonò l'ora della loro cristianizzazione sotto i grandi apostoli Cirillo e Metodio, guidati o almeno sostenuti da Costantinopoli(20). Il cristianesimo di matrice slava dei bulgari riuscirà ad espandersi anche al nord del Danubio, imprimendo in modo definitivo la sua impronta sul cristianesimo antico di origine latino-greca degli autoctoni. Così, con il passare dei secoli, al nord del Danubio si sviluppò un cristianesimo di impronta slava(21) che però, nel suo linguaggio di base conserva ancora fino ad oggi una buona parte della terminologia latina, così come anche nella lingua del popolo, più della metà della terminologia è di radice latina(22).
Precedentemente e cioè nel 733, l'imperatore Leone Isaurico aveva tresferito la sede vescovile di Giustiniana-Prima al patriarcato di Costantinopoli(23), e così le sedi vescovili danubiane vennero occupate da vescovi greci che introdussero nelle regioni del Danubio la lingua e la liturgia greca, distruggendo così le tracce di un cristianesimo latino al sud del fiume. Dopo il consolidamento della chiesa bulgara, nel IXo secolo, il cristianesimo danubiano diventò col tempo di lingua e struttura paleoslava e anche le sedi vescovili furono occupate da bulgari e da serbi. Durante il primo zarato, "secondo una tradizione non priva di fondamento storico"(24), lo zar Simeone il Grande avrebbe ordinato la distruzione di tutti i libri latini dei cattolici, e l'introduzione del rito bizantino-slavo.
Sotto l'aspetto giuridico ed ecclesiologico, l'avanzata politico-religiosa di Costantinopoli nei secoli VIII-XI riuscirà, come anche in altre parti dell'Oriente cristiano, ad includere nella sua sfera di influenza e potere anche l'antica Dacia, l'attuale Romania. In questo modo, senza rendersene conto ed con un lungo periodo di tempo, i romeni vengono staccati dalla comunione con la Chiesa di Roma e incorporati nella giurisdizione di Costantinopoli. Malgrado che nella lingua, nelle tradizioni e nei costumi conservino i legami con l'antica Roma, il loro cristianesimo acquista i colori e le tonalità sviluppate sulle rive del Bosforo (la nuova Roma) e nel mondo slavo dei bulgari; insomma, diventa un cristianesimo bizantino-slavo piantato in un suolo di antiche origini latine(25) e greche. I destini del cristianesimo dei valacchi (i futuri romeni) venne segnato, come abbiamo detto da Costantinopoli(26), ma non in minore misura dai vicini bulgari, insediati tra i Balcani ed il vicino Danubio nel VIIo secolo. Verso la fine di questo secolo e in quello seguente riescono ad estendere il loro dominio nella zona dei Balcani e al nord del Danubio, fino ai Carpazi, formando così il primo zarato (impero) bulgaro-valacco, che venne annientato nel 1018 dall'imperatore bizantino Basilio II. Due anni dopo, nel 1020, Basilio incorporò la chiesa bulgara al patriarcato di Costantinopoli, confermando però la giurisdizione dell'arcivescovo di Ochrida(27) sui vescovi presenti nel territorio dei bulgari e, implicitamente anche sui valacchi nord-danubiani, o transdanubiani. Poi, con lo scisma del luglio 1054, anche la popolazione transdanubiana venne separata di fatto dalla Chiesa cattolica, in quanto dipendeva dai bulgari e quest'ultimi erano già entrati nella giurisdizione costantinopolitana.
Più tardi, nel 1186, i principi di origine valacca, gli Assan, riescono a consolidare il secondo zarato bulgaro-valacco, soppresso dai turchi nel 1389. In tali circostanze, molti monaci, preti e vescovi si rifugiarono nelle regioni dei romeni, malgrado che fossero rimasti i patriarcati di Tîrnovo, nuovo centro ecclesiastico dopo Ochrida, e Pe, da dove venne esercitato ancora un forte influsso religioso sui romeni della Valacchia (Tara Româneasca) e del sud della Moldavia. Nelle regioni nordiche della Transilvania e nella Bucovina (il nord della Moldavia) il rito bizantino e la liturgia slava furono introdotte dai vicini slovacchi, moravi e ruteni, dipendenti dalla sede metropolitana di Hali(28) e da quella di Kiev.
Dal 1389 in poi, fino al tramonto definitivo del potere della mezzaluna, verso la fine del XIXo secolo, la storia della Valacchia (la provincia meridionale della Romania) e quella della Moldavia saranno strettamente legate alla storia degli ottomani, in quanto questi due paesi costituiti nel XIVo secolo saranno occupati e controllati dal sultano, come lo sarà anche la Transilvania; ma la storia di questa provincia venne scritta anche dalla vicina Ungheria cattolica, e poi in parte calvinista, come anche dall'Austria cattolica, cominciando con il XVIIIo secolo fino agli inizi del nostro secolo.
Però, l'influsso politico, culturale e religioso dei bulgari avrà un grande peso per la storia romena. Dal punto di vista politico, durante il periodo dei due zarati, i valacchi nord-danubiani facevano parte "de jure" e non "de facto" dell'impero dei bulgari. Dal punto di vista culturale e religioso, il consolidamento del cristianesimo slavo dei bulgari ai tempi di Cirillo e Metodio(29), l'organizzazione della nuova chiesa bulgara, la separazione dell'Oriente dall'Occidente nel 1054, come anche le vicende del primo e del secondo zarato bulgaro avranno un grande peso per i valacchi.
Malgrado che nel culto e nell'organizzazione ecclesiastica(30) i romeni conservano il rito bizantino-slavo, nella vita quotidiana, invece, conservano la loro lingua di radice latino-greca e autoctona (dacica). Così si sviluppò e si maturò in queste parti una romanità orientale, peraltro, unica nell'est europeo, essendo la Romania un paese neolatino per la lingua, con la religione maggioritaria ortodossa(31) e circondato da paesi slavi ortodossi, tranne l'Ungheria, che dovrebbe essere la sua porta verso l'Occidente(32).
1.6 I cumani ed il loro vescovato (1227-1241)(33)
Gli ungheresi ricevettero il cristianesimo intorno all'anno mille, sotto il loro grande re Stefano (997-1038), canonizzato. I primi missionari in quel paese pannonico furono i benedettini, che contribuirono ad una formazione di vescovati (tre nella Transilvania: Cenad, Alba Iulia e Oradea) dipendenti dai due grandi centri di Esztergom (Gran) e Kalocsa(34).
Un noto apostolo degli ungheresi fu anche un professore di scienze giuridiche dell'università di Bologna, Paolo l'Ungherese. Questi diventò il provinciale dell'Ordine dei Predicatori, e per sua iniziativa si sviluppò la prima missione tra i cumani presenti nel sud della Moldavia. I missionari vennero accompagnati e protetti dai teutoni, e forse per questo motivo, i cumani rifiutarono decisamente il messaggio cristiano, temendo cioè il potere militare dei teutoni. Si era nel 1222, periodo in cui i cumani vennero colpiti dalla spada dei crociati teutonici. Nello stesso anno i missionari tornarono per conto proprio tra i cumani e i loro sforzi e sacrifici non rimasero senza frutto. I cumani temevano il grande pericolo delle orde dei tartari e nella loro strategia si resero conto che per sopravvivere avevano bisogno della protezione dei vicini ungheresi cattolici, abbastanza consolidati e forti. Però, per avere il loro appoggio, per forza dovevano accettare anche la loro fede. Pensiamo che questo debba essere stato il principale motivo per cui nel 1225, Burch, figlio del chan Bortz-Membrock, sia stato spinto a chiedere ai missionari domenicani il battesimo per se e per il suo seguito. Nell'estate del 1227 il primate d'Ungheria, l'arcivescovo Roberto, amministrò il battesimo al figlio del chan e alla sua scorta. Roberto scrisse al papa Gregorio IX sull'accaduto e il pontefice lo incoraggiò nella sua impresa e gli accordò ampie facoltà. Accompagnato da tre vescovi e dal futuro re Bélla IV, Roberto incontrò Bortz e la sua scorta sul fiume Milcov. Qui, il chan ed i suoi cumani (circa 15.000) ricevettero il battesimo. Nella chiesa costruita sul posto, più tardi verranno sepolti come buoni cristiani Burch e suo padre. In quell'anno, 1227, venne nominato anche il primo vescovo dei cumani convertiti, il domenicano Teodorico, che fissò il centro del suo vescovato proprio dove i cumani erano stati battezzati, sulla riva del Milcov, probabilmente vicino all'attuale città di Odobesti.
Contro la costituzione del nuovo vescovato, che significava anche un'avanzata oltre i Carpazi del potere cattolico ungherese, si schierò lo zar valacco-bulgaro Assan II (1218-1241), che non vedeva di buon occhio questi alleati degli ungheresi su un territorio che da molto tempo lo voleva incorporato nel suo zarato bulgaro. Due anni più tardi, il pontefice scrisse ai nuovi convertiti e dalla sua lettera si scopre il fatto che gli ungheresi volevano i cumani non come alleati, ma come sudditi, vassalli, cosa che i cumani convertiti rifiutarono decisamente. Nell'autunno di quel 1229, Gregorio IX dichiarò che il nuovo vescovato dipendeva direttamente dalla S. Sede. Con tutto ciò, prende il via un altro conflitto di giurisdizione generato dalla stessa volontà degli ungheresi di controllare almeno i destini del nuovo vescovato. Nel 1231 furono stabiliti anche i limiti del vescovato: le montagne dei Carpazi, i fiumi Olt, Danubio e Siret, e al nord un confine che non siamo in grado di precisare. La residenza del vescovo era a Milcovia, vicino ad Odobesti, dove esisteva già una cappella dedicata alla Madonna e la casa dei missionari domenicani.
I valacchi, cioè gli autoctoni, avevano i loro vescovi greco-bulgari, arrivati dal sud del Danubio e separati da Roma, che i documenti del tempo definiscono pseudo-vescovi(35). Per quanto ne sappiamo, questa è una delle prime prove incontestabili che parlano di un cristianesimo locale, valacco, non più in comunione con Roma. Nel 1241, caddero sotto le spade degli invasori mongoli decine di domenicani e molti fedeli cumani. Quelli che si salvarono, clero e fedeli, fuggirono in Ungheria. Però, nella curva dei Carpazi i cumani non sparirono completamente. Nel futuro, i re magiari conserveranno fra i loro titoli anche quello di "rex Cumaniae", e per questo vescovato, praticamente annullato dopo l'invasione del 1241, verranno nominati 14 vescovi; uno solo però, Teodorico, vi lavorò, essendo tutti gli altri semplici titolari.
1.7 Il vescovato di Siret (1371-1434)(36)
La fondazione di questo vescovato nell'estremo nord della Moldavia può essere capito meglio se si tiene conto degli eventi globali avvenuti nell'est europeo nel secolo XIV. I turchi diventavano sempre più minacciosi per questa parte d'Europa e nel 1354 cadde sotto i loro colpi la porta dell'Oriente, Gallipoli; nel 1360 cadde Adrianopoli e nel suo disperato tentativo di guadagnare l'aiuto occidentale per contrastare l'avanzata della mezzaluna, nove anni più tardi, a Roma, il basileo Giovanni V il Paleologo abiurò la fede ortodossa e passò al cattolicesimo, come prezzo per l'appoggio dell'esercito occidentale.
Nella Moldavia, gli eventi politici generarono lo stesso orientamento unionista, di alleanza con le grandi forze cattoliche occidentali. Il fondatore dello stato, Bogdan, non aveva buoni rapporti con Ungheria, per cui cercò di avvicinarsi alla Polonia, cun la quale confinava, avendo il re Casimiro conquistato la Galizia nel 1340. Da parte sua, anche la Polonia gradiva di poter collaborare con il giovane stato per avere via libera verso i porti del Mar Nero e della Crimeea. Le vie commerciali della Moldavia attraversavano in lungo il paese, partendo dalla Polonia (Lwów e Cammieniec) per arrivare a Chilia e Cetatea Alba, oppure a Braila.
Sul piano religioso, l'orientamento verso il cattolicesimo venne favorito dai missionari francescani del vicariato di Rutenia, con il centro a Lwów. Con loro c'erano i domenicani, con un vicariato apostolico fondato da Giovanni XXII nel 1324. Entrambi gli ordini svilupparono un intenso apostolato nelle terre polacche e ungheresi. Il primo monastero dei francescani di Lwów fu quello di Siret, dove nel 1340 vennero sepolti due martiri trucidati dai tartari, Biagio e Marco. Nel febbraio 1378 vi vennero sepolti altri due martiri, Luca e Valentino, morti insieme ad altri cinque francescani, tutti vittime dei tartari in Lituania.
Il successore di Bogdan, Latcu (1365-1373), cambiò la residenza da Baia a Siret e per la sua politica aveva interesse ad avere buoni rapporti con la Polonia; così sarà più al sicuro dalle mire espansionistiche dell'Ungheria. E, caso mai, se la Polonia avesse cercato di imporsi in Moldavia, il principe si sarebbe appellato al papa, in cui avrebbe sempre trovato un aiuto. Latcu mandò a Roma due francescani per far sapere al papa che lui e il suo popolo vogliono accettare il rito latino e la fede della Chiesa di Roma. Vuole poi da Urbano V la fondazione di un vescovato nella sua città di residenza e dei missionari cattolici per il suo paese. Dopo le necessarie trattative, nel 1371 il vescovo di Cracovia consacrò il primo vescovo di Siret, il francescano Andrea Jastrzebiec. Subito, Latcu passò al cattolicesimo, ma da solo, rimanendo ortodosse la moglie e la figlia.
Il dramma religioso nella famiglia del principe, come anche il forte movimento antiunionista presente nelle file del clero locale bloccarono i tentativi filocattolici di Latcu. Non sappiamo quanto numerosi siano stati i cattolici in Moldavia. Con molta probabilità, essi rappresentavano delle piccole comunità sparse nel nord, ai confini con la Polonia e l'Ungheria, e nelle vicinanze dei Carpazi, nei passi verso la corona magiara, per difendere le frontiere di questo paese. Al inizio, il vescovato di Siret dipendeva direttamente dalla S. Sede. Nel 1412, quando venne fondato l'arcivescovato di Lwów, diventò suffraganeo di questa sede. La giurisdizione del nuovo vescovato si estendeva su tutta la Moldavia, malgrado che i documenti ci dicano che anche a Milcov furono nominati dei vescovi. Ma in questa parte, già da lungo tempo non esisteva più una vera e propria organizzazione ecclesiastica.
Il vescovato di Siret fu anche esso, come quello dei cumani, molto fragile. Un anno dopo la sua consacrazione, nel 1372, il papa Gregorio XI, affidò ad Andrei l'amministrazione del vescovato di Hali, dove il vescovo partì subito. Stando in Polonia, egli si lamenta della povertà del suo vescovato di Siret, e con molta probabilità, non metterà mai più piede in Moldavia. Con lui iniziò una lunga serie di vescovi polacchi nominati per i vescovati di Siret, Baia e Bacau (come vedremo in seguito), che si troveranno al loro agio tra i loro connazionali, sulle loro possessioni, e non nella povera e, per loro, straniera, Moldavia.
Il principe Pietro (1375-1391), figlio della cattolica Margherita Musat, trasferi la capitale da Siret a Suceava. Nel 1377, Margherita chiamò i domenicani ungheresi e chiese loro di costruire una chiesa a Siret, nella vicinanza dei francescani, chiesa che diventerà la cattedrale dei vescovi di Siret. In questa chiesa sarà sepolta anche la principessa Margherita. L'anticattolico Bogdan il Cieco la farà distruggere e le sue ossa verranno deposte sotto il battistero della chiesa di Baia, costruita dal principe Alessando il Buono intorno all'anno 1418.
Nel 1388, Andrea Jastrzebiec venne nominato vescovo di Wilna. Siccome a Siret, l'unica chiesa rimasta era quella dei domenicani, venne nominato un domenicano. Dello stesso ordine fu anche il suo successore. L'ultimo vescovo, nominato nel 1434, sarà invece un francescano. Al concilio ecumenico di Konstanz (1414-1418), la Moldavia è presente con Chirila, mandato dal principe Alessandro il Buono. Siccome il problema ecumenico si sente poco in questo concilio e l'orientamento del clero moldavo non è tanto ecumenico, i rapporti politico-religiosi tra il giovane stato e i paesi vicini cattolici rimasero molto fragili(37).
1.8 Il vescovato di Baia (1418-1525)(38)
Baia è una città fondata nel dodicesimo secolo dai sassoni, nel periodo delle colonizzazioni protette dai cavalieri teutonici. All'inizio del quindicesimo secolo, la città contava approssimativamente sei mila abitanti.
Il principe della Moldavia, Alessandro il Buono (1400-1432), sposò in seconde nozze la figlia del re polacco, Vladislav, e mantenne buoni rapporti con questi. Nel 1413, il re polacco chiese all'antipapa Giovanni XXIII di fondare un vescovato cattolico a Baia. Il vescovato viene fondato intorno al 1418 con un vescovo polacco domenicano e negli anni seguenti il principe moldavo fece costruire una bella chiesa cattedrale le cui rovine si possono vedere ancor'oggi. Dall'inizio il vescovo incontrò problemi non facili: le tensioni tra domenicani e francescani e l'avanzata dell'hussitismo(39), l'eresia condannata a Konstanz, ma tollerata in Moldavia dal principe regnante.
In Moldavia, l'eresia hussita venne propagata soprattutto nelle comunità cattoliche, spesso indifese e senza sacerdoti stabili. Queste comunità rappresentavano dei gruppi di popolazione stabiliti qui ai tempi del re ungherese Béla IV per proteggere le frontiere dopo l'invasione tartara del 1241. Il loro scopo era quindi identico con quello delle comunità protette dai teutonici nella curva dei Carpazi. Le comunità si stabilirono sulle rive dei fiumi Moldova, Bistrita, Tazlau e Trotus, nella vicinanza dei Carpazi. Come composizione etnica, erano formate da ungheresi, siculi, sassoni e romeni dalla Transilvania. Questo processo di colonizzazione continuò fino al secolo XVI, quando inizierà un lungo periodo di declino numerico dei cattolici di Moldavia, fino alla seconda metà del secolo XVIII(40). Al concilio ecumenico di Firenze (1439), la Moldavia fu presente con il metropolita Damiano, che firmò il decreto di unione, ma senza alcun risultato concreto per la popolazione ortodossa moldava(41). Il principe Stefano il Grande (1457-1504)(42), tollerò pure egli l'hussitismo, che, però, venne contrastato dai francescani guidati da san Giovanni da Capestrano. Più tardi, dopo il concilio di Trento (1545-1563), i francescani venuti da Pera (Costantinopoli) e Polonia, riusciranno a rinvigorire il cattolicesimo locale e a convertire i cattolici passati all'hussitismo nelle comunità di Husi, Trotus, Roman ed in alcuni villaggi intorno a quest'ultima città. Nel 1535, si fa menzione per la prima volta del monastero francescano di Bacau, la città dove nel 1607 verrà fondato il vescovato che guiderà il destino dei cattolici moldavi per parecchi secoli, nonostante che il centro di questa guida spirituale non sarà Bacau, sede del vescovo mai presente, ma Iasi, dove saranno i prefetti della missione.
Malgrado che abbia regnato per breve tempo (1561-1563), merita di essere menzionato il principe Giacobbe Despotul. Dotato di formazione umanistica, egli apre nella comunità di Cotnari una scuola latina per i sassoni e gli ungheresi cattolici ivi presenti. Siccome regnerà poco tempo, la sua scuola diede scarsi risultati, tranne un allievo importante: Deac Ferenc, fondatore degli unitariani(43). Per queste sue aspirazioni, questo principe venne considerato dal clero ortodosso locale e dai boiari come un eterodosso, un eretico, e pagò con la vita i suoi errori e la sua imprudenza. Verso la fine del secolo, il principe Pietro lo Zoppo invitò i protestanti a lasciare la Moldavia, un gesto che gli conquistò la simpatia di papa Gregorio XIII. Aiutato e consigliato da un albanese italianizzato, Bartolomeo Brutti, il principe era favorevole all'unione di tutta la Moldavia con la Chiesa di Roma, però il suo progetto, come anche altri del passato, rimase semplice lettera morta. Per i cattolici moldavi (circa 15.000), lui rimase come un protettore e nel 1588 firmò un decreto di legge che obbligava tutti i cattolici passati al protestantesimo di ritornare al cattolicesimo. Egli progettò anche la fondazione di un seminario a Cotnari, per i cattolici locali. Nel 1591, perché non aveva aumentato il tributo imposto dai turchi, deve lasciare il trono e il paese e andare in esilio. Morirà nel Tirolo e il suo sepolcro si trova a Bolzano, vicino alla chiesa dei francescani(44).
Nella stessa epoca, partendo dalla Moldavia, visse e lavorò in un monastero di Napoli, l'apostolo dei malati e poveri, il cappuccino Geremia da Valacchia, fino ad oggi l'unico beato della Moldavia(45).
La nostra breve relazione sul cattolicesimo in Moldavia si fermerà, in questo capitolo, all'inizio del XVIIIo secolo.
A causa delle circostanze storiche poco favorevoli, dello scarso numero di cattolici e della mancanza di interesse da parte delle autorità politiche ed ecclesiastiche, i vescovati di Siret e Baia erano già da lungo tempo caduti in un silenzio e una dimenticanza profonde.
Il principe Pietro lo Zoppo aiutò il missionario francescano cappuccino Gerolamo Arsengo e i suoi confratelli a construirsi una chiesa e una casa a Bacau. In più, ricevettero dallo stesso principe il villaggio di Trebes, abitato da 50 famiglie cattoliche, con due vigne e due mulini. Il legato papale, Alessandro Comulovi, e il consigliere del principe, Bartolomeo Brutti, volevano Arsengo come vescovo di Bacau, anche per evitare la tutela polacca nella nomina dei vescovi in Moldavia, così come era successo con i vescovi di Siret e Baia. A Roma, però, nel 1591 venne nominato Bernardino Quirini, vescovo di Arges, in Valacchia, con residenza a Bacau(46).
Nel 1599, Quirini arrivò in Moldavia, da dove, dopo la visita pastorale, manda a Roma una relazione dalla quale sappiamo che in quel tempo c'erano 1.691 famiglie cattoliche presenti in 15 città e 16 villaggi. A Bacau c'erano 216 famiglie con 1.692 anime e due chiese. Qui c'erano i francescani osservanti della Transilvania. Il vescovo si recò a Baia, dove trovò 60 famiglie, la vecchia cattedrale con la tomba di Margherita Musat e anche un'altra piccola chiesa. A Trotus vi erano 68 cattolici; a Husi, 435 anime; a Cotnari c'erano addirittura 4 chiese, tre di pietra e una in legno con soli 198 cattolici e una scuola laica. Nella città di Suceava si trovavano due mila mercenari cattolici e 150 parrocchiani; a Roman, 138 cattolici che avevano due chiese di legno. Nei villaggi vicini a questa città c'era Sabaoani, con chiesa di pietra, Berindesti, Tamaseni, Lucaceni, Adjudeni e Luciani, dove Quirini conta 1.400 cattolici(47). Nel 1604, Quirini morì, probabilmente assassinato dai tartari(48). Poco dopo (1606) il principe Geremia Movila scrisse a Paolo V, chiedendo Arsengo come vescovo, anche perché questi conosceva bene la lingua del paese, mentre il nunzio in Polonia voleva un vescovo polacco(49). Anche il successore di Geremia, il fratello Simeone, voleva Arsengo come vescovo e all'inizio del 1607, Paolo V li rispose loro, affermando che sarà nominato Arsengo come vescovo di Bacau. La scelta di Arsengo rappresenta una vittoria dei principi locali sulle pretese del re polacco che voleva dei vescovi polacchi. Infatti, nel 1610, quando morì Arsengo, il re Sigismundo III Wasa nominò come vescovo il polacco Valeriano Lubieniecki (1611-1617)(50). La sua attività pastorale in Moldavia ebbe poca importanza, come anche la scarsa presenza del successore, il francescano conventuale Adamo Goski (1618-1626), pure lui nominato dal re polacco.
1.9.1 La fondazione della missione dei francescani conventuali - 1623(51).
L'assenza del vescovo dalla sua diocesi, come anche la mancanza di un'autorità sul posto che potesse coordinare l'attività dei missionari, determinò la giovane congregazione De Propaganda Fide a fondare la sua primogenita missione proprio in Moldavia, il 25 aprile 1623(52), affidandola due anni dopo ai francescani conventuali. I primi conventuali vennero dalla provincia di Pera, Costantinopoli. Questi avevano anche il vantaggio di non essere sospettati dai turchi come agenti della Polonia, il loro nemico rivale.
Il vescovo Gabriele Fredro (1627-1631), al momento della sua nomina, ricevette esplicitamente l'incarico di stare nella sua residenza, o almeno di visitare il più spesso possibile la sua diocesi, ma tutto questo non avverà, così come non è avvenuto neppure con i suoi antecessori. Mancando ancora un'attività pastorale sistematica come anche la presenza del vescovo, le comunità cattoliche andarono in declino, anche a causa di frequenti guerre e combattimenti tra moldavi e tartari. Nel 1606 mancavano i parroci delle grandi comunità, come Sabaoani, Husi, Hotin, Faraoani, Trotus. Tra 19 parrocchie c'erano solo quattro parroci che dovevano correre da una parrocchia all'altra. Mancavano i vasi sacri, i paramenti liturgici, come pure i libri sacri. I fedeli erano poco preparati e quando si chiedeva loro qualche offerta per il sostentamento dei loro missionari, minacciavano di passare all'ortodossia. Dal 1629, per un periodo di circa 25 anni, nella missione mancò il prefetto, a causa delle grandi difficoltà presenti. La sua presenza verrà sostituita da un vice-prefetto, che, periodicamente, visiterà la missione.
Il vescovo Giovanni Zamoyski (1633-1649) venne nominato dalla corona polacca, malgrado che il vice-prefetto Paolo Bonici con i suoi cattolici avessero chiesto un vescovo non polacco, perché in Moldavia dominavano i turchi. La Polonia si oppose, affermando che un vescovo di famiglia nobile può supplire alla povertà della missione e in caso di guerra, questi poteva facilmente trovare un riparo per salvarsi la vita. Pochi missionari lavoravano nella missione e spesso la loro attività veniva ostacolata dai sacerdoti ortodossi, che non vedevano di buon occhio gli zelanti francescani italiani. Dopo una visita pastorale in Moldavia, nella quale si accorse delle grandi e quasi insormontabili difficoltà, Zamoyski tornò in Polonia.
La mancanza del vescovo determinò il principe Basilio Lupu a chiedere nel 1638 la presenza in Moldavia di un vescovo cattolico, italiano e stabile. La Propaganda ordinò a Zamoyski di tornare nella diocesi. Questi rispose di non poterlo fare a causa della carestia e delle difficoltà create dalla guerra in corso tra ottomani e polacchi. Chiese ancora che nella missione venisse mandato un visitatore apostolico(53). Nel 1640, Urbano VIII mandò come visitatore apostolico Pietro Diodato Baksi. Arrivato in Moldavia, al termine della visita canonica, egli rilasciò una relazione sullo stato della missione. A Galati trova 51 cattolici, probabilmente ungheresi, che nel frattempo avevano dimenticato la loro lingua. Qui c'erano anche molti mercanti di Ragusa. A Bîrlad sono 160 cattolici, oriundi dalla Transilvania, che parlavano solo il romeno. Nella cittadina di Husi, i cattolici erano 495 e il loro parroco era Giacomo di Osimo, rappresentante del vescovo Zamoyski. Adesso, egli giaceva a letto a causa di una grave ferita di coltello, ricevuta da un cattolico che si era ribellato perché il missionario aveva chiesto una tassa "esagerata". A Iasi, la capitale, la comunità cattolica era abbastanza cosmopolita: 202 fedeli tra mercanti, soldati, rappresentanti della Polonia, italiani, slavi, ungheresi e francesi. La comunità di Cotnari comprendeva 497 cattolici, in maggioranza di origine sassone, tutti parlavano però la lingua romena. Nell'ex capitale, Suceava, c'erano soltanto 50 cattolici di rito latino, ma i cattolici armeni formavano un bel gruppo di mille anime. A Tîrgu Neamt c'erano 91 cattolici; a Sabaoani e nei dintorni, 195 anime. In Adjudeni 116, a Tamaseni 64, a Tetcani 165, a Licuseni 33, e nella città di Roman 31 fedeli. In Bacau c'erano 500 cattolici, a Faraoani 300, a Trebes 125, a Salont 90, a Lucacesti 63, a Valea Seaca 50, a Trotus 122 e a Stanesti 106 anime(54). Baksi è passato anche per i villaggi abitati da "ungureni" (cioè popolazione romena di fede ortodossa arrivata in Moldavia dalla Transilvania), giacché a causa delle dure leggi agrarie, molti contadini transilvani si rifugiano in Moldavia, occupando spesso le zone devastate dai tartari. Si conoscono immigrazioni durante i principi Miron Barnowski e Basilio Lupu alla metà del secolo XVII(55).
Il missionario Bartolomeo Bassetti, nominato da Baksi come suo vicario generale, convocò alla fine del 1642 un sinodo diocesano a Cotnari. Il piccolo gruppo di missionari, circa dieci, che lavorava nella missione si incontra in questa parrocchia per risolvere i principali problemi e per porre rimedi agli abusi e mancanze di ogni genere. Alcuni missionari chiedevano tasse troppo pesanti dai fedeli; altri non amministravano il Viatico a motivo della non consuetudine ad amministrarlo; altri non imponevano la penitenza nel sacramento della confessione, affermando che i penitenti devono imporsela da soli. Alcuni "dascali" (dirigevano i canti nelle funzioni liturgiche e insegnavano i "rudimenta fidei" alla gente, quando mancava il prete) arrivati dalla Transilvania, insegnavano alla gente che devono ricevere l'Eucarestia sotto entrambe le specie notando in ciò un influsso del protestantesimo. Alcuni cattolici ammettevano padrini ortodossi al battesimo e oltre a questi esistevano vari abusi legati al sacramento del matrimonio. L'anno seguente, Bassetti arrivò a Roma per presentare le richieste del sinodo:
-L'apertura a Iasi di un seminario per i moldavi e i siculi mentre erano già disponibili nella capitale due professori: Giacobbe per la lingua ungherese e Paolo, per l'insegnamento in lingua romena;
-Varie dispense e facoltà per i missionari;
-Manuali di teologia morale, dogmatica e le decisioni dei concili ecumenici per migliorare la formazione teologica dei missionari. Fu così che la Propaganda mandò in Moldavia alcuni tra i libri fondamentali richiesti; il progettato seminario diventerà la scuola elementare fondata dal gesuita Paolo Beke; altri problemi emersi dal sinodo rimarranno invece in sospeso(56).
Dato che il vescovo di Bacau non si faceva vedere nella diocesì, Bassetti raccomandò alla Propaganda di mandare un altro vescovo nella missione, così viene mandato il vescovo di Marcianopoli, Marco Bandulovi. Questi arriva nel 1644 e rimane in Moldavia fino alla morte (1650). Come risultato della sua visita pastorale (ottobre 1646- gennaio 1647), ci è rimasta una importante relazione sullo stato della missione e sulla Moldavia in genere(57). Dobbiamo precisare che la relazione è stata scritta dal suo segretario, il gesuita Paolo Beke, ungherese, che fa di quasi tutti i cattolici moldavi dei magiari puro sangue(58). Così, egli intendeva poter fare determinare ad allontanare i missionari italiani dalla Propaganda, per sostituirli con missionari ungheresi. Aggiungiamo che adesso inizia anche l'attività dei gesuiti polacchi della provincia della Galizia a Iasi ed in altre comunità della Moldavia; così iniziano anche delle controversie tra i conventuali e i gesuiti. In fondo, considerandosi gli unici ad avere il diritto di lavorare e rimanere nella missione, i francescani non saranno quasi mai d'accordo con i gesuiti. Come si è verificato tante volte nella storia delle missioni, anche questo è un caso tipico e non singolare di "colonialismo" missionario.
1.9.2 La relazione di Bandulovi sulla missione moldava - 1646
Data la sua importanza (la più nota in tutta la storia missionaria della Moldavia), crediamo che sia opportuno presentare in breve la lunga relazione (198 pagine manoscritte) di Bandulovi (conosciuto anche come Bandinus o Bandini). Il vescovo visita 33 comunità cattoliche. Però, la sua relazione presenta 42 località che avevano o che hanno avuto dei cattolici. In queste comunità ci sono 1.122 famiglie cattoliche. Le comunità in ordine alfabetico sono:
1. Adjudeni. Qui, come in altre comunità vicine, hanno predicato anche gli ussiti, poi tutto è tornato tranquillo. Ci sono 30 famiglie, senza chiesa.
2. Amagei, vicino a Cotnari, con 99 cattolici. Il nome della località vuol dire ingannatori e il missionario spiega anche il motivo: "Amadsei, hoc est deceptor tum quia homines incolunt arte decipiendi prepollentes, tum quia vinum quod ibi nascitur bibones suavitate deceptos prosternit". Infatti, tutta la zona di Cotnari è nota in tutto il paese per le sue viti pregiate.
3. Bacau, residenza del vescovo. Ci sono 680 anime cattoliche, di più che non gli ortodossi, con i quali ogni anno si alternano alla guida della città, in base ad una consuetudine non scritta. La chiesa, in legno, è in rovina, come anche la residenza del vescovo.
4. Baia, come anche a Bacau, la città ha vestigio di un antico passato molto pregevole. Adesso ci sono solo 40 famiglie con 256 cattolici. Si poteva ammirare con dolorosa nostalgia la chiesa in pietra costruita ai tempi di Alessandro il Buono e della principessa Margherita Musat, la madre dei principi "musatini". I cattolici di Baia sono i discendenti dei sassoni e degli ungheresi, la maggioranza assimilati dai romeni ortodossi, oppure immigrati in varie parti in cerca di un futuro migliore. Quelli rimasti hanno ancora vigne a Cotnari e praticano il commercio col vino e il pesce.
5. Balana, non più esistente. Ai tempi di Bandulovi si trovava sulla riva sinistra del Tazlau, al nord del suo sbocco nel fiume Trotus. C'erano 12 case con 87 fedeli. Questi, assieme agli abitanti di Manesti e Grozesti, dovevano difendere i passi di Brasov e Trei Scaune, che portavano in Transilvania.
6. Bîrlad, con 150 fedeli e con una povera chiesa. Hanno un "dascal" che canta e recita le preghiere quando si raduna la comunità.
7. Bogdana. In passato vi vivevano molti immigrati dalla Transilvania. Adesso erano solo 6 case con 18 anime. Tutti gli altri sono passati all'ortodossia, a causa di una lunga mancanza di cura pastorale.
8. Ciobîrciu, nelle regioni dei tartari; avendo paura di essi, il missionario non la visita. Dalla comunità di Husi, il sacerdote va a curare le anime dei 200 cattolici di questa comunità che non può essere localizzata.
9. Cotnari, una località con quattro chiese, tre in pietra e una di legno. Prima di Bandinus, c'erano più di mille cattolici, passati quasi tutti al protestantesimo. Il missionario Paolo Bonici predica qui 7 anni e riesce a riportarli nell'ovile cattolico. A tale motivo, i capi della comunità scrivono al papa Urbano VIII una lettera di totale adesione alla fede e alla Chiesa cattolica. Il papa gli risponde e la sua lettera era letta davanti a tutti nelle principali feste cattoliche. Il missionario trova adesso 276 cattolici, sassoni e di origine ungherese. Erano organizzati in confraternite e la principale fonte dei redditi veniva, come oggi, dalla produzione del vino. La prima confraternita (dei pittori di chiese) è documentata in Moldavia, a Suceava, solo nel 1570(59).
10. Faraoani, filiale di Bacau, con 40 anime e una povera chiesa in legno.
11. Fîntînele, con 12 famiglie cattoliche e 58 anime. La maggioranza, più di 100 famiglie, sono ortodossi, e, col tempo, hanno assimilato i cattolici. La comunità era vicino a Trebes.
12. Galati, una città portuaria, con più di 15 mila abitanti a maggioranza romeni, ma anche greci, armeni e turchi. I cattolici sono 70, venuti in passato dalla Transilvania. Hanno una piccola chiesa in legno con attorno il cimitero.
13. Gyla-Giulesti fù una comunità cattolica della quale Bandinus trova solo le rovine di una imponente chiesa. Si trovava probabilmente a metà strada tra Tîrgu Neamt e Baia, sulla riva destra del fiume Moldova.
14. Grozesti, comunità di frontiera con la Transilvania, con 14 famiglie e 69 anime; filiale di Trotus.
15. Hîrlau. Il vescovo trova la comunità cattolica in pieno processo di assimilazione e conversione all'ortodossia. Erano ancora 28 i fedeli cattolici anziani; la nuova generazione era passata alla fede della maggioranza. Avevano una chiesa rovinata e delle vigne abbandonate.
16. Husi. Ai tempi della sua visita, i cattolici erano 682, cioè più numerosi degli ortodossi. Ogni anno, i cattolici con gli ortodossi si alternavano come capi della città.
17. Iasi, la capitale della Moldavia, aveva solo 30 cattolici, la maggioranza di origine transilvana. Molti non abitavano in città, ma nelle vigne vicine.
18. Lecuseni, comunità vicinissima a nord-ovest di Sabaoani, con 40 famiglie cattoliche. Adesso è parte integrante della suddetta comunità.
19. Lucacesti, con 15 case e 86 anime. Prima di Bandinus formavano una importante comunità con lo stesso scopo di tante altre località di frontiera: proteggere l'Ungheria. Hanno una chiesa in legno, tutta una rovina e dei paramenti liturgici ancora belli. Abbandonata da missionari e vescovi, lontana dalle comunità cattoliche, la comunità viene assimilata dagli ortodossi. Oggi è un quartiere della città di Moinesti.
20. Manesti, comunità una volta fiorente, ai tempi della relazione in forte declino, con la chiesa tutta una rovina. C'erano ancora 9 case con 48 anime.
21. Pascani, di fronte a Faraoani, con 6 case e 30 cattolici. Siccome i missionari si vedevano raramente, molti cattolici passavano all'ortodossia.
22. Piatra. Città strategica, dove i cattolici erano solo 16, tra i quali un solo anziano parla ungherese.
23. Rachiteni, comunità prospera con 389 cattolici.
24. Roman, una città nella quale nei tempi passati c'erano molti ungheresi e sassoni, ciascun gruppo con la sua chiesa. Adesso si trovava solo la chiesa dei sassoni. I cattolici sono rimasti 36 in tutto, e alcuni hanno ancora delle vigne a Cotnari, segno di una passata prosperità.
25. Satul de Jos, su un affluente del fiume Tazlau. Nel passato era una località di frontiera molto prospera. Adesso era rimasta solo la chiesa di pietra con tre altari e nessun cattolico.
26. Sabaoani, importante comunità cattolica con 300 anime.
27. Sarata, vicino a Cotnari, con 40 cattolici.
28. Siret, ex-sede del vescovo cattolico, con neppure un ungherese o sassone cattolico. Tutti erano andati via o passati all'ortodossia.
29. Slobozia, vicino a Trotus; comunità recente ai tempi della visita, con 49 cattolici. Oggi non esiste più.
30. Solont, con 35 case e 175 cattolici. Come i loro vicini di Lucacesti, anche essi sono senza missionari. Hanno chiesa e un "dascal" che fa gli avvisi (feste e tempi di digiuno) e canta in chiesa. Col tempo, i cattolici spariscono da questa località.
31. Stanesti, con 150 anime e una chiesa in legno. Oggi non esistente.
32. Strunga, con 2 famiglie e 11 anime.
33. Suceava. Il processo di assimilazione dei cattolici era quasi al termine. Adesso, vi si trovavano solo 25 ungheresi e sassoni.
34. Tamaseni, con 70 anime.
35. Tecuci. Prima di Bandulovi c'erano 200 case cattoliche in una città che contava 500 case. Adesso non era rimasto nessun cattolico ed erano sparite anche le tracce della chiesa e del cimitero.
36. Tetcani, con 160 anime cattoliche.
37. Tîrgu Neamtului. In passato erano più cattolici; adesso erano rimasti solo 48, con una chiesa di legno costruita da una donna sassone.
38. Tîrgu Trotus, centro del distretto. Alternativamente, un anno la guida della città è affidata ai romeni e un anno agli ungheresi. Erano rimasti solo 125 cattolici. Di tanto in tanto si fa vedere qualche missionario, ma i fedeli desiderano un sacerdote stabile. Dando ascolto alle loro richieste, il visitatore gli consacra un sacerdote transilvano, con una preparazione teologica molto mediocre.
39. Trebes, la proprietà del vescovo cattolico di Bacau. I 155 cattolici non hanno chiesa e vanno a Bacau.
40. Valea Seaca, vicino a Faraoani, con 55 cattolici e altri ortodossi moldavi.
41. Vaslui. Nel passato la comunità cattolica era abbastanza consistente, con chiesa, sacerdote e "dascal". Adesso erano rimasti solo 14 cattolici e senza chiesa perché bruciata dai moldavi.
Dalla sua relazione si può ricavare facilmente che i cattolici in Moldavia (circa cinque mila)(60) si trovano in un evidente calo numerico. Nei secoli passati, le comunità situate vicino ai Carpazi avevano anche una missione strategica, di difendere cioè le frontiere dell'Ungheria. Altre comunità si trovano sulle rive dei fiumi Siret, Moldova e dei loro affluenti e questi cattolici, di remote origini ungheresi e sassoni, sono in gran parte dei coloni che coltivavano la terra, oppure accudivano il bestiame. A causa delle frequenti scorrerie dei tartari e delle guerre tra polacchi e turchi, molti di loro dovevano rifugiarsi nei boschi oppure andare in zone più sicure, in Transilvania. Come abbiamo già accennato, siccome mancava un lavoro pastorale organizzato e stabile, col tempo i cattolici più isolati entrano in un processo di assimilazione nel ortodossia. Come composizione etnica, la grande maggioranza sono ungheresi, oppure provengono dalla Transilvania(61) (siculi e romeni) e sassoni.
Dal 1650 in poi, i prefetti non staranno più a Costantinopoli, ma nella loro missione. Durante il periodo del vescovo Matteo Kurski (1651-1661), la situazione dei cattolici peggiora ancora a causa dell'instabilità politica e delle frequenti guerre tra turchi e polacchi. Siccome la mezzaluna decideva i destini della Moldavia, possiamo immaginarci come si sentivano i vescovi di Bacau, polacchi, cioè nemici giurati degli ottomani. Oltre alla ben nota povertà della missione, questo, pensiamo sia stato il motivo che li impediva di stare più a lungo nella Moldavia. Nel 1656, Kurski scrive alla Propaganda che sarebbe bene di nominare un amministratore apostolico e nella stessa lettera chiede anche dei sacerdoti missionari che conoscano la linga del paese, e cioè il romeno.
Sotto il vescovo Stefano Rudzinski (1662-1675), nel 1663, si radunò un sinodo diocesano a Bacau. Dagli atti del sinodo sappiamo che in Moldavia vi erano 25 chiese cattoliche e soltanto cinque parroci ai quali venivano distribuite tutte le comunità. Ai sacerdoti veniva inculcato di occuparsi più delle anime che delle vigne e dei loro affari. Per i problemi materiali dovevano servirsi dei laici. I sacerdoti stranieri non potevano esercitare il loro ufficio sacro senza l'approvazione del vescovo. Vengono dichiarati invalidi tutti i testamenti con i quali certi laici lasciavano per inganno le loro vigne e gli apiari ai sacerdoti. Venne poi analizzato il rapporto tra vescovo e sacerdoti e nel caso che quest'ultimi saranno malcontenti, devono rivolgersi al nunzio in Polonia, oppure all'arcivescovo di Lwów. In quanto riguarda la chiesa di Iasi, siccome non è mai appartenuta a nessun ordine, essa è proprietà della comunità cattolica locale(62).
Nel 1653 arrivò in Moldavia il missionario Vito Piluzio e vi rimane fino al 1687(63), nominato prefetto nel 1663. Oltre al suo lavoro missionario in tempi così difficili, egli è rimasto a noi noto specialmente per il suo catechismo in romeno, stampato a Roma nel 1677(64), come un aiuto di prima mano per i missionari che sarebbero venuti in Moldavia. Egli ebbe dei buoni rapporti anche con il grande cronista moldavo Miron Costin, offrendoli molte informazioni per la prima parte del suo libro "De neamul Moldovenilor" (L'origine dei moldavi), cioè aiutandolo a scoprire le radici latine del popolo romeno.
Nel 1670, il vicario apostolico Pietro Parcevi firmò una convenzione con i francescani osservanti di Csik-Somlyó, con la quale, a causa della mancanza dei missionari, la chiesa di Bacau veniva affidata a loro. Ma siccome sei anni dopo la chiesa crollò, la convenzione rimase lettera morta. Come rappresentante del vescovo, Parcevi ha alcuni contrasti con i missionari, francescani e gesuiti. Non si era arrivati ad un accordo stabile e accettato da entrambi le parti. I missionari credevano che il vicario limitasse troppo i loro diritti e controllasse in un modo esagerato la loro vita e attività; al contrario, Parcevi si lamentava della scarsa obbedienza dei missionari. Come Piluzio, pure lui dovette sperimentare e provare tutte le difficoltà di una missione poverissima e con una organizzazione così fragile.
Il sinodo di Cotnari del 1642 aveva preso in esame l'apertura di un seminario per gli autoctoni, ma senza risultato. Cercando di venire incontro alle necessità spirituali dei fedeli, i missionari presero la decisione di mandare alla Propaganda dei giovani della missione per la formazione sacerdotale. Però, questi alunni della Propaganda hanno deluso le aspettative, tanto dei missionari, quanto anche della gente. Abituati alla vita comoda delle loro ricche famiglie, non volevano andare nelle comunità povere della missione. Poi, quando i tempi diventavano difficili, a causa delle guerre o delle carestie, insieme alle loro famiglie andavano in Polonia o in altre parti, dove la vita era più facile e le loro ricchezze al sicuro. Per la secondo metà di questo secolo abbiamo nove sacerdoti oriundi della Moldavia, cinque da Baia e quattro da Cotnari.
Mentre era vescovo Giacomo Dluski (1681-1693), il calo numerico dei cattolici tocca la quota più bassa: rimangono solo circa 300. Le guerre tra i turchi e gli occidentali, che culminano con l'assedio di Vienna (1683), i tributi che tutta la gente deve pagare tanto ai turchi, quanto alle autorità locali per la paga dei mercenari, le carestie ed altre disgrazie costringono i poveri cattolici, visti dagli ortodossi come stranieri e spesso come nemici del popolo, ad abbandonare i luoghi dove vivevano da tanti secoli e ad incamminarsi verso terre più sicure e meno disgraziate, specialmente in Polonia e Transilvania.
La vittoria degli occidentali sotto le mura viennesi, indirettamente fu di buon augurio anche per i gesuiti polacchi di Iasi. Questi, però, non erano in buoni rapporti con i francescani italiani ed il vescovo non sa come accontentare entrambi le parti, anzi più facilmente era dalla parte dei polacchi gesuiti, essendo anche lui un polacco. Questi contrasti interni tra i missionari, come anche lo stato quasi disastroso della missione, sono anche un pallido riflesso della situazione generale della Moldavia, dove regnava l'instabilità politica e che doveva sopportare le conseguenze del permanente conflitto tra la Sublime Porta e l'Occidente vicino, rappresentato in queste parti dalla Polonia. Inoltre, non vanno dimenticati i tartari; le loro scorrerie erano spesso più pesanti e disastrose per la Moldavia delle guerre tra gli ottomani e gli occidentali. Un anno dopo la vittoria di Vienna, la Polonia, vittoriosa, occupò la metà della Moldavia; però, dopo la pace di Karlowitz (1699), dovette ritirare tutte le sue truppe dai monasteri moldavi. La Turchia, invece, si obbligò a garantire il libero esercizio del culto cattolico in Moldavia e in Valacchia. In questo modo, all'esiguo resto cattolico venne concesso un periodo di respiro e di pace, che non sarà troppo lungo.
Dopo la sconfitta del principe Cantemir a Stanilesti (1711), alleato dei moscoviti, i turchi devastano la Moldavia e sulla via del ritorno i soldati portano con loro tanti moldavi, fatti schiavi, il bestiame e tutto quello che si poteva prendere. Adesso fugge in Transilvania il prefetto della missione, Felice Zavoli; durante la sua prefettura, la residenza dei prefetti si era stabilita a Iasi. In Moldavia, i turchi si trovavano come a casa loro e i principi venivano trattati come dei loro garzoni. Per un ventennio fecero e disfecero, a loro piacere, quattordici prìncipi. È facile capire che in queste condizioni, all'inizio del XVIIIo secolo, l'attività dei pochi missionari per i loro altrettanto pochi e sfortunati cattolici non era per niente gratificante.
1. PALL, F., Le controversie tra i minori conventuali e i gesuiti nelle missioni di Moldavia (Romania), in "Dilpomatarium italicum", v 4, Roma 1939.
2. L'autore pensa che la sua provincia nativa di San Giuseppe, fondata nel 1895, sia stata privata di alcuni dei suoi diritti fondamentali da parte non solo delle autorità comuniste che l'hanno messa fuori legge nel 1948, ma, peggio che sia stata addirittura ostacolata e combattuta anche dal clero diocesano e dalle autorità ecclesiastiche della diocesi di Iasi, alleatesi in una certa misura con le autorità comuniste per colpire la provincia e i suoi membri. Crediamo sia il nostro dovere, anche per mettere in guardia coloro che non conoscono i fatti, citare alcune righe della sua introduzione, con le quali non siamo d'accordo, in quanto false, almeno per quello che riguarda il rapporto tra i francescani conventuali e il clero diocesano di Iasi nel periodo dopo 1948: "Offriamo il frutto delle nostre fatiche (cioè il suo libro n.n.) per la martoriata Provincia di san Giuseppe nel LXXo della sua erezione e per i suoi Figli, dei quali molti per la loro fede, per il loro attaccamento alla Chiesa Romana e all'Ordine Francescano hanno sostenuto e sostengono tuttora persecuzioni e carcere da parte dei nemici di Dio e vessazioni da parte di alcuni che, invece di unirsi a loro nella difesa dei diritti della Chiesa e nella fedeltà al Romano Pontefice in un momento così duro, approfittano delle circostanze per usurparsi pretesi diritti, aumentando così il dolore e l'amarezza dei Religiosi ridotti nell'impossibilità di difendersi e di essere difesi. Difficilmente il tempo potrà cancellare questa pagina così triste della storia della Chiesa cattolica in Romania"(3)
3. TOCANEL, P., Storia della Chiesa Cattolica in Romania, v III/1, Padova 1960, p VII. Le relazioni dopo 1948 tra il clero diocesano, rimasto in libertà limitata e controllata e il clero regolare, messo in illegalità rimane tutto un capitolo da scrivere. '
4. MARTINAS, D., L'origine dei cattolici di Moldavia, Padova 1987.
5. CALINESCU, G., Alcuni missionari cattolici italiani nella Moldavia nei secoli XVII e XVIII, in "Diplomatarium italicum", v 1, Roma 1925; IDEM, Altre notizie sui missionari cattolici italiani nella Moldavia nei sec. XVII e XVIII, in "Diplomatarium italicum", v 4, Roma 1939.
6. TOCANEL, P., Storia della Chiesa Cattolica in Romania, v 3/1, pp 3-52.
7. Dovendo attraversare un fiume, la sua cagna, Molda, annegò. Il fiume venne chiamato Moldova, da dove derivò anche il nome della provincia.Un'altra spiegazione di questo nome deriva dalla parola slava molda, che significa fiume sinuoso.
8. SPINEI, V., Informatii istorice despre populatia româneasca de la est de Carpati în secolele XI-XIV, in "Anuarul Institutului de istorie si arheologie A. D. Xenopol" (1977), pp 1-21.
9. GIURESCU, C.- GIURESCU D., Istoria românilor din cele mai vechi timpuri si pîna astazi, Bucuresti 1971, pp 220-225. DIACONU, P., Les Coumans au Bas-Danube au XI-e et XII-e siècle, Bucuresti 1978; KUUN, G., Kodex Cumanicus, Budapesta 1880; POPA-LISSEANU, G., Brodnicii, Bucuresti 1938.
10. GIURESCU, C., Istoria românilor din cele mai vechi timpuri pâna la moartea regelui Ferdinand I, Bucuresti n.d., pp 124-132; 151-157.
11. Brevi notizie sul popolo dei siculi, come anche delle informazioni bibliografiche generali su di loro si trovano in: ALZATI, C., Terra romena tra Oriente e Occidente. Chiese ed etnie nel tardo '500, Milano 1981, pp 26-29.
12. Proprio a questo periodo appartiene la formazione di un'organizzazione ecclesiastica ortodossa in Moldavia. Con una ricca bibliografia, il fatto viene analizzato e presentato de: THEODORESCU, R., Implicatii balcanice ale începuturilor Mitropoliei Moldovei; GOROVEI, S., Intemeierea Mitropoliei Moldovei în contextul relatiilor moldo-bizatine. Entrambi gli articoli sono pubblicati in: AA.VV., Credinta si cultura în Moldova. II. Credinta ortodoxa si unitate bisericeasca, Iasi 1995, pp 5-52.
13. Era il figlio del principe Costantino Cantemir. Aveva un altro fratello, Antioh, che ha regnato due volte. Uomo di una cultura straordinaria. Tra varie opere ha scritto Histoire de l'Empire othoman, où se voyent les causes de son aggrandissement et de sa decadence, Paris 1743. Prima aveva vissuto parrecchi anni a Constantinopoli, dove era entrato in relazioni con i grandi dignitari del impero. Concedendogli il trono, i turchi speravano che lui facesse i loro interessi. Presto si accorgono invece che il principe era contro di loro. Demetrio, dopo la sconfitta di Stanilesti si ritira con le trupe russe e rimane in Russia, accanto al zar, fino alla morte (1723).
14. GIURESCU, C., Tîrguri sau orase si cetati moldovene din secolul al X-lea pîna la mijlocul secolului al XVI-lea, Bucuresti 1967.
15. Tutta la problematica delle città, centri commerciali, fortezze e paesi della Moldavia medioevale si trova in un libro sintetico già citato: GIURESCU, C., Tîrguri sau orase si cetati moldovene din secolul al X-lea pîna la mijlocul secolului al XVI-lea, Bucuresti 1967.
16. GIURESCU, C., Istoria românilor, Bucuresti n.d., pp 168-368.
17. Per una breve e sintetica presentazione del cristianesimo in Romania dagli inizi fino ai nostri tempi, vedi: GEORGESCO, J., Roumanie, in "Dictionnaire de théologie catholique", v 14/1, coll 17-101. Si intende che l'articolo è destinato solo a chi volesse farsi un'idea generale sulla presenza cristiana in Romania.
18. DAICOVICIU, C., Dacia, Bucuresti 1969.
19. BARNEA, I., Crestinismul în Scythia Minor dupa inscriptii, in "Studii teologice", 10(1954), pp 62-112. PARVAN, V., Contributii epigrafice la istoria Crestinismului daco-roman, Bucuresti 1911. ZEILLER, J., Les origines chrétiennes dans les provinces danubiennes de l'empire romain, Paris 1918; IDEM, L'expansion du christianisme dans la péninsule des Balkans du Ier au Ve siècle, in "Revue Balkanique", 1(1934-1935), pp 414-419.
20. BREHIER, L., Les missions chretiennes chez les Slaves au IXe siècle, in "Le Monde slave", 4(1927), pp 29-61.
21. Si veda anche: NANDRIS, G., The Beginning of Slavonic Culture in the Rumanian countries, in "The Slavonic and East European Review", 24(1946), pp 160-175.
22. MIHAESCU, H., Le langue latine dans le sud-est de l'Europe, Bucuresti 1978. BALOTA, I., Le problème de la continuité, contribution linguistique, Bucuresti 1941.
23. ANASTAS, M. V., The Transfer of Illyricum, Calabria and Sicily to the Jurisdiction of the Patriarcate of Constantinople, in "Studi bizantini e neoellenici", 9(1957), pp 14-36.
24. TOCANEL, P., Rapporti romeno-slavi attraverso i secoli, in "The Common Christian Roots of the European Nations. An International Colloquium in the Vatican", v 2, Le Monnier-Florence 1982, pp 959. L'autore non indica quale sia questa tradizione. Però, la sua sintetica e breve argomentazione sulla storia e il destino dei valacchi (romeni) in rapporto con la storia dei bulgari è molto precisa e ricca di bibliografia; perciò consigliamo la lettura di questo articolo, come anche la consultazione della bibliografia per chiunque volesse approfondire "i rapporti romeno-slavi attraverso i secoli".
25. Sulla latinità etnico-religiosa dei romeni, vedi anche: PANAITESCU, E., Latinità e cristianesimo nell'evoluzione storica del popolo romeno, in "Studi sulla Romania", Napoli 1928, pp 103-134.
26. Una ricca e accurata fonte di informazioni per quanto riguardano i rapporti tra la "Daco-Romania" e Costantinopoli si trova in: Fontes Historiae Daco-Romanae, IV. Scriptores et acta Imperii byzantini saeculorum IV-XV, Bucuresti 1982.
27. Su tutta la problematica dell'arcivescovato, poi patriarcato, di Ochrida, vedi: GELZER, H., Das Patriarchat von Ochrida. Geschichte und Urkunde, Leipzig 1902.
28. BUNEA, A., Episcopi de Halici în Transilvania si Ungaria, in "Prinos lui D. A. Sturdza", Bucuresti 1903, pp 122-146.
29. DVORNIK, F., Les légendes de Constantin et de Méthode, Prague 1933. Più tardi, l'autore approfondisce l'argomento: IDEM, Byzantine Missions among the Slavs. SS. Constantine-Cyrill and Methodius, Rutger-New Jersey 1970.
30. Credo che dobbiamo precisare che le prime testimonianze su una organizzazione ecclesiastica nella terra dei romeni appartengono alla Chiesa cattolica: sono i tre vescovati transilvani dell'XIo secolo (Oradea, Alba Iulia e Cenad) formati dagli ungheresi, e nella Moldavia, il vescovato dei cumani, del 1227, anche questo diretto dalla corona magiara. Nel nord della Moldavia, cominciando con il XIVo secolo, la cattolica Polonia influì sulla formazione dei vescovati di Siret, Baia e Bacau, così come lo vedremmo nella seconda parte del primo capitolo. L'organizzazione ecclesiastica ortodossa arrivò subito dopo la formazione degli stati della Valacchia e Moldavia, nella prima metà del XIVo secolo e dipese dai principi locali, rispettando però il primato della sede costantinopolitana.
31. Per la storia della Chiesa ortodossa in Romania, vedi: PACURARIU, M., Istoria Bisericii Ortodoxe Române, v 1-3, Bucuresti 1991-19962.
32. Come opere di carattere generale e scientifico, non di semplice informazione, per la storia della Romania, vedi: GIURESCU, C., Istoria Românilor, v 1-4, Bucuresti 1938-1944; IORGA, N., Istoria Românilor, v 1-9, Bucuresti 1936-1938; XENOPOL, A.D., Istoria Românilor din Dacia Traiana, v 1-14, Bucuresti 1925-1930.
Abbiamo presentato in questa nota solo le opere dei più noti storici della Romania scritte prima della seconda guerra mondiale. Nelle opere scritte dopo l'insediamento del potere comunista (1948), la storiografia ha subito l'influsso di un'ideologia che ha presentato la storia romena o partendo da principi solo materialistici, escludendo cioè l'influsso dello "spirito", oppure ha passato sotto silenzio il contributo spirituale, cristiano, delle varie religioni, contributo intrinsecamente legato alla storia del paese. È questo il motivo per cui non abbiamo citato opere scritte dopo il 1948, tranne alcune che, secondo il nostro parere, conservano ancora in gran parte il carattere puramente scientifico, come per esempio: GIURESCU, C.-GIURESCU, D., Istoria românilor din cele mai vechi timpuri si pîna astazi, Bucuresti 1971, malgrado che quest'opera sintetica la possiamo considerare come uno strumento di informazione generale sulla storia romena, che non approfondisce i principali argomenti, temi e periodi; però, per chi volesse approfondire un certo periodo, rimane molto utile l'informazione bibliografica presentata alla fine dei capitoli. Lo stesso vale per l'edizione del 1975 della stessa opera.
33. FERENT, I., Cumanii si episcopia lor, Blaj 1931. Per tutta la problematica dei cumani e del loro vescovato, consideriamo sufficiente solo la citazione di questo libro, scientificamente molto accurato e che presenta anche tutta la documentazione sull'argomento.
34. LUPSA, S., Catolicismul si Românii în Ardeal si Ungaria pîna la anul 1566, Cernauti 1929. Per tutta la storia del cattolicesimo in Transilvania, vedi: NILLES, N., Symbolae ad illustrandam Historiam Ecclesiae Orientalis in terris Coronae S. Stephani, v 1-2, Oeniponte 1885.
35. Per il sud della Moldavia e per la Valacchia, Roma deve riconoscere una realtà de facto: queste regioni non entrano più nella sua "communio".
36. AUNER, C., Episcopia de Siret, in "Revista Catolica" 2(1913), pp 226-243.
37. AUNER, C., Moldova la Soborul de la Florenta, in "Revista Catolica" 4(1915), pp 272-285; 379-408; 552-565.
38. AUNER, C., Episcopia de Baia, in "Revista Catolica" 4(1915), pp 89-127; NEAMTU, E., Orasul feudal Baia în secolele XIV-XVII, Iasi 1980.
39. GIURESCU, C.C., Cauzele refugierii husitilor , pp 27-44.
40. ROSETTI, R., Despre ungurii si episcopiile catolice din Moldova, in "Analele Academiei Române", Istorie, seria II, 27(1905), pp 247-322.
41. AUNER, C., Moldova la Soborul de la Florenta, pp 552-565.
42. Per le relazioni estere tra il principe e varie chiese europee, si veda: MIHAIL, P., Relatii externe bisericesti ale lui Stefan cel Mare, in "Mitropolia Moldovei si Sucevei", 38(1957), pp 228-241.
43. BIRSANESCU, S., "Schola latina" de la Cotnari, Bucuresti 1957.
44. KARALEVSKI, C., Relatiunile dintre domnii români si Sfîntul Scaun în a doua jumatate a secolului al XVI-lea dupa documente inedite din arhivele Vaticanului, in "Revista Catolica" 2(1913), pp 175-207; 411-426; 570-581; 3(1914), pp 46-60; 176-209. LAZARESCU, G.- STOICESCU, N., Tarile Române si Italia pîna la 1600, Bucuresti 1972.
45. TOPPI, F., Il beato Geremia Stoica da Valacchia, Napoli 1983; VOLTRI, T., Ion Kostist, Genova 1961.
46. Ieronim Arsengo, in AA.VV., Calatori straini despre Tarile Române, 2, Bucuresti 1970, p 505; KARALEVSKI, K., Bernardino Quirini, episcop de Arges, in "Revista Catolica" 4(1915), p 200.
47. HURMUZAKI, E., Documente, v 3, pp 546-547.
48. AUNER, C., Inceputurile episcopatului de Bacau, in "Revista Catolica", 1(1912), p 407.
49. VASILIU, V., Il principato moldavo e la curia papale fra 1606-1620, in "Diplomatarium Italicum", 2(1930), pp 6-7.
50. FILITTI, C.I., Din arhivele Vaticanului, in "Revista Catolica", 3(1914), pp 345-346.
51. MORARIU, B., La missione dei frati minori Conventuali in Moldavia e Valacchia nel suo primo periodo (1623-1650), Roma 1962. Queste due missioni furono affidate dalla Propaganda nel 1625 alla cura pastorale dei francescani minori conventuali: Vedi APF, Fondo di Vienna, v 8, ff 74; 142; 145; 150; 188-190.
52. Fino al 1650, i prefetti della missione moldava dimorano a Costantinopoli, nel loro centro di Pera. Dal 1650, in poi, i prefetti sono stabili in Moldavia.
53. PAL, I., Originea catolicilor din Moldova si franciscanii, pastorii lor de veacuri, Sabaoani 1942, pp 163-165.
54. VINULESCU, G., Pietro Diodato e la sua relazione sulla Moldavia (1641), in "Diplomatarium Italicum", 4(1939), pp 91-97.
55. VLAD, M., Cauzele colonizarii rurale din Tara Româneasca si Moldova în sec. XVII si XVIII, in "Studii si articole de istorie", 13(1969), pp 95-116.
56. MORARIU, B., La missione dei frati minori Conventuali, p 48.
57. URECHIA, A.V., Codex Bandinus; VERESS, A., Scrisorile misionarului Bandini.
58. NASTASE, G., Stirile lui Bandini despre ungurii din Moldova, in "Buletinul Institutului de filologie româna Alexandru Philippide", 3(1936), pp 1-176.
59. GIURESCU, C., Tîrguri sau orase, p 111.
60. Non sappiamo perché Calinescu afferma che il loro numero era solo di 680. Vedi: CALINESCU, G., Alcuni missionari, p 16, nota 2.
61. NISTOR, I., Emigrarile de peste munti, in "Analele Academiei Române. Memoriile Sectiunii istorice", serie II, v 27, Bucuresti 1915.
62. CANDEA, R., Catolicismul în Moldova în secolul al XVII-lea, Sibiu 1917, pp 48-49.
63. BIANU, I., Vito Piluzio. Documente inedite din Archivulu Propagandei, in "Columna lui Traian" (1883), pp 142-164; 257-287.
64. NAGHIU, I., Catechisme catolice românesti în sec. XVII-XVIII, in "Cultura crestina", (1943), pp 593-601. PICCILLO, G., Note sulla lingua valacha del Katechismo kristinesco di Vito Piluzio, in "Studii si cercetari lingvistice", 1(1979), pp 31-46; PILUZIO, V., Dottrina christiana tradotta in lingua Valacha, in "Buciumul român", 1(1875), pp 271-274; 320-323; 467-470; 508-513; 553-556.