Da Umanità Nova n.19 di giugno 1998


La lunga primavera nella città della Fiat
La Sindone, il papa e i Sindonbusters

Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata. Esprimere un punto di vista critico sull’ostensione della Sindone e sulle celebrazioni ad essa connesse non poteva essere agevole in una città che negli ultimi mesi ha visto amministrazioni locali, associazioni di commercianti, clero e forze di polizia strenuamente impegnate a preparare «l’Evento», ripulendo con cura ogni angolo di Torino.

Un evento per il quale si sono spesi miliardi di soldi pubblici, così sottratti alla spesa sociale, in una città che, dimenticati i fasti della sua gloria industriale, sempre più fatica, nonostante la retorica dei suoi amministratori su un luminescente futuro all’insegna delle tecnologie avanzate, a garantire servizi decenti e possibilità di vita a tanta parte dei suoi abitanti.

L’amministrazione comunale, anche in vista della mirabolante vetrina che verrà allestita il prossimo anno per il centenario della Fiat, ha rifatto il trucco alla città e, come già accadde per il vertice di Maastricht, i soldi pubblici sono stati stanziati e spesi per un’operazione di maquillage che mirava a rendere scintillante la vetrina un po’ opaca di una città che ha riempito di fioriere il centro ma ha continuato a tagliare i servizi sociali, le scuole, la sanità. La stessa amministrazione, mentre esortava i cittadini ad aprire le porte di casa ai pellegrini paganti ha tentato con ogni mezzo di chiudere i posti occupati, decisamente antiestetici in una città che alle soglie del duemila tenta di coprire di fiori il lezzo delle periferie ed il mortale grigiore della «Fabbrica».

In una città che trova normale che gli immigrati dormano sulle panchine, purché, ovviamente, non siano quelle del centro, una decina di case abbandonate e occupate ha rappresentato uno scandalo, un pericolo per l’ordine pubblico che hanno tentato con ogni mezzo di cancellare. Fallita l’operazione antisquatter, amministratori e polizia hanno trasformato il centro cittadino in una cittadella fortificata, attentamente sorvegliata agli ingressi e in tutti i punti nevralgici: quelli che hanno avuto l’ardire di andare nei pressi del duomo con abiti stracciati, capelli colorati, orecchini al naso si sono visti rivolgere un invito a trascorrere il pomeriggio o la serata nei locali della questura.

Niente e nessuno doveva rovinare una festa così accuratamente preparata, una festa in cui il sacro e il profano si sono mescolati con apparente innocenza: chi è venuto a Torino ha avuto infatti l’opportunità di unire il momento mistico ad una più profana visita al salone dell’auto, e subito dopo, per gli amanti della cultura si è aperto il salone del libro rendendo così equanimemente omaggio a tutti i numi tutelari della città. Pellegrini e cittadini hanno così potuto fare la spola tra il duomo ed il Lingotto, l’antica fabbrica, ormai ripulita e ristrutturata oggi adibita a centro commerciale, centro esposizioni, albergo di lusso e pista di atterraggio per gli elicotteri, senza tuttavia perdere del tutto l’impronta della fatica e dello sfruttamento che generazioni di operai vi hanno lasciato.

Momento culminante dell’intera operazione doveva essere la visita di Wojtila il 24 maggio. In occasione di tale visita i Sindonbusters, una sorta di comitato che vede al proprio interno, oltre alla Federazione Anarchica Torinese, altri gruppi ed associazioni locali, aveva programmato per sabato 23 una festa al Balon con artisti di strada, musica, mostre anticlericali, comizi. Il balon, l’antico mercato illegale degli stracci e dei robivecchi, a due passi dal centro infiocchettato e floreale, che, nonostante i tentativi di normalizzazione in atto da alcuni anni resta uno dei pochi spazi pubblici non normati e non normalizzati della città pareva essere il luogo più consono per una festa della vitalità e della libertà nei giorni in cui la Chiesa cattolica celebrava il proprio rito funerario. Il Balon è un luogo reale e simbolico, un vero spazio pubblico in cui il cuore proletario di Torino è ancora pulsante: è il posto dove si incontrano le etnie di mezzo mondo, i punk della prima e dell’ultim’ora, gli amanti dei libri antichi e rari, gli anarchici che spacciano la loro stampa, i barboni a zonzo, chi si incontra con gli amici e chi cerca qualcuno da incontrare, chi vende e chi compra una bicicletta rubata, una cucina usata, un ferro da stiro, una foto d’altri tempi. In una parola il Balon è l’unico posto in cui le tante lenzuola che, come il sudario della Sindone il potere cerca di stendere sulla città non riescono a coprire gli odori, le aspirazioni, i rumori di una città non immemore della propria storia, viva oltre la devastazione di questi anni, non aliena ad uno sguardo scanzonato e fiero verso il futuro.

Ma. C’è sempre un ma. Evidentemente una festa anticlericale ed antireligiosa, la creazione di quello che alcuni di noi hanno chiamato spazio dewojtilizzato, il giorno precedente la visita del papa era un affronto inaccettabile. Altrettanto inaccettabile il corteo annunciato negli ultimi giorni dagli squatter, che prospettava la visita del Papa Gaio, «l’unico papa che non costa nulla e che non ha mai ucciso nessuno». La stampa, la curia e le associazioni dei commercianti si scatenano: i profitti delle loro botteghe sono in pericolo, un pezzo della città vuole tirare la testa fuori dal lenzuolo. Il questore, perfettamente in linea con il proprio ruolo di «difensore delle libertà democratiche» vieta entrambe le manifestazioni. Il signor Faranda, questore di Torino, ci ha informato che vietava la manifestazione «per lo spirito apertamente polemico nei confronti delle celebrazioni connesse all’ostensione della Sacra Sindone» In una parola ci ha informato che in questa città non esiste il diritto di esprimere un’opinione diversa, né di esprimere un punto di vista critico sulla religione cattolica, che oggi più che mai, al di là della forma, è religione di stato. Nel 1900 la regia polizia vietò a Roma una celebrazione del rogo di Giordano Bruno in Campo de fiori con motivazioni di ordine pubblico analoghe a quelle oggi accampate dal «democratico» questore di Torino.

La comunicazione ci giunge mercoledì 20 maggio, quando veniamo convocati in questura: rifiutiamo di firmare la notifica e decidiamo di rispondere a tono a questa negazione di ogni elementare principio di libertà. Nella Torino del 1998 diventa sovversivo persino lo statuto albertino (dopo 150 anni hainoi). La polizia ulivista di una città ulivista, di un paese ulivista riesce a dare un carisma «progressista» persino a Camillo Benso di Cavour con il suo arcinoto «libera chiesa in libero stato».

Venerdì 22 alle quattro del pomeriggio veniamo nuovamente convocati in questura. E’ il momento della dolcezza. Una nutrita rappresentanza di questurini di ogni ordine e grado ci accoglie dichiarando che in fondo, ma molto in fondo, possiamo metterci d’accordo, trovare una soluzione che salvi capra e cavoli. La capra del papa e i cavoli, ossia i problemi di ordine pubblico, della polizia. Possiamo fare la festa se accettiamo una riduzione ed un cambiamento di orario, magari in coincidenza con la prevista manifestazione degli squatter. La proposta ci pare sin troppo smaccatamente una manovra della polizia e quindi pensiamo bene di rifiutarla.

Sabato mattina siamo al Balon alla faccia dei divieti per informare dell’accaduto. Nel pomeriggio, i Sindonbusters si sparpagliano per la città, distribuendo un volantino in cui si dichiara: «non ci vogliono al Balon? Allora saremo dappertutto!» Un gruppo si dirige alla volta del Lingotto, dove il Salone del libro ha richiamato migliaia di persone. Una parte si ferma all’ingresso per un improvvisato presidio, altri entrano al Lingotto. Allo stand della Regione Piemonte, nello spazio riservato alle prenotazioni per l’ostensione, addobbato opportunamente in lilla funerario, una di noi si incatena, mentre gli altri aprono uno striscione, esibiscono la maglietta dell’acchiappasindone. Si improvvisano brevi comizi per informare dei motivi della protesta. In breve il Salone va in ebollizione: una piccola folla si stipa nei pressi dello stand della Regione e, immancabili, giungono guardioni Fiat, carabinieri, poliziotti, digos. Il poliziotto buono si alterna con quello cattivo: uno blandisce, l’altro minaccia: entrambi pretendono che ci allontaniamo, ci vengono estorti i documenti. Di fronte al nostro rifiuto di andarcene spontaneamente, veniamo spintonati e circondati, lo striscione viene sequestrato con la forza, i volantini ci sono sottratti: intanto dalla gente accorsa allo stand giungono manifestazioni di solidarietà. Informiamo la polizia che ce ne andremo solo dopo aver terminato i volantini ed a patto che ci vengano restituiti lo striscione e i documenti. Dopo una lunga trattativa la nostra proposta viene accettata.

Nel frattempo al Balon parte, nonostante i divieti, il carnevale papale degli squatter. Il papa gaio dall’alto della sua portantina distribuisce salsicce, beve birra e fuma. E’ circondato da flagellanti, monache di Monza, monache bavaresi e da guardie svizzere, impersonate da compagni svizzeri reduci dalle iniziative ginevrine contro l’OMC (vedi resoconto a pag. 6 NdR). La manifestazione cui intervengono circa 500 persone viene bloccata prima del centro da un imponente schieramento di polizia.

Questa vicenda mostra come, nonostante i divieti, alcune voci fuori dal coro si siano fatte sentire alla vigilia della visita di Wojtila ad un lenzuolo funerario di cui non ci importa irridere l’autenticità, poiché è certo «autentico» nel testimoniare come il cattolicesimo affondi le proprie radici nel dolore, nella morte, nella sofferenza. Quella stessa cultura della morte che ispira Wojtila nella sua crociata contro l’aborto, nella negazione del diritto alla vita ed alla libertà delle donne, trovando a destra come a sinistra sin troppo solleciti riscontri.

I Sindonbusters continueranno a farsi sentire in città.

Ma.ma

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