Un presentimento - o era solo speranza - di cose nobili e grandi lo aveva fatto rimanere lassù, ma poteva essere anche soltanto un rinvio, nulla in fondo restava pregiudicato. Egli aveva tanto tempo davanti. Tutto il buono della vita pareva aspettarlo. Che bisogno c'era di affannarsi ? Anche le donne, amabili e straniere creature, le prevedeva come una felicità' sicura, a lui formalmente promessa dal normale ordine della vita.
Quanto tempo davanti! Lunghissimo gli pareva anche un solo anno e gli anni buoni erano appena cominciati; sembravano formare una serie lunghissima, di cui era impossibile scorgere il fondo, un tesoro ancora intatto e cosi' grande da potersi annoiare.
Nessuno che gli dicesse: "Attento, Giovanni Drogo!". La vita gli pareva inesauribile, ostinata illusione, benché la giovinezza fosse già cominciata a sfiorire. Ma Drogo non conosceva il tempo. Anche se avesse avuto dinanzi a sè una giovinezza di cento e cento anni come gli dei. Anche questo sarebbe stata una povera cosa. E lui aveva invece disponibile una semplice e normale vita, una piccola giovinezza umana, avaro dono, che le dita delle mani bastavano a contare e si sarebbe dissolto prima ancora di farsi conoscere.
Quanto tempo dinanzi, pensava. Eppure esistevano uomini - aveva sentito dire - che a un certo punto (strano a dirsi) si mettevano ad aspettare la morte, questa cosa nota e assurda che non lo poteva riguardare. Drogo sorrideva, pensandoci, e intanto, sollecitato dal freddo, si era messo a camminare
(Tratto da "Il deserto dei tartari", 1966)
E la morte, dici niente? Non l'avevi calcolata? Essa continua a salire dentro di te. Anche se in tutto il corpo non ci fosse neanche una cellula guasta, ugualmente lei avanzerebbe. Dal giorno che sei nato ti sta risalendo millimetro per millimetro.
Tu non ci pensi, è vero, per il momento te ne sei dimenticato, eppure quando ti sembra che manchi appena un respiro, una distanza impercettibile, meno di un passo, per essere felice e là ti impunti e più avanti non vai né riesci a capire perché, questo infinitesimo intervallo è pur sempre lei, la morte, e tu puoi fuggire per oceani e monti, te la terrai sempre chiusa dentro e, odiandola sopra ogni cosa, la nutrirai di te giorno e notte: mai ci fu madre altrettanto premurosa col suo bambino.
(Tratto da Domenica in "In quel preciso momento", 1950)
Uomini, voi andate a dormire e avete anche il coraggio di sbarrare le persiane. Nel frattempo le nubi bianche spinte dal vento attraversano il cielo, meravigliose, una diversa dall'altra, migliaia. La luna le illumina dall'alto, le trasforma in sogni. Ma voi dormite nella tana del diciannovesimo piano, vederle non potete.
Per ciascuna miliardi di secoli di lavorazione, e non è servito a niente! Una di color cinerino appartiene ad un certo Giorgio Filicari che non conosco e che dorme. Una ha la forma di San Crisostomo ed e' venuta per il nostro arcivescovo che dorme, bontà sua. Ne vedo una lunga e sottile, sdraiata come una sirena sulla spiaggia, con striature argentee e viola, bellissima; appartiene a una giovane dissoluta che non nomino e che dorme (nel suo letto immenso). Viene la nuvola per il trattore, la nuvola per il linotipista, la nuvola per il mediatore di terreni, per il bambino del vetraio; ma tutti dormono. Però non vedo quelle dei vincitori della vita che, sparsi tra le nostre case, anch'essi dormono felici; non una, in mezzo alle miriadi, per coloro che hanno il tristissimo privilegio di avere vinto.
Ma i miei concittadini sono dei gran signori. Stanno con gli occhi chiusi, orizzontali, nelle pose strane e sconce, chiusi nel tanfo delle case, dispregiano le meraviglie. Non torneranno queste nuvole così importanti, non si ripeteranno mai? Che importa? Non e' tutta così mal combinata la vita? Il meglio non si butta via? Dunque! Dormiamo, dormiamo come bruti. Tutto si deposita accuratamente nell'archivio dei cieli, non va perso un solo fiato di nebbia, un giorno lo ritroveremo.
(Tratto da Le tre notti in "Siamo spiacenti di", 1971)
Una goccia d'acqua sale i gradini della scala. La senti? Disteso in letto nel buio, ascolto il suo arcano cammino. Come fa? Saltella? Tic, tic, si ode a intermittenza. Poi la goccia si ferma e magari per tutta la rimanente notte non si fa più viva. Tuttavia sale. Di gradino in gradino viene su, a differenza delle altre gocce che cascano perpendicolarmente, in ottemperanza alla legge di gravità, e alla fine fanno un piccolo schiocco, ben noto in tutto il mondo. Questa no: piano piano si innalza lungo la tromba delle scale lettera E dello sterminato casamento...
(Tratto da La goccia in "La boutique del mistero", 1950)
Le pagine della vita, le ore, voglio dire, i giorni astronomici e i mesi senza bisogno di stupide metafore, si succedono con grande rapidità, bisogna convenire, a vederli passare con tanta compostezza non si direbbe mai che siano nostri nemici. Vanno adagio, da gran signori. Ma non si fermano mai, i maledetti, non danno un attimo di respiro, abbiamo un bel correre avanti, predisporre, pianificare, calcoli, progetti. Siamo uomini, ahimè, e ogni tanto dobbiamo fermarci. Fermarci, e ci addormentiamo. Ma così, mentre noi stiamo fermi sul bordo della via sognando strane cose, le ore, i giorni, mesi ed anni, ci raggiungono uno per uno, con la loro abominevole lentezza ci sopravanzano, si perdono in fondo alla strada. Poi al mattino ci accorgiamo di essere rimasti indietro, ci mettiamo all'inseguimento.
In questo preciso momento, vogliamo dire volgarmente, finisce la giovinezza.
(Tratto da "In quel preciso momento", 1950)