"L'alterità, il negativo, è conosciuto

come momento della stessa natura divina.

Qui è contenuta la più alta idea dello Spirito".

(G.W.F.Hegel)

 

Introduzione

Sulla scena di queste pagine "tragicamente" sfila, in una successione di progressiva spersonalizzazione, il dissolvimento di un Singolo in centomila. Un solo attore, Gesù Cristo, tante maschere quante l'Occidente ne ha prodotte; tutte così aderenti sul volto dello stesso protagonista.

E sfilano, miniati in ciascuna di esse, i pensatori dell'Occidente; ognuno sommessamente, nel fluire della tradizione, pronuncia la sua formula, il suo pensiero sulla bocca del Verbo, nella mimica e nella danza impresse le azioni del Dio Incarnato. Ritmicamente cadono questi idoli con-fusi nel "Lógos pneûma gignómenos ".

Su questo palcoscenico Cristo veste, dapprima kantianamente, la toga del maestro di morale. Cristo e Socrate: il saggio propedeutico al santo. Cala il sipario sul primo atto.

Infinito e finito si rincorrono senza trovarsi, l'amato cerca l'amata scissi dalla lama del Grenze.

Infinito e finito, libertà e necessità, sono la scenografia del secondo atto. Cristo entra in scena, vestito d'amore, li concilia, sana la scissione, risolve la dicotomia, in un " en en tw panti¢ ".

Guardiamo un momento questo immenso spettacolo, prima ancora di porci domande sulla sua giustezza, vecchio vizio metafisico. Chi può averlo ideato, se non un prodigioso regista, che sappia muovere i fili del pensiero col perfetto automatismo dei grandi marionettisti?

Eppure sul frontespizio si staglia su tutte le lettere il nome poderoso di

G.W.F. HEGEL.

 

Esiste un Cristo della filosofia?

Nella consapevolezza e cultura comuni il nome di Cristo non rimanda immediatamente al pensiero filosofico ma ad un esperienza religiosa. Cristo dunque come oggetto di fede e non di ragione, di culto e non di indagine speculativa, di invocazione e non di riflessione. Tutt'al più si è indotti a pensare che su Cristo possa essere condotta un'indagine di tipo storico critico, volta ad accettare le prove e i documenti della sua esistenza e ad esaminare il contesto sociale e culturale in cui ha svolto la sua azione di profeta di una nuova religione. Vi è stata, inoltre, a partire dalla predicazione degli Apostoli una elaborazione teologica intorno alla persona e all'opera di cristo, alla sua duplice natura umano-divina, al significato salvifico della sua morte e risurrezione.

Ma la teologia intesa in questo caso come teologia dogmatica, e non come teologia razionale come vedremo più in avanti, si differenzia radicalmente dalla filosofia. La filosofia si presenta come un sapere critico che non presuppone, almeno in partenza, né verità, incontrovertibili, né autorità assolute, mentre la teologia dogmatica presuppone invece la verità della Rivelazione e l'autorità della Chiesa. Parrebbe dunque, a prima vista, che la questione di Cristo non sia di pertinenza della filosofia. Se tuttavia da una prospettiva di natura pienamente teorica, intesa a individuare anche se a livello del tutto immediato e non sistematico, rigidi criteri di demarcazione tra religione e filosofia, ci spostiamo ad una prospettiva di tipo storico culturale, la situazione si presenta molto più complessa e articolata. L'incidenza del cristianesimo nella nostra civiltà occidentale è incontestabile, e questo non solo sul piano del costume e delle tradizioni popolari, ma anche a livello filosofico e culturale. Soprattutto la figura e il messaggio di Cristo, in relazione a cui la filosofia contemporanea e moderna ha condotto una riflessione radicale sui temi dell'esistenza del male nella storia e delle possibilità di emancipazione dell'uomo dalle sue molteplici forme di alienazione, hanno costituito - e costituiscono tuttora - una sfida inquietante e ancora aperta ad ulteriori sviluppi speculativi. Non esiste del resto un pensiero filosofico astratto dalla sua concretezza storica, e la storia della cultura occidentale è innegabilmente segnata dalla presenza del cristianesimo. Perfino quando la filosofia si è assunta, nell'arco di tempo che va dal l'Illuminismo al pensiero di Feuerbach, Marx, Nietzsche e Freud, il compito di critica radicale della religione in nome di una liberazione puramente umana dalle più svariate forme di condizionamento (economico, politico, sociale, psicologico), il termine di confronto polemico è stato sempre il cristianesimo. E ovviamente per fare polemica bisogna almeno conoscere il pensiero dell'avversario e parlarne, dando in tal modo risalto alle sue posizioni. Non è forse ancora attuale la distinzione tra il Cristo dei filosofi e il Cristo della fede? in fondo questa domanda, simile a quelle che angosciavano già Kierkegaard, e alla quale il pensiero filosofico dall'Illuminismo in poi ha dato risposta attraverso l'elaborazione di una vera e propria cristologia filosofica è riconducibile all'interrogativo: che differenza c'è tra la saggezza morale di Socrate e la verità etico-religiosa che si è manifestata nel figlio dell'uomo?

Per molto tempo le varie correnti storiografiche del razionalismo ottocentesco e del primo Novecento hanno relegato la riflessione filosofica sulla religione e su Cristo a uno dei capitoli minori ( e quindi in definitiva irrilevanti ) del pensiero filosofico.

L'interesse per gli Scritti teologici giovanili di Hegel, a partire dai primi anni del Novecento, costituisce una importante tappa nella riscoperta degli intrecci tra cristianesimo e filosofia che hanno caratterizzato la nostra cultura e la nostra civiltà. Non sono mancati, anche a questo riguardo, vari tentativi di relegare gli interessi teologici giovane Hegel a fenomeno marginale della sua formazione filosofica. Ma con il passare del tempo si è imposta all'attenzione degli studiosi di Hegel la necessità di collegare lo sviluppo del sistema filosofico della maturità alle sue riflessioni teologiche giovanili, in cui la figura di Cristo occupa indubbiamente un ruolo di primo piano. Occorre poi tener presente un fatto importante, legato al sistema universitario tedesco, e che non ha riscontro nell'istituzione italiana di oggi. Il rapporto filosofia-teologia, in Italia, è purtroppo meno incisivo che in altri paesi, come appunto la Germania, dove le facoltà teologiche godono nelle università statali di un riconoscimento e di un prestigio culturale da noi sconosciuti. Bisogna dunque dar atto a Nietzsche, anche se non condivido la sostanza del suo giudizio, di aver colto con acutezza questo legame tra filosofia e teologia nella cultura tedesca del suo tempo:

" Tra i tedeschi -egli scrive- mi si comprende subito quando dico che la filosofia è corrotta dal sangue dei teologi. Il pastore protestante è nonno della filosofia tedesca, lo stesso protestantesimo è il suo peccatum originale. Definizione del protestantesimo: l'emiplegia del cristianesimo -nonché della ragione…basta pronunziare la parola "seminario di Tübingen", per capire che cos'è in fondo, la filosofia tedesca - una scaltrita teologia".

Nelle università tedesche la facoltà di teologia era considerata, come dirà con evidente ironia polemica Kant, tra le facoltà superiori (assieme alle facoltà di legge e medicina), in quanto il teologo, custode e interprete delle dottrine e verità assolute della religione, è visto come una sorta di funzionario a servizio dell'ordine pubblico, poiché nello stato ha il compito di preparare un popolo docile e ubbidiente agli ordini del potere politico. Molti grandi filosofi tedeschi del'Ottocento (Scheiermacher, Fichte, Schelling, Hegel, Feurbach, Nietzsche) sono del resto approdati alla filosofia passando attraverso gli studi teologici giovanili. Non c'è dunque da stupirsi se in Italia le tematiche teologiche sono da molti considerate estranee agli interessi della filosofia, mentre nella cultura tedesca tale separazione è avvertita in modo molto meno drastico, e anzi tra riflessione teologica e speculazione filosofica vi sono frequenti occasioni di contatto. Nonostante tutte le possibili obiezioni che nei confronti dell'esistenza di un Cristo della filosofia possono essere avanzate, la storia del pensiero occidentale ci pone dunque di fronte alla inconfutabile presenza di una cristologia filosofica accanto a una cristologia teologica. E ciò in quella zona-limite dell'esistenza umana che è rappresentata dall'esperienza religiosa, sulla quale sia la filosofia che la teologia hanno avuto frequenti contatti e hanno ancora molti conti in sospeso.

 

Dalla teologia razionale alla cristologia filosofica.

La teologia, nel suo significato letterale, esprime il naturale bisogno umano di raggiungere, attraverso la ricerca di risposte razionalmente plausibili, qualche conoscenza intorno all'esistenza e agli attributi dell'Essere Supremo, considerato come spiegazione ultima dell'origine e del senso del mondo. Non ogni conoscenza di tipo religioso può tuttavia essere definita teologia, ma solo quel tipo di conoscenza che, con un certo rigore argomentativo, cerca di portare prove e ragioni di ciò che viene affermato su Dio. La teologia si distingue per tanto, costituendone in un certo senso una parte, a cui si può dare molto o poco valore, dalla esperienza religiosa. Vi possono infatti essere popoli molto religiosi, come pure esperienze individuali contrassegnate da un páthos religioso che raggiunge i vertici della mistica, senza che tuttavia a tali esperienze corrisponda un sapere teologico nel senso sopra definito. In questa accezione molto generale si può dire che il primo modello storico di teologia si incontra nella civiltà greca. La cultura greca ha sviluppato una vera e propria teologia, prima attraverso le spiegazioni fantastiche del mito (e quindi attraverso una forma non propriamente filosofica), e successivamente attraverso una vera e propria riflessione razionale. Nei filosofi presocratici, e soprattutto in Socrate e Platone, ricorrono frequentemente termini quali «Dio», «Divinità» «divino» ecc. La Metafisica di Aristotele, che, solo molto più tardi fu chiamata così, era definita dal suo autore filosofia prima o teologia,

in quanto scienza delle cause prime o principi primi, dalle cause legate alla costituzione materiale delle cose alle cause immateriali, fino al motore immobile inteso come spiegazione di ogni altro movimento. La situazione cambia profondamente se, dalla civiltà greca, ci spostiamo in altre civiltà, come la nostra civiltà occidentale, in cui le concezioni religiose sono state influenzate prevalentemente dalla Rivelazione ebraico-cristiana. E ciò vale per chi al cristianesimo aderisce con fede, ma anche per chi cerca di sostituirlo con una forma di cultura ritenuta superiore, assumendone tuttavia, proprio in ragione della logica di ogni sostituzione, i principi fondamentali. Ogni tipo di sostituzione presuppone in fatti che possa esserci qualcosa in grado di assumere, in modo giudicato più adeguato, i significati di ciò che è stato sostituito. La logica della sostituzione del cristianesimo, attraverso un orizzonte di pensiero e di vita ritenuto finalmente adeguato a una cultura uscita dalla condizione di "minorità" - per usare l'immagine che sintetizza il manifesto programmatico dell'Aufklärung - ,percorre molti filoni del pensiero moderno e contemporaneo, e trova la sua "volgarizzazione" nell'umanesimo assoluto di feuerbach:

" Per l'uomo il suo Dio ha lo stesso valore che ha lui stesso e niente più. La coscienza di Dio è la coscienza che l'uomo ha di se stesso [...] L'essenza divina non è altro che l'essenza umana, o, più esattamente, l'essenza dell'uomo purificata e liberata dai termini dell'uomo individuale, oggettivata, cioè mirata e venerata come se fesse un'altra essenza, un'essenza diversa da lui, coi propri caratteri. tutte le determinazioni dell'essenza divina sono quindi determinazioni umane".

Esplicitando alcuni presupposti dell'Illuminismo, divulgando le speculazioni metafisiche di Hegel, Feurbach ritiene pertanto che un umanesimo del tutto naturalizzato possa riappropriarsi di tutti i valori che il cristianesimo ha trasferito su un piano metafisico-religioso. Lo stesso Feuerbach riconosce dunque, almeno implicitamente, il peso che il cristianesimo ha avuto nella storia della nostra civiltà. Tra la teologia del mondo greco e la teologia ebraico-cristiana vi è tuttavia una profonda differenza, rappresentata dal fatto nel mondo greco non esiste una religione dei libri sacri. Nel mondo greco le concezioni religiose erano presenti allo stato diffuso, affidate cioè alle credenze e alle tradizioni popolari che si tramandavano per via orale. La coscienza religiosa invece assume una nuova figura con l'avvento della religione del Libro Sacro. Le religioni positive non rispondono tuttavia a un bisogno eziologico puramente umano, poiché il Libro Sacro è innanzitutto il luogo della Rivelazione, il luogo cioè in cui Dio stesso si fa, come dice il prologo del Vangelo di Giovanni "LogoV ". Nel Libro Sacro, e ciò vale dunque per le religioni che ammettono una Rivelazione, è pertanto possibile ascoltare " pubblicamente" la Parola di Dio, concezione estranea alla cultura greca, che vedeva la presenza di Dio visibile attraverso le sue opere, e cioè il mondo visibile, o al limite riteneva possibile solo una rivelazione privata (Socrate accenna spesso alla sua esperienza del tutto personale di una rivelazione divina). Nel corso del pensiero moderno e contemporaneo, per una serie di ragioni di ordine storico-culturale (la fine della cristianità medioevale, le interminabili dispute della metafisica e della teologia scolastica, le guerre di religione viste segno della intolleranza di ogni fede confessionale, l'affermazione del modello scientifico-sperimentale di razionalità... ), si pensò di recuperare un significato esclusivamente razionale di teologia, intesa dunque come ricerca su Dio che non presuppone una adesione di fede, ma solo il corretto uso della ragione. Per distinguere questo tipo di teologia dalla riflessione teologica in senso specifico, che si fonda sull'autorità delle Sacre Scritture, e che si sottopone al giudizio di ortodossia dell'autorità ecclesiastica si finì per chiamare la prima "teologia razionale" o < teologia naturale> (in questa accezione Leibniz la chiamò " teodicea " ed Hegel "filosofia della religione ". La teologia razionale viene pertanto considerata come l'unico modo di parlare di Dio nei termini propri della cultura moderna, che dall'umanesimo in poi viene progressivamente laicizzandosi e secolarizzandosi. Sulla linea della già ricordata immagine cara agli illuministi, la teologia razionale rappresenterebbe dunque l'uscita della riflessione teologica da quello stato di minorità in cui essa era stata tenuta precedentemente dall'autorità ecclesiastica. Essa diventa il modello di riflessione razionale su Dio che sostituisce e surroga la teologia dogmatica delle chiese ufficiali. Ma la teologia naturale, per quanto volesse rimanere, secondo il progetto illuministico, nei limiti della sola ragione, non poteva ritornare puramente e semplicemente alla situazione in cui si trovava la cultura greca per cristiana. Il peso della civiltà cristiana, nei suoi valori culturali, era tale che anche il più agnostico tra i filosofi non poteva totalmente prescinderne. La teologia razionale dell'epoca moderna e contemporanea, anche quando utilizza liberamente le Sacre Scritture e le concezioni religiose provenienti dal cristianesimo, spogliandole di ogni riferimento soprannaturale e riportandole all'interno di una riflessione guidata dalla sola ragione, conserva ancora molti contenuti dell'eredità cristiana. In questo contesto di rottura e di continuità con la tradizione cristiana prende dunque corpo, dall'illuminismo in poi, il tentativo di reinterpretare la figura di Cristo al di fuori dei canoni classici della teologia dogmatica. Il problema del "Cristo dei filosofi " nasce in questo clima culturale e la cristologia filosofica rappresenta pertanto lo sforzo, accomuna Rousseau e Voltaire, Kant e Hegel, di ricomprendere il messaggio e la storia del Figlio di Dio secondo i parametri allora ritenuti universalmente validi della razionalità. La cristologia filosofica finirà anzi, per certi versi, per riassorbire quasi tutti i temi della teologia razionale, in quanto nella figura di Cristo si vedrà realizzato idealmente un modello di moralità impossibile da desumere da una astratta e generica riflessione su Dio. La riflessione filosofica su Cristo ha come orizzonte tematico l'interpretazione della figura di Gesù di Nazareth in chiave di pura ragione, intesa specificamente come fonte di saggezza pratica. Questo tipo di interpretazione di Cristo, in quanto si fonda su una razionalità concepita iuxta propria principia, non ha pertanto bisogno di ricorrere né all'autorità della rivelazione né a quella della Chiesa. Da oggetto di fede religiosa, Cristo diventa argomento di indagine razionale.

 

La mediazione di Kant e la cristologia idealistica.

a)kant

In kant si compie il riassorbimento della teologia razionale nella cristologia filosofica, conseguenza della svalutazione kantiana della metafisica sulla quale poggiava l'apparato concettuale della prima. essendo il criticismo compimento e superamento dei presupposti illuministici ,la cristologia, per kant, procede di pari passo con la fondazione di una morale. Nella morale kantiana Cristo costituisce il modello perfetto dell'intenzione morale purificata da ogni motivazione determinata ed empirica, e basata invece su una libera adesione al principio razionalmente incondizionato del dovere. Negli insegnamenti di Cristo, in modo perfettamente adeguato ai postulati della ragion pratica, si troverebbe espressa la purezza ideale dell'imperativo categorico, inteso come legge fondamentale dell'agire. Il criticismo kantiano, inteso a dimostrare i limiti della ragione umana, rappresenta una svolta non solo per la filosofia, ma anche per la teologia, considerata non come teologia rivelata ma come teologia naturale. Com'è noto, Kant nega validità scientifica alle prove razionali sull'esistenza di Dio, poiché per lui la ragione umana può conoscere in modo oggettivo, universale e necessario solo ciò che si può presentare attraverso l'esperienza sensibile. Con Kant la questione di Dio cessa dunque di avere rilevanza speculativa, ma non per questo la sua filosofia ritiene superato il problema della religione. Liberato dalle ipoteche della metafisica Dio diventa un postulato della ragion pratica e la sua " esistenza " è ancorata all'universalità della coscienza morale. Tre i movimenti principali del pensiero di Kant a cui corrispondono tre opere: nella critica della ragion pura (1781) viene dimostrata l'impossibilità di elaborare in termini scientifici una metafisica e quindi una teologia naturale; nella critica della ragion pratica (1788) Dio diviene uno dei postulati che rendono razionalmente esplicabile l'esperienza morale. Nella Religione entro i limiti della sola ragione (1793) Cristo, personifica il carattere divinamente assoluto della norma morale. proprio quest'ultima opera può essere considerata il manifesto di una cristologia filosofica concepita non come riflessione episodica sulla figura di cristo ma come assunzione sistematica di questa a simbolo di un ideale perfettamente razionale. Ma Kant applica anca alla cristologia gli strumenti concettuali del criticismo, distinguendo tra il Cristo della fede e l'ideale morale universalizzato nel figlio dell'uomo. Rimuove da Cristo ogni traccia di soprannaturale, accettando l'intrerpretazione illuminista proposta ad esempio da Voltaire, Rousseau, Reimarus, Lessing di Cristo come il "Socrate galileo". Cristo viene dunque visto, nell'ambito di una totale riduzione della fede religiosa a supremo ideale morale, come modello (urbild) e come esempio di virtù (beispiel).

b) la cristologia idealistica.

Nella cristologia idealistica la cristologia filosofica trova la sistematizzazione speculativamente più elaborata ed organica. J. G. Ficthe, già nella Critica di ogni rivelazione vede nel cristianesimo la religione della libertà e dei supremi ideali morali (evidente la mediazione di Kant ). Cristo qui è il profeta ispirato da Dio, le cui dottrine morali contengono un abisso di verità etiche che lo spirito umano non ha ancore pienamente compreso. F. W.Schelling mette sulla scena del suo travaglio speculativo un Cristo che sancisce il compimento del politeismo proprio della civiltà "pagana" ( la morte di Cristo avviene per crocifissione e non per lapidazione).E' W. F. Hegel "il nome" della cristologia idealistica. Il primo affresco cristologico lo si trova negli scritti teologici giovanili, rimasti a lungo inediti e pubblicati perla prima volta da Hermann Nohl nel 1907. Secondo l'interpretazione di alcuni, che condivido, in questi scritti c'è il passaggio da una iniziale lettura della figura di Cristo in chiave kantiano-fichtiana, a una successiva più vicina alla cristologia shellinghiana. In una prima fase, corrispondente la stesura della Vita di Gesù (1795), Hegel avrebbe interpretato la buona novella a partire da preoccupazioni di tipo morale. In seguito, a partire dallo Spirito del cristianesimo e del suo destino( 1798-1800), l'istantanza morale si radicalizza in senso ontologico-metafisico, e Cristo assurge a una delle forme del movimento della dialettica. La cristologia speculativa hegeliana si precisa attraverso un movimento ascendente, in cui compare la prima formulazione della dialettica triadica. L'opposizione tra natura e spirito, tra necessità e libertà, viene superata in una forma che sintetizza gli opposti in una figura superiore. E' nello stesso dogma della trinità che Hegel individua il paradigma di una interpretazione filosofica di Cristo. Nel dogma trinitario, sia pure espressi in forma mitologica, si trovano infatti per Hegel enucleati quei concetti di unità, di scissione e di riconciliazione, che la filosofia deve tradurre dal linguaggio rappresentatrivo in quello logico-concettuale. Nella notissima Prefazione alla sua opera più geniale, la Fenomenologia dello Spirito, Hegel esprime in questi termini la chiave della sua intuizione e de suo successivo sistema:

"Secondo il mio modo di vedere(...) tutto dipende dall'intendere e dall'esprimere il vero come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto. (... ) La sostanza viva è bensì l'essere il quale è in verità il soggetto, o, ciò che è poi lo stesso, è l'essere che in verità è effettuale, ma soltanto in quanto la sostanza è il movimento del porre se stesso, o in quanto essa è la mediazione del divenir-altro-da-sè con se stesso. Come soggetto essa è la pura negatività semplice, ed è, proprio perciò, la scissione del semplice in due parti, o la duplicazione opponente, questa, a sua volta, è la negazione di questa diversità indifferente della sua opposizione, soltanto questa ricostituentesi eguaglianza o la riflessione entro l'esser-altro in se stesso, -non un'unità originaria come tale, né un'unità immediata come tale - è il vero. (...) La vita di Dio e il conoscere divino potranno bene venire espressi come un gioco dell'amore con se stesso, questa idea degrada fino all'edificazione e addirittura fino all'insipidezza quando mancano la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo. In sé quella vita è l'intatta eguaglianza unità con sé, che non è mai seriamente impegnata nell'esser-altro e nell'estraneazione, e neppure nel superamento di questa estraneazione".

Il Padre è considerato da Hegel come l'unità ancora indistinta e indifferenziata. E' l'unità che egli vede, sul piano storico, realizzata nella civiltà greca, dove la vita della polis esprimeva una unità originaria tra l'uomo e gli dei, tra l'uomo e lo stato vissuta all'insegna del sentimento e dell'arte. Sul piano strettamente filosofico è tutto sommato l'unità sottesa alla dottrina spinoziana della sostanza assoluta. Ma questa unità indistinta e indifferenziata, per la sua staticità, non è in grado di esprimerei il dinamismo della coscienza e della storia. Occorre trovare una figura che le si opponga, dando luogo al movimento delle forme storico-coscienziali. Il Figlio, in quanto Uomo-Dio, esprime questa scissione (Scheidung ) all'interno di della stessa sostanza divina. In Cristo l'unità originaria si scinde nei due opposti del particolare ( l'uomo Gesù ) e dell'universale (Cristo ). Questa opposizione trova nello Spirito Santo una superiore forma di riconciliazione(Versöhnung). L'unificazione è attuata attraverso l'amore. Nello Spirito Hegel vede la vita umano-divina che, dalla unità indifferenziata, attraverso la coscienza della scissione raggiunge un superiore livello di sintesi. "Questo sentimento della vita che ritrova se stessa è l'amore".Occorre dunque per Hegel una forma superiore di riconciliazione, in grado di superare l'antinomia tra interiore ed esteriore, tra libertà e necessità, che nessuna prospetttiva etica, (neanche quella kantiano-fichtiana fondata sull'autonomia soggettiva della coscienza) può raggiungere. Occorre riconquistare l'unità sul piano di una dialettica ontologico-metafisica che, dall'unità originaria tra natura e spirito, necessità e libertà, passando attraverso la scissione, giunga infine alla sintesi degli opposti. Per questi motivi, secondo alcuni interpreti, la concezione religiosa hegeliana presenta profonde convergenze con le posizioni gnostiche, conosciute dal filosofo soprattutto attraverso il teosofo Jacob Böheme (1575-1624).

 

Hegel: la figura di Cristo ridotta a momento del pensiero umano.

Il clima romantico riapre la questione dell'Assoluto- dopo il chiudersi della ragione nello spazio della finitezza-riproponendo il problema del rapporto tra finito e infinito. Questo è anche l'itinerario del giovane Hegel che tra i primi interessi ebbe il problema della religione: addirittura tutto il suo pensiero può essere letto come una sorta di equilibratura tra filosofia e religione. Così scrive forse Hegel nel Sistem Programm:

".... Nello stesso tempo sentiamo dire sovente che la massa ha bisogno di una religione sensibile. Non solo la massa, anche il filosofo ne ha bisogno. Monoteismo della religione e del cuore, politeismo dell'immaginazione e dell'arte, ecco ciò di cui abbiamo bisogno. In primo luogo parlerò di un'idea, che, per quanto ne so, non è venuta ancora in mente a nessuno: noi dobbiamo avere una nuova mitologia, ma questa mitologia deve porsi a servizio delle idee, diventare una mitologia della ragione. Prima che le idee vengano trasformate da noi in forma estetica, cioè mitologica, nessun interesse esse suscitano nel popolo e viceversa prima che la mitologia sia razionale il filosofo deve vergognrsene. Alla fine dunque gli illuminati e quelli che non lo sono devono darsi la mano, la mitologia deve farsi filosofica e il popolo razionale, e la filosofia deve farsi mitologica per rendere comprensibili i filosofi. Allora dominerà tra noi un eterna unità. Non più lo sguardo sprezzante, il cieco tremare del popolo di fronte ai suoi sapienti e ai suoi preti. Allora ci attende un uguale sviluppo di tutte le facoltà, del singolo come di tutti gli individui. Non sarà più espressa nessuna facoltà, e dominerà allora l'universale libertà e uguaglianza degli Spiriti! Uno spirito superiore mandato dal cielo deve fondare tra noi questa nuova religione, che sarà l'ultima e suprema opera dell'umanità."

La figura di Cristo compare ripetutamente nel pensiero hegeliano. Ma la sua interpretazione è proprio la riduzione dell'uomo-Dio a semplice momento del pensiero umano, e della storia di Cristo al cammino che ogni uomo e l'umanità intera devono percorrere in se stessi per divenire spirito, cioè per acquistare piena coscienza di sè. come già si è detto il dogma cristiano trova per Hegel il suo inveramento, nella filosofia, presentata ambiguamente come strumento per la difesa della religione: il divino è immanentizzato nella storia. La conciliazione tra finito e infinito si compie nella storia, la cui espressione suprema, lo Stato, si pone come realizzazione ultima del destino umano. Ma il prezzo di questa pretesa conciliazione è la negazione del valore del finito, della concretezza della persona umana sacrificata all a totalità.

Estrema espressione della secolarizzazione il pensiero hegeliano, oltre che nella filosofia di Marx, trapasserà nella mentalità comune. Come dice Kierkegaard in La malattia mortale, panteisticamente è stata annientata la differenza tra uomo e Dio,prima sul piano speculativo e poi in modo diffuso "discorrendone in piazza".

 

Il Cristo "maestro di morale " negli anni giovanili

L'interesse per la figura di Cristo -nel pensiero hegeliano- non solo si è mantenuta costante ma con l'andare del tempo si è precisato assumendo un peso e un significato essenziali per la sua stessa filosofia. L'incontro tra il giovane studente di teologia presso l'università di Tubinga e la figura di Cristo avviene nel contesto culturale dell'Illuminismo e del Neoclassicismo. Nelle sue riflessioni teologiche giovanili, Hegel risente profondamente dell'influenza dei già citati Lessing, Kant e Fichte. Secondo questi autori, il cristianesimo conserva la sua attualità e ha un valore universale non tanto nel suo aspetto di rivelazione storica quanto per la sua dottrina morale. A partire da questa universalità propria della sua etica, il cristiano può deporre ogni ostacolo, ecclesiastico o dogmatico che sia, che gli impedisce di dialogare con uomini di altre fedi religiose. Lo spirito di tolleranza presuppone, allora, il superamento del livello storico-dogmatico che, nella sua dura positività, risulta contrastare con l'autonomia della ragione e la libertà della legge morale. Questo livello può conservare una semplice funzione propedeutica che risulta comunque secondaria rispetto alla dottrina morale.

" Riflessa nella figura di Gesù, tale distinzione diviene separazione in lui dell'aspetto religioso, quello per cui egli "appare" come Figlio di Dio, da quello etico in cui risulta maestro di morale del tutto degno, al pari di Socrate, di ammirazione e rispetto. La salvaguardia dell'insegnamento morale di Cristo, che in sè è razionale (perchè può essere assunto da ogni uomo indipendentemente dal suo iniziatore), ha pertanto come prezzo la sua dissociazione dalla rivelazione divina che, come tale, appare relativa alle circostanze storiche in cui si determinò, e in sè ormai superata dal generale progresso della coscienza umana. Oltre la presenza delle correnti di razionalismo religioso, v'è in Hegel anche un'ulteriore componente che accresce, per come viene avvertita, la sua diffidenza nei confronti del cristianesimo; il fascino dell'Ellade. L'atmosfera determinata dal neoclassicismo tedesco mediante le figure di Winckelmann, Herder, Goethe, dello Schiller de Gli dei della Grecia, con la loro idealizzazione dell'antichità classica precristiana, è sensibile negli scritti hegeliani della giovinezza. Il continuo paragone che qui ricorre tra la bellezza e l'armonia del mondo classico e lo spirito di decadenza che segnerebbe l'avvento del cristianesimo e il suo affermarsi dipende non soltanto dalla letteratura dell'opera del Gibbo, Storia della decadenza e caduta dell'impero romano, ma si illumina, più profondamente mediante lo spirito del tempo".

E' dunque in questo clima, illuminista e neoclassico allo stesso tempo, che avviene l'incontro tra Hegel e la figura di Cristo. Hegel nel periodo di studentato presso l'Università di Tubinga non si distacca dall'interpretazione del cristianesimo fatta da Lessing e Kant: Il Cristo storico non coincide con il cristo professato dagli apostoli. Diversamente dagli scolari di Socrate che non fecero del loro maestro un oggetto di fede, mostrandosi uomini liberi, i discepoli di Cristo identificarono il loro maestro con il Messia e il Figlio di Dio, tutto questo senza che lui l'avesse richiesto loro. Il metodo di Socrate - secondo Hegel - è quello di aver compreso come il bene è innato nell'uomo: no può essere imposto, nè derivato da qualcosa di esteriore, ma solo risvegliato nella coscienza assopita. Anche Cristo ha avuto in certa misura questa intuizione, anch'Egli è maestro di virtù, ma certi suoi richiami, se concepiti alla lettera e non secondo lo spirito, possono risultare dannosi per la convivenza civile. Cristo, consapevole di tale rischio, avrebbe rivolto essenzialmente il suo messaggio ai singoli e si sarebbe essenzialmente dedicato alla formazione individuale, trascurando volutamente la società nel suo insieme.

" La religione cristiana è quindi all'origine eminentemente privata; anche qui furono essenzialmente i discepoli a mutare il senso dell'insegnamento del maestro, facendo del cristianesimo una religione pubblica con tutte le conseguenze negative, in primis l'intolleranza, che questo fatto storicamente avrebbe comportato. Rispetto alla legge morale, tale fede storica non può che apparire come qualcosa di contingente, espediente mediante cui la coscienza non ancora autonoma perviene alla dignità morale".

Hegel in Religione popolare e cristianesimo scrive che per realizzare questo ideale è stato necessario l'evento di un uomo-Dio; il divino in questa figura poi va cercato non nel fatto che è la seconda persona della Trinità, ma nel fatto che il suo spirito concorda con la legge morale. Nel 1795, durante illuso soggiorno a Berna, scrive la Vita di Gesù con l'intento di verificare la corrispondenza tra lo spirito di Cristo e quello dei suoi discepoli. La narrazione evangelica viene ripercorsa cercando nella scrittura un senso che si armonizzi con ciò che di più santo insegna la ragione. Cristo viene così interpretato come annunciatore dell'eterna legge morale, del primato della ragion pratica sulla realtà sensibile, della totale autonomia ella coscienza rispetto al mondo e al divino. A coloro che lo vogliono seguire, il Gesù hegeliano non chiede fede in se stesso, ma solo rispetto della santa legge della religione, cessando di essere maestro per divenire semplice amico, in tutto e per tutto uguale a loro. Viceversa per la maggioranza degli ebrei, vincolati dall'ubbidienza ad una legge esterna piuttosto che mossi da un libero convincimento interiore, l'identificazione del divino con la ragione morale risulta inaccettabile e questo determina la fine di Gesù. La descrizione hegeliana della Vita di Gesù termina con la sua morte senza alcun riferimento alla sua risurrezione, fatto questo da riferirsi non alla storia pubblica ma a quella privata. L'immagine di Cristo come un nuovo Socrate, quale possiamo ricavare da Hegel nelsuo periodo giovanile, pone il problema di chiarire come Cristo sia potuto diventare l'uomo-Dio. Le due ragioni che vengono portate sostanzialmente convergono. La prima, che coinvolge la stessa persona di Cristo, è da Hegel indicata in un suo saggio incompiuto, intitolato dal Nohl Positività della religione cristiana, composta nel suo nucleo tra il 1795-1796. In questo scritto la genesi della positività del cristianesimo non è attribuita solo ai discepoli, ma in parte allo stesso Gesù. La risoluzione tipica degli ebrei della morale in fede ecclesiastica e la loro attesa di un messia -per cui i suoi interlocutori avrebbero dovuto accogliere un insegnamento diverso solo da una tale figura-costringono Gesù a introdurre l'elemento positivo (la fede in lui) per rendere più credibile la sua persona e la sua funzione all'interno di un insegnamento che voleva essere esclusivamente morale, cioè obbligatorio per se stesso e non per comando di Dio. Questo esito storico del cristianesimo- una mescolanza di morale autonoma stravolta dal contesto di una fede dipendente- per Hegel non può costituire il punto di partenza adeguato per ciò che in questo momento maggiormente gli interessa: l'assolutezza della legge morale fondata, kantianamente sull'autonomia della volontà. La seconda ragione su cui si fonda la possibilità di divinizzazione è indicata da Hegel nel pregiudizio di una corruzione strutturale della nostra natura: è per la dottrina del peccato originale maturata nella coscienza del disprezzato popolo ebraico che Cristo verrà a configurarsi come il salvatore. Hegel rifiuta categoricamente questa concezione antropologica e la mette storicamente in relazione alla crisi del mondo classico, di quel mondo cui egli guarda, in opposizione al Cristianesimo, come ideale di compiuta umanità e bellezza, come tempo in cui l'ethos, la moralità, si realizza spontaneamente tra gli uomini. La dissoluzione del mondo classico si compie come scomparsa del senso dello stato e dell'universale, come sfiducia nelle umane possibilità e solipsistico ripiegamento su di sè, come adesione dell'individuale al posto dell'ideale. Ancora in Religione popolare e cristianesimo Hegel dice che proprio per questo, nei tempi della decadenza della grandezza esterna della romanità, ci fu una accoglienza aperta della religione cristiana Ma quando dopo secoli l'umanità è di nuovo in grado di avere idee, l'interesse per l'individuale sparisce e la dottrina dell'abiezione dell'uomo va scomparendo, e la bellezza dell'idea-Cristo affiora oltre l'individuale in tutta la sua forza pensato di nuovo diviene proprietà del tempo corrente. Pertanto, prosegue Hegel con un'analisi che preannuncia Feuerbach, tutto ciò lo si poneva nell'individuo Cristo rinunciando a conoscerlo come opera dell'uomo. Ora il suo pensiero se ne appropria insegnando a sentire rispetto per se stessi. Non più Cristo ma l'umanità imbellita dalla dignità di un singolo divino dissolta nel più ampio orizzonte dell'umanità cosciente.

 

Il Cristo "conciliatore" nel periodo di Francoforte

Nel 1797 Hegel si trasferisce a Francoforte sul Meno per rimanervi fino 1801. Questo periodo segna una importante svolta nel pensiero hegeliano: L'impostazione kantiana che ha guidato la sua riflessione, sia a Tubinga che a Berna, viene ora criticata e rifiutata nelle sue promesse fondamentali. La critica riguarda sul piano morale, l'opposizione presente nel pensiero di Kant tra idea e natura, tra universale e particolare, tra legge morale e inclinazione sensibile. Hegel si avvicina così alla posizione di Spinoza, il quale affermava che natura e

spirito non sono che modi della totalità (= Assoluto); totalità che si è scissa nella loro opposizione e che deve ripristinarsi mediante una nuova conciliazione di ideale e realtà.

" Cristo, nell'opera maggiore di questo periodo titolata dal Nohl Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, non è più inteso allora secondo il modello dell'etica di Kant, ma piuttosto come il Conciliatore, come colui, che nell'amore vuole unificare le due opposizioni della vita".

Il nuovo schema concettuale è dato dal ritmo dialettico, ripreso da Shelling, di unità-scisione-riconciliazione; secondo tale ritmo il mondo è costituito in una unità organica e indistinta, che continuamente si divide in mille opposizioni, le quali devono essere riconciliate componendo una più matura unità.

"All'interno di questo nuovo quadro concettuale anche la figura di Cristo subisce un profondo ripensamento. Ciò che interessa lo Hegel non è più l'aspetto per cui, illuministicamente, Gesù appare come un semplice maestro di morale, ma piuttosto quello, paolinamente, per cui egli vuol elevare l'uomo al di là della schiavitù della legge, nella libertà dello spirito. Gesù, nelle vesti di conciliatore, vuole infatti superare lo spirito del giudaismo. Ora la radice del giudaismo è l'oggettivo, cioè il servizio, la servitù ad un estraneo. Ed è questo che Gesù attaccò".

Luogo privilegiato di questa opposizione è la forma della legge morale che tra gli ebrei ha assunto un aspetto legalistico. Il superamento di tale forma avviene in Gesù mediante l'affermazione dello spirito dell'amore in cui la scissione (ebraica e kantiana) tra la norma universale e l'inclinazione particolare viene a togliersi. Nell'accordo della legge con la vita, con il soggetto, l'amore non solo dissolve un livello dell'oggettività, ma anche, conseguentemente, riconcilia la vita con se stessa: nell'amore i peccati vengono rimessi. Perchè ciò sia possibile occorre, però, che il peccato non sia inteso come la trasgressione di una legge oggettiva, ma come un destino che avvolge la coscienza. Il destino è la scissione che subentra nella vita allorché questa esercita violenza, è la tensione che fa si che la vita si trasformi in nemico di se stessa, che la rende potenza estranea la quale, " al pari delle Eumenidi", si ripercuote inesorabilmente su di sè. Ora mentre il peccato come colpa non può essere riconciliato, perchè un fatto non può essere reso non avvenuto, la divisione del destino può, mediante l'amore, essere sanata, poichè qui è solo e soltanto la vita che si è divisa, che è al contempo soggetto e oggetto di se medesima. Ne viene, nella risoluzione del concetto di colpa in quello di destino, che nessun intervento soprannaturale è più richiesto per risolvere il problema del male. Come già a berna anche ora, come è evidente, la negazione della presenza di un male strutturale all'uomo, radicale, costituisce laprecondizione per negare la divinitàa Cristo in senso obiettivo e trascendemte. Diversamente da Berna, però, e da Tubinga, il risultato nonè la configurazione di Cristo come maestro di virtù, ma, più complessament, di lui in quanto simbolo dialettico il cui significato non riposa in se stesso. Questo non si esaurisce nella mediazione della legge morale e del destino ad opera dell'amore, ma, più radicalmente, investe la stessa concezione di Dio e il rapporto tra questo e l'uomo.

"Nell'interpretazione immanentistica che Hegel assegna a Cristo questi appare come il simbolo del precesso per cuila scissione della sostanza, dell'unità originaria, in idea e natura, trova una prima, anche se incompleta unificazione. Questa untà del divino e del umano in lui può essere appresa in un duplice modo: mediante l'intelletto o tramite la fede. Dal punto di vista intellettuale la conciliazione Dio-uomo in Cristo, di finito-infinito, appare impossibile e contraddittoria. L'intelletto cioè, cristallizzando i termini divino-umano come essenze contrapposte, non è capace poi di sintetizzarli.

La fede al contrario è riconoscimento del divino nell'umano; lo tsesso Hegel ( lo spirito del cristianesimo e il suo destino) dice che la fede nel divino è possibile solo in quanto nel credente stesso esso sir itrova, anche se non ne è cosciente.

" Questa incoscienza è proprio ciò che caratterizza la fede, essaè uno stato inermedio tra la vita separata dal divino e quella totalmrnte immersa in esso. in questa medietà la fede è un desiderare l'unificazione col divino, ma non ancora una reale conciliazione con esso. qesto scarto fa si che essa sia solo il primo gradino del rapporto tra i discepoli con Gesù; nellla pienezza di tale relazione, nella compiuta identità con lui, essa non ha più ragion d'essere. L'identità tra Cristo e i discepoli, nela negazione persaonale del dio trascendente, è però destinata ad attuarsi solo con la mortedi lui in quanto individuo. L'avvento dello Spirito segna allora, nell'impostazione razionalista hegeliana, la riconciliazione della coscienza con la propria essenza mediante il superamento della antitesi tra ideale (Dio) e natara (uomo). In Hegel il rapporto trinitario Padere-Figlio-Spirito Santo, da realtà trascendente diventa un fatto speculativo, uno schema della ragione: non indica la realtà di Dio in se stesso, quanto piuttosto il ciclo dialettico che la coscienza deve percorrere per riconciliarsi con sè ".

Se questo è il significato speculativo di Cristo, come momento ideale all'interno di un processo di immanentizzazione dello spirito il cui ciclo trinitario è raffigurazione, comprendiamo come, diversamente da Tubinga e da Berna e dall'illuminismo religioso in generale, sia proprio l'aspeto dogmatico del cristianesimo quello che maggiormente interessa ora Hegel. La svolta metafisica che segna il passaggio da Berna a Francoforte coincide con un ripensamento del significato concettuale della fede cristiana, il cui nucleo dogmatico -la Trinità e l'Incarnazione- assume un peso determinanante rispetto al suo contenuto morale. Questo ripensamento, avviato già a Francoforte, ma destinato a precisarsi solo nel successivo periodo di Jena, se esprime la misura del distacco di Hegel dall'Illuminismo in sede religiosa, non dice altresì, com'è evidente, una sua adesione positiva ai contenuti della fede cristiana. Il suo no a tale fede emerge con chiarezza nel giudizio sulla missione storica di Gesù, sull'ineluttabile destino cui essa andrebbe incontro. Questo, il cui esito e lo scacco, non può essere inteso al di fuori dell'interpretazione filosofica prima indicata.

" Come nel processo trinitario Cristo deve togliersi in quanto idividuo, poichè la pienezza della riconciliazione si ha solo mediante lo Spirito, così, nella sua avventura storica, la figura di Gesù con la sua dottrina dell'amore è destinata al fallimento ".

La scissione ebraica, tra la coscienza e il mondo, non trova definitiva risoluzione e Cristo, raffigurato sotto la categoria romantica di anima bella no potè far altro che sopportare il destino senza poterlo risolvere.

 

Cristo inglobato in una filosofia della storia

Trasferitosi, nel 1801, a Jena su invito dell'amico Shelling, Hegel collabora con lui all'edizione del Giornale critico di filosifia su cui compaiono numerosi suoi articoli. I riferimenti alla persona di Cristo non sono in questo primo periodo molto frequenti. La figura di Cristo torna al centro del attenzione in quella Continuazione del Sistema dell'eticità del 1802, che a noi è pervenuta tramite il riassunto che ne ha compiuto il Resenkranz nella sua Vita di Hegel. Il processo ideale dell'assoluto mediante la sequenza di identità-scissione-riconciliazione è qui analizzata partire da tre momenti dello spirito storico: la religione naturale, il cristianesimo, una nuova religione che in sè coincide con la filosofia.Questo processo è, secondo Hegel, in atto e prossimo alla sua realizzazione. Il cammino di secolarizazione avviato dalla Riforma protestante rpima, e la sua radicalizzazione nella cultura illuminista poi, hanno preparato il terreno per quella autonoma fondazione dello spirito che costituisce il presupposto per una nuova epoca storica. Questa, tuttavia, per essere effettuale, implica una condizione: il potere e la capacità dello spirito di assorbire e dominare l'intera energia del dolore e dell'opposizione che per due millenni ha governato il mondo. Hegel risolve il valore salvifico della morte-risurrezione diCristo all'interno della filosofia. In ciò consiste di fatto la specifica risposta hegeliana alla crisi culturale e religiosa propria del suo tempo.

" In questo contesto è Cristo che assolve paradossalmente la funzione di momento di passaggio da una concezione trascendente della divinità (idea del Padre) a quella immanente (lo Spirito nella comunità). La giustificazione del cristianesimo viene allora a coincidere con la sua costruzione storica, con il senso che esso riveste all'interno di una filosofia della storia in cui esso viene inglobato. Le analogie e le affinità tra la posizione filosofica di Hegel e quella di Shelling, particolarmente intense nel primo periodo di Jena, si attenuano fino ad arrivare ad un aperto distacco con la partenza di Shelling per Würzburg, nel 1803, e ilprecisarsi da parte di Hegel di una concezione autonoma dell'Assoluto. Già nelle lezioni sulla filosofia dello spirito del 1805-06 e poi nella Fenomenologia, esso non è più compreso come sintesi indifferente di natura e spirito, ma è indicato esplicitamente come soggetto, come processo mediante il quale lo Spirito emerge dallo propria oscurità naturale e sostanziale. All'interno di questa impostazione l'idea di sogggetività appare per la prima volta come il principio superiore dell'età moderna che gli antichi, che Platone non conosceva.Questo principio si rende presente nella storia della coscienza mediante il cristianesimo".

Ma l'idea di soggetto in Hegel non è nè il concetto di persona nè l'io empirico; così la fondamentale affermazione hegeliana, per cui il concetto di spirito, emerge per la coscienza solo in relazione al cristianesimo, ma diessonon condivide le peculiaritità tradizionali. Nel 1807 Hegel pubblica la Fenomenologia dello Spirito. In quest'opera le riflessioni sul cristianesimo vengono specificate e la figura di Cristo viene definitivmente interpretata in un quadro concettuale totalizzante che gli scritti della maturità non modificheranno. Nella Fenomenologia la figura di Cristo è presente in più punti: nel capitolo sull' "Autocoscienza", quando si parla della coscienza infelice; nel capitolo su "Lo Spirito", allorchè si tratta de la fede e la pura intellezione; nel capitolo su "La religione" nel paragrafo su La religione disvelata. In Cristo la coscienza credente sensibilmente intuisce l'identità dell'autocoscienza e con l'essenza, dell'umano con il divino. Ora questa è imtuizione dell'autocoscienza singola oposta a quella universale. La sintesi di finito-infinito in Cristo è immmediata perchè egli è ancora un particolare in cui l'universale non può trovare la sua forma compiuta. La comunità credente risolverebbe questa particolarità nel processo di idealizzazione di Cristo nello Spirito che è finalmente sintesi di finito e infinito. Ma rimarrebbe comunque fuori la dimensione sensibile che caratterizza il Cristo storico.

" Ciò significa che Cristo non può, al pari dell'idea del Padre, costruire di per sè la pienezza della divinità, che egli e il Padre non sono che momenti di un processo mediante cui l'Assolutodiviene Spirito, cioè veramente assoluto. Se questo è il risultato a cui approda <<il sapere assoluto>> con cui si chiude la Fenomenologia, emerge con evidenza come il limite della fede consista per Hegel nel tener ferma ancora una oggettività trascendente alla coscienza, un'alterità che si vuole irriducibile aal'orizzonte immanente del pensiero"

 

l destino di Cristo nel sistema della maturità.

Negli anni posteriori alla Fenomenologia ilpensiero hegeliano, preoccupato di fondare il sistema e di esplicitarne l'architettura, non subirà nel suo nucleo essenziale alcuna modifica di rilievo. Anche riguardo a Cristo, come già si è visto, la speculazione di Hegel non avrà ripensamenti, nè cambiamenti di sorta. In apparenza, anzi, la figura di Gesù pare entrare in ombra, come accantonata rispetto all'andamento delle sue riflessioni.

" In realtà essa è presente, non già però in modo essenziale, ma come riflesso, nella trattazione che Hegel opera de La dottrina del concetto nel volume II, tomo III, della sua Scienza della logica, che egli pubblica nel 1816 a Norimberga. Qui, nella triade dialettica di concetto-giudizio-sillogismo, è possibile rinvenire le basi logiche a partire dalle quali viene espresso il processo di sviluppo spiritualee quindi anche la dinamica della rappresentazione religiosa".

Nell'esposizione hegeliana risulta evidente come Cristo rappresenti l'equivalente storico del giudizio logico situato tra l'Assoluto come Padre (il concetto come potenza indeterminata) e l'assoluto come Spirito (il sillogismo razionale). La logica, cioè la dialettica, costituisce la struttura sostanziale e non solo formale dello spirito. Così, per Hegel, è nella logica, che occrre situare il luogo in cui Cristo si risolve come semplice momento nel processo del pensiero. Questo momento comunque conserva tuutta la sua importanza nella storia del mondo. Infatti se Cristo è il punto in cui la coscienza diviene autocoscienza, il cristianesimo siprecisa, nelle lezioni berlinesi sulla filosofia della religione, come il luogo in cui la libertà entra nella storia. E' stato proprio il cristianesimo a introdurre questa idea. Infatti per esso l'individuo ha valore infinito ed è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come spirito in quanto è esso stesso oggetto dell'amore di Dio. L'uomo è in sè destinato alla somma libertà. Essa si manifesta mediante Cristo e in duplice modo: tramite la sua dottrina e quella della Prima Comunità edella Chiesa in generale. Rimane centrale la dottrina dell'amore che ancora una volta, per il suo carattere di provvisorietà, è sottoposta allo scacco storico. La dottrina di Cristo appare come l'immediato che deve in quanto tale superarsi attraverso la mediazione dello spirito. Essa avviene non per il Cristo storico ma per i suoi discepoli e solo dopo la sua morte. Proprio la sua morte diviene per i discepoli urgenza di una riconciliazione definitoria e definitiva: ecco la risurrezione e la trasfigurazione.A partire da quest'idea, che in sè appartiene essenzialmente allla fede, poichè il è apparso dopo la sua risurrezione privatamente ai Dodici, la Storia di Gesù muta profondamente di significato. La vita di Cristo annodata ormai alla vicenda di morte-risurrezione, diviene rappresentazione forte del processo spirituale. Egli ormai appare come il farsi spirito mediante la sua storia, colui che diviene spirito mediante la negazione,nella morte e in quella di un Dio. Nella Storia di Cristo - nella totalità dialettica di vita-morte-risurrezione - si è infatti palesata la stessa storia dello spirito: una storia che ogni uomo deve percorrere per esistere come spirito.

" Nel voluto equivoco con cui Hegel gioca con il termine tedesco Geist, ( Spirito e/o spirito) Cristo in quanto persona contingente non possiede ancora il rapporto dello Spirito Santo. Solo dopo la Pentecoste, egli ,appare come dio, solo per essa dopo la sua morte, egli è la riconciliazione tra finito-infinito. Questa allora non è pù in sè, cioè solo per Cristo, ma è tale per sè, cioè per la coscienza della Chiesa, nella mediazione del suo spirito".

1l peso che la Chiesa assume all'interno della visione hegelianadella storia è proprio dato dalla necessaria funzione che essa- lo spirito in essa presente- svolge: quella di rendere l'Assoluto un concetto, togliendolo dalla sua contingenza empirica, cioè al fatto di essere legato a un uomo stirico.Dopo l'idealizzazione di Cristo nei vangeli, la prima tappa di questo cammino è data adll'approfondimento dogmatico. ricevendo prima con i Padri della Chiesa articolazione e determinazione, con le filosofie medioevali e le SummÆ della Scolastica poi una ulteriore concettualizzazione.

Ma è con Lutero che Cristo è spogliato di ogni residua figura esteriore e puo entrare nella dinamica ella coscienaza umana. Il processo di immanentizzazione non si compie con Lutero perchè ancora carico di sentimento. E' necessario un passaggio ulteriore: la coscienza cristiana, come coscienza della libertà, non si astrae più dal mondo ma si risolve completamennte in esso ( si secolarizza). L'esteriorità cattolica viene meno, la verginità diviene l'eticità del matrimonio, la povertà pratica operosa della vita borghese, l'obbedienza alla Chiesa obbedienza razionale allo Stato.

" Al termine di questo cammino, Gesù appare ormai come il semplice archetipo di un processo che ogni uomo può percorrere da se, senza alcuna mediazione esterna. L'irripetibilità e l'unicità della forma cristologica viene pertanto inesorabilmente a dissolversi. Nell'architettatura del sistema il destino di Gesù si compie due volte: una prima sul piano storico, per la dottrina di Cristo risulta inattuabile in relazione alle esigenze del mondo; una seconda, sul piano ideale, per cui la rappresentazione dogmatica può trovare la sua verità solo nel piano immanente e razionale della filosofia. In questo duplice superamento Hegel presume che la storia del mondo abbia già raccolto il significato ideale presente nella religione cristiana. Nella fiducia in questa possibilità, risiede il più profondo significato e il presupposto del pensiero hegeliano. Per questa infatti essa poté apparire, ambiguamente, come 'ultima filosofia cristiana, la custode dei valori di verità apportati dal cristianesimo, nel momento in cui, paradossalmente, presumeva sancirne il definitivo destino di tramonto dal grande palcoscenico della storia".

 

Conclusione

A questo punto trarre delle conclusioni è difficile in quanto una conclusione è tale quando è esaustiva di un argomento. Non penso che sia questo il luogo per trarre conclusioni su un argomento così spigoloso che affonda nella melma della "cifra" hegeliana. Né questa esercitazione voleva ( anche istituzionalmente) mirare a tanto. Si è trattato di fare un atto di fede sposando una prospettiva, quella di M. Borghesi, perchè più "sim-patica". Forse Hegel qui veramente non ha detto la sua ultima parola e qui si è giunti al cuore del problema che pulsa dei battiti di un cuore, quello del filosofo, che non può essere scisso in anima e spirito così come può sembrare. Nè ho voluto far riflettere fornendo del materiale provocante. Allora la finalità di questa esercitazione è stata meramente metodologica? NO, per me no! E' stata un occasione di "di-vertimento" perchè una volta tanto anch'io sono entrato sul grande palcoscenico del pensiero. Solo,però, come tecnico delle luci di uno spettacolo i cui ruoli principali erano già occupati. Ora spengo i riflettori sul sipario chiuso: il "velo" è calato di nuovo, chi riproverà a sollevarlo?

MA...

 

Cala

il sipario, ora

le luci sono solo ombre Si chiude la

scena di queste percezioni travolgenti.Solo rimane là

fermo e seduto uno spettatore distratto!La storia fluisce Informale...

 

 

Bibliografia

M. Borghesi, La figura di Cristo in Hegel, Studium, Roma 1983.

P. Coda, Dio uno e trino, E.P., Alba (Cuneo) 1993.

L. Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, in Opere, ed. it. a cura di C. Cesa, Laterza, Roma-Bari 1965.

GWF. Hegel, Fenomenologia dello Sopirito, I vol., La Nuova Italia, Firenze 1973.

G.W.F.Hegel, Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, in Scritti teologici giovanili, Guida, Napoli 1972.

I. Kant, Il conflitto delle facoltà, ed. it. a cura di A. Poggi, Edizioni del Magistero Universitario,Genova 1956.

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P. Ricci Sindoni, Prigioniero di Dio, F. Rosenzweig (1886-1929), Studium, Roma 1982.