IL VESCOVO DR. ANTON DURCOVICI
MARTIRE DELLA CHIESA CATTOLICA
(Sintesi dei documenti che sono stati presi
dagli archivi della ex-polizia politica comunista "Securita dello Stato",
fatta dal Signor DOBOS DANUT, presidente della Comissione storica)
I. OTTOBRE 1947 - 26 GIUGNO 1949: ANNI DI
PERSECUZIONE - INSEGUITO DALLA SECURITÀ
Il martirio di dr. Anton Durcovici,
vescovo di Iasi, non ha cominciato il 26 giugno 1949, data del suo arresto
brutale a Bucarest, ma quasi due anni prima, subito dopo la sua nomina
di vescovo di Iasi dal papa Pio XII, il 30 ottobre 1947. In circostanze
estremamente difficili nei quali ha dovuto iniziare la sua attività
a Iasi, con il contesto sociale-politico interamente ostile a tutti i cattolici,
e specialmente a quelli della diocesi di Iasi, il vescovo Durcovici ha
dovuto sopportare le straordinarie pressioni da parte della polizia politica
(securità). Dimostreremo, in cio che segue, che il vescovo Durcovici
ha rappresentato un caso speciale tra le personalità della Romania,
inseguite e arrestate in quel tempo, laici e chierici, perchè il
fondamento delle accuse che si sono fatte sul suo conto non erano i fatti
reali o inventati dalla securità e successi come dicevano loro tra
le due guerre mondiali o durante la seconda guerra mondiale, ma i fatti
e la sua attività nel periodo ottobre 1947 - 26 giugno 1949, nella
sua qualità di pastore dei cattolici di Moldavia.
Anche se, durante la guerra, si era trovato
qualche volta sotto la stretta sorveglianza del Servizio di Informazioni
e della Polizia di Sicurezza, solo più tardi, con la sua nomina
di vescovo di Iasi, gli hanno fatto un dossier informativo di sorveglianza.
L’intenzione della Polizia politica è stata premeditata dall’inizio,
cioè di realizzare non solo un semplice dossier informativo di sorveglianza,
ma un dossier di sorveglianza penale, per incriminare, arrestare e condannare
il sorvegliato.
Il dossier informativo è stato fatto
dalla Direzione regionale di securità di Iasi, principalmente sulla
base delle note e rapporti informativi offerti dai servizi provinciali
di securità Roman e Bacau, provincie con la più numerosa
popolazione cattolica della diocesi di Iasi. Il dossier personale Anton
Durcovici è stato creato dalla securità con il numero 84569.
Si deve fare menzione del fatto che l’intenzione della polizia politica
era di sorvegliarlo individualmente, una eccezione tra i cherici cattolici
cotemporanei che sarebbero stati implicati nelle investigazioni e poi arrestati
in "gruppi". Infatti, il dossier penale fatto dalla securità nel
periodo della detenzione del vescovo, con il numero 57512, è stato
un dossier individuale, il solo accusato essendo il vescovo Durcovici.
Il sistema di pedinamento e di sorveglianza
promosso dalla securità nel "caso Durcovici" è stato molto
complesso. Gli uffici di informazioni dei servizi provinciali Bacau e Roman
hanno seguito ogni passo del vescovo Durcovici durante le sue visite canoniche
fatte nei villaggi e le comunità cattoliche delle provincie Bacau
e Roman, e a Iasi è stato sempre sorvegliato dai marescialli di
securità N. Balanescu e Savel Curariu. A livello di Direzione regionale
della Securità Iasi, ufficiali superiori, guidati proprio dal direttore
generale N. Pandelea, hanno raccolto le informazioni ricevute dalle diversi
fonti, elaborando note e relazioni per la Centrale di Bucarest, o presentando
alla stessa centrale le relazioni e le sintesi fatte dai servizi provinciali
Roman e Bacau.
Il sistema di sorveglianza e di pedinamento
è diventato sempre più duro nell’autunno dell’anno 1948,
in occasione delle visite canoniche fatte dal vescovo Durcovici nelle provincie
Bacau e Roman. Riguardo una di queste visite, quella a Luizi Calugara,
del 14 settembre 1948, il Servizio provinciale di securità Roman
riferiva il 15 settembre 1948: "L’atteggiamento e l’attività dei
sacerdoti cattolici è sorvegliata da vicino da parte nostra…". Durante
il viaggio canonico fatto dal vescovo Durcovici in Oltenia in giugno 1949,
lui è stato intensamente sorvegliato dagli ufficiali di securità
Vistig Eugen e Mircea Malin, che dichiarava: "<Il vescovo Durcovici
e i sacerdoti che lo accompagnavano, n.n.> sono stati sempre sotto stretta
sorveglianza, avendo in mezzo a loro un doppio numero di informatori…".
Il punto culminante di questo processo di
sorveglianza era durante le celebrazioni pontificali, quando gli ufficiali
di securità erano molto atenti alle omelie e ai discorsi del vescovo,
che erano messi per iscritto per trovare le cercatissime riferenze politiche.
"Durante la messa <di Tg. Jiu, il 14 giugno 1949, n.n.) - riferivano
gli ufficiali Vistig e Malin - hanno partecipato anche i membri del Servizio
provinciale di securità Tg. Jiu, interpreti fino alla fine". La
sorveglianza mirava anche rubare alcune delle lettere circolare scritte
dallo stesso vescovo Durcovici, considerate da loro "elementi delittuosi".
Riguardo una simile impresa, "l’ombra" del vescovo Durcovici a Iasi, il
maresciallo N. Balanescu, riferiva il 10 gennaio 1949: "è stata
rubata da un informatore <la lettera circolare "Consacrazione della
diocesi di Iasi al Cuore Immacolato di Maria", n.n.> il 5 gennaio 1949,
dalla sagrestia, senza che qualche sacerdote si acorgesse, anche se è
stato molto rischioso per l’informatore, che ha rubato anche La manifestazione".
Ugualmente, sono stati intercettati oggetti
di corrispondenza e lettere circolare del vescovo Durcovici, mandate da
lui ai sacerdoti della diocesi di Iasi, e la corrispondenza ricevuta dal
vescovo dai fedeli o sacerdoti di Ardeal o dall’Arcidiocesi di Bucarest.
La securità sperava di scoprire cosi ogni tipo di informazioni cosidette
sovversive o aventi carattere "antidemocratico".
Il tentativo della polizia politica di reclutare
informatori dai colaboratori o dai sacerdoti cattolici si è dimostrato
un insuccesso. Con alcune eccezioni, esemplificati sotto, la popolazione
cattolica non ha collaborato con la securità nel suo tentativo di
incriminare il vescovo Durcovici. Cosi, il 6 ottobre 1948, l’Ufficio I
Informazioni della securità provinciale Roman, riferiva alla Direzione
regionale Iasi: "Le penetrazioni informative in mezzo ai cattolici costituisce
il più grave problema, essendo difficile di penetrare, perche sono
molto sospettosi, e i sacerdoti lavorano in mezzo alla gente con i più
fidati e degni elementi (…) Si sta cercando l’allargamento della rete informativa,
penetrando sempre di più tra gli elementi clericali, per poter conoscere
in tempo le azioni minatori del regime".
Sono state usate contro il vescovo Durcovici
57 dichiarazioni scritte, appartenenti ad alcuni cattolici abitanti dei
villaggi Lespezi, Faraoani, Ciughes, Tg. Trotus, Valea Seaca, Nicolae Balcescu,
Gioseni, Cleja, Slanic, Daramanesti, Onesti e Pustiana, che non erano contenti
del rifiuto del vescovo di introdurre la lingua ungherese nelle chiese.
La maggioranza di quei 57 contadini avevano fatto parte delle delegazioni
di contadini che hanno parlato con il vescovo Durcovici, identificati e
poi interrogati alla securità.
Il 20 aprile 1949, la Direzione regionale
di securità Iasi riferiva alla Centrale di Bucarest sul "reclutamento
di informatori nel Vescovato cattolico" senza poter stabilire i dati concreti
richiesti dai superiori di Bucarest. Questo fatto ci porta alla conclusione
che gli informatori non erano chierici o collaboratori vicini del vescovo
Durcovici.
Nel periodo 1947-1949, hanno lavorato contro
il vescovo Durcovici gli informatori "Fleur", "Toiu", "Joseph", "Has" e
"X", ancora non identificati dall’indagine storica.
II. GLI ANNI DELLA PERSECUZIONE: 1947-1949
LE ACCUSE PORTATE DALLA SECURITÀ ROMENA
AL VESCOVO DURCOVICI
Le relazioni e le note informative scritte
dagli ufficiali di securità contengono decine di accuse al vescovo
Durcovici, per incriminarlo e mandarlo dinanzi alla Giustizia comunista.
Sulla base delle dichiarazioni di quei 57
contadini cattolici ricordati sopra, gli ufficiali di securità hanno
accusato il vescovo Durcovici di "istigazione in blocco contro l’ordine
e la securità dello Stato", "stimolo fatto alla popolazione di non
rispettare le leggi dello Stato comunista", "esortazione della popolazione
di non partecipare alla vita politica della Romania comunista", istigazioni
tra gli abitanti cattolici dei villaggi della provincia Bacau "esortandoli
di non obbedire all’insegnamento democratico che proppone la Repubblica
Popolare Romania", istigazioni all’odio razziale, propaganda anti-sovietica,
critiche fatte alle misure intraprese dal governo, attività di propaganda
contro gli ebrei e contro la forma di governo di Romania. Secondo l’oppinione
degli accusatori, in tutte le messe nelle località cattoliche, il
vescovo Durcovici abrebbe "incoraggiato la popolazione di essere fedele
e di non avere paura di quello che succederà nella vita perche cosi
vinceranno".
Per esempio, nei "substrati dell’omelia" fatta
dal vescovo Durcovici a Luizi Calugara il 15 settembre 1948, gli ufficiali
della securità scoprivano "la tendenza dei fedeli cattolici di approfondire
il sentimento religioso fino al fanatismo (…) Il sentimento religioso nella
massa di contadini cattolici è molto sviluppato, e queste omelie
tenute dal clero cattolico hanno un grande effetto…".
In un’altra relazione redigita dalla securità
di Roman, il vescovo Durcovici era accusato di aver tracciato, con le sue
omelie, "una linea di condotta dei sacerdoti cattolici, incoraggiandoli
ad azioni di istigazione mirante il regime democratico", o che le parole
del vescovo fossero "una precisazione della posizione anti-comunista e
anti-governamentale della Chiesa cattolica".
Le visite canoniche fatte dal vescovo Durcovici
nelle provincie Bacau e Roman e, con queste occasioni, le solennità
religiose sono state considerate dalla securità come "rafforzamento
del misticismo religioso nelle masse, fino all’assurdo, e consolidamento
dei rapporti con il papa", fatti "incompatibili con la linea politica del
regime democratico popolare". Più volte, la securità ha espresso
la sua preoccupazione sui stati di fatto provocati dalle visite canoniche
del vescovo Durcovici, riferendosi alle manifestazioni religiose dei paesani
in favore del loro vescovo, sullo "spirito agitato" provocato nei sacerdoti
e sulle azioni di istigazione dei paesani e sulle possibile provocazioni,
nel futuro, contro il regime.
Il 14 ottobre 1948, la Direzione regionale
della securità Iasi riferiva alla Centrale di Bucarest il fatto
che le visite del vescovo Durcovici avessero determinato che "il fenomeno
delle manifastazioni cattoliche diventi un problema sempre più accentuata"
e che può creare "un ambiente impossibile" nei villaggi cattolici,
diventati veri "focolai cattolici di istigazione anti-democratica".
La lista di accuse portate contro il vescovo
Durcovici è stata completata con alcuni brani dei discorsi o omelie
che questo avesse fatto ai contadini nei villaggi cattolici visitati nell’autunno
dell’anno 1948. Sono stati considerati citati delittuosi l’esortazione
fatta ai bambini di Sabaoani e Pildesti il 6 ottobre 1948: "Ragazzi! Non
perdete la fede in Dio! Anche se le chiese saranno chiuse e tutti noi moriremo,
altri dall’Italia ci sostuiranno", o la critica fatta ai sette paesani
di Pustiana, il 18 settembre 1948: "Se foste stati buoni cristiani, avreste
lottato contro quelli che hanno chiuso le nostre scuole di preti e le scuole
teologiche dove crescevano veri cristiani, e non avreste chiesto la lingua
ungherese". Queste parole del vescovo sono stati considerate dalla securità
come una vera esortazione alla resistenza anti-comunista!
Le lettere circolare mandate dal vescovo Durcovici
ad alcuni sacerdoti delle parrocchie della diocesi di Iasi, a loro volta,
sono state considerate dalla securità come stimolo alla "resistenza
mediante il fanatismo religioso".
Verso la fine dell’anno 1948, l’azione di
sorveglianza e persecuzione della polizia politica verso il vescovo Durcovici
è diventata più intensa, e le accuse sono arrivate al parossismo.
Le relazioni della securità parlano chiaramente dei casi di "istigazione"
dei sacerdoti cattolici "al comando di Durcovici" e degli "atti di ribelione
della popolazione cattolica". Cosi si faceva diretto riferimento alle misure
efficienti di difesa della libertà dei sacerdoti nella loro lotta
contro il regime comunista, anche con la promozione delle "Guardie parrocchiali"
e la "mobilizzazione della popolazione", tutte e due messe sul conto del
vescovo Durcovici. Le visite canoniche sono ridotte solo ad una presupposta
"campania propagandista disordinata, fatta dal vescovo Durcovici all’aperto
e con un svergognato coraggio…"; lui avesse esortato la popolazione cattolica
alla renitenza al regime comunista.
La partecipazione dei cattolici alle messe
pontificali e ad alcune vere azioni di ribelione e renitenza alle truppe
di securità (i casi di Oteleni) sono state considerate dalla securità
"movimenti di massa successi nei villaggi cattolici all’istigazione dei
sacerdoti e del vescovo Durcovici". L’assurdità di alcune accuse
può essere esempificata con l’aiuto di una nota della securità
di Iasi, del 6 ottobre 1948, che, riferendosi alle visite canoniche nelle
provincie Bacau e Roman, incriminavano il vescovo Durcovici del fatto di
aver creato un "ambiente ostile al regime, cosi che si può pensare
che è fatta con l’intenzione di sabotare la campania di seminagione
autunnale".
Senza lasciarsi superata, la securità
di Craiova accusava il vescovo Durcovici dopo le sue visite canoniche fatte
da lui nelle parrocchie di Oltenia nel giugno 1949. Secondo gli ufficiali
di securità di Craiova, in queste visite il vescovo Durcovici avesse
incontrato in particolare la gioventù cattolica, considerata "fanatica
del culto cattolico", con l’intenzione di mantenere cosciente la fede cattolica
e "l’attenzione verso il papa", ma anche la renitenza al regime.
Queste note qualificano già il vescovo
Durcovici come "uno dei nemici della clase lavoratrice e dell’attuale regime
della R.P.R.". Nel modulo personale fatto dalla securità di Iasi,
hanno fatto il seguente ritratto politico del vescovo Durcovici: "Atteggiamento
forte; non rinuncia al papato, esortando alla resistenza verso le misure
del M.C. (Ministero dei culti, n.n.) anche gli altri sacerdoti sudditi.
Un elemento ostile al regime, ha istigato le masse, ha dato disposizioni
per organizzare mezzi di difesa, ha canalizzato il clero suddito sulla
linea anti-democratica, ha dato disposizioni di rinunciare allo stipendio".
Un secondo modulo personale, fatto sempre dalla securità di Iasi,
completa il ritratto politico del vescovo Durcovici: "Essendo molto abile,
non parla, non critica, lasciando che si comprenda dal suo atteggiamento
e comportamento che non è in consenso con l’attuale governo".
Per sostenere l’accusa di anti-sovietismo,
la maggioranza delle relazioni della securità contenevano una delle
frasi dette dal vescovo Durcovici il 28 dicembre 1948, dopo la messa pontificale
nella cattedrale di Iasi: "Come si può ottenere la pace, quando
i nostri vicini (girando la testa verso est) turbano la tranquillità
e la pace della nostra anima?, dichiarava il vescovo Durcovici alla fine
dell’omelia <Sulla pace>".
III. GLI ANNI DELLA PERSECUZIONE: 1947-1949
IL VESCOVO DURCOVICI PREPARA LA CHIESA CATTOLICA
PER LA RESITENZA ANTI-COMUNISTA
Dallo studio dei documenti del periodo 1947-1949
trasparisce l’idea sul ruolo del vescovo Durcovici di capo nella Chiesa
cattolica - non solo in Moldavia, ma anche nell’Arcidiocesi di Bucarest.
Infatti, nel 1949 diventava de facto il più importante vescovo cattolico
di Romania, realtà riconosciuta indirettamente anche dalla polizia
politica. La fonte "Joseph" informava la Centrale della securità,
il 1 febbraio 1949, che il vescovo Durcovici è arrivato nella capitale
venendo da Iasi "per coordinare l’azione romano-cattolica". Alla stessa
conclusione è arrivata due anni prima la securità di Roman,
sostenendo che il vescovo di Iasi, Anton Durcovici, si fosse trovato nei
"centri che coordinano l’atteggiamento e l’orientamento politico anti-sovietico
e anti-comunista" delle comunità cattoliche della provincia Roman.
La sintesi delle accuse portate contro il
vescovo Durcovici è stata realizzata in aprile 1949 dalla securità
di Iasi, che sottolineava il ruolo del vescovo Durcovici di centro della
resistenza anti-comunista. Secondo questa sintesi, molte delle "azioni
sovversive" di Iasi hanno ricevuto l’apoggio del Vescovato. "Riguardo l’azione
dello studente Liviu Margineanu, ospitato dal sacerdote D. Matei, vicario
episcopale, il vescovo conosce bene la situazione", diceva l’autore della
sintesi della securità, e "al Vescovato cattolico trovano asilo
e forse ricevono direttive anche altre formazioni sovversive". Infatti,
le conclusioni della sintesi riguardavano direttamente il vescovo Anton
Durcovici. Tra altre, questo era accusato di aver trascinato una "massa
deficiente" ad "azioni sovversivi" o "in modo aperto direttamente" contro
il governo comunista, situazione che creava un precedente molto pericoloso
per la popolazione non cattolica di Moldavia. Il vescovo Durcovici era
diventato, secondo la sintesi citata, un "pericolo" e un "freno" molto
forte nello sviluppo del regime comunista in Romania.
A modo generale, queste sono le accuse fatte
al vescovo Durcovici dalla securità. Però quale è
stato il suo ruolo reale nella resistenza anti-comunista in Romania in
generale, e nella resistenza della Chiesa cattolica in particolare, verso
la persecuzione comunista?
La vita e l’attività del vescovo Anton
Durcovici nel periodo 1947-1949 sono state influite anche dal contesto
politico estremamente ostile ai cattolici di quel tempo: annullamento del
Concordato con il Vaticano; persecuzione contro la Chiesa greco-cattolica;
liquidazione dell’insegnamento religioso nell’agosto 1948, seguita dalla
chiusura dei seminari e accademie teologiche; nazionalizzazione, espropriazione
e confisca abusiva delle proprietà cattoliche; arresto dei sacerdoti
cattolici; persecuzione contro i fedeli cattolici; tentativo di isolamento
interno e internazionale della Chiesa cattolica; immistioni comuniste e
sovietiche nella vita religiosa; annullamento delle libertà religiose;
pressioni riguardo la nazionalizzazione della Chiesa cattolica in Romania
e molte altre. Il successo dei comunisti nel liquidare la Chiesa greco-cattolica
hanno forse provocato nel vescovo Anton Durcovici una preoccupazione e
un timore per il futuro della Chiesa romano-cattolica, sentimenti trasmessi
anche ai fedeli cattolici. Infatti, la popolazione cattolica ha compreso
alcuni messaggi del loro vescovo con indole politico, nel senso di espressione
del timore per quanto riguarda un possibile ripetersi dei eventi di Ardeal:
chiusura delle chiese, arresto dei sacerdoti e la loro sostituzione con
sacerdoti ortodossi. Sicuramente, questo è stato il motivo principale
per il quale il vescovo ha approvato la costituzione di guardie parrocchiali
nelle comunità e parrocchie cattoliche di Moldavia.
Tenendo conto che la situazione della Chiesa,
negli anni 1948-1949, era "nella vigilia della prova" della fede e politica,
il vescovo Durcovici ha iniziato alcune azioni per assicurare la continuità
della Chiesa, anche in condizioni di illegalità e clandestinità.
È importante il fatto che le preparazioni per quest’ultima fase
della persecuzione comunista sono state fatte dal vescovo Durcovici simultaneamente
con l’esortazione fatta alla popolazione cattolica alla resistenza anti-comunista
e alla conservazione della fede cattolica.
In occasione della visita canonica in Vizantea,
in novembre (?) 1948, il vescovo Durcovici ha stimolato i paesani di non
abbandonare la fede cattolica, anche nel caso in cui il governo comunista
avrebbe confiscato le case e le terre. Lo stimolo alla resistenza contro
il regime comunista dato dal vescovo Durcovici alla popolazione cattolica
è stato registrato anche dalle relazioni dei servizi di securità
Roman e Bacau.
La preoccupazione e il timore del vescovo
Durcovici per una possibile azione del governo comunista di liquidare la
fede cattolica in Moldavia, dopo il successo dell’operazione in Ardeal,
lo hanno determinato di passare direttamente alla preparazione della Chiesa
cattolica, nel caso in cui questa avrebbe dovuto vivere in clandestinità
e illegalità. Anche se non si può sostenere con documenti,
con un documento dato dalla cancellaria vescovile di Iasi, esiste l’ipotesi,
registrata dalla securità, che il vescovo Durcovici avesse dato
disposizioni segreti ai sacerdoti delle parrocchie rurali sulla loro organizzazione
in situazione di crisi maggiore. Cosi, secondo una relazione della securità
di Roman, del 19 marzo 1949, il vescovo Durcovici ha deciso che in situazione
di forza maggiore, i sacerdoti anziani continuassero con ogni mezzo la
loro permanenza nelle parrocchie, e i sacerdoti giovani si rifugiassero
o viaggiassero da una parrocchia ad altra per rafforzare la popolazione
cattolica.
In una dichiarazione del vescovo Durcovici,
redigita nella detenzione della securità in aprile 1950, questo
riconosceva il fatto di aver dato disposizioni al sacerdote Anton Bisoc
sulla "riserva" di sacerdoti che, con vestiti civili, dovevano continuare
di dare assitenza religiosa ai fedeli nel caso in cui i sacerdoti sarebbero
stati arrestati dal governo. La decisione di dare ai sacerdoti cattolici
simili facoltà straordinarie era una risposta al tentativo del governo
comunista di perseguire la Chiesa cattolica di Iasi, anche mediante l’arresto
in massa dei sacerdoti cattolici.
Infatti, il vescovo Durcovici descrive minuziosamente,
in una dichiarazione del 22 aprile 1950, quando era arrestato, la decisione
sulla celebrazione della Santa Messa e sull’amministrazione dei sacramenti
senza osservare tutte le regole liturgiche prescritte. "L’uso di queste
facoltà riguardava ogni situazione che avrebbe impedito il normale
esercizio del ministero da parte del sacerdote in uno posto qualunque,
come poteva essere la mancanza di rapporti con il vescovo o con il vicario
foraneo, il non riconoscimento di un sacerdote per una chiesa o parrocchia,
la dichiarazione del culto cattolico come illegale, la chiusura delle chiese
e delle case parrocchiali; in quest’ultima situazione, il sacerdote poteva
abitare nelle case dei fedeli per poter venire incontro alle necessità
religiose. Il sacerdote che ha fatto uso di queste facoltà doveva
ulteriormente avvisare il Vescovato".
La sorte dei sacerdoti cattolici arrestati,
tanto nella diocesi di Iasi che in quella di Bucarest, è stata un’altra
preoccupazione del vescovo Durcovici. Il 17 marzo 1949, è andato
nei villaggi cattolici di Bacau per indagare i casi di arresti illegali
dei sacerdoti Mihai Damoc, Petru Danca, Carmil Danca, Ioan Butnaru, e in
quali circostanze le truppe di securità (di intervento) hanno assassinato
i cantori cattolici o hanno arrestato molti paesani nei villaggi Luizi
Calugara, Prajesti, Faraoani ecc..
Contro gli abusi fatti dal governo comunista
verso la Chiesa cattolica, il vescovo Durcovici ha protestato ufficialmente
al Ministero dei culti e dinanzi ai rappresentanti di questo ministero
a Iasi. Il 16 aprile 1949, in una discussione tesa, il vescovo Durcovici
si è rivolto al inspettore Manu del Ministero dei culti con queste
parole: "Di quale libertà dite voi che gode la Chiesa, se dappertutto
li si mettono ostacoli?"
La violazione delle libertà religiose
dei cattolici di Romania è stata registrata dal vescovo Durcovici
anche nelle sintesi documentari che ha scritto e mandato al Vaticano per
diverse vie. In una simile sintesi è realizzata una storia degli
eventi successi nel periodo agosto 1948 - marzo 1949 e che hanno creato
danno anche alla Chiesa cattolica.
La difesa delle libertà della Chiesa
cattolica, la sorte dei sacerdoti arrestati, la condanna dell’agressione
da parte del regime comunista verso la Chiesa e versi i fedeli, il futuro
della Chiesa cattolica, anche in situazione ipotetica di crisi, la condanna
della Costituzione comunista di agosto 1948 che limitava i diritti e le
libertà della Chiesa, la denunzia del Concordato, la rinuncia allo
stipendio offerto dallo Stato, sono solo alcuni temi trattati dal vescovo
Durcovici negli incontri dell’Arcivescovato di Bucarest ai quali, fino
al loro arresto, hanno partecipato i vescovi cattolici di Romania. Le conclusioni
di questi incontri sono stati registrati anche nelle memorie del vescovo
Durcovici, che condannavano le azioni di persecuzione promossi dal regime
comunista contro la Chiesa cattolica. Alcune memorie erano indirizzate
a Petru Groza, capo del governo comunista.
In una simile conferenza episcopale, del 27
gennaio 1949, i vescovi Anton Durcovici, Marton Aron e Alexandru Cisar
hanno redigito dichiarazioni in quali mostravano la loro posizione politica
di fronte alla realtà della Romania comunista. Le dichiarazioni
sono state mandate al Vaticano, sul suggerimento della Nunziatura apostolica
di Bucarest. Alla fine delle dichiarazioni, i tre vescovi dicevano che
quelle dichiarazioni erano reali e liberi e che nel futuro, qualunque dichiarazione
presa in condizioni di "pressioni fisici" o torture o a seguito di qualche
deroga, deve essere considerata nula e senza valore. È molto probabile
che l’idea della redazione di quelle tre dichiarazioni è stata ispirata
alla Nunziatura Apostolica dal caso del cardinale Midszenti di Ungheria,
che aveva redigito una simile dichiarazione prima di essere arrestato.
Per la liberazione del cardinale Midszenti, il vescovo Durcovici ha convocato,
il 17 febbraio 1949, a Farcaseni più sacerdoti cattolici ai quali
ha suggerito di fare digiuno insieme con tutta la popolazione cattolica
in ogni primo venerdì del mese.
Negli anni difficili di persecuzione (1947-1949),
il vescovo dr. Anton Durcovici è stato sempre convinto del fatto
che a dispetto di ogni ostacolo, il cattolicesimo di Moldavia era "fermo",
idea che ha sostenuto anche nelle conferenze episcopali di Bucarest.
IV. NELLA DETENZIONE COMUNISTA
L’ARRESTO DEL VESCOVO ANTON DURCOVICI
L’aggravamento della persecuzione religiosa
promossa dal governo comunista cominiciando dall’estate dell’anno 1948
e la persecuzione che ha sofferto personalmente il vescovo Durcovici nello
stesso periodo, lo hanno determinato di rendersi conto che l’unica fine
non poteva essere che l’arresto da parte della securità romena.
Il 6 ottobre 1948, parlando ai bambini dei
villaggi Sabaoani e Pildesti, il vescovo Durcovici li parlava non solo
di un possibile arresto, ma della sua morte. La questione dell’arresto
è stata probabilmente discussa dal vescovo anche con i suoi collaboratori
più vicini di Iasi o di altre parrocchie cattoliche, specialmente
all’inizio dell’anno 1949, quando la persecuzione dei cattolici era arrivato
al culmine. Il 25 febbraio 1949, dopo l’incontro del vescovo Durcovici
con il parroco di Bacau, Damoc, quest’ultimo parlando ai suoi fedeli, ha
detto queste parole profetiche: "D’ora in poi vedremo il vescovo Durcovici
molto raramente". In realtà, non lo avrebbero visto mai più.
Lo stesso sacerdote, il 3 aprile 1949, diceva ai fedeli queste parole,
riferendosi alle persecuzioni che soffriva il vescovo Durcovici: "Gesù
Cristo è stato schernito dai più intelligenti uomini, i capi
di allora; così oggi, la Chiesa e i suoi rappresentanti sono scherniti
dai più intelligenti uomini che guidano l’umanità".
Il timore di un eventuale arresto del vescovo
Durcovici esisteva anche tra i fedeli cattolici. Alcuni giorni dopo il
suo segreto arresto, il 26 giugno 1949, tra i fedeli di Iasi circolava
la notizia che esiste un piano di liberazione del vescovo e di fuga al
estero, piano approvato anche dai fedeli che sembra che desideravano di
contribuire con soldi per la riuscita dell’azione. Per porre in evidenza
la situazione drammatica vissuta dai fedeli cattolici della diocesi di
Iasi, riproduciamo sotto integralmente una lettera indirizzata al vescovo
di Iasi da un fedele, il 16 giugno 1949:
Eccellenza,
La persona che vi scrive Le deve molto,
Lo ama molto, prega sempre per Lei.
Sono quello che Lei ha guidato con amore
e sapienza a Gesù. Perciò, adesso quando alcune persone che
non hanno avuto la fortuna di conoscere la verità, ingiustamente
parlano male di Lei, Le assicuro che le migliaia di anime che Lei sta guidando
sono unite a Lei, così come tutto il mondo cristiano è strettamente
unito al Santo Padre.
La mia vecchia abitudine di pregare
cotidianamente alle ore 17.00 per Lei, non l’ho abbandonata. Sarò
sempre con il cuore con Lei e ogni uomo veramente onesto è con Lei
e con Cristo che Lei serve senza paura. Come sbagliano quelli che vendono
la propria anima e conscienza per un piatto di lenticchia. A che le serve
tutto quello che hanno? Prenderanno tutto con loro nel sepolcro? Gli uomini
del lavoro, gli uomini umili, migliaia di anime della Sua diocesi pregano
nel loro cuore per il loro pastore e per quello che realmente è
al servizio del popolo, servendo con abnegazione e devotamento.
Concludo queste righe, portandoLe la
buona notizia che nella Sua diocesi la Parola di Dio sta radicandosi sempre
di più nell’anima del popolo e specialmente nell’anima dei umili,
poveri e lavoratori.
Un’altra proba sulla consapevolezza di un
iminente arresto di alcuni sacerdoti cattolici, e del vescovo Durcovici,
è stata offerta dal sacerdote di Faraoani, Damoc, nell’inverno dell’anno
1948/1949. Nel suo incontro con il vescovo Durcovici, don Damoc li ha parlato
dello stato di timore nei fedeli di fronte alle minacce con l’arresto dei
sacerdoti e all’oportunità della resistenza con la forza dinanzi
a queste misure. In quella occasione, il vescovo Durcovici dichiarava che
anche se compredeva il drammatismo della situazione, "la Chiesa cattolica,
di fronte a qualunque necessità, non usa la violenza, ma è
paziente e prega per i suoi nemici".
La decisione dell’arresto del vescovo Anton
Durcovici è stata presa dalla Direzione Regionale della securità
Iasi. Il 8 novembre 1948, la securità di Iasi ha deciso di proporre
alla Centrale della securità di Bucarest perché il vescovo
cattolico Durcovici sia chiuso in un campo di concentramento, sotto l’accusa
di istigazione dei sacerdoti cattolici.
La stessa data, la securità di Bacau
è entrato in possesso della lettera circolare di vescovo Durcovici
indirizzata al sacerdote Fr. Hoiden di Cleja, infatti letta ai fedeli in
chiesa il 7 novembre, con la quale questi erano esortati alla fedeltà
nella vera fede e al rinovamento delle preghiere al Cuore Immacolato di
Maria. Ecco i paragrafi 3 e 4 della lettera circolare:
"3. Nessuno presti fede alle notizie che si
spargono riguardo la situazione della Chiesa cattolica o dei cattolici
di R.P.R., e aspetta la nostra parola o del nostro sostituto.
4. Ogni cattolico, di qualunque rito è
scomunicato ipso facto se partecipa a qualche riunione o incontro che ha
come mira di tramare l’abbandono della Chiesa cattolica. L’assoluzione
di questa scomunica è riservata a noi o al nostro sostituto".
Nella sua dichiarazione del 5 aprile 1950,
nella detenzione, il vescovo Durcovici spiegava minuziosamente i motivi
che hanno determinato le decisioni prese nel periodo agosto - 7 novembre
1948, incluso la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria. Il vescovo
mostrava che sono stati determinanti in queste decisioni l’ordine del governo
comunista di imporre la legge sui culti e l’obbligo della Chiesa cattolica
di presentare, fino al 4 novembre 1948, il proprio statuto di organizzazione
e governo. "Prevedevo le difficoltà che forse verranno per la Chiesa
e i fedeli cattolici" - dichiarava il vescovo Durcovici il 5 aprile 1950
- "affidati alla mia cura pastorale, e per questo ho pensato necessario
chiedere l’aiuto di Dio con più preghiere, e istruire e rafforzare
i cattolici nella loro fede".
Nella relazione indirizzata dalla securità
di Iasi alla Direzione Regionale di securità del popolo è
stata evitata la parola "arresto", usando solo la forma "misure decisive"
per anichilare "la campania portata dal vescovo Durcovici" e ristabilire
l’ordine e l’autorità nelle provincie Roman e Bacau.
La propposta ufficiale di arresto del vescovo
cattolico di Iasi, Anton Durcovici, è stata inviata al colonello
di securità V. Pandelea e al tenente di securità A. Nussem,
il 11 gennaio 1949. "Perchè nel materiale che ho presentato" - si
diceva nella relazione inviata da questi due alla Centrale - "risulta chiaro
l’atteggiamento anti-democratico preciso e aperto verso il nostro regime
di democrazia popolare, propponiamo l’arresto del sopra-nominato vescovo,
la cui presenza in mezzo alle masse popolari rappresenta un ostacolo nel
cammino verso il socialismo".
Ci si può domandare naturalmente, perché
è stato arrestato il vescovo Durcovici dalla securità di
Bucarest e non da quella di Iasi, che ha avuto numerose occasioni di arrestarlo.
Penso che non è difficile trovare la risposta: la securità
ha evitato l’arresto del vescovo di Iasi in mezzo ai fedeli di Moldavia,
che potevano unirsi per difendere il loro pastore, usando anche la forza.
In maggio 1949, alla Conferenza dei vescovi,
svolta all’Arcivescovato di Bucarest, il vescovo Anton Durcovici ha deciso
di cominciare le visite canoniche nell’Arcidiocesi di Bucarest (decanato
di Craiova) nel mese di giugno 1949. Ricordiamo il fatto che a quella data
il vescovo Durcovici rappresentava dinanzi il Ministero dei culti e le
altre autorità civili il vescovato di Iasi e l’Arcidiocesi di Bucarest.
Infatti, solo i vescovi Marton Aron e Anton Durcovici erano riconosciuti
come tali dal governo comunista.
Dunque, le visite canoniche programmate di
cominciare con il mese di giugno hanno rappresentato per la securità
di Bucarest un occasione per arrestare il più influente vescovo
cattolico di Romania di quel tempo. È interessante il fatto che,
con la stampa comunista di Iasi, è stata suggerita all’oppinione
pubblica, specialmente a quella cattolica, l’imminente arresto del vescovo
Durcovici. Il giornale comunista "L’oppinione" (poi "Fiamma di Iasi") pubblicava
una settimana prima dell’arresto del vescovo cattolico di Iasi due articoli
diffamatori, dove il vescovo Anton Durcovici era considerato "nemico del
regime" e "capo dell’azione anti-democratica" o "istigatore alla guerra".
L’articolo, firmato con il pseudonimo "Radu Aurel", riprendeva suggestivamente,
la maggioranza delle accuse ufficialmente fatte al vescovo Durcovici, che
in quel tempo erano registrati solo nel dossier personale del vescovo alla
securità. Cioé, l’articolo del giornale "L’oppinione" era
fatto dalla securità e pubblicato nella stampe per compromettere
il vescovo Durcovici.
L’episodio dell’arresto del vescovo dr. Anton
Durcovici è stato registrato molto scarsamente dalla securità
nelle note e relazioni che rappresentavano il dossier di investigazione
penale del sacerdote Rafael Friedrich. Ecco una citazione di queste realzioni:
"È stato arrestato (il sacerdote R. Friedrich, n.n.) con il vescovo
romano cattolico di Iasi Anton Durcovici, mentre stavano andando per celebrare
una messa nella chiesa del vilaggio Popesti Leordeni; Friedrich Rafael
è stato preso dal vescovo Durcovici per aiutarlo alla celebrazione
della messa nel vilaggio menzionato sopra, Durcovici essendo il suo superiore".
In una dichiarazione del 28 gennaio 1950,
il sacerdote Rafael Friedrich descrive a sua volta le circostanze dell’arresto
del vescovo Durcovici: "Il 24 giugno, mi ha pregato (il vescovo Durcovici,
n.n.) di mantenermi libero la domenica 26 giugno dalle funzioni parrocchiali
domenicali, per poter accompagnarlo nel vilaggio Popesti Leordeni (Ilfov),
dove doveva amministrare il sacramento della Confermazione e aveva bisogno
di me, essendo queste celebrazioni più ampie e richiedendo più
sacerdoti aiutanti. Su questa strada verso Popesti Leordeni sono stato
preso, insieme con Sua Eccellenza, il 26 giugno 1949".
Subito dopo l’arresto, l’intenzione del regime
comunista era di consegnare il vescovo Durcovici alla giustizia comunista.
Pero, considerando che non aveva sufficienti prove accusatori, il secondo
giorno dopo l’arresto, la Centrale della securità di Bucarest sollecitava
alla Direzione Regionale di securità Iasi nuove dati compromettenti
sull’arrestato. Ecco un simile ordine: "In 48 ore inviate dichiarazioni
non ritrattabili contro il nominato Anton Durcovici, dalle quali risulti
l’attività anti-democratica e anti-sovietica del sopra nominato,
il materiale possibilmente ottenuto dai sacerdoti detenuti che fanno parte
del complotto cattolico". Cominciava, il 26 giugno 1949, per il vescovo
Durcovici un lungo Calvario che si sarebbe concluso in modo drammatico
il 10/11 dicembre 1951 con la sua morte di martire nella prigione di Sighetu
Marmatiei.
V. GLI ANNI DI DETENZIONE
IL VESCOVO DURCOVICI NELLE PRIGIONI COMUNISTE
L’arresto del vescovo Durcovici è stato
fatto dalla securità in un modo assolutamente illegale e segreto,
senza mandato di arresto, che doveva essere dato dal Tribunale di Bucarest.
Anche se si può suporre che l’arrestato è stato portato in
molte prigioni del Ministero degli interni, con l’indagine attuale può
essere dimostrato con documenti la presenza del vescovo Durcovici nelle
prigioni di Jilava e Sighet. Si deve suporre che il vescovo Durcovici è
stato imprigionato nella prigione del Ministero degli interni, almeno nel
periodo 26 giugno 1949 - maggio 1950, tappa in quale è stato investigato
dalla securità sulle accuse false portate nel periodo anteriore
dell’arresto.
Il dossier penale 57512, fatto al vescovo
Durcovici per mandarlo dinanzi alla giustizia comunista, è stato
completato nel 1950 con 18 nuovi elementi, rappresentando le sue dichiarazioni
impostegli dalla securità nei giorni 29, 30, 31 marzo, 5, 19 22,
26 aprile, 8, 10, 15 e 18 maggio 1950. Per cause oggi sconosciute, che
solo possono essere supposte, la securità ha rinunciato all’idea
di aprire un processo politico (penale) contro il vescovo di Iasi. Infatti,
si può suporre che al di fuori dell’investigazione ufficiale svolta
nel periodo 29 marzo - 18 maggio 1950, il vescovo Durcovici è stato
investigato dalla securità tutto il periodo della sua detenzione,
quando ha dovuto soffrire le decine di metodi di dura investigazione praticati
per i detenuti politici.
L’investigazione sul vescovo Durcovici è
stata estesa anche su altri sacerdoti cattolici arrestati in quel tempo.
Il 17 giugno 1950, il sacerdote martire Dumitru Matei è stato forzato
di dare una dichiarazione sul vescovo di Iasi, dichiarazione che non è
stata allegata al dossier penale Durcovici, considerata irrilevante. A
sua volta, il sacerdote Rafael Friedrich stesso, che è stato arrestato
il 26 giugno 1949 con il vescovo Durcovici, ha fatto una dichiarazione
sul suo superiore, il 28 gennaio 1950, dichiarazione che non è stata
allegata al dossier penale 57512.
Una volta abbandonata l’idea di aprire un
processo penale (politico), la securità ha consegnato il vescovo
Durcovici alla prigione di Jilava. La tappa "Jilava" della detenzione del
vescovo Durcovici (giugno 1950? - 20 settembre 1951) è la più
sconosciuta della sua vita di detenuto politico. È stata una tappa
di attesa da parte della securità, che non era contenta dell’atteggiamento
del vescovo Durcovici che non voleva cooperare, però una tappa estremamente
difficile per il vescovo Durcovici. Su di lui si sono fatti di nuovo pressioni
da parte della securità per convicerlo, e non per farlo riconoscere,
sulle colpe immaginarie per le quali è stato ufficialmente arrestato
e per accettare le condizioni politiche di una rivalutazione dello statuto
della Chiesa cattolica in Romania con la sua separazione dal Vaticano.
In altre parole, sta facendo strada con più chiarezza l’idea che
il vescovo Durcovici è stato arrestato per ottenere, con la forza
o pressioni fisici e morali, la sua collaborazione con il regime comunista,
che il vescovo Durcovici non solo non ha accettato, ma ha condannato con
fortezza una simile idea, anche nelle sue dichiarazioni fatte nella prigione.
L’anno che è passato dal vescovo Durcovici
a Jilava continua a essere un mistero. Nell’archivio della prigione di
Jilava o in quella della Direzione Generale delle Prigioni non si conserva
alcun documento sulla persona del vescovo. Manca anche il modulo di prigione
del detenuto A. Durcovici.
Convinta che il vescovo Durcovici mai collaborerà
con le autorità comuniste, la securità ha deciso, il 7 settembre
1951, di mandarlo alla famosa prigione di Sighetu Marmatiei, dove era imprigionata
in quel tempo l’alta società politica, culturale e religiosa di
Romania.
Il 10 settembre 1951, il vescovo Anton Durcovici
è stato trasportato da Jilava a Sighet, in massima discrezione,
decisa dalla securità. Il capo della prigione di Sighet, Vasile
Ciolpan, ha ricevuto una decisione dalla Centrale della securità
di Bucarest di imprigionare, all’inizio, il vescovo Durcovici in una cella
comune.
La tappa "Sighet" si è svolta praticamente
nel periodo 10 settembre - 11 dicembre 1951. Nella notte di 10/11 dicembre
1951, il vescovo Durcovici spirava a Sighet, in condizioni che non sono
pienamente conosciute. Sono alcune testimonianze di alcuni sacerdoti che
hanno registrato la sua morte di martire, però senza conoscere esattamente
le terribili circostanze della fine del vescovo Durcovici. Estremamente
"discreta", la securità, che l’ha arrestato e gli ha provocato la
morte con sofferenze, registrava concisamente la fine di vita del vescovo
martire: "Durcovici Anton, deceduto nel mese di dicembre 1951 a Dunarea.
Il dossier Dur(covici) deve essere consegnto alla A.S. (Archivio della
securità, n.n.) B.3 (L’ufficio numero 3 della Centrale della securità),
ha segnalato dall’Ufficio che è morto". La morte del vescovo Durcovici
è stata ufficialmente registrata solo nel 1964, dopo la decisione
della securità di realizzare delle statistiche su tutti i detenuti
che sono morti nelle prigioni comuniste fino a quella data.
Ritornando alla decisione del regime comunista
di chiudere il vescovo Anton Durcovici a Sighet, si può fare la
seguente ipotesi, partendo da altri esempi di intellettuali romeni arrestati
e portati a Sighet in simili condizioni. Messo nel Direttorio della securità
sull’organizzazione di un elenco operativo dei elementi nemici di R.P.R,
il vescovo Durcovici è stato ufficialmente dichiarato arrestato
in settembre 1951 (!); a causa della mancanza di una prigione amministrativa,
è stato condannato dalla famosa Commissione militare composta dai
generali di securità Al. Nicolschi e Vladimir Mazuru, istituita
per le decisioni del governo comunista, in un campo di lavoro per un periodo
limitato. Alla fine, la destinazione del vescovo Durcovici non è
stato un campo di lavoro, ma "C. M. Dunarea", la segreta denominazione
della famosa prigione di sterminio di Sighet.
Nel caso Durcovici, la securità è
stata crudele, anche dopo la sua tragica morte. Il corpo del vescovo Durcovici
è stato sepolto in un posto segreto, con altre 50 personalità
morte a Sighet, destruendo ogni prova sul cimetero principale della prigione.
Allo stesso tempo, oggi stesso non si conosce alcuna informazione sull’
"atto di costatazione della morte" dato dal medico della prigione. La securità
ha ulteriormente distrutto i documenti sugli oggetti che hanno appartenuto
al detenuto A. Durcovici, inclusa la sua carta di identità. Secondo
i metodi della securità, è possibile che questa abbia portato
alla Banca Nazionale di Romania gli oggetti di valore che hanno appartenuto
al detenuto A. Durcovici.
VI. GLI ANNI DI DETENZIONE
IL VESCOVO DURCOVICI HA IL CORAGGIO DELLA
VERITA
Partendo dal caso dello storico Gh. Bratianu,
del sacerdote romano cattolico Rafael Friedrich, ma anche di altre personalità
imprigionate a Sighet, i cui dossier li abbiamo indagati, possiamo pensare
che il vescovo A. Durcovici è stato amminstrativamente condannato
in assenza, senza essere informato dalla alta commissione militare del
Ministero degli Interni. Secondo i metodi della securità, la condanna
iniziava con 24 mesi di detenzione amministrativa, che era poi automaticamente,
ma segretamente, prolungata da quella commissione. Se sarebbe rimasto in
vita, forse il vescovo Durcovici sarebbe stato liberato negli anni 1955-1956,
secondo lo "spirito di Geneva" (dopo i risultati dell’incontro tra i presidenti
degli Stati Uniti e URSS), quando in Romania sono stati liberati moltissimi
detenuti politici.
Se l’arresto del vescovo Durcovici è
stato motivato dalla sua attività del periodo ottobre 1947 - 26
giugno 1949, la sua morte è stata decisa dalla securità per
la sua mancata collaborazione durante la detenzione, e in particolare per
la sua correttezza morale e per il suo corragio di difendere la verità
durante l’investigazione, incluso nelle 18 dichiarazioni fatte nel periodo
29 marzo - 18 maggio 1950.
Possiamo pensare che il dossier penale 57512
e il dossier informativo "Anton Durcovici" rappresentano ognuna una variante
dei dossier. La mancanza di alcuni elementi documentali importanti in questi
due dossier ci fa pensare che esiste ancora almeno una variante di questi
dossier, che tuttavia non sono accessibili all’indagine storica. Tornando
a quelle 18 dichiarazioni, si deve sottolineare il fatto che queste sono
state scritte in un modo particolare, insolito, perché il loro autore
ha messo sulla carta tutta la verità, senza tracce di dubbio, a
dispetto delle torture fisiche e psichiche che hanno preceduto o accompagnato
la loro ridattazione. Quasi un caso unico, l’ufficiale investigatore che
ha assistito il vescovo durante la ridattazione delle dichiarazioni-interrogatori
non ha intervenuto, almeno per iscritto, in un possibile tentativo di influire
in un modo o altro il contenuto delle dichiarazioni. Sempre un fatto insolito,
il vescovo Durcovici ha scritto le dichiarazioni seguendo un questionario
scritto a mano dal ufficiale investigatore. La sincerità e il corragio
della verità dimostrati dal vescovo Durcovici hanno forse meravigliato
gli ufficiali della securità, contenti che ottenevano così
nuovi elementi per il dossier penale 57512.
Difendendo corragiosamente la verità
nelle 18 dichiarazioni, il vescovo Durcovici si rendeva conto che si dirrigeva
così verso la più difficile condanna - verso la morte. Di
più, le dichiarazioni offrivano agli investigatori informazioni
riguardanti l’attività del vescovo nel periodo ottobre 1947 - 26
giugno 1949, informazioni tuttavia sconosciute alla securità in
quel tempo.
Nello stesso tempo, le dichiarazioni hanno
offerto al vescovo l’occasione di riaffermare il suo credo politico democratico
e dunque anti-comunista. Nella sua dichiarazione del 18 maggio 1950, il
vescovo Durcovici faceva riferimento alla relazione personalmente scritta
sul suggerimento della Conferenza Episcopale di luglio 1948, sull’atteggiamento
di fronte al pericolo del comunismo in generale e in particolare l’atteggiamento
della Chiesa cattolica di fronte allo stesso pericolo. Si legge in questa
dichiarazione: "ho mostrato che per quanto riguarda la morale cristiana,
il comunismo rappresenta un pericolo per la fede cattolica nel nostro paese
e che i fedeli devono essere protetti da questo pericolo impedendoli di
aderire a questa ideologia materialista".
Nelle conclusione della stessa dichiarazione
il vescovo Durcovici diceva che la Santa Sede ha saputo di questa propposta
e che ogni vescovo doveva metterla in pratica nella propria diocesi. Non
è senza importanza mostrare il fatto che in luglio 1948, la Conferenza
Episcopale aveva ricevuto dalla Santa Sede una lettera circolare che trattava
dell’atteggiamento della Chiesa di Romania di fronte al pericolo del comunismo.
In un’altra dichiarazione, del 10 maggio 1950,
il vescovo A. Durcovici faceva riferimento al suo atteggiamento verso l’enciclica
papale Divini Redemptoris del 1937, nella quale i fedeli erano informati
sul pericolo del comunismo ateo per la loro fede. Secondo la sua dichiarazione,
il vescovo Durcovici avesse permesso ai fedeli cattolici di iscriversi
al partito comunista se non abbandonavano la fede cattolica; se il fedele
era bene istruito nelle verità della sua fede e se questo continuava
ad adoperare tutti i mezzi a sua disposizione per rafforzare la propria
fede. Nel caso contrario, il vescovo non sarebbe stato d’accordo con l’iscrizione
al PCR, dando ai sacerdoti la seguente disposizione: "come il pericolo
non è uguale per tutti e generalmente non si richiede l’abbandono
della fede, non si può dare una disposizione generale e ogni caso
dve essere considerato singolarmente, la risposta potendo essere differente
da persona a persona".
Una nuova condanna del comunismo è
rappresentata dalla dichiarazione del vescovo Durcovici, del 8 maggio 1950.
Interrogato sul suo atteggiamento verso la lotta di classe di Romania,
il vescovo mostrava che la condannava per l’intenzione di nazionalizzare
le scuole appartenenti alla Chiesa cattolica, per la confisca delle proprietà
con la "riforma" agraria ledendo il diritto di proprietà in Romania
e anichilando così un’intera classe e categoria sociale e professionale.
In fine, nella dichiarazione del 18 maggio
1950, il vescovo Durcovici riconosceva il fatto che dopo la statizzazione
delle scuole confessionali e particolari cattoliche in luglio 1948, si
è svolta alla Nunziatura Apostolica la Conferenza dei vescovi che
ha deciso di proibire al personale ecclesiastico di andare nelle scuole
fintanto i programmi scolastici contenevano dottrine contrarie alla fede
cattolica. Certamente, alludeva alle nuove discipline di studio introdotte
nelle scuole con la "riforma comunista dell’insegnamento" sull’ideologia
comunista.
Nella dichiarazione del 31 marzo 1950, il
vescovo Anton Durcovici precisa il proprio atteggiamento politico verso
il regime comunista in generale. Ecco, integralmente, questa dichiarazione:
"Nella mia attività di vescovo cattolico
di Iasi ho rispettato il regime della democrazia popolare e ho sempre evitato
tutto quello che poteva essere interpretato come contrario a questo regime.
Dall’inizio e fino al giorno del mio arresto ho cercato di compiere i miei
doveri religiosi di vescovo cattolico e ho allontanato ogni politica nelle
mie opere e parole, la mia unica missione essendo quella di guidare il
clero e i fedeli cattolici sulla via della salvezza delle anime, istruendoli
nella loro fede religiosa. Se qualche volta il mio atteggiamento ha sembrato
contrario al regime di democrazia popolare, sulla rinuncia allo stipendio,
sulle visite canoniche fatte, sulle disposizioni date, sull’uso delle lingue
materne, romeno e ungherese, sui canti religiosi, l’attività religiosa
era in accordo con la libertà religiosa assicurata dal regime democratico
e non poteva essere in disaccordo con gli ostacoli messi a questa libertà
e con l’ideologia del Partito Romeno dei Lavoratori".
Il vescovo Anton Durcovici è stato
scelto dalla securità e dal regime comunista di Romania per essere
martirizzato. Nei difficili anni di detenzione, la securità gli
ha offerto occasioni di collaborare, firmando la rivalutazione dello statuto
della Chiesa cattolica di Romania, e così la vicenda avrebbe avuto
un altro sviluppo. Rifiutando la collaborazione, il vescovo Durcovici ha
scelto il martirio e la via che porta alla morte, salvando così
la Chiesa cattolica di Romania dalla "nazionalizzione", con la rottura
dei rapporti con la Santa Sede.
Anche se era totalmente isolato dalle realtà
del mondo libero, il vescovo sapeva che la Chiesa cattolica continua ad
esistere, fintanto le pressioni che doveva sopportare era ogni giorno più
dure. Nello stesso tempo, sapeva che mentre lui era isolato nella prigione
di Sighet, la Chiesa già era salva, e i comunisti avessero rinunciato,
anche temporaneamente, all’idea di sopprimere la Chiesa cattolica. Il prezzo
di tutto questo è stato pagato dal vescovo Anton Durcovici, con
la strada che ha scelto, quella della morte di martire.
Dr. Dãnut Dobos, storico ed archivista
1949 - martie - 1999
Anul acesta se împlinesc 50 de ani de când asupra Bisericii
Catolice din Moldova - si nu numai - s-au abatut acele timpuri grele de
persecutie si suferinta, care au fost, în acelasi timp, si o ocazie
de marturisire a credintei dusa pâna la eroism. Este vorba despre
încercarile violente ale regimului ateu care se instaurase în
România, de a distruge sentimentul religios al poporului nostru.
Stiind ca daca vor „bate pastorii se va risipi turma" (cf. Lc 12,4),
ei au lovit mai întâi în preoti.
La începutul lunii martie din anul 1949 comunistii au declansat
atacul împotriva Bisericii si au început arestarile. În
Dieceza de Iasi au început cu Fundu Racaciuni, unde era paroh pr.
Carol Susan. Vazând pericolul, parintele s-a refugiat în padure,
de unde a încercat sa ia legatura cu preotii de la Faraoani. Primind
asigurare ca e vorba doar de o simpla declaratie, s-a predat Securitatii
din Bacau. „Simpla declaratie" a durat mai bine de doi ani de anchetari
si apoi sapte ani de puscarie la Galati si Aiud. Motivul condamnarii sale
a fost: atasare fata de Biserica.
Dupa câteva zile, la data de 13 martie, duminica seara, au fost
ridicati si preotii de la Parohia Faraoani: pr. Anton Damoc, pr. Petru
Dânca, pr. Anton Olaru si pr. Ioan Butnaru, sub învinuirea:
reactionari
la securitatea statului. Pr. Anton Damoc a fost condamnat la 13 ani
de închisoare grea, la Sighetu Marmatiei, Gherla si Petrosani, dupa
care i s-a fixat domiciliu obligatoriu la Bârgauani. Pr. Petru Dânca
a fost condamnat la sase ani de închisoare pentru atasarea fata
de Biserica, fiind închis la Canal, Gherla si Baia Mare. Pr.
Anton Olaru a fost arestat pentru câteva zile dupa care a fost eliberat.
Pr. Ioan Butnaru a fost condamnat la 12 ani de detentie pentru
crima
contra ordinii sociale, pedeapsa din care a executat 10 ani în
temnitele de la Galati si Canal. La 19 iulie acelasi an - 1949 - a fost
arestat si condamnat si pr. Andrei Ghergut, care era paroh la Valea Seaca.
Sfintia sa a fost condamnat la doi ani de temnita, fiind închis la
Iasi, Bacau, Galati, Canal si Gherla.
Sirul arestarilor a continuat. Printre cei care au mai fost arestati
în 1949 îi amintim pe: pr. Stefan Apostol, care a fost condamnat
la doi ani de închisoare; pr. Anton Bisoc, condamnat la 12 ani de
detentie, dupa care i s-a dat domiciliu fortat, unde a si murit în
1960; fr. Eugen Blajut, condamnat la patru ani de închisoare corectionala;
pr. Petru Bogles, care a fost închis aproape doi ani la Jilava si
Gherla; pr. Gheorghe Cocianga-Sascau, care a fost închis la Poarta
Alba aproape trei ani; pr. Ioan Duma, condamnat si închis în
mai multe rânduri; pr. Iosif Duman, închis mai multi ani la
Gherla; pr. Gheorghe Dumitras, condamnat la 25 de ani de închisoare
grea din care a executat 13 ani la Pitesti, Baia Mare si Cavnic; pr. Rafael
Friedrich, care, fiind arestat cu ep. Anton Durcovici, a fost întemnitat
la Gherla si Sighetu Marmatiei pâna în 1955, dupa care i s-a
fixat domiciliu fortat în mai multe localitati; fr. Iosif Gabor,
închis în Peninsula circa trei ani; pr. Vasile Gabor, care
a murit câtiva ani dupa arestare; pr. Alois Herciu; pr. Gheorghe
Patrascu, condamnat la noua ani de temnita, fiind închis la Galati,
Canal, Sighetu Marmatiei si Râmnicu Vâlcea, dupa care i se
impune sase ani domiciliu obligatoriu; pr. Bonaventura Romila, care a fost
închis timp de cinci ani la Sighetu Marmatiei; fr. Iosif Sabau, condamnat
la trei ani de închisoare corectionala în închisorile
de la Poarta Alba, Midia si Coasta Gales; fr. Iosif Simon, condamnat la
sapte ani de închisoare corectionala, fiind închis la Galati,
Canal si Baia Sprie; fr. Vasile Ungureanu, care a fost închis în
Peninsula.
Dar nu numai ei au fost chemati sa dea marturia credintei lor. Între
ei au fost si episcopii Anton Durcovici, arestat la 26 iunie 1949, si Alexandru
Theodor Cisar, arestat la 18 mai acelasi an, precum si atâtia alti
episcopi. N-au fost crutati nici oamenii de rând: seminaristi, maici,
tineri si tinere, batrâni, care erau amenintati si obligati sa dea
declaratii false împotriva preotilor. Îi amintim doar pe Anton
Farcas, Anton Maier si Anton Benchea, de la a caror moarte eroica, pentru
apararea bisericilor din Faraoani si Fundu-Racaciuni, se împlinesc
50 de ani.
Dupa 50 de ani de la aceste evenimente putem oare uita marturia de credinta
pe care au dat-o toti acesti eroi ai Bisericii noastre? Puteau scapa usor
de temnitele comuniste daca si-ar fi compromis idealul preotesc si credinta
catolica. Dar nu! Au preferat sa fie ucisi sau sa zaca ani de zile între
hoti, criminali si batausi, sa primeasca drept hrana un pumn de arpacas,
sa fie batuti si calomniati... dar de Cristos nu s-au lepadat. Eroicitatea
lor ne este o mostenire sfânta si trebuie s-o ducem cu onoare mai
departe.
Pr. Stefan Vacaru si pr. Alois Moraru