Le Tematiche di Buzzati

Pagina a cura di Massimo Moroni


Fantasia

[...]

L'incontro avvenne in una notta gelida di plenilunio. La pattuglia, appostata in un angolo scuro di piazza Cinquecento, avvistò il Babau vagabondo che navigava placido a circa trenta metri d'altezza, simile a dirigibile giovanetto. Gli agenti, il mitra puntato, avanzarono.
Intorno non un'anima viva. Il breve crepitio delle raffiche si ripercosse, d'eco in eco, molto lontano. Fu una scena bizzarra. Lentamente il Babau si girò su sè stesso senza un sussulto e, zampe all'aria, calò fino a posarsi sulla neve. Dove giacque supino, immobile per sempre.
La luce della luna si rifletteva sul ventre enorme e teso, lucido come guttaperca.

[...]


Si disse che in cielo, mentre la creatura moriva, risplendesse non una luna, ma due.
Si racconto' che per tutta la citt' uccelli notturni e cani si lamentassero lungamente.
Si sparse la voce che molte donne, vecchie e bambine, ridestate da un oscuro richiamo, uscissero dalle case, inginocchiandosi e pregando intorno all'infelice.
Tutto ciò non è storicamente provato.
Di fatto, la luna proseguì senza scosse il suo viaggio prescritto dall'astronomia, le ore placidi, passarono regolarmente ad una ad una, e tutti i bambini del mondo continuarono a dormire senza immaginare che il loro buffo amico se n'era andato per sempre.
Era molto più delicato e tenero di quanto si credesse. Era fatto di quell'impalpabile sostanza che volgarmente si chiama favola o illusione: anche se vero.
Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia. Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti darà pace.

(Tratto dal racconto Il Babau ne "Le notti difficili", 1971)


Solitudine

Li vedo: durante la conversazione uno di colpo si distrae, sta fermo e pensieroso,
magari pochi secondi ma è quanto basta per capire che la sua verità è là, dentro
quel silenzio. Come uno che dinanzi a casa stia conversando con gli amici e a un tratto
li lascia, corre dentro a vedere chissà cosa e subito dopo ritorna, col volto di prima
tale e quale, e nessuno sa che cosa sia andato a fare e se qualcuno glielo domanda,
lui risponde "niente", e d'altra parte non si poteva scorgere nulla attraverso la porta
quando lui l'ha aperta, che cosa ci fosse dietro, non si vedeva che un rettangolo di buio.
Una immensa piazza, dunque, con intorno un'infinità di case, questa è la vita;
e, in mezzo, gli uomini che trafficano fra di loro e nessuno riesce mai a conoscere
le altre case; soltanto la propria e in genere male anche questa perché' restano molti
angoli bui e talora intere stanze che il padrone non ha la pazienza o il coraggio di
esplorare. E la verità' si trova soltanto nelle case e non fuori.
Cosicché' del restante genere umano non si sa mai niente.
L'uomo passa distratto in mezzo a questi infiniti misteri e ciò non sembra
poi dispiacergli eccessivamente.

(La Solitudine tratto da "In quel preciso momento", 1950)


Montagna

[...]
Il misterioso lume sulle rocce del Palazzo si spegne poco dopo e tutto resta nel buio
mentre le nubi si spaccano lasciando vedere le stelle.
Barnabo completamente vestito si e' gettato sul letto e con le braccia incrociate dietro
la testa, fissando gli occhi nella massa degli abeti che nereggia dietro i vetri, sente
come non mai la vicinanza delle montagne, con i loro valloni deserti, con le gole tenebrose,
con i crolli improvvisi di sassi, con le mille antichissime storie e tutte le altre cose che
nessuno potrà dire mai.

[...]

Dietro la Cima della Polveriera appare infine un barlume di luce. Tutto è perfettamente tranquillo; le nubi sono fuggite lasciando limpido il cielo e sulla foresta passa un vento freddo con dei lunghi respiri. Lavate dalla tempesta, le crode riposano ancora nell'ombra notturna; sembrano molto più grandi, nitide come cristalli. Senza accendere il lume, Barnabo
si e' alzato ed è sceso nello stanzone a pianterreno. Toglie dalla rastrelliera il suo fucile,
si mette in tasca le cartucce. Aperta la porta, egli vede gli abeti che si agitano al vento.
[...]

(Tratto da "Barnabo delle montagne", 1933)


Magia

In certe notti serene, con la luna grande, si fa festa nei boschi.
E' impossibile stabilire precisamente quando, e non ci sono sintomi appariscenti che ne diano preavviso. Lo si capisce da qualcosa di speciale che in quelle occasioni c'è nell'atmosfera. Molti uomini, la maggioranza anzi, non se ne accorgono mai. Altri invece l'avvertono subito. Non c'è niente da insegnare in proposito. E' questione di sensibilità: alcuni la posseggono di natura; altri non l'avranno mai, e passeranno impassibili, in quelle notti fortunate, lungo le tenebrose foreste, senza neppur sospettare ciò che là dentro succede.

(Nota dell'autore in "Il segreto del bosco vecchio", 1935)


Musica

TI RICORDI LA SERA
CHE I DUE SI BACIAVANO
E TU, SOLO ?
CHOPIN DISCESE DALLE MANSARDE DI DIO
TI COLPI' PER SEMPRE ALLA NUCA
FACENDOTI GRANDE ED INFELICE.

(Tratto da "Poema a fumetti", 1969)


Poesia

Noi camperemo a lungo, certo. Ma fra cinquant'anni, diciamo, fra cento anni, che ne sarà di noi? Chi si ricorderà? Fra centocinquant'anni i suoi versi sublimi continueranno a vivere, le parole cadranno giù a picco nel posto esattissimo come blocchi di cristallo e le onde concentriche si allargheranno ancora via per il mondo percuotendo le tenebrose scogliere. .
[...]

(Tratto da Ricordo di un poeta in "In quel preciso momento", 1950)


Attesa

Un presentimento - o era solo speranza - di cose nobili e grandi lo aveva fatto rimanere lassù, ma poteva essere anche soltanto un rinvio, nulla in fondo restava pregiudicato. Egli aveva tanto tempo davanti. Tutto il buono della vita pareva aspettarlo. Che bisogno c'era di affannarsi ? Anche le donne, amabili e straniere creature, le prevedeva come una felicità' sicura, a lui formalmente promessa dal normale ordine della vita.

Quanto tempo davanti! Lunghissimo gli pareva anche un solo anno e gli anni buoni erano appena cominciati; sembravano formare una serie lunghissima, di cui era impossibile scorgere il fondo, un tesoro ancora intatto e cosi' grande da potersi annoiare.

Nessuno che gli dicesse: "Attento, Giovanni Drogo!". La vita gli pareva inesauribile, ostinata illusione, benché la giovinezza fosse già cominciata a sfiorire. Ma Drogo non conosceva il tempo. Anche se avesse avuto dinanzi a sè una giovinezza di cento e cento anni come gli dei. Anche questo sarebbe stata una povera cosa. E lui aveva invece disponibile una semplice e normale vita, una piccola giovinezza umana, avaro dono, che le dita delle mani bastavano a contare e si sarebbe dissolto prima ancora di farsi conoscere.

Quanto tempo dinanzi, pensava. Eppure esistevano uomini - aveva sentito dire - che a un certo punto (strano a dirsi) si mettevano ad aspettare la morte, questa cosa nota e assurda che non lo poteva riguardare. Drogo sorrideva, pensandoci, e intanto, sollecitato dal freddo, si era messo a camminare

(Tratto da "Il deserto dei tartari", 1966)


Morte

E la morte, dici niente? Non l'avevi calcolata? Essa continua a salire dentro di te. Anche se in tutto il corpo non ci fosse neanche una cellula guasta, ugualmente lei avanzerebbe. Dal giorno che sei nato ti sta risalendo millimetro per millimetro.

Tu non ci pensi, è vero, per il momento te ne sei dimenticato, eppure quando ti sembra che manchi appena un respiro, una distanza impercettibile, meno di un passo, per essere felice e là ti impunti e più avanti non vai né riesci a capire perché, questo infinitesimo intervallo è pur sempre lei, la morte, e tu puoi fuggire per oceani e monti, te la terrai sempre chiusa dentro e, odiandola sopra ogni cosa, la nutrirai di te giorno e notte: mai ci fu madre altrettanto premurosa col suo bambino.

(Tratto da Domenica in "In quel preciso momento", 1950)


Eternità

Uomini, voi andate a dormire e avete anche il coraggio di sbarrare le persiane. Nel frattempo le nubi bianche spinte dal vento attraversano il cielo, meravigliose, una diversa dall'altra, migliaia. La luna le illumina dall'alto, le trasforma in sogni. Ma voi dormite nella tana del diciannovesimo piano, vederle non potete.

Per ciascuna miliardi di secoli di lavorazione, e non è servito a niente! Una di color cinerino appartiene ad un certo Giorgio Filicari che non conosco e che dorme. Una ha la forma di San Crisostomo ed e' venuta per il nostro arcivescovo che dorme, bontà sua. Ne vedo una lunga e sottile, sdraiata come una sirena sulla spiaggia, con striature argentee e viola, bellissima; appartiene a una giovane dissoluta che non nomino e che dorme (nel suo letto immenso). Viene la nuvola per il trattore, la nuvola per il linotipista, la nuvola per il mediatore di terreni, per il bambino del vetraio; ma tutti dormono. Però non vedo quelle dei vincitori della vita che, sparsi tra le nostre case, anch'essi dormono felici; non una, in mezzo alle miriadi, per coloro che hanno il tristissimo privilegio di avere vinto.

Ma i miei concittadini sono dei gran signori. Stanno con gli occhi chiusi, orizzontali, nelle pose strane e sconce, chiusi nel tanfo delle case, dispregiano le meraviglie. Non torneranno queste nuvole così importanti, non si ripeteranno mai? Che importa? Non e' tutta così mal combinata la vita? Il meglio non si butta via? Dunque! Dormiamo, dormiamo come bruti. Tutto si deposita accuratamente nell'archivio dei cieli, non va perso un solo fiato di nebbia, un giorno lo ritroveremo.

(Tratto da Le tre notti in "Siamo spiacenti di", 1971)


Mistero

Una goccia d'acqua sale i gradini della scala. La senti? Disteso in letto nel buio, ascolto il suo arcano cammino. Come fa? Saltella? Tic, tic, si ode a intermittenza. Poi la goccia si ferma e magari per tutta la rimanente notte non si fa più viva. Tuttavia sale. Di gradino in gradino viene su, a differenza delle altre gocce che cascano perpendicolarmente, in ottemperanza alla legge di gravità, e alla fine fanno un piccolo schiocco, ben noto in tutto il mondo. Questa no: piano piano si innalza lungo la tromba delle scale lettera E dello sterminato casamento...

(Tratto da La goccia in "La boutique del mistero", 1950)


Giovinezza

Le pagine della vita, le ore, voglio dire, i giorni astronomici e i mesi senza bisogno di stupide metafore, si succedono con grande rapidità, bisogna convenire, a vederli passare con tanta compostezza non si direbbe mai che siano nostri nemici. Vanno adagio, da gran signori. Ma non si fermano mai, i maledetti, non danno un attimo di respiro, abbiamo un bel correre avanti, predisporre, pianificare, calcoli, progetti. Siamo uomini, ahimè, e ogni tanto dobbiamo fermarci. Fermarci, e ci addormentiamo. Ma così, mentre noi stiamo fermi sul bordo della via sognando strane cose, le ore, i giorni, mesi ed anni, ci raggiungono uno per uno, con la loro abominevole lentezza ci sopravanzano, si perdono in fondo alla strada. Poi al mattino ci accorgiamo di essere rimasti indietro, ci mettiamo all'inseguimento.

In questo preciso momento, vogliamo dire volgarmente, finisce la giovinezza.

(Tratto da "In quel preciso momento", 1950)


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