A proposito di nazione

Abbiamo sostenuto l'Olp nella sua lotta contro il capitale americano per dover sentire già pochi mesi dopo la nascita ufficiale delle zone autonome palestinesi di torture e di repressione delle forze d'ordine palestinesi contro gli stessi compatrioti, che purtroppo osano aver un'altra opinione… Noi compagni e compagne stiamo sostenendo il Pkk contro il governo fascista, repressivo e filo-americano della Turchia che minaccia un popolo intero di morte e non ci curiamo del maschilismo del Pkk - che non si prende nemmeno la briga di mascherarlo - e delle lotte fra i vari movimenti kurdi che non sembrano più nutriti dallo zelo politico che dalla voglia di supremazia clanica…. Sventoliamo le bandiere dell' Euskadi ma solo a bassa voce si parla degli accordi fatti con la borghesia basca…

Il rispetto verso movimenti di altri "compagni/e" o il timore della non-interferenza in affari altrui o forse addirittura il relativismo culturale nato dal bisogno di liberarsi da tendenze eurocentriche ci spingono spesso a difendere e propagandare delle lotte di liberazione nazionale senza confrontarci meglio con i problemi connessi.

Il problema dell'autodeterminazione delle nazioni o dei popoli non è nuovo per la sinistra: a lungo si è discusso sul valore di questi movimenti, della possibilità di indipendenza in un sistema mondiale capitalista, sulla loro struttura interclassista o meno e sulla funzionalità della "nazione" per il capitale e la borghesia. Visto che, anche se con connotati diversi, la tematica è attuale come ai tempi di Lenin e di Rosa Luxemburg vale la pena di riflettere su alcuni punti.

Innanzitutto dovremmo chiarirci le idee se vogliamo parlare di movimenti di liberazione di una nazione o di un popolo e quali sono le conseguenze politiche derivanti dalla scelta del termine. Di "popolo" potremmo parlare in un contesto in cui si tratta di elementi etnici che definiscono il gruppo. Ed in effetti potremmo definire la maggior parte dei movimenti in termini etnici, potremmo parlare di movimenti "celti" dell'Irlanda o dei paesi baschi, ma spero che nessuno di noi ammetta che la differenza etnica dà il diritto a un gruppo di persone di separarsi da un altro nel momento in cui tutti ci presentiamo come internazionalisti e lottiamo per una società multietnica nel nostro paese. Proporremo addirittura un razzismo al contrario. Potremmo comunque sostenere la rivendicazione della preservazione di una cultura.

Rimane allora la possibilità della "nazione" come definizione del gruppo che sosteniamo nella sua lotta per la sua indipendenza. A questo punto ci troviamo subito di fronte al fino ad ora non risolto problema della definizione della concetto stesso. Partendo da una visione materialistica della storia potremmo definirlo come "insieme di persone che sono uniti da un interesse socio-economico comune che viene sopportato da una cultura, una storia e un linguaggio comune". Questa definizione svincola il problema delle differenze ontologiche sostituendoli con interessi materiali che possono essere senza dubbi rivoluzionari e di liberazione, pone però altri problemi rispetto al momento storico e al luogo della sua nascita.

Nata con la borghesia, la nazione è stata lo strumento attraverso il quale il capitale si poteva unire ed accumulare, che procurava gli spazi per il mercato adatto al capitalismo industriale nascente. Ma non solo. Una volta distrutti i gruppi sociali più piccoli come la comunità del paese o la famiglia plurigenerazionale che, in epoche precedenti, erano state in grado di offrire una certa sicurezza sociale al singolo, questa nuova fonte di identità si è rivelata anche idonea a spogliare il singolo di ogni garanzia e di renderlo materialmente e spiritualmente totalmente dipendente dalle logiche del capitale. L'accenno ai tanti morti delle guerre combattute in nome della nazione è quasi superfluo, come indicare l'eredità storica pesante di questo concetto.

Un altro complesso di problemi è legato al fatto che il concetto di nazione è nato in Europa e già qui ha creato tanti problemi e ha dimostrato troppe volte la sua incompatibilità con i fatti storici (vedi le conseguenze disastrose nei Balcani), altrove ha forse generato ancora più crisi. Nel caso dei kurdi per esempio il nazionalismo turco ha portato al crollo di un complesso sistema di autonomie e autogestione all'interno dell'impero ottomano e con questo alla

fine di un organizzazione sociale basata sulla sovrapposizione di varie identità e legami intrecciati e non per forza in contrapposizione l'uno con l'altro in favore di un identità esclusiva. Di più possiamo anche vedere come ad una concezione verticale di dominati (sudditi) e dominanti (sultani ottomani e burocrazia ottomana)si è sostituito una concezione orizzontale di popolo turco contro popolo kurdo. In ogni caso con il radicarsi del nazionalismo nella terra abitata dai kurdi la situazione si è solo andata peggiorando. L'utilizzo di proprio questo concetto per la loro lotta mi sembra perciò non proprio il modo migliore per affrontare il problema.

Infine ci troviamo in un momento in una situazione in cui il nazionalismo al livello economico è stato da tempo superato.

Siamo in piena globalizzazione e i mercati nazionali (magari protetti) hanno solo in casi di sottosviluppo una certa importanza. Diventiamo allora europei, pan-americani e asiatici. La nazione non è più utile al capitale ma non per questo ad esso antagonista e possiamo meno che mai sognare un'isola felice liberata e indipendente dal sistema mondiale capitalista.

Tutto ciò non vuole dire che dobbiamo aspettare la rivoluzione mondiale per poterci muovere o che singole realtà non possono dare segno di una società alternativa. Ho solo i miei dubbi sull'utilità della nozioni di popolo e di nazione in un tale contesto. Ben vengano tutte le lotte per una società liberata che al loro interno superano la logica del potere opponendosi in quanto oppressi agli oppressori.

Un altro complesso di problemi è legato al fatto che il concetto di nazione è nato in Europa e già qui ha creato tanti problemi e ha dimostrato troppe volte la sua incompatibilità con i fatti storici (vedi le conseguenze disastrose nei Balcani), altrove ha forse generato ancora più crisi. Nel caso dei kurdi per esempio il nazionalismo turco ha portato al crollo di un complesso sistema di autonomie e autogestione all' interno dell' impero ottomano e con questo alla fine di un organizzazione sociale basat sulla sovrapposizione di varie identità e legami intrecciati e non per forza in contrapposizione 1' uno con l'altro in favore di un identità esclusiva. Di più possiamo anche vedere come ad una concezione verticale di dominati (sudditi) e dominanti (sultani ottomani e burocrazia ottomana)si è sostituito una concezione orizontale di popolo turco contro popolo kurdo. In ogni caso con il radicarsi del nazionalismo nella terra abitata dai kurdi la situazione si è solo andata peggiorando. L' utilizzo di proprio questo concetto per la loro lotta mi sembra perciò non proprio il modo migliore per affrontare il problema.

E qui entriamo nel merito di un'altra questione: se non ci piacciono i termini di popolo e nazione - allora cosa dovremmo liberare?

Oltre alla liberazione delle persone, in quanto forza-lavoro sfruttata o esclusa, ovvero oltre alla lotta di classe "cruda e nuda" nel terzo mondo abbiamo anche a che fare con meccanismi di oppressione che si innescano nella strato socio-culturale dei paesi extra-europei. L'alienazione diventa alienazione anche dal retaggio storico-culturale. Perciò sembra fondamentale ripristinare queste esperienze per liberarsi dalla logica del capitale, per poter identificarsi con modelli non-capitalisti. Questi tentativi da un lato rispecchiano la logica eurocentristica e dall'altro creano a volte delle mistificazioni al contrario.

Cosi vediamo i palestinesi e i kurdi identificarsi attraverso il modello del popolo-nazione delimitato e garantito territorialmente. Ma questa visione da dove nasce? L'identità acquisita attraverso termini geografici ed etnici non è piuttosto la riproposizione di un modello europeo? In realtà, l'appartenenza come quella religiosa o di mestiere (spesso collegati) , per definizione sopra-etnici e sopra-territoriali, giocavano un ruolo fondamentale. Il prendere il momento geografico e etnico come definizione di identità esclusiva o prioritaria diventa in questo contesto segno inequivocabile della perdita del proprio retaggio culturale. Perciò la lotta per la liberazione socio-culturale dovrebbe stare proprio nell'uscire fuori dagli schemi nazionali europei.

Questo approccio poco critico rispetto a ingerenze dall'esterno si ripete anche ad un altro livello. Come sempre, ciò che è a-capitalistico non è per forza anti-capitalistico e rivoluzionario. Al contrario, queste nuove identità "nazionali", scollegate anche dall'esperienza storica di chi le sopporta, non solo si portano spesso ditro logiche di dominio di genere o/e di classe che dovrebbero, invece che essere ripristinate, venir soppresse, ma hanno anche delle gravi difficoltà di evoluzione. Nate da origini poco chiare (appunto gli schemi europei ormai interiorizzati) e costrette a vivere in continuo conflitto con la cultura europea oppressiva e pervasiva allo stesso tempo, ogni forma di eterodossia sarà fortemente punito come svendita al nemico. Non rimane che procedere molto cautamente nelle valutazioni delle "lotte di liberazione nazionale" per far si che si arrivi in fine ad una vera rinascita socio-culturale ed economica delle parti oppresse di questo mondo.